CORVETTE, PATTUGLIATORI, NAVIGLIO SOTTILE: LA SECONDA LINEA DELLA MARINA ITALIANA
di Giuliano Da Frè -
La tradizione navale della Marina Italiana è sempre stata indiscussa. Con la nascita della NATO e l’entrata dell’Italia nel sistema difensivo occidentale, l’evoluzione tecnologica andò incontro a un ulteriore e decisivo sviluppo.
In un precedente articolo abbiamo parlato delle fregate, da decenni spina dorsale della Marina italiana, così come delle principali flotte mondiali. In un contesto come quello mediterraneo, tuttavia, caratterizzato da scenari di impiego – bellico, di semplice sorveglianza, e soprattutto dal 1991 controllo e soccorso dei fenomeni migratori – in ambito costiero e litoraneo, di grande importanza risultano essere anche categorie di naviglio, combattente e non, di taglia minore.
Per lungo tempo, un ruolo cospicuo se lo sono ritagliato le unità leggere d’attacco armate prima con siluri e poi con missili (FAC: Fast Attack Craft): utilissime nel teatro adriatico, tra 1945 e 1954 reso “caldo” dalla crisi italo-iugoslava per Trieste, quasi sfociata in guerra aperta nel 1953; e assetti le cui radici affondavano nelle vittoriose esperienze conseguite dalle motosiluranti italiane – i leggendari MAS – nelle guerre mondiali. In entrambe delle quali, non dimentichiamolo, essi conseguirono il primato della nave da guerra più grande affondata da unità così piccole: ossia la modernissima corazzata monocalibro austriaca Szent István, silurata da Luigi Rizzo nell’azione di Premuda del 10 giugno 1918 [1], e il potente incrociatore inglese da 12.000 tonnellate Manchester, colato a picco dalle motosiluranti MS-22 e MS-16 di Franco Mezzadra il 13 agosto 1942.
A integrare da subito fregate e cacciatorpediniere nelle funzioni di naviglio di scorta soprattutto antisom, furono invece le corvette, poi evolutesi con i programmi degli anni ’60 e ’80, e dopo il 1990 affiancate da pattugliatori alturieri (OPV: Offshore Patrol Vessels): unità dalla taglia simile, ma caratterizzati da una spartana panoplia di armi poco sofisticate e semmai equipaggiati per il soccorso in mare, divenuto cruciale negli ultimi decenni segnati dalle migrazioni di massa.
Dai tanti “gabbiani” ai pochi prototipi
Contrariamente ad altre categorie di naviglio, nell’immediato dopoguerra l’ormai ex (dal 1946) Regia Marina italiana poteva contare su un buon numero di moderne ed eccellenti corvette di scorta, integrate da una mezza dozzina di vecchie torpediniere della Prima guerra mondiale, ammodernate e intensamente sfruttate anche nel 1940-1945. Dopo il Trattato di pace di Parigi del 1947, invece, erano uscite di scena le pericolose motosiluranti, che al pari dei mezzi d’assalto erano considerate l’asso nella manica della marina italiana: alcune furono tuttavia conservate e trasformate in “motoscafi a efficienza ridotta” per impieghi secondari ma restando utili palestre addestrative, in attesa di tempi migliori, mentre erano anche in servizio 8 moderne ma piccole VAS (Vedette anti-sommergibile) realizzate dai cantieri Baglietto su progetto tedesco.
Il vero nocciolo del naviglio di “seconda linea” della decimata flotta italiana erano così le corvette classe “Gabbiano”, costruite con ritmi quasi americani nel 1942-1943 [2]. Tolte quelle perdute in guerra, durante la quale avevano comunque dimostrato di essere tra le migliori unità italiane di quel conflitto, ne restavano operative 19, in condizioni generalmente buone sebbene per alcune fossero necessari interventi di manutenzione straordinaria. Inoltre ve ne erano altre incomplete sugli scali o autoaffondate nel 1945, ma potenzialmente recuperabili, anche solo come fonti di pezzi di rispetto. Come accennato, le vecchie torpediniere del 1910-1920 (ex caccia riclassificati nel 1938) furono quasi subito relegate a compiti ausiliari, spesso impiegate come dragamine al pari di 16 corvette e delle VAS, comunque di limitate capacità antisom e radiate entro il 1957.
Le cose cambiarono soprattutto quando l’Italia iniziò la marcia di avvicinamento al blocco occidentale che andava aggregandosi attorno agli Stati Uniti, nel crescente clima di “guerra fredda” instauratosi con l’Unione Sovietica. Nel maggio 1947, per poter accedere pienamente agli aiuti americani le sinistre erano state escluse dai governi di unità nazionale nati nel dopoguerra in Italia e Francia: nel 1948 il ministero della Difesa fu affidato a Randolfo Pacciardi, un dinamico leader politico con esperienza militare deciso a riorganizzare le Forze Armate col supporto occidentale e in chiave anti-sovietica. Un percorso completato con la nascita della NATO il 4 aprile 1949, cui da subito partecipò anche l’Italia, come paese firmatario del Patto Atlantico.
Una serie di passaggi che permise innanzitutto di adeguare le unità migliori rimaste alla Marina con sensori e sistemi d’arma “made in USA”, adeguati alle nuove tecnologie belliche. Per le corvette “Gabbiano”, la cui dotazione di armi e sensori stava rapidamente diventando obsoleta, ed era stata inoltre ridotta nel 1945-1946 per far posto alle attrezzature di dragaggio, l’aggiornamento fu radicale. Dal 1950 infatti le corvette furono radicalmente modificate con interventi strutturali detti di “chirurgia navale”, al fine di integrare i nuovi equipaggiamenti ceduti dagli Stati Uniti. Le navi furono modificate inoltre in 2 configurazioni distinte: per la difesa antiaerea, imbarcando oltre ai radar di navigazione anche quello di scoperta aeronavale AN/SPS-6, appena sviluppato da Westinghouse, e 2 pezzi Bofors da 40 mm al posto del vecchio cannone da 100 mm. Le corvette a vocazione antisom invece oltre al sonar da tutte adottato imbarcavano soprattutto lanciabombe e il lanciarazzi detto “porcospino”.
Inoltre, recuperando 2 navi rimaste incomplete in cantiere e una autoaffondata nel 1945, furono ricostruite secondo le nuove configurazioni altre 3 corvette, portandone il totale a 22 nel 1953.
Ma la ricostruzione della Marina in ambito NATO comportò per il naviglio di seconda linea altri vantaggi. Innanzitutto, con la cessione di naviglio all’interno della neonata alleanza, soprattutto da parte americana, che già nelle settimane successive alla firma del Patto Atlantico trasferì alla flotta italiana 3 dragamine da 720 t. ex tedeschi costruiti nel 1944-1945 e catturati a fine guerra. Inizialmente impiegati nel loro vecchio ruolo, negli anni ’50 furono convertiti in corvette antisom imbarcando parte delle armi e dei sensori già adottati sulle “Gabbiano”. Sorte simile per l’Alabarda, un ex dragamine oceanico inglese classe “Algerine” inizialmente ceduto come unità idrografica, e già dal 1948 convertito prima in nave coloniale e quindi sino al 1966 come corvetta antisom. Nel 1951 gli USA cedettero anche 6 unità per il supporto alle operazioni anfibie, impiegate sino ai primi anni ‘70 dalla flotta italiana come cannoniere costiere e mezzi addestrativi classe “Alano”.
Il superamento dei limiti imposti dal trattato di pace, inoltre, permetteva di acquisire tipologie di naviglio che nel 1947 all’Italia erano state vietate: come i sommergibili e le citate motosiluranti. In realtà come accennato alcuni piccoli MAS erano rimasti in servizio come motoscafi disarmati per compiti addestrativi, o in carico alla Guardia di Finanza; inoltre sin dal 1947-1948 erano state acquisite 20 motosiluranti tipo “Vosper-70” e “Higgins-78” angloamericane, cedute dal surplus della US Navy [3], e sino al 1950 ufficialmente classificate GIS (Galleggiante Inseguimento Siluri) per far intendere che erano impiegate come unità ausiliarie. Dal 1949-1950 iniziarono a essere riarmate, e le 13 “Vosper” impiegate come motosiluranti sino al 1958-1961, mentre le 7 “Higgins”, più prestanti, trasferite nel 1966 alla Guardia di Finanza, che le sfruttò a lungo, con l’ultima radiata nel 1986. Nel 1951-1954 furono recuperate dopo radicali modifiche anche 9 motosiluranti dell’ex Regia Marina sopravvissute come motovedette: 4 di queste furono poi ricostruite negli anni ’60, restando in servizio sino al 1978.
Tuttavia recuperi, cessioni e ammodernamenti anche radicali, non potevano bastare. Occorrevano nuove costruzioni, che recepissero le lezioni belliche e che fossero pensate per l’impiego delle nuove tecnologie emerse in quegli anni, dai radar ai sonar, ai cannoni automatici.
Col contributo dei fondi detti “off-shore procurements” (destinati anche a rilanciare la cantieristica nazionale), nel programma del 1950 furono così autorizzate 3 corvette, basate su un progetto americano ampiamente rielaborato, e 2 unità leggere sperimentali.
Le corvette classe “Albatros”, costruite nel 1953-1955, rappresentarono anche il primo successo per l’export navale militare italiano, essendo state realizzate per Danimarca (4 unità), Indonesia (2 esemplari), più una singola nave destinata all’Olanda, dove però sarebbe rimasta per appena 5 anni [4]. Infatti, se le nuove corvette presentavano caratteristiche innovative, con dimensioni maggiori di quelle di epoca bellica (oltre 76 metri di lunghezza, 950 t. di dislocamento a pieno carico), migliore tenuta al mare, velocità e autonomia implementate, grazie a una nuova motorizzazione tutto-diesel, rispettivamente a 20 nodi e ben 8.410 miglia, armi e sensori presentavano pregi e difetti di una fase di rapida transizione tecnologica. Radar e sonar risultarono infatti già superati negli anni ’60, mentre l’adozione del cannone da 76/62 mm (calibro poi diventato standard per la Marina italiana, ed esportato in tutto il mondo) in questa prima versione SMP-3 realizzata dagli Stabilimenti Meccanici di Pozzuoli si rivelò un autentico incubo, nonostante le interessanti premesse legate a un innovativo sistema di caricamento automatico e alla direzione di tiro radar, che garantiva l’impiego contro gli aviogetti. Sulla corvetta olandese Lynx provocò anzi un’esplosione nella torre prodiera, con gravi danni e vittime: l’unità fu poi restituita nel 1961 alla Marina italiana, che ne approfittò per sbarcare il controverso cannone, sostituendolo entro il 1963 su tutte e 4 le corvette con 2 Breda-Bofors da 40/70 mm, in aggiunta all’impianto binato già presente. Pochi anni dopo ci fu l’adozione di nuovi radar e di 2 impianti lanciasiluri trinati antisom al posto dei vecchi lanciabombe. Dopo il 1980 le corvette sarebbero state modificate per attività addestrative e come guardapesca: e sebbene venissero ritirate dal servizio attivo tra 1986 e 1992, Alcione e Airone sarebbero state impiegate per compiti secondari sino al 2002, mentre la loro demolizione è stata avviata pochi anni fa.
Decisamente più breve la vita delle 2 unità sottili previste col programma del 1950 ed entrambe costruite nel 1952-1956 dai CRDA di Monfalcone, sebbene se ne fosse ipotizzata la replica in numeri più consistenti. In realtà il cacciasommergibili da 340 tonnellate Sentinella, per breve tempo classificato corvetta, fu una nave sperimentale dalla breve vita operativa (dal 1956 al 1970, e ribattezzata Fulmine), con missioni di vigilanza pesca in Adriatico e Canale di Sicilia concentrate soprattutto nell’ultimo lustro, poiché subì numerose modifiche anche strutturali tra 1961 e 1966. Nel 1959 era stata affiancata da un’unità similare ma di costruzione francese, il Vedetta, pure classificata corvetta antisom costiera, realizzata nel 1953-1955 per l’Etiopia, ma quasi subito girata all’Italia, che la impiegò sino al 1977. In quello stesso anno veniva radiata anche la motocannoniera convertibile Folgore, radicale evoluzione di quelle di costruzione bellica. Essa presentava caratteristiche innovative soprattutto per il materiale impiegato, la motorizzazione e l’armamento, che poteva essere modificato a seconda della missione (attacco, pattugliamento, posamine), e avrebbe dovuto essere il prototipo di un gruppo di almeno 5 unità. Tuttavia presentava alcune criticità, che dovettero essere risolte attraverso una serie di interventi sin dal 1956, culminati nella ricostruzione del 1962-1964 [5], mentre per la realizzazione di altre 2 unità di serie (Lampo e Baleno) si attese il 1958, e con tempi di costruzione prolungatisi sino al 1965, per adottare le modifiche testate sul prototipo. Si trattava di navi più grandi (43 metri e 200 t.) e veloci, poiché toccavano i 39 nodi grazie alla nuova propulsione incentrata su turbina a gas e diesel (CODAG), sempre ad armamento convertibile ma equipaggiate anche coi nuovi lanciasiluri da 533 mm. Una seconda coppia fu però annullata, e sostituita con altre 2 unità (classe “Freccia”, originariamente prevista in 4 esemplari), ancora più grandi – quasi 46 metri di lunghezza e 210 t. – e veloci, sino a 40 nodi, e configurabili anche per la lotta antisom. Tutte e 4 sarebbero state ammodernate negli anni ’70 con nuovi diesel e radar; la Saetta inoltre poco dopo essere stata consegnata, dal 1966 al 1971 avrebbe imbarcato un impianto di lancio quintuplo per testare i piccoli missili antinave “Sea Killer” di Contraves, nelle versioni “Nettuno Mk-1” e “Vulcano Mk-2”, cui la Marina italiana preferì nel 1976 il più potente OTOMAT “Teseo” italo-francese [6].
In quello stesso periodo fu avviata la costruzione di una nuova classe di corvette, contemplata nel programma 1959-1960, e poi resa urgente dalla riduzione da 4 a 2 delle contemporanee ed eccellenti fregate antisom classe “Alpino”. All’inizio degli anni ’60 un rallentamento del boom economico e la necessità di aumentare la spesa sociale per sanità, istruzione e infrastrutture, comportava una contrazione dei bilanci militari, peraltro all’epoca monopolizzati dai costosi programmi dell’Aeronautica per jet e missili di nuova generazione, e dall’avvio del processo di meccanizzazione di massa dell’Esercito, a fronte di una minaccia sovietica soprattutto aeroterrestre e meno accentuata sul fronte marittimo, mentre anche i rapporti con la Iugoslavia si facevano più distesi. Da qui la realizzazione di navi altamente innovative, come gli incrociatori e i caccia lanciamissili e le prime navi scorta al mondo progettate per imbarcare un elicottero, ma realizzate in pochi esemplari: la flotta di qualità, detta però anche “dei prototipi”.
Per il naviglio di seconda linea non si fece eccezione: nel 1960-1970 sarebbero infatti andate in pensione o comunque dirottate verso compiti secondari ben 26 corvette, senza contare motosiluranti e cannoniere: e comprese le numerose unità classe “Gabbiano”, che pur navigando ancora a lungo (l’ultima sarà radiata nel 1981 [7]), già a 10 anni dalla loro modifica risultavano superate come navi scorta, impiegabili al più per vigilanza pesca, addestramento o servizi ausiliari.
A fronte di questa falcidia, accanto alle 4 corvette classe “Albatros” nel 1962-1966 furono costruite soltanto altre 4 unità similari, derivate proprio dal valido progetto degli anni ’50, e dall’esperienza effettuata con le prime fregate antisom.
Le 4 corvette classe “De Cristofaro” presentavano dimensioni leggermente incrementate e un design più avanzato, lunghe 80 metri e col dislocamento salito a quasi 1.000 tonnellate; un apparato motore più potente garantiva 23 nodi di velocità, con un’autonomia scesa a 4.900 miglia, comunque adeguata alle funzioni cui erano destinate. Completamente rinnovata e migliorata la dotazione di armi e sensori, simili a quelli imbarcati sulle più prestanti fregate. I 2 cannoni da 76/62 mm infatti erano del nuovo modello OTO-Melara “MM allargato”, asserviti al valido radar di tiro RTN-10 “Orion” largamente esportato, e alla centralina di tiro meno riuscita ma altrettanto sofisticata Selenia OG-3. Ottima la dotazione antisom, che comprendeva il mortaio in torretta “Menon” da 305 mm, 2 impianti trinati per siluri da 324 mm, sonar a scafo e sonar rimorchiato, quest’ultimo all’epoca quasi mai imbarcato su corvette.
Ottime unità quindi, e con la capoclasse coinvolta in una vera e propria azione bellica, quando esattamente 50 anni fa, il 21 settembre 1973, fu mitragliata da “Mirage” libici subendo danni e vittime, e respingendo l’attacco coi pezzi da 76 mm [8]; ma di fatto la “seconda linea” del naviglio di scorta all’inizio dei problematici anni ’70 restava presidiato da appena 8 corvette di costruzione post-bellica, 4 delle quali comunque in parte superate.
Dalla crisi degli anni ’70 al potenziamento del XXI secolo
Nei primi anni ’70 la Marina attraversò una grave crisi, che fu tuttavia rapidamente fronteggiata: sia radiando navi ancora preziose ma dai costi di manutenzione e aggiornamento eccessivi (compresi l’incrociatore lanciamissili Garibaldi, il caccia-conduttore San Marco e il sommergibile Calvi ricostruiti appena 10-15 anni prima [9]), sia avviando nel 1973 un processo di modernizzazione incentrato su sofisticate unità di nuovo tipo, varando un programma di emergenza, il “Libro Bianco 1974-1984”, e infine la fondamentale Legge Navale, che nel 1975 stanziava 1.000 miliardi di vecchie lire per un congruo numero di unità, al fine di superare la “flotta dei prototipi” ma conservandone gli standard qualitativi.
Negli anni successivi l’inflazione avrebbe in parte eroso il potenziale della legge Navale, obbligando la Marina a posporre alcuni programmi anche di 15-20 anni, mentre le lezioni che emergevano da azioni navali come quelle della guerra del Kippur nell’ottobre 1973 e dopo il 1980 i conflitti nel Golfo Persico e delle Falkland fornivano ulteriori spunti di riflessione. Inoltre negli anni ’70 andava delineandosi la ridefinizione degli spazi marittimi economici, che nel 1982 avrebbe portato alla nascita delle Zone Esclusive Economiche con la Convenzione UNCLOS di Montego Bay.
Passaggi che influenzarono in modo particolare lo sviluppo del naviglio di scorta di seconda linea e di quello sottile d’attacco. Inizialmente ci si limitò ad aggiornare le 8 corvette e le 4 motosiluranti convertibili più recenti, mentre le altre venivano gradualmente radiate. Per le nuove costruzioni si procedette per gradi, cercando di attivare anche i canali di esportazione, quasi azzerati dopo il 1960, e puntando decisamente sull’innovazione. Cartina di tornasole fu la scelta di sviluppare una nuova generazione di FAC su piattaforma ad aliscafo, grazie a un accordo tra Alinavi-Cantieri Rodriguez (che già realizzavano anche per l’estero aliscafi commerciali) e l’americana Boeing, impegnata a progettare aliscafi d’attacco. La costruzione del prototipo fu avviata nel 1971, e ribattezzato Sparviero allestito per la Marina nel 1973-1974. Si trattava di un’unità dalle caratteristiche impressionanti: su una piattaforma piccola, agile e compatta capace di toccare una velocità massima di 50 nodi (ma in condizioni di mare ideali e per brevi tratti), lunga meno di 25 metri e con dislocamento di 63 tonnellate, erano imbarcati un cannone Compatto da 76/62 mm e 2 lanciamissili per i “Teseo-1” antinave, supportati da adeguata sensoristica. Una potenza di fuoco impressionante, che portò la Marina ad annullare i restanti ordini per motocannoniere/siluranti, e a programmare la realizzazione di 10 aliscafi lanciamissili. In realtà, nel 1977 si giunse a un contratto per sole 6 unità (classe “Nibbio”), costruite nel 1978-1984 e modificate rispetto al prototipo con un design più aerodinamico, sensori avanzati e i nuovi missili “Teseo-2”, in parte retrofittati sullo Sparviero, comunque disarmato già nel 1991 per cannibalizzazione [10]. Gli aliscafi andarono a formare a Brindisi un reparto ad hoc dal suggestivo acronimo (COMSQUALI-Comando Squadriglia Aliscafi), con un complesso autocarrato e shelterizzato per attivare una base mobile fuori base, e mandando in pensione nel 1983-1986 le restanti 4 motocannoniere. Lo sviluppo di queste ultime tuttavia proseguì puntando all’export, con le 6 unità realizzate nel 1978-1984 a Venezia dalla Breda per la Marina tailandese; il progetto sarebbe stato poi ripreso per i 3 pattugliatori classe “Zara” della Guardia di Finanza costruiti nel 1988-1998. Nel 1984-1985 Fincantieri costruì invece una motomissilistica da 52 metri, 400 t. e 38 nodi, armata con cannone da 76/62 mm, CIWS da 30 mm, e 4 missili antinave; testata ma senza interesse dalla Marina, la Saettia finì in disarmo dopo essere stata offerta in vendita all’estero: nel 1997-1999 sarà ricostruita come pattugliatore per la Guardia Costiera, che ne acquistò altri 5 in versione migliorata, mentre anche l’export segnava vari successi [11]. Nel 1991 fu anche siglato un contratto col Giappone per la produzione su licenza di 12 unità tipo “Sparviero” modificate, poi ridotte alle 3 completate nel 1993-1995, radiate entro il 2010. I 6 “Nibbio” italiani invece iniziarono ad andare in disarmo già nel 1996-1999, con la definitiva radiazione avvenuta nel 2005, a causa dei crescenti costi operativi, a fronte della loro inutilità nei nuovi scenari post-Guerra Fredda, caratterizzati da sorveglianza a lungo raggio e soccorso in mare delle prime ondate migratorie.
Già a fine anni ’70, infatti, mentre l’ammodernamento delle componenti di squadra e subacquea prendeva corpo grazie alla Legge Navale, era riemersa la necessità di sostituire nel decennio successivo anche le restanti 8 corvette, ormai superate. Coi soli bilanci ordinari furono così ordinate nel 1982 le 8 corvette lanciamissili classe “Minerva”, realizzate in 2 lotti dal 1984 e consegnate tra 1987 e 1991. Si trattava di unità modernissime e, per armi e sensoristica, standardizzate con le sorelle maggiori, ossia le 12 fregate classe “Lupo” e “Maestrale”, di cui integravano le funzioni. Le maggiori dimensioni rispetto alle 8 unità che andavano a sostituire (87 metri di lunghezza, quasi 1.300 t. di dislocamento) garantivano futuri upgrade e potenziamenti nella già cospicua panoplia di armi e sensori, che comprendeva un cannone da 76/62 mm Compatto-SR, un impianto a 8 celle per missili sup/aria SAM “Albatros/Aspide”, ma senza il sistema di ricarica automatica, mentre per la lotta antisom erano imbarcati 2 lanciasiluri trinati ILAS-3. Le difese erano assicurate da una avanzata suite di guerra elettronica e lanciarazzi per contromisure; unico limite, la mancanza di un elicottero, sebbene fosse stata progettata una versione portaelicotteri della corvetta; ma c’erano spazio e predisposizione per dotare l’impianto SAM di ricarica automatica, e imbarcare una batteria di missili antinave. Le “Minerva”, spinte da potenti diesel a 25 nodi, e una buona autonomia, erano quindi nate per affiancare il naviglio di prima linea in compiti operativi, oltre che per sostituire le corvette più vecchie nella vigilanza delle attività di pesca nel Canale di Sicilia, dove gli incidenti erano frequenti, e le tensioni con la Libia crescenti; e con la possibilità di fronteggiare un attacco come quello subito nel 1973 dalla De Cristofaro con armi decisamente più sofisticate. Ma come accennato la nascita del concetto di ZEE negli anni ’80 richiedeva soluzioni più articolate, poi rese urgenti dalle prime crisi migratorie degli anni ’90.
La soluzione fu trovata in una tipologia di unità non nuova, già diffusa in varie realtà soprattutto guardacoste, ma adeguata a esigenze diverse: ossia il pattugliatore d’altura (OPV-Offshore Patrol Vessels), nave della taglia di una grossa corvetta/fregata leggera, ma dalla velocità minore, maggiore autonomia, standard costruttivi in parte mercantili per contenere i costi, al pari di dotazioni di armi e sensori spartane, ed equipaggi ridotti.
Sempre nel 1982 quindi, assieme alle prime 4 “Minerva” fu autorizzato un lotto di 4 OPV destinati alla Marina, costruiti nel 1987-1992 andando a formare la classe “Cassiopea”; altre 2 unità previste furono cancellate.
I nuovi OPV, lunghi 80 metri e da quasi 1.500 t., presentavano tutte le caratteristiche della “specie”: la velocità era di soli 20 nodi, ma con ottime caratteristiche di tenuta al mare, e un ponte di volo con hangar per l’impiego di un elicottero. Adeguate le attrezzature per il salvataggio in mare e per fronteggiare incendi o sversamenti di sostanze inquinanti, mentre l’armamento era ridotto all’osso, con un cannone da 76/62 mm modello “MM-allargato” associato al radar di tiro RTN-10X, recuperati da navi appena disarmate e ricondizionati, cui si aggiungevano radar nuovi ma poco sofisticati, e 2 mitragliere da 20 mm poi sostituite con altrettanti cannoncini KBA da 25 mm e 2 armi da 12,7 mm, mentre nel 2016-2019 le unità sono state aggiornate imbarcando suite navali di sorveglianza Janus-N.
Queste 12 unità erano ben riuscite: ma non bastavano a fronteggiare i nuovi scenari, mentre la trasformazione nel 1989-1992 delle “De Cristofaro” in pattugliatori, al pari di 2 vecchi dragamine oceanici classe “Salmone” del 1957, era una soluzione di breve periodo, essendo queste unità state radiate tra 1994 e 2001 [12], e gli aliscafi classe “Nibbio” erano ormai un costo crescente e poco utile. Dopo alcuni anni di studi si decise che a sostituire i piccoli gioielli derivati dallo Sparviero [13] sarebbero stati 8 OPV più sofisticati dei “Cassiopea”, da realizzare in 2 lotti/varianti. I primi a partire furono le Nuove Unità Minori Combattenti (NUMC): di poco più grandi delle “Minerva” – 88 metri di lunghezza, 1.520 t. – si presentano di fatto come delle “potenziali” corvette, capaci di superare i 25 nodi di velocità grazie a nuovi motori diesel, e con la stessa autonomia delle precedenti. L’armamento si limitava a un cannone da 76/62 mm Compatto-SR, 2 cannoncini KBA da 25 mm, 2 lanciarazzi per contromisure, e a poppa un elicottero accolto in hangar telescopico, Tuttavia c’erano gli spazi e la sensoristica (compresa una suite di guerra elettronica) adeguati all’impiego di missili antinave e SAM a corto raggio, anche se non sono mai stati imbarcati. Inoltre le navi furono le prime realizzate in Italia con tecnologia e design stealth, e la quarta unità è stata realizzata in parte in leghe leggere e vetroresina per diminuire i pesi, e impiegare protezioni in kevlar, oltre ad aver adottato il nuovo cannone da 76 in torretta stealth e configurazione antimissile Strales. Le 4 unità sono state costruite nel 1999-2002, andando a formare la classe “Comandanti”: grazie all’automazione l’equipaggio è di soli 59 elementi – la metà delle “Minerva” – ma con 70 posti disponibili a seconda delle missioni e della configurazione.
Nel 2000 è poi stato autorizzato il secondo lotto, di sole 2 unità consegnate nel 2003, e in una più spartana versione OPV, sebbene con forme e dimensioni simili alla classe “Comandanti”. Sirio e Orione dispongono di motori meno potenti, con velocità di soli 22 nodi, mentre l’armamento è al minimo sindacale, con ponte di volo poppiero ma senza hangar, e 2 cannoncini da 25 mm, e la sola predisposizione prodiera per un cannone da 76/62 mm. Al contrario, queste navi sono ottimamente equipaggiate per il soccorso SAR, e per il contenimento e/o dispersione di sostanze inquinanti. Da notare che il modello “Comandanti/Sirio” è stato la base di una famiglia di unità definita MOSAIC (Modular Open System Architecture Integrated Concept), che tra 2008 e 2014 ha visto realizzati 4 OPV per la Guardia Costiera turca, e una corvetta lanciamissili per gli Emirati Arabi, in entrambi i casi con ulteriori opzioni mai confermate.
L’aumentare della pressione migratoria comportò inoltre la trasformazione di 4 “Minerva” in OPV, con la rimozione dei sistemi d’arma antisom e missilistici durante i lavori del 2002-2007: nel 2012 tuttavia iniziava il passaggio in riserva di queste unità, poi radiate tra 2015 e 2019 [14], anche se non va dimenticato che contemporaneamente anche Guardia Costiera e di Finanza potenziavano la componente alturiera, acquisendo rispettivamente 3 OPV (compresi 2 da 95 metri e 3.600 t., con ponte di volo) e 2 pattugliatori da 430 tonnellate, tutti consegnati nel 2013-2014.
Nel 2017 iniziava poi la costruzione dei nuovi Pattugliatori Polivalenti d’Altura (PPA), di cui abbiamo però già parlato nell’articolo dedicato alle fregate, essendo ben più di semplici OPV. Inizialmente, i PPA erano pensati per sostituire diverse classi di naviglio, tanto che ne erano previsti un massimo di 16. Nel 2015 tuttavia ne furono ordinati 7, con una opzione per altri 3 poi abbandonata.
La Marina infatti è tornata a puntare su corvette e OPV di dimensioni intermedie tra la categoria FREMM/PPA e le classi “Comandanti/Sirio”, come già ipotizzato in alcuni studi del 2008; e nel 2019 in ambito europeo è stato lanciato il programma per una corvetta/pattugliatore in più varianti detta anche European Modular and Multirole Patrol Corvette (MMPC, o più brevemente EPC), con l’italiana Fincantieri a coordinare il progetto, cui partecipano a vario titolo una decina di paesi europei. Fincantieri punta a sviluppare una piattaforma derivata dalle 4 fregate leggere/corvettone classe “Doha” costruite per il Qatar nel 2018-2023, e ora inserite nella famiglia FCX: 5 piattaforme di crescenti dimensioni e capacità che inglobano le esperienze delle precedenti serie “Saettia/Falaj” e MOSAIC, presentando una gamma che va dal pattugliatore costiero/corvetta d’attacco FCX-07 da 63 metri e 700 t. derivato dai “Falaj-2”, agli FCX-15 simili alla classe “Comandanti/Sirio”, alla fregata media FCX-40 da 120 metri e 4.300 tonnellate [15].
La EPC appartiene al modello FCX-30, unità da 107 metri e 3.200 tonnellate, con armamento multiruolo e ponte di volo con hangar per elicottero e droni. La Marina italiana vorrebbe la sua EPC ottimizzata per la lotta antisom, pur mantenendo capacità multiruolo, con l’obbiettivo di arrivare al contratto nel 2025 e consegnare la prima unità nel 2029. Si parlava, in base al programma per lo sviluppo della flotta 2019-2034 di 8 EPC, da affiancare a 10 FREMM e 7 PPA di taglia maggiore. Tuttavia il 31 luglio 2023 è stato firmato un contratto da 925 milioni di euro per 3 nuovi pattugliatori (PPX), comprendente un’opzione per altri 3, l’adeguamento infrastrutturale delle basi di Augusta, Cagliari e Messina, e il supporto manutentivo.
Si tratta di unità lunghe 95 metri e con un dislocamento di 2.400 t. derivate dal modello FCX-20 di Fincantieri, per un OPV modulare, armato con cannone da 76/62 mm SR-Strales capace di impiegare munizionamento guidato DART antiaereo e Vulcano-76 antinave, cui si aggiungono 2 impianti da 30 mm Lionfish a controllo remoto, una avanzata dotazione sensoristica controllata da una plancia innovativa derivata da quella dei PPA, sistemi di contromisure e anti-droni e difese anche non letali. A poppa ponte di volo e ampio hangar garantiranno l’impiego di un elicottero medio NH-90 e di droni a decollo verticale “AWHero”. Altrettanto innovativo l’apparato motore, in configurazione CODLAD (COmbined Diesel-eLectric and Diesel), per garantire maggiore efficienza green, una velocità di oltre 24 nodi e 3.500 miglia di autonomia. Le navi saranno equipaggiate con avanzati sistemi di soccorso e anti-inquinamento.
La costruzione della prima unità inizierà nel 2024, e le consegne sono previste (escludendo i 3 PPX in opzione) nel 2026-2027, andando a sostituire i vecchi “Cassiopea”, mentre l’eventuale seconda tranche porterà a pensionare Sirio e Orione. Resta il fatto che aggiunti alle 8 EPC i PPX porterebbero da un minimo di 18 a un massimo di 21 le unità di seconda linea, contro le 15 previste nel 2018 con il Programma 2019-2034. Ma l’invasione russa in Ucraina e la nuova “guerra fredda” (anzi quasi tiepida) con Mosca, e le continue ondate migratorie, stanno cambiando le esigenze della Marina, che dovrebbe infatti ottenere (almeno) altre 2 fregate FREMM in aggiunta alle 10 inizialmente previste mentre per i PPA si parla sia di portarli tutti alla configurazione “Full Combat”, sia di cederne 2 ad altri paesi per fare cassa e confermare anche i 3 PPX in opzione.
Nel frattempo, anche la Guardia Costiera ha ottenuto un nuovo OPV (o Unità d’Altura Multiruolo-UAM) da 85 metri, in costruzione dal marzo 2023, con consegna prevista nel 2025 e altre 2 unità in opzione.
♦
[1] Divenuto il giorno in cui si celebra la festa della Marina italiana. Luigi Rizzo (nato nel 1887 e morto nel 1951, ufficiale di complemento proveniente dalla marina mercantile, e poi promosso contrammiraglio a 45 anni, e 2 volte medaglia d’oro) aveva già affondato la vecchia corazzata Wien esattamente 6 mesi prima.
[2] Delle 60 ordinate ne furono completate 29 entro l’8 settembre 1943, più altre 20 per la marina tedesca di occupazione.
[3] Altre 8 furono destinate a cannibalizzazione.
[4] Inoltre, rielaborando a loro volta il progetto italiano, i cantieri americani realizzarono nel 1962-1974 le 4 corvette classe “Boyandor” per l’Iran (2 affondate nel 1982 dagli iracheni, le altre ancora riarmate nel 2009-2013 con nuovi sensori e missili antinave), e le 2 “Tapi” tuttora in servizio nella marina tailandese.
[5] La cantieristica italiana tra anni ’50 e ’70 mise a segno diversi contratti all’estero per la costruzione di motovedette, ma solo 3 piccole motosiluranti Baglietto furono venduto a Israele nel 1956, mentre la configurazione e i sistemi d’arma adottati a partire dalla Folgore fecero scuola anche in Germania e Francia, che dopo il 1960 divennero paesi leader nella costruzione di unità sottili d’attacco.
[6] Il “Sea Killer” ottenne comunque qualche successo di esportazione: prima nella versione Mk-2 per l’Iran (che lo impiegò con successo nella guerra con l’Iraq), e quindi con la riprogettata versione “Marte”, apparsa nel 1977 e tuttora in produzione in varianti sempre più avanzate, vendute oltre che all’Italia, a Venezuela, Qatar, Senegal, Turkmenistan, Emirati Arabi, Kuwait.
[7] Si tratta dell’Ape, che nel 1963-1965 era stata trasformata in nave appoggio per gli incursori: passata in riserva nel 1979, nel 1986 fu ancora utilizzata come nave bersaglio, affondata da un missile “Teseo” 44 anni dopo essere stata varata.
[8] Il cui tiro, sebbene la centralina di puntamento radar fosse andata in avaria nel momento peggiore, inquadrò bene il jet attaccante anche grazie alle tempestive manovre del comandante della De Cristofaro Franco Barbalonga.
[9] La flotta scese a 96.000 t. di naviglio in servizio (e compreso quello ausiliario e per 2/3 vetusto e di prossima radiazione) contro le 200.000 necessarie alla sua credibilità operativa.
[10] Di fatto erede dei MAS superveloci Baglietto degli anni ’30, capaci di toccare i 48 nodi (anche loro in acque calme), cui gli aliscafi lanciamissili erano accomunati anche dall’essere propulsi da un motore di origine aeronautica: il leggendario Isotta Fraschini “Asso” i MAS, una turbina a gas Bristol-RR “Proteus” gli “Sparviero”, con idrogetto e diesel ausiliari.
[11] L’Iraq ne ha acquistate 4 simili al modello italiano, e Malta una in versione portaelicotteri, realizzate nel 2003-2009, mentre 2 delle 5 unità italiane costruite nel 2001-2004 sono state vendute a Panama nel 2012. Per Emirati Arabi e Qatar ne sono state sviluppate 2 versioni più grandi (56-63 metri, 550-750 t.) armate con cannoni e missili antinave e sup/aria, con 4 unità costruite, mentre potenziali acquirenti sono il Kuwait e l’Egitto.
[12] Nel 1982 invece per alimentare il 10° Gruppo navale inviato dall’Italia in Mar Rosso nell’ambito di una missione di pace ONU tuttora in corso, furono modificati in pattugliatori costieri 4 dragamine classe “Abete” degli anni ’50, poi radiati tra 1997 e 2003 e sostituiti da 4 moderni pattugliatori costieri classe “Esploratore”.
[13] Di cui è iniziata la demolizione, ma con il Grifone dal 2018 conservato a Venezia.
[14] Delle 8 “Minerva”, 4 sono state trasformate in OPV per il Bangladesh, che potrebbe acquisire anche le altre 4, a meno che non se ne decida la demolizione.
[15] Le unità classe “Doha” consegnate al Qatar fanno parte del modello FCX-30, proposto anche alla Grecia per il suo programma relativo a 4 corvette multiruolo.
♦
Per saperne di più
G. Giorgerini-A. Nani, Almanacco storico delle navi militari italiane 1861-1995, Ufficio Storico Marina, Roma 1996.
G. Giorgerini, Da Matapan al Golfo Persico: la Marina militare dal fascismo alla Repubblica, Mondadori 2003.
M. Cosentino-M. Brescia, La Marina militare italiana 1945-2015, 3 voll., Storia Militare-Dossier 2014-2015.
G. Da Frè, Almanacco Navale del XXI secolo: dalla Guerra Fredda alla crisi ucraina, Odoya 2022