TRE OUTSIDER AL CONGRESSO DI BOLOGNA

di Maria Alessandra Risi -

 

Bizzarri inventori del moto perpetuo, fantasiosi ideatori di nuovi principi della meccanica, acerrimi contestatori di Newton ed Einstein. Al prestigioso Congresso Internazionale dei Matematici, tenutosi a Bologna nel 1928, tentarono di insinuarsi anche tre pseudoscienziati, forti di idee a dir poco strampalate e viziate da macroscopici errori.

 

 

 

 

Il Congresso Internazionale dei Matematici

Per la prima volta dopo dieci anni dalla fine della Grande guerra il Congresso Internazionale dei Matematici di Bologna del 1928[1] aveva aperto la partecipazione ai propri lavori anche ai matematici tedeschi. Fino a quel momento la chiusura nazionalistica dei gruppi scientifici, provocata nel 1914 dall’euforico antagonismo bellico, era proseguita, nonostante la fine delle ostilità, con l’esclusione degli scienziati tedeschi sconfitti da tutti gli organismi internazionali di ricerca istituiti nell’immediato dopoguerra dalle potenze vincitrici. Nel 1919 era stato creato l’International Research Council (IRC), che aveva dato la spinta propulsiva al formarsi di una rete federativa di organismi scientifici internazionali e nazionali ai quali era impedita la partecipazione ai tedeschi e ai loro alleati, con divieto esteso naturalmente anche ai rispettivi congressi. I tedeschi, da parte loro, parlavano chiaramente e con risentimento di boicottaggio nei loro confronti. In ambito matematico aveva visto la luce nel 1920 l’International Mathematical Union (IMU), al cui interno era nata due anni dopo l’Unione Matematica Italiana (UMI).
La chiusura politica e scientifica si era andata attenuando gradatamente, con tempi diversi secondo la disciplina, solo dopo il 1925, pur fra contrasti e ostilità. Nel 1928 Salvatore Pincherle, docente di analisi matematica all’Università di Bologna, era stato eletto contemporaneamente presidente sia dell’organismo matematico internazionale che di quello italiano. Con questo doppio incarico egli si era trovato ad organizzare il Congresso Internazionale dei Matematici, che doveva tenersi quell’anno secondo una cadenza quadriennale iniziata nel 1867 e interrotta solo durante il periodo bellico. Anche i due congressi che avevano già avuto luogo dopo la fine della guerra, nel 1920 e nel 1924, avevano visto l’esclusione astiosa dei matematici tedeschi.
Pincherle invece, in occasione del nuovo Congresso del 1928 aveva ritenuto che fosse ormai giunto il momento, per la matematica, di superare ogni divisione politica nel nome di una ritrovata internazionalità della scienza. L’iniziativa di Pincherle aveva il supporto delle due maggiori società scientifiche statunitensi della disciplina, oltre che della maggior parte dei colleghi europei. Ma il matematico dovette ugualmente affrontare l’ostilità di una parte della sua stessa comunità scientifica, soprattutto francese, e di un gruppo di matematici tedeschi, che opposero ostacoli sia ideologici che formali alla paventata apertura. Il risultato fu che, nonostante gli sforzi conciliativi compiuti dall’organizzazione, non parteciparono al congresso alcuni importanti vertici degli organismi internazionali, fra i quali i francesi Émile Picard presidente dell’IRC, e Gabriel Koenigs segretario generale dell’IMU, insieme all’intera scuola matematica e all’Università di Berlino.
Il Congresso del 1928, che si svolse nell’Ateneo bolognese, sede di Pincherle, ebbe comunque una vasta risonanza internazionale e vide la partecipazione di più di un migliaio di congressisti provenienti da ogni parte del mondo. Fra i nomi di spicco figuravano i tedeschi David Hilbert, Emmy Noether, Max Born, Edmund Landau, gli americani George D. Birkhoff, Virgil Snyder e Oswald Veblen, i francesi Emile Borel e Jacques Hadamard, il danese Niels Bohr, l’inglese Godfrey H. Hardy, il russo Nicolas Lusin, gli svizzeri Hermann Weyl e William H. Young, il belga Henri Fehr, oltre ovviamente a tutti gli italiani del periodo, da Vito Volterra ad Alessandro Terracini, da Tullio Levi-Civita a Guido Castelnuovo, Beppo Levi, Enrico Fermi, Francesco Severi e così via.
Ma al prestigioso Congresso, che rimase in stretto rapporto operativo e di consenso con il governo fascista italiano, furono ammessi a tenere comunicazioni anche tre figure che potremmo definire di outsider, fra le quali spicca Gaetano Ivaldi, le cui polemiche e rumorose prese di posizione contro la comunità scientifica internazionale hanno fatto emergere l’episodio. La sua presenza a Bologna, insieme a quella di Giuseppe Casazza e di Pietro Caminati, che nel complesso potremmo definire pseudoscienziati, anche se per l’ultimo di essi rimane un dubbio di identificazione, costituisce uno dei segni delle contraddizioni da cui è costellato il tortuoso percorso della conoscenza scientifica.

L’impatto della Grande guerra su scienza e industria in Italia 

Durante il conflitto del 1914-18 erano stati utilizzati per la prima volta in modo massiccio i gas tossici e l’artiglieria pesante prodotti industrialmente. L’efficacia distruttiva spiegata sul campo dai tedeschi, frutto della perfetta integrazione fra scienza, politica, esercito e industria di quel paese, aveva reso evidente la fragilità e i limiti della situazione scientifica e industriale italiana.
Nel nostro paese esisteva una profonda frattura tra studi teorici “puri” in ambito accademico, e risvolti applicativi industriali. Soprattutto in ambito chimico, l’industria italiana sembrava svilupparsi senza ricerca e continuava a mantenersi in forte dipendenza dall’estero[2]. Parallelamente negli anni del conflitto era andata crescendo in Italia una progressiva e orgogliosa fede nella scienza nazionale, di cui veniva rivendicata la centralità e l’importanza, preludio della successiva esaltazione nazionalistica fascista[3].
L’Italia aveva dichiarato guerra alla Germania, suo ex alleato, solo a fine agosto del 1916. Nel clima arroventato di quell’anno il chimico Raffaello Nasini era intervenuto con foga alla riunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze (SIPS) di Vito Volterra, augurandosi una piena collaborazione tra scienza ed industria per liberare l’Italia dal peso della servitù economica, industriale e commerciale[4].
Ma l’episodio forse più emblematico da questo punto di vista si era verificato durante la riunione della Società Italiana di Fisica (SIF) di quello stesso 1916 a Roma. Di fronte all’evidente gap italiano rispetto alla situazione tedesca, i fisici avevano approvato una mozione in cui si auspicava l’allargamento degli studi universitari di fisica anche alle sperimentazioni applicative, e in parallelo veniva proposta l’introduzione nelle scuole di ingegneria di corsi “come la fisica tecnica, la termotecnica, l’elettrotecnica, che sono da considerarsi come capitoli della Fisica”[5]. Nella stessa riunione, collegate solo in parte a questa svolta applicativa, le due relazioni tenute dall’ing. Gaetano Ivaldi, che compare qui per la prima volta, seguivano invece un binario diverso. Ivaldi si lanciava contro il dogmatismo della scienza, di cui riteneva fossero esponenti Leibnitz e altri matematici tedeschi, colpevoli secondo lui di ritenere possibile e lecita la separazione tra la matematica pura e l’evidenza sperimentale. Dopo aver ricordato che anche Bacone, Galileo e Newton erano stati condannati proprio nel nome di presunti dogmi scientifici ritenuti inviolabili, ma che mancavano di qualsiasi riscontro nei fenomeni naturali, Ivaldi aveva concluso affermando che il cosiddetto indirizzo scientifico astratto tedesco era causa di regresso e non di progresso, e che il solo indirizzo veramente scientifico, che doveva e poteva essere applicato anche alla matematica pura, era quello sperimentale di Galileo[6].

Uno pseudoscienziato al Congresso, ma non da solo

La lettera di Invaldi a Levi-Civita

La lettera di Invaldi a Levi-Civita

immaginegi2Proseguendo negli anni con la stessa vena polemica, Ivaldi aveva scritto a Tullio Levi-Civita il 18 luglio 1928, meno di due mesi prima dell’inizio del Congresso di Bologna, denunciando il fatto che la comunicazione da lui inviata in vista del convegno era stata rifiutata da Pietro Burgatti, vice-presidente dell’UMI e uno dei responsabili o introduttori, come Levi-Civita, della sezione Meccanica del Congresso. La lettera con cui era stato accompagnato il rigetto conteneva secondo Ivaldi “un cumulo di sciocchezze e puerilità. In questa lettera si dice che i membri del Comitato hanno deciso di non presentare lavori (…) per lasciar posto agli stranieri. E mi consiglia di far io lo stesso (…)”. Ivaldi accusava invece gli organizzatori di aver voluto ancora una volta tacere una ”Verità (…) che da anni vò affermando (…) per non mettersi in urto (…) con una certa cricca e camorra cosiddetta scientifica. La quale ha creduto, nei miei riguardi, di persistere nella turpe ed ignobile tradizione di negar la Verità (…)” [7]. Aveva un esperimento che provava questa verità e intendeva mostrarlo al Congresso prima della sua comunicazione. Ovviamente poi rivendicava che il vero patriottismo italiano si dimostrava non tacendo il genio italiano, ma affermandolo davanti allo straniero.
La protesta era stata inviata per conoscenza anche a Mussolini dallo stesso Ivaldi due giorni dopo. La presidenza del consiglio aveva chiesto subito spiegazioni al prefetto di Bologna, e il 14 agosto il prefetto Giuseppe Guadagnini aveva inviato una lunga lettera di risposta, riportando quanto gli aveva scritto al riguardo Pincherle. In sintesi il matematico affermava che di regola il Congresso non rifiutava il contributo di nessuno, ma in caso di evidenti errori o contrasti con teorie ammesse universalmente, veniva chiesto il giudizio dell’introduttore per la sezione di riferimento. Pincherle proseguiva dicendo che il caso Ivaldi era molto noto nell’ambiente a causa fra l’altro delle numerose pubblicazioni dell’interessato, che “pretendeva di aver trovato qualche cosa come il moto perpetuo”. La Commissione esecutiva del Congresso non era stata nemmeno messa a conoscenza della motivazione che Burgatti aveva addotto per tentare di far desistere Ivaldi, e ovviamente affermava di non condividerla.
In realtà Burgatti, nello spiegare in privato a Ettore Bortolotti, segretario generale del Congresso, le ragioni della sua risposta, aveva definito Ivaldi come un pazzo e “paranoico, che per l’onore della scienza italiana è bene tener lontano dal Congresso”[8].
Pincherle, in modo molto più diplomatico, aveva scritto al prefetto che non era affatto vero che fosse stato deciso di non presentare lavori per dovere di ospitalità verso gli stranieri. A conferma citava l’alto numero di conferenze e comunicazioni di italiani previste al Congresso, aggiungendo “Se il sig. Ivaldi, nonostante gli avvertimenti (…), vorrà far conoscere al congresso quelle sue idee, assegneremo a lui, come ad ogni altro, il luogo e l’ora, e chi ascolta giudicherà”.
Nei giorni successivi Pincherle invierà un’altra lettera al prefetto rincarando la dose e sottolineando ancora una volta la cura posta dall’organizzazione del Congresso nel lasciare largo posto agli italiani[9].
Ivaldi era ben noto all’UMI anche perché qualche anno prima, nel dicembre 1924, si era reso protagonista di una clamorosa polemica contro la redazione del Bollettino dell’Unione, dopo che questa aveva rifiutato di pubblicare un sunto dei suoi lavori. In quel caso il giudizio tagliente di Burgatti era stato “egli considera una stessa massa ora distribuita in un volume (corpo di dimensioni fornite) e ora concentrata in un punto, il che gli permette di fare applicazioni cervellotiche dei principi della meccanica e di dedurre le più strabilianti conseguenze”. Dopo alcuni mesi, nel giugno 1925, Ivaldi era arrivato a mandare a Pincherle una intimazione del Tribunale di Genova che si concludeva con le parole “(…) e se i membri del Comitato di redazione del Bollettino dell’Unione Matematica Italiana non aderiranno alle richieste dell’Ing. Gaetano Ivaldi vorrà dire che essi sono in malafede, che sono dei traditori della Scienza, della gente che pretende di trasformare la Scienza in una turpe ed ignobile bottega”. A questo punto il comitato di redazione aveva accontentato Ivaldi pubblicando solo poche righe della sua nota, definendole spropositi e scrivendo di non avere tempo da perdere a confutare i troppi grossolani errori e le “(…) peregrine speculazioni meccaniche (…) lasciando naturalmente il commento al lettore che ha voglia di divertirsi”[10].
Con queste premesse, dopo l’invio della lettera di protesta prima del Congresso del 1928, Bortolotti aveva avvisato Ivaldi che comunque non sarebbero state accettate comunicazioni poco riguardose, e infatti Ivaldi si lascerà persuadere, come vedremo, a rispettare forme “garbatamente accademiche” nel proprio intervento, rimanendo però fermo nell’intenzione di non rinunciare ad affermare quella che lui riteneva essere la verità[11].
Per concludere, gli Atti del Congresso del 1928 riportavano non solo la comunicazione di Ivaldi, ma anche altre tre relazioni, relegate insieme alla fine dei lavori della sezione Matematica elementare di sabato 8 settembre, le quali “pervenute direttamente alla Segreteria del Congresso (senza presentazione di Introduttori) sono state ammesse con espressa riserva, per la pubblicazione negli Atti, del giudizio del Comitato di Redazione”[12]. Si tratta delle comunicazioni di Gaetano Ivaldi, di Giuseppe Casazza, fautore di posizioni ancora più estreme, e di due relazioni probabilmente dell’anziano Pietro Caminati. Solo Caminati aveva chiesto di parlare in quella sezione. E’ curioso sottolineare come quel sabato pomeriggio fosse prevista l’ultima sessione dell’ultimo giorno di comunicazioni libere del Congresso, in una giornata dal programma mondano particolarmente intenso, con pranzo al Littoriale (attuale Stadio Dall’Ara di Bologna) per più di mille congressisti, e la sera ricevimento solenne offerto dal prefetto a Palazzo Caprara.
Nessuna delle quattro relazioni risulta pubblicata negli atti. Solo i titoli, e poco altro, erano presenti nel volumetto Argomenti delle comunicazioni, distribuito a tutti i congressisti prima dell’inizio dei lavori.

Emerge una rete di bizzarri studiosi

La polemica scatenata da Ivaldi negli anni attorno alla prima guerra mondiale ha permesso di far luce su un gruppo di presunti studiosi che, per quanto molto diversi fra loro, furono accomunati dal forte atteggiamento critico nei confronti della scienza ufficiale, soprattutto se straniera, e dalla rivendicazione della propria tradizione autoctona e dei propri risultati, arrivando in alcuni casi al rifiuto totale della cultura scientifica accademica, che continuava a rigettarli con disprezzo. In questo accentuato solco polemico si collocano sia Gaetano Ivaldi che Giuseppe Casazza.
Accanto a loro è emersa in primo luogo la figura di Egisto Cirinei, impiegato all’Archivio della Camera dei Deputati, evidentemente dotato di una spiccata predilezione per le applicazioni scientifiche, che fu l’ideatore di congegni ed esperimenti per l’effettuazione di prove di fisica e meccanica ampiamente citati da Ivaldi a conferma delle proprie tesi, e tre di essi portati addirittura al congresso di Bologna. Lo stesso Ivaldi scriveva con ammirazione che il materiale ideato da Cirinei era stato proposto ufficialmente per l’adozione nelle scuole ai fini dell’insegnamento della meccanica[13]. Gli strumenti di Cirinei furono esposti anche a Montecitorio (dove lavorava) nel 1925 e lui stesso è stato autore di alcune pubblicazioni, con la dimostrazione sperimentale, a suo parere, di nuovi principi della meccanica[14]. Erano personalità convinte di essere vittime di un complotto ordito dall’accademia scientifica ufficiale per nascondere i propri presunti errori in matematica e fisica. Essi rivendicavano verità diverse, evidenti secondo loro agli occhi di qualsiasi profano, che emergevano chiaramente dai loro esperimenti, citandosi ampiamente a vicenda.
Oltre a Cirinei, Ivaldi faceva riferimento anche alle tesi del generale d’artiglieria Scipione Braccialini, personaggio molto sicuro delle proprie dimostrazioni, in apparenza senza alcun interesse verso il parere della comunità scientifica, e curiosamente proveniente come Ivaldi dal Politecnico di Torino. Braccialini aveva inventato alcuni strumenti ad uso militare, e a metà degli anni venti, ultrasettantenne, aveva pubblicato scritti fortemente critici su Lorentz e Einstein, autori secondo lui di ragionamenti erronei e di impossibili deduzioni assurde[15], giudizi che lo stesso Ivaldi condivideva in pieno[16].
Accanto a questo gruppo è emersa in modo sorprendente la personalità, piuttosto diversa anche come ambito scientifico, del medico condotto di Empoli (FI) Giuliano Vanghetti il quale, senza paranoie complottiste, mostrava, curiosamente insieme, aspetti di scienza, pseudoscienza ed esoterismi. Vanghetti si occupava di problemi di meccanica ortopedica, ed era stato l’ideatore di protesi cinematiche degli arti amputati, cioè protesi artificiali che, ancorate ai tendini e ai muscoli recisi di un arto, erano in grado di utilizzare ogni residua funzione naturale per l’esecuzione di movimenti elementari, guidate dai muscoli rimasti. Durante la prima guerra mondiale, dopo che l’originalità dell’invenzione aveva dovuto essere rivendicata contro una presunta paternità tedesca, le protesi erano state applicate con successo a militari italiani feriti e amputati [17]. A Vanghetti sono stati dedicati di recente la copertina e un articolo della prestigiosa rivista Neurology, per avere intuito per primo un’idea che preconizzava gli studi attuali sugli arti bionici[18].
Vanghetti però in uno scritto degli ultimi anni aveva citato, con molta ammirazione, i lavori di meccanica degli stessi Ivaldi, Casazza e Cirinei, facendo particolare riferimento ad uno scritto di Ivaldi fortemente critico verso i principi della dinamica newtoniana, e contenente fra l’altro anche un’assurda ipotesi di meccanica celeste. Vanghetti, come aveva già fatto Ivaldi nel 1923, contestava fra l’altro una affermazione di Einstein sulla supremazia, di fronte ad un esperimento, del giudizio della ragione rispetto alla sola testimonianza dei sensi[19]. Il reale significato dell’affermazione era, molto probabilmente, che gli esperimenti vanno ripetuti, controllati e interpretati, prima di poter arrivare a conclusioni. Nello stesso scritto Vanghetti citava personaggi come G.B. Olivero da Montello, che definiva il primo anti-copernicano del secolo per uno scritto del 1902; Giona Ricci che aveva scritto pochi anni dopo su riviste esoteriche e il suo continuatore Luigi Bellotti, affermando che entrambi erano stati dimenticati “mentre Einstein viaggia verso la California”[20]; poi citava Gusztáv Pécsi, che scrisse nel 1910 La crisi degli assiomi della fisica moderna: riforma delle scienze naturali; e infine Francesco Filiasi, che dopo essere stato progettista aeronautico e pioniere dell’aviazione italiana, si era dedicato alla musica e alla fisica, sviluppando una rivoluzionaria teoria della gravitazione. Tutti costoro, secondo l’opinione di Vanghetti, erano portatori di idee che perfezionavano le teorie correnti in tema di meccanica celeste e terrestre. Noi oggi li potremmo definire invece pseudoscienziati, mentre il giudizio sull’opera dello stesso Vanghetti richiede maggiore cautela.
Nel complesso si trattò di un insieme di personalità diversificate e a volte ambivalenti, che unirono in gradi molto differenti rigore scientifico, vene nazionalistiche e derive pseudoscientifiche, chiaro esempio del faticoso percorso dinamico della conoscenza scientifica[21].
In questa sede ci limiteremo ad analizzare i tre personaggi che presentarono proprie comunicazioni al congresso di Bologna, con un accento particolare sulla figura di Gaetano Ivaldi.

Gaetano Ivaldi (1880-1951)

Nato il 5 maggio 1880 a Sampierdarena (GE), Ivaldi si era laureato nel 1907 a 27 anni ingegnere civile al Politecnico di Torino.
Dal 1914 era stato insegnante di fisica presso il R. Istituto Tecnico e Nautico di Genova. Dopo il servizio in guerra come ufficiale d’artiglieria, dal 1921 aveva insegnato fisica nelle classi aggiunte del Regio Liceo Cristoforo Colombo di Genova, divenuto due anni dopo R. Liceo Classico in seguito alla riforma Gentile. Nel 1922 venne scartato in due concorsi nazionali a cattedra universitaria, con giudizi poco lusinghieri.
Ivaldi era socio della sezione ligure della Mathesis dal 1921, lo stesso anno in cui era ripresa, oltre alle riunioni interrotte dalla guerra, anche la pubblicazione dell’organo sociale Periodico di matematiche. Storia, didattica, filosofia. La Mathesis era stata fondata nel 1895 a Roma, e aveva come unico scopo statutario “il miglioramento della Scuola e il perfezionamento degli Insegnanti sotto il punto di vista scientifico e didattico”[22]. Presidente e animatore della sezione ligure fu a lungo il matematico di origini ebraiche Gino Loria e tra i partecipanti alle riunioni genovesi figurava anche, dagli anni venti, Paolo Straneo, noto matematico che fu in corrispondenza con Einstein.
Nonostante la precoce iscrizione, Ivaldi frequentò molto saltuariamente le adunanze della Mathesis ligure, forse solo una volta all’anno e spesso nemmeno quella. Non partecipò nemmeno alle preoccupate riunioni tenute nel periodo attorno alla paventata riforma della scuola media, che si concretizzò nel 1923 ad opera del ministro Giovanni Gentile e che di fatto svalutava l’insegnamento della matematica e della fisica, rimaste da allora abbinate con un solo docente, rispetto alle discipline umanistiche. Ivaldi è stato invece quasi sempre presente alle consultazioni nazionali della Mathesis, ad esempio in occasione delle elezioni del consiglio direttivo nel dicembre 1920, del referendum sul nuovo Statuto del 1922 e dell’elezione del nuovo presidente Sansone nel 1937. Nel 1938 era ancora presente nell’elenco dei soci in regola con il pagamento della quota sociale.
Ivaldi era socio anche dell’Unione Matematica Italiana (UMI) dal 1922, anno della sua fondazione, ma non risulta più tra gli iscritti almeno da ottobre 1936[23].
Nel 1928 Ivaldi aveva partecipato, come abbiamo visto, al Congresso Internazionale dei Matematici di Bologna, tenendo la relazione che causò tanti problemi a Pincherle.
Alla fine degli anni trenta le tracce di Ivaldi si perdono.
L’ultima informazione che è stato possibile reperire, con tutte le cautele richieste dal caso, è una notizia commerciale in rete che riporta la messa all’asta di una pubblicazione milanese del 1935 contenente un inno fascista dal titolo Le speranze d’Italia al loro Duce. Si tratta di uno spartito per pianoforte e canto su musica di Gaetano Ivaldi, contenente una dedica “dettata” a motivo della cecità dell’autore: “offro (…) questo inno da me composto (…) sperando di aver fatto (…) sebbene cieco, cosa buona per la scuola fascista e per la causa fascista. L’approvazione di V.E. sarà per me la più bella e gradita ricompensa (…)”[24]. Se l’identificazione dell’autore è corretta, le “speranze d’Italia” potrebbero essere i giovani a cui Ivaldi aveva insegnato per tutta la vita.
Morì il 2 febbraio 1951 a Sampierdarena (GE), nella casa di Via Currò 10. Il certificato di morte riporta “ingegnere, non coniugato, di anni 70″.
Oltre ai due interventi già citati alla riunione SIF di Roma del 1916, Gaetano Ivaldi è presente nei cataloghi attuali come autore di circa 60 lavori, scritti tra il 1907, lo stesso anno della laurea, e il 1938. Si tratta per lo più di articoli e opuscoli pubblicati in riviste come L’elettricista, La chimica, L’industria, Rassegna tecnica pugliese, Il Politecnico, oltre a due manuali. In essi l’autore, in modo piuttosto ripetitivo, tendeva a dimostrare la falsità di alcuni principi della meccanica e termodinamica universalmente riconosciuti, facendo emergere dagli esperimenti, secondo lui, una “nuova meccanica”.
L’intervento al Congresso di Bologna, non inserito negli atti, fu pubblicato dall’autore sul Giornale di bibliografia tecnica internazionale, ma, poiché riporta un titolo diverso rispetto a quello previsto per il convegno, dobbiamo fidarci di quanto afferma Ivaldi stesso in una nota: Memoria presentata al Congresso Internazionale dei Matematici, Bologna, settembre 1928 [25].
In effetti la sua relazione al Congresso era in programma con il titolo Sul principio fondamentale di una nuova e vecchissima meccanica, e il breve riassunto fornito ai partecipanti era fortemente critico sulla meccanica di Aristotele, di Galileo e di Newton[26]. In seguito, probabilmente dopo i consigli di cautela e di rispetto delle forme a cui abbiamo accennato, è possibile che Ivaldi abbia rivisto l’intervento, confidando a Bortolotti di avere l’animo esacerbato perché “ (…) in Italia non si pensa che a ripetere le vergogne del passato. Ad anteporre alla Verità, specie se importante e se detta da Italiani, la congiura dei vili, la congiura del silenzio”[27].
La comunicazione di Ivaldi, nella versione da lui stesso pubblicata, si intitolava Scienza ed esperienza ed iniziava illustrando la storia di numerose idee scientifiche innovative che avevano subito lo scherno pregiudiziale delle accademie e degli uomini di scienza, in quanto ritenute contrarie a principi in quel momento non discutibili: dalla condanna di Galileo alla derisione contro le macchine a vapore, all’incomprensione verso il motore elettrico di Pacinotti. Di fronte a tutte le affermazioni cieche di verità assolute, Ivaldi opponeva il metodo sperimentale, l’osservazione diretta dei fenomeni, e in definitiva il buon senso.
Ma la strenua difesa del metodo sperimentale, del tutto legittima, portava Ivaldi a conclusioni opposte rispetto a quelle riconosciute, allora come oggi, dalla comunità scientifica. La parte successiva del suo intervento al Congresso era infatti dedicata a presentare i principi di una presunta nuova meccanica, “più generalmente veri”[28], secondo lui, di quelli di Newton e Galileo, dimostrati su base sperimentale utilizzando gli strumenti di Cirinei.
Lo stesso schema veniva seguito da Ivaldi in quasi tutti i numerosi scritti: partendo da premesse ed equazioni teoriche che sono le stesse della scienza attuale, e che in apparenza conosceva bene, pretendeva di ottenerne la verifica sperimentale, ma arrivando spesso a concludere, in modo secondo lui inoppugnabile, che i risultati degli esperimenti confutavano quelle stesse teorie e portavano ad affermazioni diverse. Nei suoi risultati sembrano mescolarsi vizi sperimentali, conclusioni erronee e in definitiva evidenti lacune teoriche dell’autore.
Nel 1938, in uno degli ultimi scritti, dopo aver condannato per l’ennesima volta come anti-scientifica la fede cieca in presunte verità assolute, affermava che lo stesso errore veniva fatto anche ai suoi giorni e presumeva di dimostrate la falsità di quello che lui chiamava calcolo vettoriale assoluto (oggi calcolo tensoriale) di Levi-Civita e Ricci Curbastro, che tanto aiutò Einstein nel 1912 al momento dell’elaborazione della relatività generale. La sua conclusione era “Questa teoria dell’assoluto (…) per meglio ingannare e gabbar l’uomo è stata chiamata col nome di teoria della relatività. Della relatività di Alberto Einstein”[29].
A distanza di un secolo rimangono attuali e condivisibili gli asciutti giudizi con cui le due commissioni per concorsi universitari a cattedra di Fisica avevano scartato nel 1922, a pochi giorni di distanza una dall’altra, il candidato Gaetano Ivaldi. La prima commissione, di cui facevano parte Quirino Majorana, Orso Mario Corbino e Carlo Somigliana, scriveva: “I lavori di questo concorrente, che vorrebbero essere di indole teorica, contengono tali errori e rivelano tale mancanza di conoscenze su quanto è indubbiamente acquisito nel campo degli argomenti da lui trattati, che non è possibile prenderli in considerazione ai fini del presente concorso” (Bollettino del Ministero PI, relazione concorsuale del 13/10/1922).
Nell’altra si legge: “L’ing. G. Ivaldi, in una voluminosa produzione nella quale dà prova di una preparazione vasta e laboriosissima, ma non altrettanto fortunata sulla letteratura scientifica classica e recente, intende soprattutto a dimostrare la falsità di alcuni dei principi fondamentali, oggi universalmente riconosciuti, della termodinamica e della meccanica. Gli errori onde è affetta l’opera sua rendono vano il tentativo, ed i richiami ad indagini sperimentali altrui coi quali egli tenta di corroborare le sue conclusioni sono viziati da false interpretazioni delle indagini stesse (…). La Commissione è stata unanime nel ritenere che il suo nome non possa essere preso in considerazione (…)” (Bollettino del Ministero PI, relazione concorsuale del 15/10/1922).

Giuseppe Casazza (1855-1935)

Nella scheda di adesione al Congresso di Bologna 1928 egli scriveva semplicemente Giuseppe Casazza, cancellando la riga Titoli accademici e riportando solo l’indirizzo di Via V. Monti 28-30, Milano, che corrispondeva a quello dell’Istituto Edile Serale Casazza-Broggi di Milano di cui era probabilmente titolare. Aveva l’intenzione presentare una comunicazione nella sezione Geometria del Congresso.
Non è stato possibile risalire ai titoli di studio posseduti da questo personaggio: lui stesso, in uno scritto del 1883 a 28 anni, chiedeva la comprensione del lettore per la presenza di eventuali errori di grammatica, in quanto aveva cessato di frequentare la scuola all’età di…, senza andare oltre.[30] Ma chi lo ammirava, come Ivaldi, lo citava come Prof. Giuseppe Casazza[31], mentre per altri era l’Ing. Casazza[32]. I suoi detrattori invece lo hanno definito “sedicente filosofo della scienza”, affermando che “si spacciava per filosofo della fisica”[33].
A metà luglio 1928 Casazza, che non era socio dell’UMI e si presume non avesse particolari titoli, aveva scritto al Congresso manifestando l’intenzione di partecipare, ma dichiarando che gli sembrava una stonatura, secondo lui, che un congresso internazionale richiedesse ai presenti di essere membri associati effettivi. Ricevute assicurazioni in merito, aveva chiesto a Luigi Berzolari di fargli da introduttore per la sezione Geometria. Nell’elenco degli Argomenti delle comunicazioni la sua relazione figurava con il titolo Sui fondamenti della geometria e della fisica, ma, dopo che Bortolotti gli aveva fatto rilevare la presenza di un errore nel testo, aveva finito per accettare, pur non essendo convinto, di parlare su un argomento differente[34]. La relazione effettiva era intitolata Critica delle formule del lavoro, e fu inserita nella sezione Matematica elementare il sabato 8 settembre pomeriggio, accanto a quelle di Ivaldi e Caminati[35]. Anche questa relazione, a giudizio del comitato di redazione, non è stata pubblicata negli atti.
Giuseppe Casazza è stato autore di una trentina di lavori presenti nei cataloghi attuali, tutti dal titolo piuttosto aggressivo. Fra altri interventi polemici, nel settembre 1907 era intervenuto al secondo congresso della Società Filosofica Italiana (SFI) di Parma, parlando della nozione del tempo e dello spazio nella soluzione del problema dell’infinito. Presidente del congresso e della società, da lui stesso fondata nel 1906, era il matematico Federigo Enriques.
Casazza è stato un personaggio difficilmente collocabile all’interno di qualsiasi contesto scientifico. Ne I principi della meccanica alla luce della critica del 1921, affermava con molta tracotanza di lottare invano da 30 anni contro la scienza ufficiale, e accusava i fisici di non vedere cose che non sfuggirebbero “letteralmente, ad uno studente del secondo corso tecnico”[36]. Uno dei casi portati riguardava la presunta falsità del principio di conservazione della quantità di moto, cioè il terzo principio della dinamica, risalente a Newton, 1687: “ad una azione è sempre opposta una reazione uguale e in direzione contraria”. Esempio classico è quello dello sparo di un fucile: il proiettile viene spinto in avanti mentre il fucile viene spinto indietro con un moto uguale e contrario. Questo principio fu contestato anche da Ivaldi, che nella comunicazione al Congresso di Bologna gli opponeva il terzo principio della presunta nuova meccanica “Ad ogni azione corrisponde, nella pratica, una reazione, la quale può essere minore, eguale, maggiore della azione”[37].
Secondo Casazza il principio newtoniano era contraddetto dalla seguente esperienza: dopo aver lanciato un oggetto verso l’alto, ed aver osservato che esso perde velocità, si immagini di poterlo fermare in alto, e poi di lasciarlo cadere liberamente. Nessuno può negare che la quantità di moto dell’oggetto sarà maggiore in discesa rispetto a quella sviluppata in salita. Da qui Casazza deduce che “si arguisce essere possibilissimo il moto perpetuo”[38]. Egli utilizzava le formule corrette, ma dimenticando che la legge di conservazione della quantità di moto non è applicabile ai sistemi in cui agiscano contemporaneamente forze diverse. Nel suo esempio, a parte l’artificiosità dell’esperimento, ha un ruolo predominante la forza-peso dell’oggetto in caduta, che rende inapplicabile il principio.
Pincherle, nel rispondere alla richiesta di chiarimenti del governo fascista su Ivaldi, aveva attribuito questa affermazione paradossale sul moto perpetuo ad Ivaldi stesso, mettendo insieme due linee di pensiero che evidentemente considerava simili. Dopo più di cento anni siamo ben lontani dall’aver sviluppato macchine dotate di moto perpetuo, cioè senza necessità di energia o combustibile per funzionare, e ci sentiamo invece ancora piuttosto vicini all’ironia di Pincherle al riguardo.
Casazza invece conclude “La constatazione fatta qui è impressionante…E allora? E allora è d’uopo rimettersi a studiare”[39]. Ma chi dovrebbe rimettersi a studiare?
Nel 1923 Casazza aveva pubblicato Einstein e la commedia della relatività [40], un lavoro di bruciante satira citato l’anno dopo, insieme ad uno scritto simile di Braccialini, da Ivaldi stesso a conferma delle proprie tesi[41]. Curiosamente questo articolo del 1923 è stato ripreso di recente da presunti studiosi contemporanei, quali il Circolo di Psicobiofisica Amici di Marco Todeschini di Bergamo che giudica con simpatia le tesi di Casazza[42], mentre il Notiziario di Parapsicologia le stronca in toto, accostandole con un certo sarcasmo alle teorie unitarie dell’universo dello stesso Todeschini e di Luigi Fantappiè[43].
Giuseppe Casazza aderì anche allo spiritismo, scrivendo articoli su riviste come Nuova era di luce, organo di un circolo medianico di Bergamo negli anni 1923-1924, e Luce e Ombra.

Pietro Caminati

Il modulo di adesione di Caminati

Il modulo di adesione di Caminati

L’identificazione di questo personaggio rimane incerta. Nella scheda di adesione al Congresso di Bologna si definisce “Pietro Caminati da Genova. Ingegnere – Architetto ex pensionato dall’Accademia di Belle Arti di Genova. Indirizzo: Perugia, Via Baglioni 6″. Una presentazione in apparenza contorta, ma che corrisponde esattamente a quella presente nell’elenco dei soci dell’autorevole Circolo Matematico di Palermo sia del 1906 che del 1914, mentre solo l’indirizzo e la scuola di insegnamento si modificavano ogni volta. Caminati tenne due comunicazioni a Bologna nella sezione Matematica elementare, quella da lui richiesta, sempre sabato pomeriggio 8 settembre 1928, dai titoli Procedimento nuovo per la soluzione delle equazioni di 3° grado e Postulato nuovo della geometria euclidea [44]. Come le altre, a giudizio del comitato di redazione non verranno pubblicate negli atti. Nell’elenco delle comunicazioni erano presenti solo i due titoli e l’enunciato del postulato della seconda comunicazione che recitava “L’Angolo iscritto nel Circolo ha per misura la metà dell’arco compreso fra i lati dell’Angolo. Spiegazione indipendente dalla teoria delle Rette parallele”[45].
Il confronto tra la calligrafia della scheda di iscrizione di Caminati al Congresso del 1928 e quella della lettera firmata di adesione alla costituenda UMI dell’aprile 1922[46], mostra innegabili somiglianze e fa propendere per un’ipotesi di identificazione con Pietro Caminati, nato a Genova il 7 aprile 1837, che al momento del Congresso avrebbe avuto 91 anni. Dopo il diploma in Magistero e la laurea in Ingegneria idraulica a Genova, il Caminati proposto per l’identificazione aveva ottenuto anche il diploma in Architettura presso l’Accademia delle Belle Arti della stessa città nel 1862. Era in possesso dell’abilitazione all’insegnamento del disegno nelle scuole secondarie, e nel 1886 aveva provato a superare, con esito negativo, un concorso a cattedra per lo stesso insegnamento all’Università di Messina[47]. Fu invece a lungo professore di matematica in varie scuole secondarie italiane, fra cui Sondrio, Palermo, Terni, Cagliari, Mantova e Foggia. In quest’ultima città aveva fondato Il Tartaglia. Periodico di scienze Fisico-Matematiche elementari per gli alunni delle scuole secondarie, pubblicato negli anni 1898-1899 a fascicoli mensili, una delle numerose riviste di didattica e storia della matematica fondate in Italia nella seconda metà dell’Ottocento. Caminati pubblicò anche sulla Rivista di Matematica Elementare di Giovanni Massa, attiva negli anni 1874-1885, divenuta successivamente Periodico di Matematica, organo della Mathesis, e destinata a diventare dopo la Grande guerra Periodico di Matematiche, tuttora pubblicato, che fu diretto da Federigo Enriques fino alla sua scomparsa nel 1946.
Caminati ottenne premi e riconoscimenti per le sue attività, fra cui una medaglia d’oro ricevuta all’Esposizione Internazionale delle industrie e del lavoro di Torino del 1911 per un goniometro e un compasso, brevettati, che permettevano di dividere un angolo in un numero dispari qualunque di parti uguali. Il conferimento di questa medaglia è stato ricordato durante il congresso congiunto della SIPS e della Mathesis tenuto a Genova quello stesso anno, alla presenza fra l’altro di Giacomo Ciamician. Caminati era socio di entrambe le società, e già allora veniva definito “venerando”.
Socio anche dell’UMI fin dalla fondazione, Caminati aveva manifestato con entusiasmo la volontà di aderire alla costituenda Unione all’età di 85 anni con la citata lettera manoscritta e firmata del 20 aprile 1922, indirizzata a Salvatore Pincherle. In essa fra l’altro auspicava che la nuova Unione potesse essere di giovamento morale agli studiosi, pubblicando senza “preconcetti dubbi” memorie di matematica pura, “lasciando che a ciascuno sia data la responsabilità delle proprie idee”. Nei cataloghi attuali è presente come autore di una quindicina di pubblicazioni dedicate in particolare a temi di geometria, didattica, e logaritmi distribuite lungo un periodo di quarant’anni da 1878 al 1919[48].
Fino al momento attuale non è stato possibile rinvenire il testo degli interventi di Pietro Caminati al Congresso di Bologna, ma, considerata anche l’età nel caso l’identificazione fosse corretta, dobbiamo fidarci di Pincherle che lo accostò a Ivaldi e a Casazza, non pubblicando le sue relazioni. Gli interventi di Caminati, tenuto conto di un curriculum tutto dedicato all’insegnamento, erano probabilmente gli unici pertinenti all’argomento della sezione in cui vennero tenuti.
Negli archivi consultati rimane solo la traccia di alcuni scambi di corrispondenza tra l’organizzazione del Congresso e Caminati nell’estate del 1928, come era avvenuto anche per Ivaldi e Casazza, ma nel suo caso non sono stati trovati i testi delle comunicazioni[49].

Conclusioni

La presenza di tre figure di ousider fra gli studiosi che tennero comunicazioni al Congresso Internazionale dei Matematici del 1928 a Bologna ha permesso di confermare quanto il lento emergere della conoscenza scientifica rimanga costantemente affiancato dalla persistenza di teorie e metodi pseudoscientifici. Il focus particolare su Gaetano Ivaldi, figura che risaltava per le conseguenze delle sue proteste formali negli anni attorno alla prima guerra mondiale, ha favorito lo sguardo su un orizzonte sommerso di altre figure a lui contemporanee dalle caratteristiche simili e in collegamento fra loro. A distanza di un secolo il giudizio negativo degli uomini di scienza di allora sui lavori di Ivaldi rimane del tutto confermato. Lo stesso può dirsi per Giuseppe Casazza, ancora più determinato nell’opporsi alla comunità scientifica, mentre la posizione di Pietro Caminati, del quale mancano notizie e identificazione certa, rimane dubbia e richiede ulteriori approfondimenti.

Note

[1] Per ulteriori approfondimenti sull’argomento si rimanda a Risi Maria Alessandra, Cattedra e cannone: matematici a Congresso nel 1928, Storia in Network, maggio 2023.
[2] Greco, P. 2016, La chimica italiana nel XX secolo, La Rivista del Centro Studi Città della Scienza. http://www.cittadellascienza.it/centrostudi/2016/05/la-chimica-italiana-nel-xx-secolo/ (u.c. settembre 2023).
[3] Scartabellati, A., Ratti, F. 2014, Scienza e tecnologia per la Guerra, in Dizionario storico della prima guerra mondiale, a cura di N. Labanca (in coll. con F. De Ninno), Laterza, Roma Bari, pp. 207-217. Cfr. anche Micheli, G. 2016, Mezzo secolo di storia della scienza a Milano, a cura di M. Beretta, M. Lazzari, E. Nenci, Mimesis Edizioni, Milano.
[4] Russo, A. 1986, Science and Industry in Italy between the Two World Wars, Historical Studies in the Physical and Biological Sciences, Vol. 16, N. 2, pp. 281-320.
[5] Il Nuovo Cimento. Organo della Società Italiana di Fisica, serie VI, vol. XI, fasc. 3-4, marzo-aprile 1916, p. XI.
[6] Ivi, p. VII.
[7] Archivio Storico UMI b.3, fasc. 25, sottofasc. 1/8, Ivaldi a Levi-Civita, 18 luglio 1928.
[8] Archivio Storico UMI b.3, fasc. 25, sottofasc. 1/8, Burgatti a Bortolotti, 13 agosto 1928.
[9] Archivio Centrale dello Stato, PCM 1928-1930, b. 1328, fasc. 14/3, sottofasc. 3303.
[10] Archivio Storico UMI b. 1, fasc. 9, documenti come indicato.
[11] Archivio Storico UMI, b. 3, fasc. 25, sottofasc. 1/8, Ivaldi a Bortolotti, 19 agosto 1928.
[12] Atti Congresso Internazionale Matematici 1928, I, p. 130.
[13] Ivaldi, G. 1924, Sui principii della meccanica, Il Politecnico – Giornale dell’ingegnere architetto civile e industriale, vol. 16, fasc. aprile 1924, pp. 97-117.
[14] Si veda ad esempio Cirinei, E. 1922, Il principio generale di meccanica, Tipografia della Camera dei Deputati, Roma.
[15] Braccialini, S. 1925, Discussione sulle formule di Lorentz, Il PolitecnicoGiornale dell’ingegnere architetto civile e industriale, vol. 17, fasc. genn. 1925, pp. 1-19.
[16] Ivaldi, G. 1925, Sulla erroneità della teoria relativistica di Einstein, Il monitore tecnico, vol. anno 1931, fasc. 36, pp. 508-516.
[17] Spina, N. 2020, Il paladino Augusto Pellegrini: paternità italiane da difendere!, Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia 2020, 46, pp. 272-281.
[18] Tropea, P., Mazzoni, A., Micera, S., Corbo, M. 2017, Giuliano Vanghetti and the innovation of “cineplastic operations”, Neurology® 2017, 89, pp. 1627-1632.
[19] Vanghetti, G. 1931, Arcimeccanica e Dineprotesi. Problema meccano-biologico della Arciprotesi ortopedica, Scritti biologici. Raccolti da Luigi Castaldi, vol. VI, Stab. Tipografico S. Bernardino Siena, pp. 125-138.
[20] Ivi, p. 132.
[21] In proposito si veda anche la classe degli “autori di Quarta Dimensione” in Eco, U. 2002, Varia et curiosa. Storia dei «Fous Littéraires», L’Esopo. Rivista trimestrale di Bibliofilia, N. 89-90, marzo-giugno 2002, Edizioni Rovello, Milano, pp. 9-32 [riedito con qualche modifica in Eco, U. 2006, La memoria vegetale e altri scritti di bibliofilia, Edizioni Rovello, Milano, pp. 175-211].
[22] Periodico di matematiche. Storia, didattica, filosofia, organo della Società Italiana “Mathesis”, serie IV, volume II, 1922, p.388.
[23] Archivio Storico UMI, b. 9, fasc. 33.
[24] https://www.gonnelli.it/uk/auction-0015-1/inno-trionfale-al-duce-.asp (u.c. luglio 2023).
[25] Ivaldi, G. 1928, Scienza ed esperienza, Giornale di bibliografia tecnica internazionale, ottobre 1928, anno 6, n. 10, pp. 667-688.
[26] Argomenti delle comunicazioni. Congresso Internazionale dei Matematici Bologna 1928, p. 94.
[27] Archivio Storico UMI, b. 3, fasc. 25, sottofasc. 1/8, Ivaldi a Bortolotti, 19 agosto 1928.
[28] Ivaldi, G. 1928, Scienza ed esperienza, Giornale di bibliografia tecnica internazionale, ottobre 1928, anno 6, n. 10, p. 683.
[29] Ivaldi, G. 1938, La condanna di Galileo ed il trionfo di Einstein, Estratto da La Chimica, N. 6-7-8-9, Anno 1938, Soc. Anonima Poligrafica Italiana, Roma, p. 25.
[30] Casazza, G. 1883, La legge di posizione o la legge delle leggi fisiche, Tipografia Editrice Paolo Botto, Mortara (PV).
[31] Si veda ad esempio Ivaldi, G. 1923, Sul principio delle energie di moto come principio fondamentale della meccanica, Il Politecnico – Giornale dell’ingegnere architetto civile e industriale, vol. 15, fasc. 4 aprile 1923, pp. 97-­124 o anche Ivaldi, G. 1925, Sulla erroneità della teoria relativistica di Einstein, Il monitore tecnico, vol. anno 1931, fasc. 36, pp. 508-516.
[32] https://www.circolotodeschini.com/materiali-3/materiali-2/ (u.c. settembre 2023)
[33] https://psireport.wordpress.com/2020/04/15/bergamo-1924-una-storia-stravagante/ (u.c. settembre 2023)
[34] Archivio Storico UMI, b. 3, fasc. 25, sottofasc. 1/7, Casazza a Bortolotti, 17 agosto 1928.
[35] Atti Congresso Internazionale Matematici 1928, I, p. 130.
[36] Casazza, G. 1921, I principi della meccanica alla luce della critica, Soc. ed. Dante Alighieri, Roma-Milano-Napoli, p. 108.
[37] Ivaldi, G. 1928, Scienza ed esperienza, Giornale di bibliografia tecnica internazionale, ottobre 1928, anno 6, n. 10, p. 683.
[38] Casazza, G. 1921, I principi della meccanica alla luce della critica, Soc. ed. Dante Alighieri, Roma-Milano-Napoli, p. 109.
[39] Ibidem.
[40] Casazza, G. 1923, Einstein e la commedia della relatività, Casa editrice Bietti, Milano.
[41] Ivaldi, G. 1924, Sulla teoria della relatività nei rapporti della meccanica, Il PolitecnicoGiornale dell’ingegnere architetto civile e industriale, vol. 16, fasc. settembre 1924, pp. 257-279.
[42] https://www.circolotodeschini.com/materiali-3/materiali-2/ (u.c. settembre 2023).
Cfr. anche Todeschini, M. 1953, La Psicobiofisica. Scienza unitaria del creato, Edizioni Movimento Psicobiofisico S. Marco, Bergamo.
43] https://psireport.wordpress.com/2020/04/15/bergamo-1924-una-storia-stravagante/ (u.c. settembre 2023).
Cfr. anche Fantappiè, L. 1954, Su una nuova teoria di ”relatività finale”, Rendiconti dell’Accademia dei Lincei, serie 8, XVII, pp. 158-165.
[44] Atti Congresso Internazionale Matematici 1928, I, p. 130.
[45] Argomenti delle comunicazioni. Congresso Internazionale dei Matematici Bologna 1928, p. 93.
[46] Archivio Storico UMI, b. 1, fasc. 9, Caminati a Pincherle, 20 aprile 1922.
[47] Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, relazione concorsuale del 12/10/1886.
[48] Si veda ad esempio Caminati, P. 1912, I veri fondamenti della geometria euclidea: proprietà fondamentali del triangolo isoscele-rettangolo: dimostrazioni indipendenti del 5° postulato di Euclide, Stabilimento Tipografico Maurizio Massaro, Torino.
[49] Fondo Bortolotti, BIMFI, UNIBO, registri spese postali per il Congresso 1928.