LE FREGATE: SPINA DORSALE DELLA MARINA ITALIANA
di Giuliano Da Frè -
Finita la seconda guerra mondiale, e con la successiva adesione alla NATO, l’Italia si dotò di nuovo materiale. Inizialmente rimettendo in sesto naviglio dismesso dagli USA ma, poi, soprattutto dopo lo scoppio della guerra di Corea, con la costruzione in proprio di unità al passo coi tempi
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Dalla ricostruzione all’innovazione
Dopo le pesantissime perdite subite in guerra tra 1940 e 1945 (e segnatamente durante la cosiddetta “battaglia dei convogli” per la Libia), e le cessioni agli ex avversari imposte dal Trattato di pace di Parigi del 1947, alla flotta italiana, dal 1946 non più Regia Marina ma Marina Militare della neonata Repubblica, restavano poche unità moderne adatte a scortare e difendere il traffico mercantile. C’erano è vero le ottime 19 corvette classe “Gabbiano”, tra le migliori navi italiane del conflitto [1], ma rientravano in una tipologia di difesa costiera a corto raggio. E a parte tre moderni cacciatorpediniere di squadra e una mezza dozzina di siluranti risalenti alla Grande Guerra e riarmate nel 1940-1943 per la scorta convogli, c’erano solo 9 unità assimilabili alle fregate e ai destroyer escort (DE) coi quali gli anglo-americani avevano vinto la loro “battaglia dei convogli” in Atlantico contro gli u-boot tedeschi. Si trattava di 7 torpediniere appartenenti alla classe “Spica”, e due similari unità classe “Pegaso”, che ne rappresentavano la variante specializzata di scorta. Tecnicamente le “Spica” erano valide unità, robuste e manovrabili, ottime palestre per giovani comandanti: quasi leggendarie le imprese di Mimbelli col Lupo e Cigala Fulgosi col Sagittario, che durante la battaglia di Creta nel maggio 1941 difesero i convogli loro affidati affrontando due intere divisioni di incrociatori inglesi, senza essere affondati. O del Circe, autentico serial-killer di sommergibili inglesi, con i quattro battelli affondati prima di colare a picco a sua volta nel novembre 1942. Eppure queste navi (32, costruite tra 1933 e 1938 in due prototipi venduti alla Svezia nel 1940, e tre serie caratterizzate da alcune differenze tra loro), pur nuove, appartenevano a una categoria di concezione superata già da due o tre decenni, progettate com’erano per l’attacco, ma con un armamento limitato dalle dimensioni, e senza risultare veloci e furtive quanto le motosiluranti, che ne avevano ormai ereditato le funzioni – e ottenendo proprio con la Regia Marina i più spettacolari successi, contro due corazzate austriache nel 1917-1918 e un grande incrociatore inglese nel 1942. Dal 1940 furono giocoforza destinate a un ruolo per il quale non erano nate, la scorta-convogli, con alcune modifiche all’armamento imbarcando più armi a/a e antisommergibile, e gradualmente anche moderni ecogoniometri: e se ottennero alcuni brillanti successi (al prezzo di 23 unità perdute su 30) fu grazie alla loro valida costruzione, e al sacrificio e all’abilità di comandanti ed equipaggi. D’altra parte già mentre erano in costruzione qualche dubbio era emerso, circa le loro funzioni, e una quarta serie di quattro unità, classe “Pegaso” (realizzata nel 1936-1938), era stata riprogettata e ingrandita come avviso-scorta, con un armamento orientato più alla difesa antiaerei e antisom, che non al contrasto antinave, e imbarcando quasi subito i primi ecogoniometri [2]. Nel 1941 fu avviata la costruzione di altre due classi di navi scorta derivate dal modello “Spica/Pegaso”, le ottime “Ciclone” e “Ariete”, con 32 unità impostate ma solo per metà completate prima dell’8 settembre 1943: le poche superstiti furono richieste come compensazioni di guerra dai paesi vincitori, e le 9 unità rimaste alla Marina appartenevano come accennato alle serie prebelliche.
Si decise di ripartire da qui, e dopo l’adesione alla NATO che permetteva in primis di accedere a moderno materiale (radar, sonar, apparati antisom e cannoni antiaerei Bofors da 40 mm), furono radicalmente modificate tra 1950 e 1958, e restando in servizio sino al 1965 [3]. La conversione tuttavia aveva trasformato queste torpediniere di scorta in “corvette veloci”: radicali modifiche furono allora realizzate in quegli stessi anni anche sui tre cacciatorpediniere di tipo moderno lasciati all’Italia: il Grecale (1934, classe “Maestrale”) e i più recenti Carabiniere e Granatiere, classe “Soldati” – ampiamente decimata dalla guerra e dalle pretese dei vincitori -, in servizio dal 1938-1939. Anche queste tre unità sarebbero state riclassificate, stavolta come fregate veloci e/o antisom: il Granatiere sarebbe stato radiato nel 1958, seguito nel 1965 dal Grecale, che nel 1960 era stato di nuovo modificato per fungere da nave ammiraglia della flotta per un breve periodo; il Carabiniere nel 1960 fu trasformato in nave per esperienze, e quindi disarmato nel 1965 restando però a disposizione per fungere da scafo addestrativo per gli incursori del COMSUBIN, al Varignano, sino al 1971, per essere demolito 7 anni dopo.
Con l’aggravarsi delle tensioni tra la neonata NATO e il blocco orientale (organizzatosi a sua vola col Patto di Varsavia del 1955), occorreva altro. Dopo lo scoppio della guerra di Corea, nel giugno 1950, i paletti disarmisti imposti alle ex potenze dell’Asse iniziarono a cadere rapidamente: e se per Giappone e Germania il riarmo ufficiale sarebbe stato avviato rispettivamente nel 1954 e 1956, e dovendo ripartire da zero dopo che le loro flotte erano state distrutte e disperse dagli eventi bellici, la Marina italiana poté potenziarsi seguendo da subito altre due strade, oltre a quella dei pur radicali interventi detti di “chirurgia navale”, che avevano ammodernato in un decennio 34 navi scorta tra caccia/fregate, torpediniere e corvette ancora valide. D’altra parte in una riunione dello Stato Maggiore Marina (MARISTAT) svolatasi nei giorni successivi all’attacco comunista in Corea, emerse una realtà impietosa: dei 700 siluri in magazzino solo 200 erano efficienti, due terzi delle 10.000 bombe di profondità erano di vecchio tipo, ed erano disponibili 740 mine sulle 33.000 di tutti i tipi richieste in caso di guerra.
Innanzitutto ci si rivolse allo “zio Sam”, che sin dal 1946 stava smobilitando l’enorme flotta costruita durante la guerra, e non più supportabile economicamente in tempo di pace, regalandone alcuni pezzi anche pregiati ai paesi amici, in primis le nazioni sudamericane, la Cina nazionalista, gli alleati europei durante il conflitto. Tuttavia nel 1950-1951 furono poche le navi cedute all’Italia; e tra queste tre destroyer escort (letteralmente cacciatorpediniere di scorta) classe “Cannon” costruiti per la US Navy nel 1943-1944, riclassificati fregate dalla Marina italiana, che li prese in carico nel gennaio 1951 come classe “Aldebaran”. Si trattava di unità da 1.600 t di dislocamento, capaci di raggiungere i 21 nodi grazie a un apparato motore tutto-diesel di tipo moderno e relativamente automatizzato, con caratteristiche avanzate per gli standard italiani dell’epoca. Armi e sensori erano invece simili a quelli già adottati per ammodernare il naviglio nostrano: ma si era ben lontani dalle 17 navi scorta richieste agli Stati Uniti. Tirchieria? Ovviamente lo scoppio della guerra di Corea, esordio bollente per la quarantennale Guerra Fredda dopo alcuni anni di colpi di fioretto, obbligava la US Navy a rivedere la sua politica di cessione del naviglio, togliendo dalla naftalina le navi di riserva per i propri bisogni. Washington soprattutto limitò la cessione di naviglio all’Italia, e poi a Giappone e Germania, anche allo scopo di rilanciare quella cantieristica militare, prima della guerra fiore all’occhiello di questi paesi, integrandola con gli importanti sviluppi nei settori della sensoristica, delle artiglierie e delle armi antisom, sebbene per un paio di decenni restassero strategici i trasferimenti di tecnologia “made in USA”.
Si decise così di integrare nel Programma navale del 1950 varato dall’Italia ulteriori esemplari del naviglio già programmato coi primi piani annunciati nel 1949. Questi ultimi avevano previsto tra le varie voci anche la realizzazione di due fregate (inizialmente definite “avvisi-scorta”) di nuovo tipo, Centauro e Canopo, entrambe impostate nel maggio 1952. Nel 1953 ne furono autorizzate altre 2 grazie al Mutual Defense Assistance Program (MDAP) finanziato dagli Stati Uniti, che inoltre dava il via libera alla loro realizzazione sempre nei cantieri italiani, e a cui si aggiunsero 3 corvette di nuovo modello.
Completate nel 1957-1958 come classe “Centauro”, erano unità lunghe 103 metri e da 2.250 t. di dislocamento, con un apparato motore su turbine a vapore che garantiva una velocità di 26 nodi e 3.000 miglia di autonomia. Navi di moderna concezione, con locali dedicati alla centrale operativa di combattimento (COC) e zone sicure da attacchi NBC, ben compartimentate e robuste: come dimostrò il Castore quando nel 1965 fu speronato dalla cisterna militare Etna, con 4 morti e 15 metri di sezione poppiera quasi asportati; ma la nave sopravvisse, anche grazie all’efficace controllo dei danni da parte dell’equipaggio. I lunghi periodi di costruzione e la continua evoluzione dei sensori fecero sì che vi fossero differenze inziali tra le navi circa i radar imbarcati (standardizzati dal 1960), mentre risultò infelice la sistemazione delle artiglierie: 4 cannoni da 76/62 mm montati in due torri binate ma con le canne sovrapposte dotate di un innovativo ma complesso sistema di caricamento automatico. L’armamento comprendeva poi 2 impianti binati da 40/70 mm Breda-Bofors radar asserviti, due lanciasiluri da 533 mm a doppio scopo, il mortaio antisommergibile “Menon” e 4 lanciabombe sempre per la lotta antisom.
Partendo proprio dalla riparazione del Castore, tra 1966 e 1973 le quattro unità furono sottoposte a importanti modifiche, che comportarono la sostituzione dei sensori, l’installazione di una moderna suite di guerra elettronica e l’upgrade dei sistemi d’arma, con i pezzi da 76 e 40 mm sostituiti con 3 ottimi cannoni da 76/62 mm versione MM in torri singole, e i lanciasiluri con 2 nuovi impianti trinati Mk-32 da 324 mm antisom.
Mentre i 4 “Centauro” erano in costruzione, fu sviluppata una nuova classe di 4 fregate di dimensioni minori (94 metri e 1.650 tonnellate) e una velocità di 26 nodi assicurata questa volta da un propulsore basato su soli diesel che garantiva maggiore efficienza e oltre 5.000 miglia di autonomia. Le prime 2 (Margottini e la capoclasse Rizzo – benché si parli di classe “Bergamini”) furono impostate nel 1957, mentre la seconda coppia fu approvata col Programma del 1958. Programma caratterizzato dall’innovazione, segnatamente grazie ai nuovi incrociatori portaelicotteri e cacciatorpediniere lanciamissili, che finì per riguardare anche queste fregate consegnate nel 1961-1962: le prime unità di scorta al mondo, infatti, a essere appositamente realizzate per accogliere un elicottero. Certo alla luce delle ridotte dimensioni e della ricca panoplia di armi e sensori che le caratterizzava (3 cannoni da 76/62 mm in torri singole, il mortaio antisom “Menon” [4] e 2 impianti trinati lanciasiluri Mk-32, più radar di scoperta e di tiro, sonar a scafo e nuova sensoristica), l’hangar era una semplice struttura telescopica in tela e metallo, e l’elicottero impiegato il piccolo AB-47G, con l’eventuale possibilità di sostituirlo con l’A-106 che Agusta andava progettando ma che fu poi cancellato.
Per poter impiegare i più grandi AB-204AS e poi AB-212ASW, già nel 1968 si dovette ricorrere a grandi lavori di modifica che entro il 1973 comportarono l’eliminazione del cannone poppiero e della relativa colonnina radar di tiro, e l’ampliamento del ponte di volo e dell’hangar.
Le 8 fregate realizzate in un decennio fornivano alla flotta italiana un primo nucleo moderno di navi scorta (integrate da un consistente numero di vecchie e nuove corvette) con cui andare a sostituire buona parte delle unità ricavate dalla modifica di siluranti costruite negli anni ’30. Tuttavia non bastava: un piano studiato nel 1959-1960 proponeva la costruzione di nuove fregate che combinassero gli aspetti migliori dei 2 modelli precedenti: la classe “Circe” avrebbe dovuto essere pertanto composta da 4 fregate portaelicotteri più grandi di quelle all’epoca ancora in costruzione. Tuttavia il progetto subì un’evoluzione che ne migliorò nettamente le prestazioni grazie a dimensioni più generose e a un nuovo apparato propulsivo: ma anche i costi lievitarono, e così nel 1963-1968 furono realizzate soltanto 2 unità, sebbene tra le migliori al mondo nella loro categoria, capaci di rivaleggiare con le decantate coetanee inglesi classe “Leander”: Alpino e Carabiniere. Era l’ennesimo esempio della fisionomia che andava assumendo la Marina italiana negli anni ’60: la cosiddetta “flotta di qualità” per via delle scelte innovative messe in campo con le navi realizzate che tuttavia, a causa del limitato numero di esemplari, finiva per essere definita più ironicamente come “marina dei prototipi”. Esemplare quindi il caso della classe “Alpino”: non solo le 2 nuove fregate imbarcavano una più ricca e avanzata sensoristica, comprendente per la prima volta anche un sonar rimorchiato in aggiunta a quello a scafo, e una suite di guerra elettronica e il lancia-artifizzi SCLAR, ma erano caratterizzate da un’innovativa propulsione su turbine a gas e diesel (per una velocità massima di 29 nodi e 4.000 miglia di autonomia), da una struttura architettonica che anticipava le fregate degli anni ’70 e da dimensioni generose – 113 metri di lunghezza e un dislocamento di 2.900 t. -, che non solo consentivano una più imponente panoplia di armi, con lanciabombe singolo “Menon”, 2 lanciasiluri tripli Mk-32 e 6 cannoni da 76/62 mm, ma anche ponte di volo e hangar capaci di accogliere 2 elicotteri (sebbene solo uno ricoverabile). Tuttavia, come accennato, erano soltanto 2, visto che la seconda coppia (Perseo e Polluce: le prime 2 invece dovevano chiamarsi Circe e Climene, poi cambiato nel 1965 in Alpino e Carabiniere) era stata cancellata, solo in parte compensata dalla realizzazione di 4 nuove grandi corvette con buone capacità antisom classe “De Cristofaro” consegnate nel 1965-1966.
Dalla crisi alla Legge Navale del 1975
Nel 1970 pertanto, ormai radiate le unità ereditate dalla Regia Marina, e prossime al disarmo anche quelle donate dalla US Navy (e dal 1962 peraltro riclassificate corvette), la fondamentale componente di scorta della flotta restava incentrata su 10 unità recenti: 2 ottime, ma le altre già in fase di modifica e che sarebbero divenute obsolete entro il 1980. Ma con una drammatica crisi socio-economica e politica alle porte, che comportava pesanti tagli all’intero comparto della Difesa, la Marina sembrò entrare in un tunnel, tra ammiragli prestigiosi che denunciavano la situazione mettendo a rischio la carriera, lettere aperte firmate da centinaia di giovani ufficiali per esprimere il crescente disagio, il quasi “ammutinamento” (mettiamolo fra molte virgolette: fu soprattutto un’azione di rivendicazioni sindacali inusuale ma giustificata) di parte del personale del caccia Indomito. Episodi preoccupanti, che però portarono per una volta a una rapida reazione positiva a vari livelli. Dopo che il suo predecessore aveva portato avanti una politica di sacrifici radiando numerose unità ancora valide ma di troppo costosa gestione (compresi l’incrociatore lanciamissili Garibaldi, nave ammiraglia della flotta, e il potente caccia-conduttore San Marco), e posposto vari programmi vitali, il nuovo Capo di Stato Maggiore della Marina ammiraglio Gino De Giorgi (1914-1979), insediatosi dal maggio 1973 al luglio 1977 e con una lunga esperienza nella pianificazione anche finanziaria del comparto navale, avviò una capillare operazione di sensibilizzazione, elaborando a fine 1973 [5] un (sino ad allora inedito, ma già caldeggiato da altri ammiragli e teorici come Romeo Bernotti e Virgilio Spigai) “Libro Bianco”, che aprisse la strada a una legge organica di ammodernamento della Marina, del valore di 1.000 miliardi – poi erosi dalla drammatica inflazione del tempo – e varata già il 22 marzo 1975. Nel frattempo, grazie ai precedenti risparmi fu possibile sbloccare alcuni programmi di emergenza, e tra le priorità fu inserito un primo gruppo di nuove fregate, poiché a dispetto degli appena ultimati lavori di modifica le 8 unità classe “Centauro” e “Bergamini” erano già datate, e sarebbero state radiate tra 1980 e 1990. Fortunatamente partendo da una rielaborazione della classe “Alpino” nel 1970 gli allora Cantieri Navali Riuniti avevano progettato (con un occhio soprattutto all’export) un nuovo tipo di fregata veloce, di dimensioni compatte ma che avrebbe sviluppato la potenza di fuoco e la velocità di un cacciatorpediniere. Il progetto avrebbe ottenuto un notevole successo internazionale, con 14 esemplari ordinati tra 1974 e 1980 da Perù, Venezuela e Iraq – la cosiddetta classe “Saddam” destinata poi a navigare sotto bandiera tricolore, come vedremo. Anche la Marina italiana, a corto di moderno naviglio di scorta e decisa a effettuare un salto di qualità, ne ordinò 4, impostate dal 1974 e consegnate tra 1977 e 1980. Le nuove fregate erano per la verità lontane dal modello antisom che in quegli anni la NATO chiedeva di realizzare per fronteggiare la crescente minaccia subacquea sovietica. Tuttavia evidenziavano la preoccupazione italiana per la presenza in Mediterraneo di un crescente numero di unità russe d’altura e sottili dotate di un gran numero di missili antinave, la cui efficacia era emersa con l’affondamento del caccia israeliano Eilat, prima unità vittima di un missile il 21 ottobre 1967, sia nei recenti combattimenti navali della terza guerra indo-pakistana del dicembre 1971, e soprattutto delle citate battaglie tra motomissilistiche arabe e israeliane dell’ottobre 1973.
Il modello “Lupo” si presentava quindi come un’evoluzione della classe “Alpino” per design generale e dimensioni (113 metri e 2.525 t.): potenti turbine a gas accoppiate a motori diesel garantivano una velocità di oltre 35 nodi e 4.350 miglia di autonomia, e l’armamento comprendeva 8 lanciamissili antinave Otomat Mk-1, un impianto ottuplo SAM di punto “Sea Sparrow” [6], un cannone da 127/54 mm a doppio scopo, 2 impianti binati da 40/70 mm integrati nel sistema “Dardo”, per la difesa antimissile a corto raggio, assieme a una avanzata suite di guerra elettronica e 2 lancia-inganni SCLAR; le capacità antisom erano comunque garantite da sonar a scafo, 2 impianti trinati lanciasiluri Mk-32 e un elicottero medio ricoverato in hangar telescopico. Nel 1991-1995 le 4 unità sarebbero poi state ammodernate sostituendo i missili antinave con i più avanzati Otomat Mk-2, modificando il sistema SAM per impiegare gli “Aspide” e imbarcando nuovi sensori. Nei primi anni ’80 anche i 2 “Alpino” sarebbero stati ammodernati, ma senza imbarcare sistemi missilistici come si era ipotizzato, puntando ad aggiornare soprattutto le capacità antisom con nuovi sonar. Infatti all’epoca l’entrata in vigore della Legge Navale aveva finalmente sbloccato la costruzione di un consistente numero di navi scorta, le 8 fregate classe “Maestrale” costruite nel 1978-1985, e peraltro di lì a poco integrate da altrettante corvette da 1.285 t equipaggiate con missili antinave e sistemi antisom, classe “Minerva”, completate nel 1987-1991, mandando in pensione le ormai spremute 8 fregate realizzate tra 1952 e 1962.
Con le classi “Maestrale” e “Minerva” non solo è stato superato il limite della “flotta dei prototipi”, ma non è stato buttato alle ortiche il concetto di qualità. Come accennato negli anni ’70 la NATO chiedeva agli stati membri di realizzare fregate multiruolo adeguate alla nuova era missilistica, ma sempre specializzate nella lotta antisom ed equipaggiate con 2 elicotteri. Esigenze che portarono alla nascita delle sofisticate fregate tedesco-olandesi delle similari classi “Bremen” e “Kortenaer”, alle Type-22 inglesi, alle “Perry” americane esportate anche in Spagna dopo l’adesione di Madrid alla NATO. Grazie al doppio impulso fornito dalla Legge Navale del 1975 e dalla eccellente riuscita delle “Lupo” la Marina decise di ripartire da un progetto che teneva conto delle esperienze fatte con le nuove fregate missilistiche, e dalle ottime – benché superate – “Alpino”. Nel 1978 iniziò così la realizzazione delle fregate classe “Maestrale”, completate in 2 lotti di 4 tra 1982 e 1985. Si trattava di piattaforme simili alle “Lupo” ma più lunghe di 10 metri e con un dislocamento di 3.200 t che consentiva non solo di poter ospitare in un hangar fisso 2 elicotteri AB-212ASW, ma anche di imbarcare una più articolata panoplia di armi e sensori: 4 lanciamissili antinave “Teseo” Mk-2 (raddoppiabili), cannone da 127/54 mm, 2 impianti “Dardo”, SCLAR, 2 lanciasiluri da 533 mm a doppio scopo B-516 e 2 impianti trinati per siluri da 324 mm antisom, il sistema SAM “Albatros/Aspide” ottuplo e a ricarica automatica per 24 missili. L’apparato motore era una versione migliorata che a fronte di minor velocità (32,5 nodi, calata a 31 con l’età e le modifiche) garantiva maggiore autonomia – 6.000 miglia – e silenziosità durante le operazioni antisom.
Le 12 fregate costruite tra 1974 e 1985 (integrate dalle 8 corvette classe “Minerva”) sono rimaste in servizio a lungo, vera spina dorsale della flotta italiana per decenni e impiegate in tutte le missioni effettuate a partire dal Libano nel 1982 e sino a oggi, con reali operazioni di scorta in zona di guerra nel Golfo Persico, di sorveglianza in Adriatico e Mediterraneo centrale e anti-pirateria in Somalia. Le “Lupo” sono poi state vendute al Perù nel 2004-2005, mentre per le “Maestrale”, ammodernate negli anni ’90, e 4 in modo più radicale nel 2005-2009 sostituendo parte dei missili antinave col “Milas” antisom e con nuovi radar, hanno accumulato circa 35 anni di servizio prima di essere dismesse a partire dal 2015, con a oggi 5 unità in riserva o radiate, mentre 2 saranno ammodernate nell’ambito di un contratto per l’Indonesia, e le ultime pensionate entro il 2025.
Occorreva tuttavia provvedere anche alla sostituzione negli anni ’90 di 6 unità di scorta antisom pur valide, ma non più adeguate: le 2 fregate classe “Alpino” e le 4 corvette classe “De Cristofaro”. Nel 1984-1985, dopo alcuni anni di studi preliminari, in ambito NATO era stato lanciato un programma relativo a una fregata comune denominato NFR-90 (NATO Frigate Replacement for 90s), incagliatosi però ben presto su una serie di ostacoli industriali, economici e tecnici, e seppellito a fine 1989 dopo la Caduta del Muro di Berlino. Nel 1991 si iniziò a ragionare su una fregata multiruolo italiana, ma nel 1992 il governo decise di acquisire le 4 fregate tipo “Lupo” realizzate nel 1982-1987 per l’Iraq (classe “Hittin”, ma dette anche “fregate Saddam”), mai consegnate a causa dell’embargo del 1990 seguito all’invasione del Kuwait. Le risorse impegnate per l’acquisto e per le modifiche apportate nel 1993-1996 a unità realizzate per un cliente estero bloccarono però per 10 anni lo sviluppo di una nuova generazione di fregate. Andate a formare la classe “Artigliere” e riclassificate “pattugliatori di squadra”, consegnate alla Marina nel 1994-1996, erano certo nuove di pacca e con caratteristiche più avanzate rispetto alle “Lupo” [7], e permettevano di sostituire rapidamente le 6 unità antisom degli anni ’60, sebbene l’Alpino venisse modificata per fungere da nave appoggio per i cacciamine dal 1994 al 2006, e il Carabiniere in unità per esperienze (dal 1992 al 2008: entrambe furono radiate dopo un quarantennio di attività operativa a riprova della loro robustezza). Tuttavia le 4 unità classe “Artigliere” erano pur sempre frutto di un progetto degli anni ’70, di dimensioni limitate che non permettevano modifiche più radicali, e ben diverse dalle fregate di transizione che negli anni ’90 stavano realizzando gli altri paesi europei, impiegando tra l’altro le prime tecnologie stealth e un’automazione spinta; sulle fregate ex irachene per ridurre spese e personale, ed eliminare sistemi non compatibili con gli standard NATO, furono cancellate le capacità antisom sbarcando lanciasiluri e sonar.
Ad ogni modo almeno sulla carta nel 1996, a dispetto della fine della Guerra Fredda (ma dovendo appunto fronteggiare un crescente numero di missioni operative legate ai nuovi scenari, compreso il conflitto nella ex Iugoslavia che coinvolgeva l’Adriatico), la flotta italiana poteva schierare 16 fregate portaelicotteri e 8 corvette lanciamissili costruite tra 1974 e 1991: ma frutto delle esigenze legate alla Guerra Fredda, e senza un progetto valido che consentisse il passaggio a una nuova generazione di unità.
Dal “gap” degli anni 2000 alla FREMM pigliatutto
Soltanto nel 2001, dopo un grave gap progettuale e costruttivo durato un decennio, e mentre veniva avviato il passaggio in riserva delle fregate classe “Lupo” (di fatto sostituite in quegli anni da 4 pattugliatori classe “Comandanti”), fu assegnato a Fincantieri un contratto per lo sviluppo di una fregata stealth di nuova generazione: progetto poi confluito in quello analogo francese, grazie alla positiva esperienza comune fatta col progetto “Orizzonte”, per 4 cacciatorpediniere cantierizzati proprio dal 2002. Nasceva così il programma congiunto “Rinascimento” o Fregata Europea Multi-Missione (FREMM), per un totale di 27 esemplari inizialmente pianificati: 17 per la Francia e 10 per l’Italia, con rilevanti differenze tra loro. La Francia ha poi ridotto a 8 le sue unità, dalle prestazioni meno spinte, mentre la Marina italiana è riuscita a confermarle tutte e 10 seppur dovendo attendere il 2008 per la messa in cantiere della capoclasse Bergamini, consegnata nel 2012 e pienamente operativa dall’anno seguente dopo alcune modifiche.
Nel frattempo si decise di non gettare soldi nell’ammodernamento di mezza vita dei 4 “Soldati”: nel 2012 veniva così passato in riserva l’Artigliere poi radiato nel 2013, e seguito entro il 2018 dalle altre unità, mentre come accennato dal 2015 iniziava il pensionamento anche delle fregate “Maestrale”.
La tranche italiana per le FREMM non ha invece avuto (quasi) intoppi, nonostante i 21 anni di gap costruttivo accumulati in materia di fregate: e la versione italiana della fregata è anzi considerata come la migliore unità della categoria al mondo in servizio, visto che delle rivali più dirette, la prima fregata inglese Type-26, in costruzione dal 2017, ha accumulato ritardi e potrebbe essere operativa dopo il 2025, mentre la F-126 tedesca (quasi un incrociatore lungo 166 metri e da quasi 10.000 t.) sarà cantierizzata nel 2023. D’altra parte parla chiaro il crescente successo nell’export: la FREMM italiana è stata ordinata dall’Indonesia in 6 esemplari e si è aggiudicata la strategica gara nel programma FFG/X per la US Navy, con la versione customizzata e largamente modificata “Constellation”: per una prima tranche di 10 unità con una prospettiva finale di 20, ma con l’appena pubblicato Piano pluriennale che guarda al 2045 e fissa in 56 le FFG/X da schierare, ovviamente in lotti via via modificati. Navi che saranno realizzate negli Stati Uniti, con pochissima tecnologia italiana a bordo, ma pur sempre basate sul design della FREMM nazionale e da costruire nel polo creato da Fincantieri a Marinette, nel Winsconsin. Altri contatti sono in corso con Brasile, Grecia, Bangladesh e Marocco: e con l’Egitto, che nel 2020 ha acquistato 2 delle FREMM in costruzione per la Marina italiana, e punta a raddoppiarle. Proprio il contratto egiziano ha modificato i piani degli ammiragli italiani.
Tra 2013 e 2019 sono divenute operative come inizialmente programmato 8 FREMM; ma per le ultime 2 impostate rispettivamente nel 2016 e 2017, la consegna prevista nel 2020-2021 (e con la nona unità pronta alla cerimonia il 18 marzo 2020 e la decima varata 2 mesi prima), è arrivato nel febbraio 2020 l’acquisto da parte egiziana, con consegna entro aprile 2021. Pertanto nel 2021 sono state impostate 2 ulteriori unità per la Marina, destinate a entrare in servizio entrambe nel 2025: o forse con qualche mese di ritardo, se le voci di una loro modifica in versione “ibrida” emerse nel luglio 2022 sarà confermata.
Le FREMM italiane sono infatti caratterizzate da dimensioni generose con l’obbiettivo di gestire meglio le modifiche che vengono introdotte su piattaforme destinate a restare operative per 30/35 anni, con una lunghezza di 144,6 metri, larghe quasi 20 e 6.900 tonnellate di dislocamento. L’apparato motore in configurazione CODLAG (COmbined Diesel-eLectric And Gas) assicura una velocità massima di 27 nodi e 6.000 miglia di autonomia. La classe è suddivisa in 2 varianti: 6 unità sono in versione GP-General Purpose compresa la capoclasse Bergamini, consegnata amministrativamente nel luglio 2012, ma operativa dal 2013 assieme alla Fasan, prima delle 4 unità in versione antisom, dopo aver subito modifiche per eliminare alcune criticità emerse in fase di collaudo.
Tra le 2 versioni c’è una forte comunanza per quanto riguarda armi e sensori imbarcati, mentre i lunghi tempi di costruzione di quella che a oggi è la più numerosa classe di unità maggiori realizzata per la Marina italiana fanno sì che via via vengano introdotti alcuni sottosistemi più avanzati, come quelli di dissuasione acustica MASS CS-424, imbarcati sulle unità consegnate a partire dal 2017, e che verrà retrofittato sulle precedenti, mentre le 2 unità in costruzione nel 2021-2025 saranno caratterizzate da alcune innovazioni da testare in vista del MLU.
Per quanto riguarda la componente missilistica, tutte imbarcano 8 lanciatori per missili antinave “Teseo” Mk-2/A Block-IV, che però sulle FREMM-ASW per la metà sono armati con i missili antisom “Milas”, e un complesso di lancio verticale “Sylver-A50” a 16 celle per missili SAM sia per la difesa di punto “Aster-15” sia – a differenza delle unità francesi – per quella di zona “Aster-30”, grazie alla presenza del radar multifunzione 3D EMPAR/SPY-790, e con la predisposizione per un secondo modulo a 8 celle [8]. L’artiglieria comprende sulla variante GP il cannone da 127/64 mm “LW/Vulcano” impiegato per tiro contronave/controcosta, e uno da 76/62 mm in configurazione CIWS “Davide/Strales”; la versione antisom non imbarca il calibro maggiore, ma 2 cannoni da 76/62 mm mentre entrambe dispongono di 2 cannoncini da 25/80 mm per la difesa ravvicinata.
Le capacità antisom sono sofisticate: tutte le FREMM imbarcano 2 elicotteri (NH-90 o AW-101) e 2 impianti lanciasiluri trinati B-515 per MU-90, ma le 4 unità progettate per la lotta ai sottomarini oltre ai “Milas” dispongono di una suite sonar molto più completa, compreso un apparato rimorchiato. Completano le capacità di autodifesa i sistemi di guerra elettronica, 2 SCLAR-H e 2 SLAT antisiluro.
Come accennato si ipotizza che le ultime 2 FREMM versione GP abbiano in realtà una configurazione più ibrida, poiché pur mantenendo il cannone da 127/64 mm (e imbarcando probabilmente i missili “Teseo” nella nuova versione EVO), saranno equipaggiate con la stessa suite sonar delle FREMM antisom.
Benché non ancora completato, il programma FREMM non rappresenta tuttavia l’ultimo grido, per quanto riguarda la spina dorsale delle navi scorta della Marina. Dovendo sostituire non solo 12 tra corvette “Minerva” e pattugliatori “Costellazioni” ma anche i 4 “Artigliere”, con la Legge Navale del 2014 sono stati autorizzati i Pattugliatori Polivalenti d’Altura (PPA), con 7 unità finanziate più 3 in opzione, sebbene come vedremo sostanzialmente cancellate da un ulteriore nuovo programma per navi scorta.
Definizione pudica quella di pattugliatori, visto che i PPA nemmeno possono essere considerati delle mini-FREMM, con i loro lunghi scafi slanciati che raggiungono i 143 metri (ma più stretti di 3 metri), e un dislocamento che, a seconda delle configurazioni, è compreso tra 5.800 e 6.300 tonnellate circa.
Le nuove unità sono infatti suddivise in 3 varianti comunque modificabili data la modularità che le caratterizza, al pari di un design avanzato simboleggiato da una plancia di comando altamente innovativa, dalle antenne planari dei radar e dalla prua a rostro (tipo wave piercing) che ne migliora le prestazioni idrodinamiche, con velocità di oltre 32 nodi grazie alla configurazione CODAGOL (COmbined Diesel And Gas Or eLectric).
La variante Light prevede comunque un’adeguata dotazione sensoristica di cui fa parte il nuovo radar Leonardo AESA 3D sebbene in configurazione basica, implementabile nelle versioni Light Plus e Full Combat, che disporrà anche di una suite sonar completa. L’armamento per tutti i PPA comprende un cannone da 127/64 mm “LW/Vulcano”, uno da 76/62 mm “Davide/Strales” nella nuova configurazione “Sovrapponte”, 2 impianti da 25/80 mm in torrette a controllo remoto, 2 SCLAR-H e 2 elicotteri. La difesa aerea viene affidata al sistema SAAM-ESD, incentrato su un complesso VLS a 16 celle “Sylver-A70” per missili “Aster-15/-30”, ed eventualmente i nuovi CAMM-ER: i PPA-Light sono solo predisposti per questi sistemi al pari degli 8 lanciamissili antinave “Teseo Mk-2/EVO” con gittata raddoppiata e capacità land-attack, nonché di lanciasiluri da 324 mm antisom. La modularità del progetto è poi legata anche al supporto a operazioni di protezione civile, con aree dedicate anche sanitarie. Di fatto però i “Thaon di Revel” sono comunque veloci e grandi fregate che presentano diverse innovazioni tecnologiche. La loro costruzione è iniziata nel 2017, e pur subendo alcuni ritardi dovuti alla pandemia di Covid-19, il capoclasse Thaon di Revel (tipo “Light” e varato il 15 giugno 2019) è stato consegnato il 18 marzo 2022, seguito a ottobre dal Morosini: altre 4 unità sono in varie fasi di allestimento, mentre la settima è stata impostata il 17 maggio 2022: il programma dovrebbe essere completato nell’agosto 2026, anche se è in fase di valutazione alla luce dei nuovi scenari aperti dalla guerra russo-ucraina la standardizzazione di tutti e 7 i PPA in versione “Full Combat”, che richiederebbe oltre a fondi aggiuntivi anche tempi più lunghi.
Nel frattempo, a settembre 2022 è stato approvato il programma relativo a 8 nuove navi scorta, nell’ambito del progetto europeo a guida italiana EPC (European Patrol Corvette), per una piattaforma polivalente lunga attorno ai 110 metri e con un dislocamento tra le 3.000 e le 3.500 tonnellate – le dimensioni di una fregata leggera in effetti, simili alla classe “Doha” che Fincantieri sta realizzando in 4 esemplari per il Qatar – e una articolata panoplia di armi e sensori, mirata alla difesa di punto contro aerei e missili, e al contrasto antisom. Obbiettivo, arrivare alla firma del contratto nel 2025 con le consegne a partire dal 2029.
La spina dorsale della flotta italiana si sta irrobustendo e dal 2030 potrebbe schierare 25 unità tra le più sofisticate e innovative esistenti.
[1] Nel 1951-1953 ne furono completate altre 3 rimaste sullo scalo alla fine della guerra.
[2] Quando si parla delle carenze della Regia Marina nel 1940, si punta subito l’attenzione sul radar. Corretto, ma non va dimenticato che si trattava di un apparato ancora sperimentale anche nelle marine che già lo avevano adottato. Il sonar o ecogoniometro era invece già stato sperimentato alla fine della Grande Guerra; ma l’industria italiana era in affanno anche in questo settore, e il 10 giugno 1940 solo una corvetta sperimentale ne imbarcava dal 1939 uno ancora in fase di collaudo tipo Safar/Geloso, dopo aver testato modelli stranieri. Le altre unità impiegavano solo idrofoni acustico-meccanici, sia del vecchio modello “tubo C”, sia più sofisticati, anche rimorchiati e retrattili.
[3] A riprova della loro robustezza, l’Orione (classe “Pegaso”) nel 1962 subì l’asportazione di 15 metri di prora a causa di una collisione col caccia Indomito: salvata e riparata, la nave riprese servizio dal gennaio 1963 alla radiazione 2 anni dopo.
[4] Il progetto iniziale nel 1956 prevedeva al posto dell’elicottero un secondo lanciabombe “Menon”, più un impianto da 40 mm e lanciasiluri da 533 mm.
[5] Anche alla luce delle recentissime esperienze di guerra navale durante la Guerra del Kippur (ottobre 1973), coi primi combattimenti sostenuti tra unità armate con missili antinave.
[6] SAM (Surface-to-Air-Missile, missile superficie-aria) imbarcato perché non ancora disponibile il sistema “Albatros/Aspide”.
[7] Ad esempio il sistema SAM “Albatros/Aspide”.
[8] Quello a 16 celle tipo A-70 per missili cruise ha lasciato il posto all’ampliamento della zona alloggi equipaggio.
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Per saperne di più
M. Cosentino, La Marina Italiana 1945-2015, 3 voll., Storia Militare-Dossier 2014-2015
G. Da Frè, Almanacco Navale della Seconda guerra mondiale, Odoya 2019
G. Da Frè, Almanacco Navale del XXI secolo: dalla Guerra Fredda alla crisi ucraina, Odoya 2022
G. Giorgerini, Da Matapan al Golfo Persico: la Marina militare dal fascismo alla Repubblica, Mondadori 2003