TUTTO E NIENTE: I VICE-PRESIDENTI DEGLI STATI UNITI (1)

di Giuliano Da Frè -

 

 

Un ruolo inutile? Non sempre. Harry Truman definiva il suo ufficio alla Vicepresidenza utile quanto “la quinta tetta delle mucche”, ma nell’aprile 1945 con la morte improvvisa di F.D. Roosevelt avrebbe preso le redini degli Usa e sarebbe passato alla storia come il presidente della vittoria sul nazismo e sul Giappone. E del “contenimento” del comunismo nel mondo.

 

Sul ruolo di Vice President of the United States, ossia di “numero due” dell’uomo più potente del mondo, si sprecano le battute attribuite a vicepresidenti in carica, o aspiranti – si fa per dire, data l’insofferenza verso l’incarico – tali. A chi nel 1848 proponeva a Daniel Webster di correre con il generale Zachary Taylor, candidato whig alla presidenza, il potente senatore del Massachussetts, oratore noto per la caustica arguzia, rispose: “Non intendo essere sepolto finché non sarò veramente morto, e chiuso nella bara”. Più tranchant due dei vicepresidenti democratici che affiancarono il grande Franklyn Delano Roosevelt: John Nance Garner, un ruvido texano in carica dal 1933 al 1941, disse che il suo ufficio non valeva “un secchio di piscio caldo”; mentre per Harry S. Truman era utile quanto “una quinta tetta per una mucca”. Eppure, proprio Truman esemplificava un altro celebre aforisma sul suo incarico; e questa volta attribuito al primo vicepresidente, ossia James Adams, a fianco di George Washington dal 1789 al 1797: “Non sono niente, ma potrei essere tutto”.
Il ruolo primario del vicepresidente è infatti proprio questo: garantire la continuità del governo, subentrando automaticamente al presidente, in caso di sua morte, dimissioni o altro grave impedimento – anche temporaneo, come un’operazione chirurgica. Situazione che Truman conobbe appena 3 mesi dopo essere entrato in carica, quando il 12 aprile 1945 morì il longevo “FDR”, unico presidente eletto per quattro mandati: non solo Truman portò a termine buona parte del quarto, ma ne ottenne uno tutto suo nel 1948.
Dal 1841, anno in cui per la prima volta un presidente morì in carica, la trasmissione del potere avvenne per 9 volte: otto a causa della morte del capo dello stato (quattro per il suo assassinio), e una – sinora l’ultima, e unica – per le sue dimissioni, con Richard Nixon, nel 1974. In quell’occasione, tra l’altro, a subentrare al controverso presidente californiano travolto dallo scandalo Watergate, fu un vicepresidente che non era stato eletto al suo fianco, ma nominato un anno prima dopo le dimissioni del vice che aveva fatto parte del cosiddetto “ticket presidenziale” con Nixon, nel 1968 e 1972. Di norma, in caso di morte o dimissioni del vicepresidente, questi non poteva essere sostituito, e funzioni e ruolo passavano ad altri. Ma facciamo qualche passo indietro.
Sino al 1804, il vicepresidente era il secondo arrivato nella corsa alla presidenza: poi divenne una figura separata, e quindi inserita nel citato ticket, non sempre ben amalgamato [1]. Al di là poi dell’eventuale successione al presidente, rimasta indefinita sino a quando non si presentò il caso per la prima volta nel 1841, anche il suo ruolo istituzionale era ambiguo: non faceva parte del governo con incarichi ministeriali, pur essendo il “numero due” dell’amministrazione in carica, e nel contempo ricopriva un ruolo parlamentare; peraltro altrettanto enigmatico, poiché era presidente del Senato, ma non aveva diritto di voto, se non in caso di parità.
Inoltre, come accennato, in caso di morte del vicepresidente (avvenimento concretizzatosi tra 1812 e 1912 per sette volte), sue dimissioni (1832 e 1973), o negli otto casi nei quali, tra 1841 e 1963, egli subentrò a un presidente scomparso, il ruolo restava vacante. Secondo il Presidential Succession Act del 1792, il presidente pro tempore del Senato (ossia il vicepresidente del Senato) non solo presiedeva l’alta camera al posto del vicepresidente non più in carica, ma ne prendeva il posto quale eventuale successore del capo dello Stato. Nel 1886, per risolvere alcuni problemi emersi con le varie successioni, fu deciso di affidare il ruolo di sostituto di un vicepresidente morto o asceso alla presidenza, ai membri del gabinetto: a partire dal segretario di Stato, che oltre a essere il ministro degli Esteri è una sorta di primo tra i ministri – attenzione, non di “primo ministro” – dell’amministrazione [2]. Nel 1947, infine, il ruolo fu assegnato allo speaker (presidente) della Camera dei rappresentanti; nel 1967 tuttavia, dopo l’assassinio di John F. Kennedy, e nel pieno di una Guerra Fredda che vedeva il presidente titolare anche del delicatissimo sistema di difesa nucleare [3], si rimise mano al meccanismo della successione col XXV Emendamento alla Costituzione, assegnando tra l’altro al presidente in carica la facoltà di sostituire un vicepresidente morto o dimissionario, previa conferma del Congresso, con procedura analoga a quella della selezione e nomina dei ministri.
Nel frattempo, poiché nei sistemi legislativi anglosassoni precedenti e consuetudini hanno valore operativo, era gradualmente aumentato il ruolo dei vicepresidenti nel gabinetto di governo, alle cui riunioni nei primi 150 anni avevano raramente partecipato. Dopo alcuni esperimenti (come con Garret Hobart a fine ’800), dagli anni ’20 i vicepresidenti iniziarono a essere coinvolti nelle decisioni di governo con maggiore regolarità, e con la loro partecipazione attiva divenuta prassi costante dal 1933: e proprio con Garner, a dispetto della sua pesante affermazione “urinaria”, mentre a Henry Wallace, succedutogli nel 1941, Roosevelt – di cui era stato per 8 anni ministro – affidò importanti responsabilità sui dossier-chiave del governo.
Negli anni ’50, l’allora vicepresidente Richard Nixon sostituì spesso Eisenhower, presidente anziano e con molti acciacchi di salute, pur senza mai subentrare ufficialmente; e negli anni ’70 i vicepresidenti ottennero infine un loro ufficio nella strategica “ala ovest” (la mitica West Wing) della Casa Bianca, nonché una propria residenza ufficiale di rappresentanza: il Number One Observatory Circle, nell’area scientifico-militare dello United States Naval Observatory.

Dall’indipendenza alla guerra civile: 1788-1860

Il vicepresidente Aaron Burr affronta il rivale politico Alexander Hamilton e lo uccide

Il vicepresidente Aaron Burr affronta il rivale politico Alexander Hamilton e lo uccide, nel 1804.

Come già qui narrato in un precedente articolo, le prime due elezioni presidenziali furono, almeno per quanto riguarda il capo dello Stato, senza storia, essendo George Washington il candidato unico tanto nel 1788, quanto nel 1792. La gara riguardò quindi solo la vicepresidenza, vinta con 34 voti elettorali da John Adams (1735-1826), del Massachusetts, tra i padri della patria e leader con Alexander Hamilton del Federalist Party, che propugnava un governo centrale forte, e aveva la propria roccaforte nel New England [4]. Adams fu confermato nel 1792, e poi eletto alla presidenza 4 anni più tardi, battendo di stretto margine Thomas Jefferson (1743-1826), estensore nel 1776 della “Dichiarazione di indipendenza”, già segretario di Stato nel 1790-1793, e leader del Democratic-Republican Party, che divenne quindi vicepresidente per il 1797-1801. Nel 1800, a sua volta Jefferson sconfisse Adams, avendo come vicepresidente Aaron Burr (1756-1836). Giovanissimo colonnello nella guerra di indipendenza e potente senatore di New York, Burr fu il primo vicepresidente a non andare poi alla Casa Bianca, a dispetto del suo indubbio talento politico. L’11 luglio 1804, infatti, uccise in duello colui che rappresentava il suo rivale politico, Alexander Hamilton (1757-1804), ex generale e primo ministro del Tesoro degli Stati Uniti: benché il duello fosse stato regolare, le non troppo velate intenzioni di Burr di liquidare quello che veniva considerato il suo più pericoloso avversario politico, rovinarono la carriera di Burr, che lasciò l’incarico il 4 marzo 1805, per poi architettare un piano di invasione di Florida e Texas, allo scopo di formare un proprio governo, finendo arrestato per ordine di Jefferson nel 1807 [5].
D’altra parte, Jefferson era già intenzionato a non allearsi più con Burr, e lo scandalo seguito al duello gli fece cogliere la palla al balzo: nel 1804 a essere eletto vicepresidente per il secondo mandato del grande virginiano fu George Clinton (1739-1812), già generale dell’Esercito continentale, e governatore di New York. Clinton fu confermato alla vicepresidenza anche nel 1808, correndo con l’erede politico di Jefferson, James Madison; ma verso la fine del secondo mandato, fu anche il primo vicepresidente a morire in carica, il 20 aprile 1812, di infarto: così come fu uno dei due soli vicepresidenti a ricoprire tale carica sotto due presidenti differenti.
Come sappiamo, solo nel 1967 sarà data facoltà al presidente in carica di sostituire il vicepresidente morto o dimissionario, con un nuovo “numero due” di propria nomina. Pertanto, l’incarico di Clinton restò vacante sino al 5 marzo 1813 [6], quando entrò in carica Elbridge Gerry (1744-1814), governatore del Massachussetts, compagno di Madison per la rielezione del 1812. Nemmeno Gerry porterà tuttavia a termine il proprio mandato: morirà infatti di infarto il 23 novembre 1814, durante la guerra scoppiata nel 1812 contro l’Inghilterra [7].
Le elezioni del 1816 e 1820 furono vinte dall’ultimo dei grandi virginiani eredi di Washington e Jefferson, James Monroe, che tra il 1817 e il 1825 governò con a fianco Daniel D. Tompkins (1774-1825), governatore di New York per un decennio, e vicepresidente a 42 anni. A dispetto della giovane età, gli abusi alcolici di Tompkins lo portarono nella tomba appena tre mesi dopo aver lasciato l’incarico.
Le elezioni del 1824 furono del tutto particolari: mentre nessuno dei quattro candidati in corsa per la presidenza aveva raggiunto il quorum, e la scelta fu demandata al Congresso, che il 9 febbraio 1825 elesse John Quincy Adams, figlio del secondo presidente (e primo vicepresidente) degli USA, non ci furono problemi per John C. Calhoun (1782-1850). Il grande oratore e leader della South Carolina, già ministro della Guerra dal 1817, ottenne subito i voti elettorali per divenire vicepresidente, a 42 anni.
Calhoun si scontrò ben presto con Adams junior su vari temi, compreso lo schiavismo, che vedeva il presidente su posizioni abolizioniste. Il suo vicepresidente appoggiò quindi apertamente la ricandidatura del generale Andrew Jackson, che nel 1824 aveva ottenuto più voti di Adams, e nel 1828 lo batté nettamente, conservando Calhoun quale suo vice. Tuttavia, anche i rapporti con il collerico ed energico generale divennero ben presto burrascosi, sino alla rottura del 1832, quando Calhoun si schierò a fianco del nativo stato della South Carolina, nella lotta sull’applicazione dei dazi federali (la cosiddetta “crisi della Nullificazione”). Quando il bellicoso stato meridionale giunse sulla soglia della secessione armata, stroncata da Jackson che spedì truppe e navi a occuparne i punti chiave, il presidente minacciò anche di impiccare chiunque soffiasse sulla rivolta. Calhoun compreso, che già a maggio era stato escluso dal ticket presidenziale con Jackson, e che pertanto si dimise il 28 dicembre 1832: il primo vicepresidente a farlo, e l’unico sino al 1973 [8]. Il potente senatore sudcaroliniano, poi segretario di Stato nel 1844-1845, rimase uno dei più influenti leader politici del paese, sino alla morte, avvenuta nel pieno della nuova “crisi del 1850”. A fianco di Jackson fu invece eletto vicepresidente il più ragionevole Martin van Buren (1782-1862), ex senatore di New York e segretario di Stato nel 1829-1831, in carica dal 1833 al 1837, e che sarebbe stato eletto alla presidenza nel 1836, per poi essere sconfitto nel 1840, e nel 1848 come indipendente. Vice di van Buren nel 1837-1841 fu a sua volta il poco conosciuto Richard Mentor Johnson (1780-1850), parlamentare democratico del Kentucky, e già colonnello della milizia nel 1812.
Dopo due vicepresidenti morti in carica, infine, arrivò il momento in cui sarebbe stato uno di loro a succedere a un presidente.
Il 4 marzo 1841, il neo eletto nono presidente William Henry Harrison, un valoroso ma anziano ex generale di 68 anni, decise di sfidare il maltempo che affliggeva il giorno della cerimonia del suo insediamento, partecipando al corteo presidenziale a cavallo e senza cappello e cappotto, per poi tenere un lungo discorso di inaugurazione, parlando per 2 ore con un clima esecrabile. Nei giorni successivi si logorò ulteriormente, buscandosi un raffreddore presto trasformatosi in polmonite, che lo portò nella tomba esattamente un mese dopo aver prestato giuramento: la più breve presidenza della storia americana.
A subentrargli, a norma di legge era chiamato il suo vicepresidente John Tyler (1790-1862), già governatore e senatore della Virginia, che aveva difeso come capitano della milizia nel 1812. Lo shock per quanto accaduto a Harrison, eletto come portabandiera del partito Whig, e il fatto che Tyler fosse un ex democratico indipendente, portò a un duro scontro politico tra chi riteneva il nuovo capo dello stato solo un vicepresidente facente funzioni di presidente, e magari pro-tempore, e chi invece ne difendeva l’assunzione in pieno di ruolo e poteri. Vinse Tyler, con una risoluzione votata dal Congresso il 31 maggio 1841 [9], che farà da precedente e apripista. Infatti, dopo che alle elezioni del 1844 era stato eletto a fianco del presidente eletto James Polk il giudice George M. Dallas (1792-1864) della Pennsylvania, in carica nel 1845-1849 e poi ambasciatore a Londra per 5 anni, il 9 luglio 1850 toccò al suo successore Millard Fillmore (1800-1874), un whig di New York, subentrare al secondo presidente morto in carica: il generale Zachary Taylor, col quale era stato eletto nel 1848. Poi toccò di nuovo a un vicepresidente morire in carica: William R. King (1786-1853), dell’Alabama, già presidente pro tempore del Senato ed eletto nel 1852 a fianco di Franklin Pierce, che fu ucciso dalla tubercolosi dopo appena 45 giorni di mandato [10].
Nel 1856, accanto all’anziano presidente James Buchanan fu eletto vicepresidente l’appena 35enne John C. Breckinridge (1821-1875), del Kentucky, ad oggi il più giovane vicepresidente della storia americana. Il suo mandato scadde il 4 marzo 1861, ma nel novembre 1860 fu uno dei due sfidanti che un diviso Partito democratico, mise in campo senza successo contro Lincoln: Breckinridge avrebbe aderito alla Secessione e servito la Confederazione come generale e ministro della Guerra, per poi fuggire in esilio e lasciare la vita pubblica.

I tre presidenti assassinati e i quattro vice deceduti (1860-1912)

Garret A. Hobart, vicepresidente dal 1896, il primo realmente coinvolto nel governo.

Garret A. Hobart, vicepresidente dal 1896, il primo realmente coinvolto nel governo.

Abraham Lincoln ebbe invece due compagni di corsa: nel 1860 il senatore repubblicano del Maine Hannibal Hamlin (1809-1891), in carica nel 1861-1865 e poi tornato in Senato sino al 1881. Nel 1864 invece, per sottolineare il carattere unitario della sua amministrazione, ancora impegnata nella sanguinosa guerra civile, creando una coalizione coi democratici unionisti (National Union Party), volle al proprio fianco uno dei loro più combattivi esponenti: il senatore e governatore militare del Tennessee Andrew Johnson (1808-1875). Fu lui a succedere al primo presidente assassinato quando, il 14 aprile 1865, Lincoln cadde sotto i colpi dell’attore John Wilkes Booth; ma dimostrandosi leader di scarso spessore, avversato da buona parte dei capi repubblicani, che arrivarono a tentarne l’impeachment nel 1868. Tra i promotori del fallito colpo di mano, c’era proprio il presidente pro tempore del Senato Benjamin Wade, che in caso di destituzione di Johnson gli sarebbe subentrato [11].
Nel 1868 si tennero anche le elezioni, e ad affiancare il popolarissimo comandante in capo dell’Esercito nordista Ulysses S. Grant alla presidenza fu lo scaltro e dinamico Schuyler Colfax (1823-1885), dell’Indiana, già potente speaker della Camera dal 1863. Il ticket (il più giovane, con i 91 anni complessivi dell’accoppiata Grant-Colfax, sino ai 90 di Clinton-Gore del 1992) non si riformò nel 1872, a causa delle ambizioni presidenziali di Colfax, poi coinvolto anche in alcuni dei tanti scandali di un’epoca corrotta. Grant fu quindi rieletto con Henry Wilson (1812-1875), da 18 anni senatore del Massachussetts, che però fu anche il quarto vicepresidente a morire in carica, dopo una serie di ictus, il 22 novembre 1875 [12].
Nel 1876 al presidente eletto, il repubblicano Rutherford B. Hayes, fu affiancato William A. Wheeler (1819-1887), parlamentare di lungo corso newyorkese, in carica dal 1877 al 1881, quando a succedergli fu un suo concittadino, Chester A. Arthur (1829-1886), eletto nel 1880 con James Garfield: che, quando divenne il secondo presidente a morire in un attentato, il 19 settembre 1881, gli succedette per buona parte del mandato 1881-1885 [13]. Nel 1884 era nel frattempo stato eletto il primo presidente democratico dopo un quarto di secolo, Grover Cleveland, con Thomas A. Hendricks (1819-1885), già senatore e governatore dell’Indiana, quale vicepresidente: ma solo fino al 25 novembre 1885, quando il “numero due” della Repubblica fu stroncato da un infarto. L’incarico di presiedere il Senato quale eventuale successore andò a John Sherman: ma nel 1886 entrò in vigore il nuovo Presidential Succession Act, che affidava la successione, in mancanza del vicepresidente, al segretario di Stato; e a Sherman subentrò quindi Thomas F. Bayard, sino al 1889. Nel 1888 erano stati eletti i repubblicani Benjamin Harrison alla presidenza, e Levi P. Morton (1824-1920), un altro newyorkese, alla vicepresidenza, in carica sino al 1893, quando furono scalzati dal ritorno alla Casa Bianca di Cleveland, l’unico a ottenere nel 1892 un secondo mandato non consecutivo, sino a Trump nel 2024. Col presidente “rientrante” fu eletto per il mandato 1893-1897 Adlai Stevenson (1835-1914), potente avvocato dell’Illinois e già ministro durante la prima amministrazione Cleveland.
Nel 1896 al vertice arrivò tuttavia una coppia di solidi repubblicani di mezza età: William McKinley, e il suo vice Garret Hobart (1844-1899), un abile parlamentare del New Jersey che, per la prima volta, vide ampliare il proprio ruolo di governo, tanto da essere definito “assistant President”. Malato di cuore, Hobart scomparve tuttavia il 21 novembre 1899, a meno di un anno dalle nuove elezioni del 1900, cui McKinley si presentò con un nuovo e più giovane compagno, Teddy Roosevelt (1858-1919), l’esuberante ex viceministro della Marina allo scoppio della guerra ispano-americana del 1898, cui partecipò distinguendosi come colonnello alla testa di un reggimento di volontari. Con l’uccisione di McKinley, il 14 settembre 1901, Roosevelt divenne presidente, a soli 43 anni: popolarissimo, dinamico campione di una politica estera più assertiva, e di radicali riforme interne, fu anche il primo vicepresidente subentrato a un presidente morto in carica a essere eletto a sua volta alla magistratura più alta, nel 1904, con Charles W. Fairbanks (1852-1918), senatore repubblicano dell’Indiana quale vice per il 1905-1909 [14].
Nel 1908 Roosevelt non volle ripresentarsi, lasciando il testimone all’amico e collaboratore William Howard Taft, affiancato da James S. Sherman (1855-1912), parlamentare di New York. Sherman sarebbe stato l’ultimo vicepresidente a morire in carica, dopo una lunga malattia, benché fosse in corsa per la riconferma di Taft: morì infatti il 30 ottobre 1912, a meno di una settimana dalle elezioni, sostituito “sul tamburo” da Nicholas Murray Butler, che però non sarebbe stato eletto vicepresidente con Taft; anzi, la coppia repubblicana non arrivò nemmeno seconda, poiché il clima politico era cambiato [15].

L’era delle riforme e un nuovo ruolo per i numeri “due” (1912-1961)

Henry Wallace (1888-1965), vicepresidente progressista nel 1941-1945, stretto collaboratore di Roosevelt.

Henry Wallace, vicepresidente progressista nel 1941-1945, stretto collaboratore di Roosevelt.

Le elezioni del 1912 furono una svolta, in una fase denominata Progressive Era, segnata da piattaforme riformiste, di cui già Roosevelt si era fatto assertore. Proprio l’ex presidente entrò in rotta di collisione col Partito repubblicano e l’ex amico Taft, accusandoli di essere tornati su posizioni troppo conservatrici: e decise pertanto di ricandidarsi come indipendente con un proprio movimento progressista. Azione che spaccò in due il fronte repubblicano: Roosevelt batté Taft, ma a sua volta fu superato dal democratico Woodrow Wilson, a sua volta eletto sulla base di una piattaforma riformista, e riconfermato poi nel 1916, rompendo quasi mezzo secolo di predominio repubblicano.
Dal 1913 al 1921 Wilson fu affiancato da Thomas R. Marshall (1854-1921), già governatore dell’Indiana. A Marshall viene attribuito un altro caustico giudizio sulla vicepresidenza (“C’erano una volta due fratelli. Uno se ne andò per mare, l’altro fu eletto vicepresidente: e non si è più saputo nulla di nessuno dei due”): ma in effetti, non solo si rivelò essere per l’amministrazione Wilson un ottimo presidente del Senato, vista l’intensa attività di riforme costituzionali avviate, ma fu anche il primo vicepresidente dai tempi di Tompkins, un secolo prima, a ricoprire due mandati consecutivi. Wilson lo coinvolse sin dall’inizio nelle riunioni di governo, ma i contrasti tra i due democratici si acuirono col tempo: e quando il presidente nell’ottobre 1919 fu colpito da un grave ictus, invece di chiamare Marshall a sostituirlo, si cementò una sorta di “cerchio magico” guidato dall’ambiziosa first lady Edith, per mantenere tutti in poteri alla Casa Bianca, nei successivi 18 mesi di mandato.
Il successivo presidente, il repubblicano Warren Harding, eletto nel 1920 con il governatore ed ex senatore del Massachussetts Calvin Coolidge (1872-1933) alla vicepresidenza, spesso distratto da scandali, tornei di golf e affari di cuore, coinvolse costantemente il “numero due” nel governo. Una buona idea, poiché Harding morì improvvisamente il 2 agosto 1923. Come Roosevelt, anche Coolidge [16] fu rieletto, nel 1924, e col suo vicepresidente si comportò come Harding aveva fatto con lui. Ma Charles G. Dawes (1865-1951), proveniente da una famiglia dell’Ohio che aveva sfornato alcuni grandi soldati della guerra civile – compreso il padre Rufus, eroe di Gettysburg –, ed energici imprenditori, era una forte personalità: un tecnocrate che durante la Prima guerra mondiale aveva servito in Francia come generale, e nel dopoguerra aveva messo a punto un piano per rilanciare l’economia europea e la Germania, ottenendo il Premio Nobel per la pace nel 1925; e tra lui e Coolidge i rapporti si deteriorano rapidamente.
Nel 1928 si tornò a votare, senza l’accoppiata Coolidge-Dawes in corsa: fu eletto un altro repubblicano, Herbert Hoover, un tecnocrate cui fu affiancato come vicepresidente un anziano ed esperto parlamentare di lungo corso del Kansas, Charles Curtis (1860-1936); personaggio piuttosto naif ma abile gestore del Senato, nei difficilissimi anni della “grande crisi”. Nonostante l’età fu ricandidato nel 1932 con Hoover, ma andò a casa dopo la schiacciante vittoria di Franklyn Delano Roosevelt, il grande leader progressista del Partito democratico, che a sua volta aveva corso come candidato alla vicepresidenza nel 1920. Nel ’32 e poi ancora nel 1936 [17], Roosevelt fu affiancato da John Nance Garner (1868-1967), il già più volte citato texano, che senza peli sulla lingua giudicava il ruolo della vicepresidenza. Eppure, con lui divenne prassi costante la partecipazione del “numero due”, a pieno titolo, all’attività di governo, mentre nel presiedere il Senato si dimostrò essenziale nel far passare le leggi del “New Deal”, di cui pure non era un sostenitore. Durante il secondo mandato, le tensioni con FDR aumentarono, e nel 1940 Garner tentò senza successo di assicurarsi la nomination democratica, finendo invece per perdere anche la vicepresidenza [18], che Roosevelt, primo e unico presidente a ottenere più di due mandati, assegnò al fido Henry A. Wallace (1888-1965). Wallace era un tecnocrate dell’Iowa, tra gli uomini di punta delle riforme varate negli anni ’30 come ministro dell’Agricoltura, messa a dura prova in quegli anni dalla grande crisi, che si era sovrapposta ai grandi uragani di sabbia che avevano devastato ampie aree agricole del paese (la Dust Bowl narrata in Furore da John Steinbeck). Come vicepresidente, per la prima volta Wallace ottenne il pieno controllo su alcuni organi e dossier chiave, soprattutto per la mobilitazione industrial-militare del paese in vista della guerra, e che comprenderà anche il “Progetto Manhattan” per la bomba atomica.
Nonostante l’eccezionale talento organizzativo, Wallace si mise in urto con i principali leader democratici, che lo consideravano troppo radicale, e un vero spauracchio per la fazione segregazionista del Sud: con la prospettiva che il vicepresidente eletto con Roosevelt nel 1944, sarebbe succeduto a un presidente visibilmente malato, dopo un lungo tira e molla il Partito riuscì a imporre Harry S. Truman (1884-1972), un più “centrista” senatore del Missouri, veterano della Grande Guerra, che in quegli anni si era distinto in vari comitati di controllo delle spese belliche, garantendosi una notorietà nazionale. Wallace fu nominato ministro del Commercio, sino al settembre 1946, per poi correre quale candidato indipendente-progressista alle presidenziali del 1948.
In carica dal 20 gennaio 1945, appena 82 giorni più tardi Truman assunse la presidenza, coprendo in pratica quasi tutto il quarto mandato di Roosevelt. In quegli anni furono varate alcune riforme relative alla successione: nel 1947 fu deciso che a subentrare a un vicepresidente arrivato alla presidenza, quale eventuale successore, fosse non più un membro del governo ma lo speaker (ossia il presidente) della Camera dei rappresentati.
Così, ai segretari di Stato che avevano affiancato Truman (tra aprile 1945 e luglio 1947 se ne succedettero ben quattro), dal 1947 fu lo speaker Joseph W. Martin (1884-1968) a svolgere il ruolo di potenziale “numero due”: idea controversa, poiché era un esponente repubblicano, a essere chiamato a succedere al democratico Truman, in caso di necessità; non va dimenticato che nel 1950 Truman sarebbe sfuggito a un attentato di nazionalisti portoricani. A quel punto però si erano svolte le elezioni del 1948, vinte contro tutti i pronostici ancora dai democratici, e Truman era stato affiancato da un vicepresidente effettivo: Alben W. Barkley (1877-1956), anziano ed esperto senatore di lungo corso del Kentucky, che nel 1954 sarebbe stato rieletto nel suo vecchio seggio.

Richard Nixon, giovane vicepresidente di Eisenhower dal 1953 al 1961 e presidente nel 1968.

Richard Nixon, giovane vicepresidente di Eisenhower dal 1953 al 1961 e presidente nel 1968.

Il ruolo più operativo a livello di governo, affidato al vicepresidente, si sarebbe tuttavia consolidato con la successiva amministrazione, questa volta repubblicana, al governo nel 1953-1961 grazie alle vittorie ottenute dal popolarissimo generale Dwight “Ike” Eisenhower nel 1952 e 1956. Inesperto di politica, non giovane e con crescenti problemi di salute, in quegli anni assunse un ruolo sempre più centrale il vice di Ike, Richard M. Nixon (1913-1994). Parlamentare della California, ex ufficiale di Marina in guerra, Nixon era il più giovane vicepresidente – 39 anni – dai tempi di Breckinridge, quasi un secolo prima, ed era considerato troppo inesperto, nonostante l’attivismo dispiegato come deputato e senatore, soprattutto nella cosiddetta “caccia alle streghe” anticomunista del Maccartismo, che semmai ne faceva un personaggio divisivo e controverso, al pari del senatore Joseph McCarthy, di cui fu dapprima seguace, salvo mollarlo quando si era fatto troppi avversari. Nixon infatti era un politico abile e astuto; e dopo aver scansato con efficacia alcuni ostacoli iniziali, si dimostrò sempre più attivo in politica estera, e spesso presiedette le riunioni di gabinetto al posto di Eisenhower, soprattutto quando il generale ebbe un infarto restando hors de combat per quasi due mesi. Il ruolo di Nixon uscì ulteriormente rafforzato dopo la rielezione del 1956, e nuove malattie di Eisenhower, tanto da far pensare che il suo vice nel 1960 si sarebbe aggiudicato senza problemi la presidenza. Fu invece sconfitto da John F. Kennedy, per poi toccare il punto più basso due anni dopo, quando perse anche la gara per guidare la natia California: ma il momento di Nixon non era ancora venuto. (continua)

 

Note

[1] A volte non a caso: generalmente i candidati alla presidenza e vicepresidenza dello stesso “ticket”, provengono non solo da 2 stati, ma da due aree geografiche diverse (nord e sud, costa ovest, Midwest o East Cost), appartengono a due diverse anime del proprio partito, e se possibile a due fasce di età differenti: basti pensare alle ultime accoppiate Biden-Harris (rispettivamente 78 e 56 anni al momento dell’elezione), e Trump (classe 1946) e il suo vice Vance, del 1984.
[2] In caso di impedimento del segretario di Stato, sarebbe toccato via via agli altri ministri, a partire da quello del Tesoro.
[3] Esemplificato dalla famosa – famigerata – valigetta coi codici di lancio per scatenare l’Armageddon atomica.
[4] Terzo classificato fu il segretario di Stato John Jay (1745-1829), pochi mesi più tardi nominato primo presidente dalla Corte suprema, dal 1789 al 1795, quando fu eletto governatore di New York.
[5] Sulle sue vicende, si può leggere uno dei migliori romanzi storico-politici americani di sempre: il caustico Burr, di Gore Vidal (1973).
[6] A presiedere il Senato fu il presidente pro tempore William H. Crawford (1772-1834), in carica nel 1812-1813, destinato a succedere a Madison in caso di necessità, secondo il Presidential Succession Act valido dal 1792 al 1886.
[7] Subentrò a Gerry dal 1814 al 1817 il presidente pro tempore del Senato John Gaillard (1765-1826).
[8] A sostituire Calhoun per poco più di 2 mesi fu il presidente pro tempore del Senato Hugh Lawson White (1773-1840).
[9] Ad ogni modo su Tyler, generalmente considerato un presidente di scarsa efficacia, aleggia anche fama di iettatore: oltre ad essere stato il primo a entrare alla Casa Bianca dopo la morte del presidente eletto, durante il suo mandato morirono il popolare comandante in capo dello US Army, la moglie (prima first lady a morire col marito in carica), e due importanti ministri, uccisi dallo scoppio di un cannone che stavano ispezionando assieme al presidente, rimasto miracolosamente illeso. Dopo la dichiarazione della secessione degli Stati del Sud, nel 1860, Tyler fu nominato presidente della Conferenza della pace: e subito dopo scoppiò la guerra. Infine, eletto deputato del Congresso confederato, morì prima di entrare in carica.
[10] Durante la presidenza Tyler il ruolo di presidente pro tempore del Senato fu esercitato da Samuel L. Southard (1787-1842) e, sino al 1845, da Willie P. Mangum (1792-1861). Fillmore fu sostituito da William R. King, poi a sua volta eletto vicepresidente nel 1852, e sino al marzo ’53 da David Rice Atchison (1807-1886), che riprese l’incarico alla morte di King: sino al marzo 1857 gli succedettero altri 4 presidenti provvisori.
[11] La congiura Booth aveva previsto di uccidere anche Johnson, ma l’uomo che doveva sparargli si tirò indietro all’ultimo momento. Dall’aprile 1865 al marzo 1869 presidenti pro tempore del Senato furono Lafayette S. Foster (1806-1880), e il citato Benjamin Wade (1800-1878).
[12] A sostituirlo il presidente pro tempore del Senato Thomas W. Ferry (1827-1896).
[13] A sostituire Arthur furono nel 1881-1883 David Davis (1815-1886) e nel 1883-1885 George F. Edmunds (1828-1919), quali presidenti pro tempore del Senato.
[14] A sostituire tra 1899 e 1905 prima Hobart, poi Roosevelt, quale numero due nella successione, fu l’abile segretario di Stato John Hay (1838-1905), già collaboratore di Lincoln.
[15] Gli ultimi mesi di mandato di Taft videro come suo eventuale successore il segretario di Stato Philander C. Knox (1853-1921).
[16] A subentrargli come secondo in linea di successione fu il segretario di Stato Charles Evans Hughes (1862-1928).
[17] Il secondo mandato Roosevelt-Garner iniziò il 20 gennaio 1937: una riforma costituzionale aveva infatti anticipato la data inaugurale della presidenza, rispetto a quella tradizionale del 4 marzo.
[18] Ritiratosi dalla vita pubblica, Garner manteneva una certa influenza nella politica: il 22 novembre 1963, per il suo 95° compleanno, ricevette la telefonata di auguri da un altro presidente progressista, John F. Kennedy, in Texas per un tour pre-elettorale, ucciso a Dallas poche ore dopo.