YAZIDI, UNICITÀ E PERSECUZIONI DI UN POPOLO OPPRESSO

 di Renzo Paternoster -

Sino al 2018 molti neppure conoscevano l’esistenza degli yazidi. L’assegnazione del Nobel per la Pace alla yazida Nadia Murad ha reso note al mondo le drammatiche vicissitudini di questa piccola comunità, vittima di una violenza sistematica.

Il mausoleo di Mir Ali Beg, principe che rifiutò di abiurare la fede yazida

Il mausoleo di Mir Ali Beg, principe che rifiutò di abiurare la fede yazida

Gli yazidi (yezidi, ezid, izid) fanno parte dell’etnia curda con la quale condividono la lingua, il Kurmancî. La fonte scritta più antica che cita la presenza della comunità yazida è il Kitāb al-Ansāb (Libro delle genealogie) di ‘Abd al-Karīm al-Sam’ānī (XII secolo), che li nomina come al-Yazīdiyya, ubicandoli in Iraq settentrionale tra i fiumi Tigri e Grande Zab.
Per Eszter Spät, accademica ungherese specializzata nella religione yazida, il nome di questo popolo trae origine da ez Xwede dam, che per alcuni significa “sono stato creato da Dio”, per altri “seguaci del vero sentiero”. Un’altra tesi dell’origine del nome riporta alla parola zoroastriana Yazdan, che significa “Dio”.
Secondo l’assiriologo e storico delle religioni italiano Giuseppe Furlani «il nome Yazīdiyyah, dipende certamente dal nome di persona – comune tra gli Arabi – di Yazīd» che alcuni «identificano col secondo califfo omniade Yazīd, figlio di Mucāwiyah, che regnò a Damasco dal 60 al 64 dell’ègira». Tuttavia per gli attuali yazidi il califfo Yazid era solo un sovrano musulmano che solo successivamente si convertì allo yazidismo.
La comunità yazida è stanziata prevalentemente in Iraq settentrionale, con presenze più ristrette in Siria, Iran, Turchia meridionale e Caucaso (Armenia e Georgia).
La fonte scritta più antica che parla della presenza del popolo yazida è del XII secolo, il Kitāb al-Ansāb (Libro delle genealogie) di ‘Abd al-Karīm al-Sam‘ānī, un genealogista arabo. Nel testo è menzionata la presenza nella regione di Ḥulwān (in Iraq settentrionale tra i fiumi Tigri e Grande Zab, a nord-est di Mosul) di una comunità chiamata al-Yazīdiyya.
La fonte cita anche la presenza nello stesso periodo di Adī ibn Musāfir al-Umawī, un sufi discendente dalla famiglia califfale degli Omayyadi, che da Bagdad si trasferì a Lālīsh, villaggio iracheno situano a nord-ovest, fondando una zawiya (confraternita religiosa musulmana).
Sheikh ‘Adī (1078-1162), come è chiamato dagli yazidi, è una figura importante poiché riformò un culto presente nella regione, lo yazidismo, dando stabilità teologica alla stessa. Shaikh ‘Adi è divenuto per questo una figura estremamente importante nel panorama yazida, tanto che la sua tomba a Lālīsh è meta di pellegrinaggio.
Altra personalità religiosa importante per il popolo yazida, la seconda dopo Shaikh ‘Adi, è quella Hasan ibn Sheikh ‘Adī II (1196 ca.-1254). Egli, oltre a scrivere un testo di mistica importante per il popolo yazida, il Libro dell’Illuminazione (Kitāb al- Jilwa li-Arbāb al Khalwa), riuscì a espandere il popolo yazida tra i gruppi curdi. Approfittando della rivalità tra gli zanghidi e gli ayyubidi, gli yazidi riuscirono a occupare la regione di Sinjar. Lo Sheikh fu arrestato, imprigionato e decapitato a Mosul nel 1254. Sheikh ‘Adī, grazie alla sua grande opera di predicazione, riuscì a convertire moltissimi curdi allo yazidismo, che divenne parte integrante della cultura della comunità sotto la sua guida.
I successori di Shaikh ‘Adi, iniziando da suo figlio Sheikh Sharaf ad-Dīn (1215-1258), riuscirono ad espandere sia la religione yazida arrivando fino a Sulaimaniyah (nei pressi del confine con l’attuale Iran), Antiochia e nella Turchia sud-orientale tra Diyarbakir e Sīrt, riuscendo alla fine del sec. XIV a far proclamare lo yazidismo religione ufficiale del principato indipendente di Jazīrah.
Altra figura illustre yazida è Mîr Alî Beg, un principe vissuto tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo venerato per aver rifiutato di abiurare la sua fede yazida e aver lottato per i diritti del suo popolo. Il suo mausoleo nel cimitero del villaggio di Ba’adrê è oggi meta di pellegrinaggio.

Tawsi melek

Tawsi melek

È proprio lo yazidismo a dare una identità propria a questo gruppo umano. È un culto pre–islamico monoteista particolare, che mestola elementi del manicheismo e del mazdeismo con quelli islamici, in particolare sciismo e sufismo, con il giudaismo cabalistico e il cristianesimo nestoriano. Gli yazidi hanno un Dio primordiale, Khude, che ha creato se stesso e l’universo, manifestandosi in Sette Angeli: Darda’il, Jībra’îl, Israfîl, Nura’îl, Ezra’îl, Shemna’îl, Azrael.
Khude non partecipa alle vicende umane, delegando i suoi Sette Angeli che, attraverso la credenza nella trasmigrazione delle anime, si incarnano negli sheikh (sacerdoti). La loro prima umanizzazione è avvenuta nella incarnazione dei sette grandi sheikh capostipiti del gruppo. Così Darda’il si è incarnato in Sheikh Ḥasan, Jībra’îl in Sheikh Abū Bekir, Israfîl in Sheikh Shams al-Dīn, Nura’îl in Sheikh Fakhr al-Dīn, ‘Ezra’îl in Sajadīn, Shemna’îl in Sheikh Nasr al-Dīn, Azrael, in ‘Adī ibn Musāfir al-Umawī.
Questi Sette Angeli sono raffigurati in altrettanti simboli chiamati sanjaq, ossia sacra effige, che per gli yazidi non sono idoli, ma simboli della loro fede. Il sanjaq ricorda un candelabro, è in bronzo o ottone, ed è formato da una base su cui è sormontato da un uccello.
Tra i Sette Angeli il primo in dignità è Azrael, un angelo che si presenta sotto le sembianze di un pavone, e per questo chiamato Tawsi Melek, a cui Khude ordinò di scendere sulla terra per mettere ordine al caos primordiale.
Il primo essere umano, Adamo, è creato da tutti i “Sette Grandi Angeli”, ognuno dei quali lo ha dotato di un senso fisico. Poiché questo primo essere umano era solo un mucchio di carne senza vita e senza anima, fu Tawsi Melek a trasmettergli il respiro della vita. Fatto l’uomo, Khude ordinò a Tawsi Melek di prostrarsi ma l’angelo, per devozione esclusiva verso lo stesso Dio, si rifiutò. Ma Dio aveva solamente messo alla prova il suo angelo, che fu premiato col compito di reggere la terra. La trasmissione orale a dispetto di quella scritta, ha però creato miti nelle altre religioni. Così, successive interpretazioni da parte cristiana e musulmana, hanno assegnato a questo angelo il ruolo di trasgressore della volontà di Dio e per questo punito. Solo dopo aver pianto migliaia di anni Tawsi Melek fu perdonato da Khude che gli assegnò il compito di governare sugli uomini.
Questa concezione assegna agli yazidi la qualifica di seguaci di un angelo decaduto, ossia quella di “adoratori del diavolo”. Tuttavia, per gli yazidi non solo non esiste l’Inferno, ma anche la figura di un’entità malefica che si contrappone a un’Entità misericor¬diosa non è contemplata nel loro culto.

A causa della loro unicità, e nonostante siano un popolo pacifico, che ha deciso di non far alcun tipo di proselitismo, il popolo yazida è da sempre perseguitato.
Yazidi si è soltanto per nascita ed è possibile sposarsi unicamente con altri yazidi, pena l’esclusione permanente dalla comunità.
A differenza di tutti gli altri popoli sulla terra, che discendono sia da Adamo sia da Eva, gli yazidi credono che loro stessi discendono solo da Adamo.
La comunità yazida ha un proprio livello gerarchico. Il livello più alto nella gerarchia politico-religiosa è occupato dal mīr (emiro) che risiede a risiede a Ba’adra (65 km a nord di Mosul). La sua carica è ereditaria. Dopo il mīr c’è l’autorità religiosa che è rappresentata dal Baba Sheikh, il Maestro, che è nominato dal mīr. Questo capo religioso risiede nel cortile interno del santuario di Shaikh ‘Adi a Lālīsh e rappresenta l’autorità infallibile nell’interpretazione delle Sacre scritture. Egli, assistito dal pesh imam (anch’egli nominato dal mīr), presiede tutte le cerimonie e i rituali. Al di sotto ci sono i comuni cittadini/fedeli che completano la comunità dell’Angelo Pavone.
Una serie di proibizioni, permessi, liceità regolano la quotidianità della comunità. Tra le proibizioni, quella assoluta è il già citato divieto di contrarre matrimonio al di fuori della comunità yazida, ma anche quello di nominare satana e di mangiare certi cibi. Tra i permessi e le liceità ci sono la preghiera quotidiana da effettuarsi due volte, le abluzioni sacre, la circoncisione non obbligatoria ma gradita. Tra gli obblighi, il maggiore è quello del pellegrinaggio obbligatorio almeno una volta nella vita nel santuario di Lālīsh.
Sia per la loro unicità sia per l’importanza geoeconomica e geostrategica dei territori che occupano, gli yazidi hanno vissuto da sempre oppressione e persecuzioni, nonostante siano un popolo pacifico, che ha deciso di non far alcun tipo di proselitismo.
I territori abitati da yazidi sono geopoliticamente importanti. La parte alta dei monti del Jebel Sinjar rappresenta un efficiente avamposto strategico, in quanto consente il controllo della pianura tra il Sinjar e Mardin. L’orografia all’interno della catena montuosa, permette agli yazidi di occupare terre fertili e ricche di sorgenti idriche. Attualmente la scoperta di giacimenti petroliferi e la richiesta di autonomia politica della comunità ha poi complicato ancor di più le “cose”. Ecco, allora, che alle motivazioni religiose si aggiungono quelle economiche e politiche, creando un mix di aperta ostilità verso la comunità yazida.

La storia tramandata dagli yazidi narra di 74 stermini. Gli studiosi di “Yezidi Truth” hanno stimato che negli ultimi settecento anni, siano stati sterminati dai musulmani e da altri loro autoproclamati nemici ben 23 milioni di yazidi.
Questi 74 stermini di massa sono chiamati dagli yazidi firmān, concetto derivato dal persiano farmân, che significa decreto o ordine (in arabo fatwā), giacché la gran parte degli episodi sterminazionisti sono stati commessi in seguito a una fatwā da parte di qualche guida religiosa del fondamentalismo islamico.
Il primo grande eccidio del popolo yazida si realizza durante l’invasione mongola del XIII secolo. Quando Hulagu Khan invase il Vicino Oriente, trucidarono gli yazidi di Mosul (1261- 1262), distruggendo i loro insediamenti nel Sinjar. Per i mongoli gli yazidi erano colpevoli di aver fermato la loro avanzata collaborando militarmente con i turchi.
A questo primo firmān ne seguirono altri da parte delle autorità persiane, ottomane e turche.
Quando il capo tribale curdo Jalal al-Dīn Muḥammad nel 1414 abbracciò l’islamismo, emise una fatwā contro i suoi ex compagni di fede. Realizzando un grande firmān che determinò l’uccisione degli yazidi del più grande distretto comunitario del gruppo, Sheikhan, assieme alla distruzione del loro maggior santuario, quello di Lālīsh, che conservava il mausoleo di Adī ibn Musāfir al-Umawī.
Nel 1514 l’Impero ottomano inglobò con la violenza i territori curdi nella provincia di Diyarbakir.
Durante la guerra ottomano-safavide (1603–1618), combattuta fra la Persia safavide e l’Impero ottomano di Ahmed I, moltissimi yazidi furono coinvolti nelle uccisioni in massa. Occupando il rango più basso dei gruppi non mussulmani, la loro esistenza sotto gli ottomani fu sempre compromessa.
Quando nel 1885 gli yazidi furono obbligati dall’Impero a versare esose tasse, questi si ribellarono determinando un nuovo firmān. In questa occasione tutti furono obbligati a convertirsi all’Islam e ogni loro territorio islamizzato, compreso il loro santuario di Lālīsh, che fu trasformato in una scuola islamica.
Con la caduta dell’Impero Ottomano, nell’Iraq sotto il mandato britannico la persecuzione termina, poiché la comunità yazida è riconosciuta nella propria specificità come parte della regione curda del Paese.
Grazie a un accordo sancito nel Memoriale di Sheikhan la comunità yazida è riappacificata all’interno, poiché scossa dalle lotte tra i vari capi clan.

Lamiya Aji Bashar e Nadia Murad, insignite del Premio Sacharov 2016

Lamiya Aji Bashar e Nadia Murad, insignite del Premio Sacharov 2016

Con l’indipendenza irachena tuttavia gli yazidi ritornano a essere emarginati e discriminati socialmente, culturalmente e politicamente sia in era monarchica sia repubblicana.
Nel 1968, quando il Partito Ba’th (1968) prende il potere statale, la condizione della comunità yazida peggiora ulteriormente, poiché è attuato il progetto di arabizzazione e islamizzazione dell’intero Stato. La distruzione di interi villaggi yazidi, causa per i superstiti alle uccisioni un grande esodo e la creazione di campi profughi. Una nuova grande persecuzione arriva tra il 1987 e il 1988 quando il presidente iracheno Saddam Hussein decide di classificarli definitivamente come arabi, falsando gli equilibri etnici delle importanti zone strategiche ed economiche del nord del Paese, completamente arabizzate e “irachenizzate” dal dittatore. Inizia così anche una diaspora europea della comunità yazida.
Nel vuoto di potere creatosi subito dopo la caduta del regime di Saddam Hussein (2003), il fondamentalismo islamico di Tanzim al-Qa’ida imbocca una campagna d’odio contro gli yazidi, tale da mettere a rischio la sopravvivenza stessa della loro comunità. La distruzione della comunità yazida è sia propagandata attraverso volantini, in cui si promettevano premi divini a chi uccideva gli “adoratori del diavolo”, sia ufficializzata attraverso una fatwa che chiedeva di sterminare i maschi della comunità e schiavizzare le loro donne. Ritorna il movente religioso nello sterminio degli yazidi, restando anche quello economico e politico.
Iniziano così una serie di attentati che decimano la comunità yazida. Tra questi quelli in serie del 14 agosto del 2007, quando quattro attacchi suicidi coordinati fra loro uccidono 796 yazidi e ne feriscono 1.562 a Kahtaniya e Jazeera, nella provincia di Niniveh.
Con la comparsa dell’ISIS la comunità yazida diventa uno dei target più ambiti dei miliziani del neonato Stato Islamico (al-Dawla al-Islāmiyya). È il 74° grande firmān, che inizia appena due mesi dopo la proclamazione del califfato avvenuta nell’agosto del 2014.
La strategia del califfato ha previsto l’uccisione degli yazidi più refrattari alla conversione all’Islam, la cattura e il conseguente “rinnovamento” all’Islam e alla causa dello Stato Islamico dei maschi più arrendevoli, specialmente dei bambini, la schiavizzazione, soprattutto sessuale, delle donne dai nove anni in su. Se l’uccisone in massa dei maschi è utilizzata sia come strategia militare degli jihadisti sia per cancellare il presente del gruppo, la schiavizzazione delle loro donne è servita per distruggere irrimediabilmente il futuro della comunità dell’Angelo Pavone.
Vian Dakhil, parlamentare yazida del Partito Democratico Curdo, in una seduta del Parlamento iracheno denuncia pubblicamente lo sterminio del suo popolo da parte dei miliziani dello Stato Islamico, rivolgendo un accorato appello alla comunità internazionale.
Il presidente statunitense Obama decide di intervenire portando in salvo gli yazidi che sono riusciti a mettersi in salvo sul monte Sinjar.
A rendere pubblico il dramma delle donne yazide, sono invece due giovani riuscite a scappare dallo schiavismo, Lamiya Aji Bashar e Nadia Murad, entrambe insignite dal Parlamento Europeo del Premio Sacharov 2016 per la Libertà di pensiero.
Nadia Murad riceve anche il Premio Nobel per la Pace nel 2018 per gli sforzi volti a porre fine all’uso della violenza sessuale come arma di guerra e conflitto armato (assieme alla Murad riceve il Premio anche Denis Mukwege, medico congolese che cura le numerose vittime della violenza sessuale nel suo Paese).
Nel novembre del 2015, combattenti yazidi, coadiuvati dalle milizie curde, sono riusciti a liberare il territorio del Sinjar dallo Stato Islamico.
Nel 2016, il Parlamento europeo e l’ONU classificano lo sterminio yazida del 2014 come genocidio.

Per saperne di più

G. FURLANI, Testi Religiosi dei Yezidi, Zanichelli, Bologna 1930.
A.D. SHEKHANI, Panorama of the mass destructive campaigns against Yezidiz, «Roj Journal», n. 6, 1998.
E. SPÄT, The Yezidis, Saqi Books, London 2005.
B. AÇIKYILDIZ, The Yezidis. The History of a Community, Culture and Religion, I.B. Tauris, London–New York 2010.
G.S. ASATRIAN, V. ARAKELOVA, The Religion of the Peacock Angel: The Yezidis and Their Spirit World, Routledge, New York 2014.
R. CONTE, Alcune considerazioni sulle origini dei Yazidi o Yezidi, «Rivista di Studi Indo-Mediterranei», 5, 2015, pp. 1-20.
G. FURLANI, Gli adoratori del pavone. I Yezidi: i testi sacri di una religione perseguitata, Jouvence, Milano 2016.
AA. VV., Yazidi Cultural Heirage Project, Università degli Studi di Udine e dall’Università degli Studi di Trieste https://www.yazidiculturalheritage.com/it/.
Yazidi Genocide, in «Yezidi Truth», http://www.yeziditruth.org/.