VITA DA BUROCRATE NELLA RSI

di Antonio M. Arrigoni -

Laute indennità, premi di produzione, assegni famigliari, alloggi e ristoranti gratuiti. Fu attraverso una serie di privilegi, capaci di garantire un elevato tenore di vita, che la Repubblica sociale italiana agevolò il trasferimento al nord di impiegati, funzionari di alto livello e magistrati indispensabili al funzionamento della sua macchina amministrativa.

Mussolini e un giovane milite della Gnr

Mussolini e un giovane milite della Gnr

La Repubblica sociale italiana si abbatté come un’onda di piena sulla sponda bresciana del Garda, tra l’ottobre e il novembre del 1943, depositando sul territorio una moltitudine proveniente da ogni dove, in specie dal centro-sud Italia. Francesco Barracu, sottosegretario di Stato e futuro ministro dell’Interno, con la tristemente nota circolare n. 25393 della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 14 ottobre 1943, fornì delle argomentazioni molto convincenti agli ancora indecisi impiegati del governo di Roma affinché prendessero la via del nord, verso la neonata Repubblica di Mussolini: “[…] i dipendenti dei vari uffici che […] si renderanno irreperibili, prima o al momento della partenza, saranno passibili […] delle seguenti misure: arresto immediato; dimissioni d’ufficio […]; segnalazione alle autorità di polizia tedesca per l’arresto dopo la partenza del Governo o per le rappresaglie sugli averi o sulla famiglia, in caso di persistente irreperibilità del disertore”. Un’offerta difficile da rifiutare. Non si usò solo il bastone, ma anche la carota, e piuttosto grassa, per convincere gli incerti. Molti i benefici per coloro che scelsero di obbedire: mensilità anticipate, laute liquidazioni, premi di produttività, alloggi e mense gratuiti, promozioni sul campo. Lo Stato, si sa, non può vivere senza burocrazia, e questa non la si poteva formare professionalmente in una manciata di giorni. Bisognava quindi accaparrarsela con le minacce ma anche coprendola d’oro, per quanto possibile, al fine di non vedere sgretolato sul nascere il nuovo soggetto statuale.

I civil servants, infatti, non se la passavano poi tanto male, rispetto alla moltitudine, in quel frangente di guerra. In una nota del febbraio 1944, emessa dal Ministero delle Finanze della Rsi, si specifica che “il personale civile trasferito nelle nuove sedi del Governo dell’Italia Settentrionale” ha diritto, oltre allo stipendio anticipato, ad una “doppia indennità di missione”, fissata in due mensilità, con “decorrenza la data di dipartenza per la nuova sede dell’impiegato trasferito”; il “vitto e alloggio gratuiti […] in aggiunta alla doppia indennità di missione” per sé e per i membri della famiglia dell’impiegato; nonché un “contributo mensile speciale [per] vitto e alloggio per le persone di famiglia, fissato in 500 lire per ogni membro fino al terzo, e di 400 lire per ogni membro oltre il terzo”. Nel computo dei membri veniva ovviamente escluso l’impiegato stesso ma veniva invece incluso anche l’eventuale personale di servizio. Al malcapitato impiegato, veniva anche riconosciuta un’indennità mensile per il mobilio che costui avrebbe dovuto eventualmente noleggiare. La circolare del ministro Pellegrini lasciava poi ampio margine per ulteriori incentivi e riconoscimenti economici, commisurati al grado ricoperto nella amministrazione pubblica, che avrebbero tuttavia necessitato di “solide e motivate pezze giustificative”. Qualora invece l’impiegato non avesse portato con sé la famiglia – proseguiva la nota – sarebbero state “corrisposte quattro mensilità di stipendio da conservare – lugubre presagio – per la deprecata evenienza che non abbia comunque a potersi continuare la corresponsione della quota mensile”.

Ma a quanto ammontavano le entrate, nel febbraio del 1944, della famiglia di un funzionario statale di medio livello con due figli a carico al seguito della Rsi? Da uno studio (ACS, RSI, , CR, b. 63, “Specchio comparativo fra gli assegni mensili netti percepiti dai funzionari civili dei ministeri del gruppo A, ed i corrispondenti militari delle forze armate”) dell’allora Presidenza del consiglio dei ministri, si apprende che le voci che componevano lo stipendio del burocrate erano le seguenti:

- stipendio di servizio comprensivo di assegni famigliari e assegni temporanei di guerra     lire 2224
- doppia indennità di missione                                                                                                                 2996
- assegno speciale viveri                                                                                                                             1500
- premio operosità ed integrazione                                                                                                           854
- anticipazione mensile per premi semestrali                                                                                         149
- anticipazione mensile per 5 gratifiche (festività)                                                                                 367
Totale                                                                                                                                                    lire 8090

Un’entrata di tutto rispetto, che garantiva un tenore di vita decisamente fuori dal comune, soprattutto se si pensa che il salario medio di un operaio si aggirava, nelle migliori delle ipotesi, attorno alle 1200 lire, mentre un tenente dell’esercito, omologo, per grado, del dipendente pubblico preso ad esempio, percepiva, tra premi e indennità varie, 3030 lire al mese. Poco meno di un decennio prima si cantava “se potessi avere mille lire al mese”.

Rsi1La retribuzione dello statale diventa ancora più apprezzabile se paragonata al costo della vita stimato nel febbraio 1944, quale risulta dal prospetto qui a sinistra, che riporta la spesa media unitaria mensile per generi alimentari, secondo una comparazione messa a punto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica sociale italiana.Rsi2
A questi indicatori, è possibile affiancare un altro parametro, sempre di provenienza governativa, visibile nella tabella qui a destra: sono riportate le spese medie unitarie annuali per “generi di abbigliamento”, suddivise per uomo, donna e ragazzo.
A tali stime, a dir poco generose, al limite dell’ingenuità, espresse dagli uffici studi dei vertici dello Stato, e utilizzate per definire la congruità degli assegni famigliari erogati alla famiglia media “ministeriale”, venivano affiancati altri indicatori, come il costo medio unitario delle spese mensili:

Spese                                                                      Costo medio unitario mensile
- per alimentazione                                                                       lire 1196
- per abbigliamento                                                                               594
- per fitto di casa                                                                                    150
- per riscaldamento                                                                                  20
- per acqua, luce e gas                                                                             40
- di trasporto                                                                                             60
- per domestica                                                                                      150
- varie e voluttuarie (studi, tasse, riparazioni indumenti,
generi da toeletta, postali, libri, giornali, rinnovo stoviglie, ecc.)     350
Totale                                                                                             lire 2560

Una stima che a prima vista lascia intravvedere la poca sensibilità di chi l’ha redatta, il quale probabilmente non aveva compiutamente il polso della situazione del paese reale, bensì prospettava livelli di consumo e di benessere (quanti potevano permettersi una domestica o l’acquisto regolare di libri e giornali?) quasi senza riscontro.

Soldati della Rsi

Soldati della Rsi

Tuttavia, ad una lettura più attenta e più maliziosa, si scorge che in cima alla classifica dei migliori stipendi pubblici, c’era chi poteva permettersi – e come – gli agi considerati dallo studio come necessari alla famiglia del funzionario. Se infatti il caso preso ad esempio è relativo all’“ufficiale di truppa” della pubblica amministrazione, ben diverso era il tenore dello stipendio di un alto funzionario statale, come poteva essere un magistrato o un prefetto di prima classe (a Cremona, al seguito della sola Corte dei Corti, nell’ottobre del 1943, sbarcano 45 magistrati e oltre 60 funzionari di alto livello). Un funzionario di 3° grado, infatti, con moglie e due figli, portava a casa uno stipendio di 19 231 lire, e il suo omologo nell’esercito, cioè un generale di corpo d’armata, poteva contare su un’entra di 18 740 lire. Era la guerra, tuttavia, e forse più ancora la necessità della Rsi di ingolosire l’establishment burocratico affinché sposassero le sorti del regime, a far levitare le paghe. In tempo di pace, invero, e al netto di tutti gli incentivi, lo stipendio era ben ridimensionato: 6079 lire per il funzionario, e 2400 per il “povero” generale.
Ma i benefits per l’amministrazione pubblica non si limitavano alla grassa busta paga. Molto apprezzati e ricercati erano i pasti pagati a piè di lista presso la miriade di trattorie, ristoranti, alberghi requisiti dal regime e trasformati in mense dedicate ai dipendenti pubblici. Un piatto ghiotto quello dei rimborsi per il vitto, e che fa gola a molti, specie in tempo di ferrei razionamenti alimentari e di mercato nero, tanto che sui ministeri piovono note spese quasi immaginifiche, con relativi solleciti di pagamento degli esercenti, da parte di burocrati con al seguito famiglie stranamente numerose e – ovviamente – fameliche. Il fenomeno arriva a prendere una piega a dir poco sospetta che spinge la Presidenza del Consiglio a richiedere uno studio per conoscere quale sia il costo medio di un pasto presso una comune trattoria del nord Italia, e quali siano le voci di spesa che lo compongono:

Generi                                                                               Costo a pranzo
Generi da minestra gr. 130 (a lit. 4.50 di media)          lire  0.60
Condimenti (gr. 10) e pane (gr. 100, a 0.50 lire)                   1.50
Secondo piatto: carne gr. 70 (gr. 100 con osso)                 10
Contorno                                                                                   2
Valore del pranzo                                                            lire 14.10

Generi                                                                                Costo a cena
Generi da minestra gr. 100 (a lit. 4.50 di media)          lire   0.45
Secondo piatto: costo medio                                                 11
(verdure sole, lire 5)
(verdure con 50 gr di formaggio, lire 7)
(verdure con un uovo o carne, lire 12)
(verdure con pesce, lire 20)
Condimenti e pane                                                                   1.55
Valore della cena                                                             lire 13

Lo studio prendeva in considerazioni anche il caso di maggiorazioni del costo, a seconda dell’aumentare della quantità consumata e del livello dell’esercizio scelto dal dipendente:

Generi                                                                    Costo maggiorazione pranzo
Generi da minestra (gr. da 130 a 200)
(per lire 15 di media)                                             lire 1.05
Condimenti (da gr. 10 a gr. 15)
(per lire 350)                                                                 1.75
Carne (da gr. 70 netti a gr. 100)
(per lire 120)                                                                 3.60
Valore della maggiorazione per pranzo             lire 6.40

Generi                                                                     Costo maggiorazione cena
Condimenti (da gr. 10 a gr. 15)
(per lire 350)                                                           lire 1.05
Secondo piatto, miglioria media                                 4.50
Valore della maggiorazione per cena                  lire 5.55

 “Concludendo – riportava lo studio – tenendo conto che il numero dei pranzi è superiore a quello delle cene, il costo medio di un pasto si aggira attorno alle lire 15. Apportandovi le maggiorazioni su indicate raggiungerà la media di lire 22. Ai prezzi indicati vanno aggiunte le segg. spese generali”, considerate nel caso in cui il singolo Ente pubblico decidesse di istituire una mensa in proprio (come, per esempio, il Ministero degli Esteri a Salò):

Vitto al personale che grava su ogni pasto                       lire 2.50
Salari al personale che grava su ogni pasto                            1.50
Combustibile che grava su ogni pasto                                     1.50
Luce e indst.le [sic] che grava su ogni pasto                           0.75
Tovagliolini e blocchetti pasto che grava su ogni pasto         0.25
Materiale per pulizie e varie che grava su ogni pasto            0.50
Totale                                                                                    lire 7

 Si andava a finire a un costo per pranzo stimato attorno alle 30 lire, che andavano liquidate all’impiegato pubblico per ogni pasto o cena consumata. Ciò non era poi così lontano dalla realtà, se si considerano i costi medi di un pranzo in albergo, come, per esempio, al “Primo Marzo” di Desenzano, ove abitualmente pranzavano i dipendenti di una sede staccata della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e dove il tal funzionario consumò, al 17 febbraio 1944, 84 pasti al costo di 21 lire ciascuno (ai quali vanno aggiunte 4 lire a pasto per il vino, alimento non considerato nel computo sopra indicato).

ManifestoCerto, non era tutto rose e fiori, come in apparenza può sembrare. L’inflazione, specie in periodo di guerra, non è da sottovalutare come fattore di erosione del potere di acquisto: se consideriamo la base 100 nel 1938, nel 1945 si arriva a 2400. A questa si aggiunge il vero flagello delle classi medie, in particolare di coloro che possono fare affidamento solo sullo stipendio: il mercato nero. L’estrema scarsità di generi alimentari – acquistabili con la normale tessera annonaria – costringe i più a rivolgersi al borsaro nero, il quale pratica prezzi da capogiro, in particolare alle famiglie benestanti appena arrivate da Roma.
Da Sirmione a Riva del Garda, infatti, i soli dipendenti ministeriali – secondo stime ufficiali – che dall’ottobre al novembre/dicembre 1943 si spostano sulle rive del Garda, sono 15 144, ai quali vanno aggiunti i rispettivi famigliari (e affini, in molti casi più numerosi ancora). Ad essi è necessario sommare, inoltre, tutta la fetta del parastato, che in un regime che si “prendeva cura” del cittadino “dalla culla alla tomba”, era piuttosto consistente. Un numero ragguardevole di dipendenti pubblici, di Enti e di Ministeri, quindi, che crea non poche difficoltà ricettive per i piccoli paesi destinati a ospitare la marea ministeriale. Tanto che il prefetto di Brescia si decise a trasmettere al sottosegretario Barracu, presso la Presidenza del Consiglio, la richiesta di bloccare il flusso migratorio verso la provincia bresciana, non più in grado di assorbire immigrati, così come risulta da una missiva del febbraio 1944: “[…] mi viene fatta presente la sempre più difficile situazione che và [sic] creandosi in Brescia e provincia per il continuo affluire di Enti, Statali e Parastatali, comportante l’aumento progressivo della popolazione. […] sia dal punto di vista degli alloggi, sia dal punto di vista alimentare, l’afflusso di tanti nuovi elementi crea un campo […] adatto per l’incrudirsi del mercato nero nei vari suoi aspetti. Si può dire che […] nella provincia di Brescia si sia giunti alla congestione e quindi […] si prospetta urgente la necessità che altri non abbiano ad unirsi per aumentare il notevole disagio”.

La guerra porta con sé il razionamento di ogni genere, sia alimentare che di consumo. Nei territori che ospitarono le nuove sedi governative, la situazione si inasprisce vieppiù. Per gli usi ministeriali e di servizio vengono razziati automobili, motociclette, copertoni, benzina; ma anche, e soprattutto le case, nella maggior parte dei casi occupate, unitamente ai beni d’arredo, dalle lenzuola alle stoviglie.
Le requisizioni sono indiscriminate e a tappeto: si sequestrano vie intere, oppure quartieri, ma anche tutti gli alberghi, ristoranti, trattorie o stamberghe che siano. La macchina burocratica ha fame di ogni spazio disponibile.
La quotidianità di chi viveva serenamente (per quanto possibile) in una casa di proprietà, viene stravolta – in male, ma anche, sotto certi punti di vista, in bene – dall’arrivo degli “statali”. Perché non bastava requisire l’immobile, spesso all’inquilino viene chiesto di prestare servizio domestico per i nuovi occupanti. Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, allora a Desenzano, si insedia, fin dall’ottobre 1943, e in modo permanente, una “Commissione per la determinazione del canone d’affitto dei locali occupati da funzionari e impiegati dello Stato” (la composizione era mista e a ciascun membro veniva riconosciuto un gettone di 100 lire a seduta). La Commissione sarà al centro di vere e proprie guerre tra cittadini e pubblica amministrazione. Si stabiliscono, per esempio, “tre categorie di locali, a seconda del loro stato e del loro grado di abitabilità e, se ammobiliati, dalla qualità e stato del mobilio e dalla prestazione o meno del servizio domestico da parte del locatore”. Il canone, per ogni locale vuoto, variava da 60 alle 100; mentre per quelli ammobiliati si andava dalle 150 alle 400 lire. Per gli alberghi invece, la Commissione “decide di stabilire il prezzo giornaliero di occupazione applicando la riduzione del 20% sul prezzo che competerebbe secondo la tariffa della stagione bassa […] comprensivo del servizio e della normale fornitura di luce”. Non proprio un affare per gli albergatori, i quali non potevano opporsi alla requisizione, pena la trasformazione della stessa in esproprio.

Un posto di controllo tedesco nei pressi di Milano, 1944

Un posto di controllo tedesco nei pressi di Milano, 1944

Non furono solo i civil servants a fare armi e bagagli. Dopo l’8 di settembre 1943 transitarono sul lago di Garda, e in modo massiccio, anche i soldati della Wehrmacht, fino a quel momento poco presenti nel territorio dell’alta Italia. E assieme a loro, a Repubblica costituita, arrivarono numerosi cittadini tedeschi, con famiglie al seguito, impiegati tra ambasciata, corpi di polizia ausiliaria, tribunali militari, organismi governativi, organizzazione Todt e presidi militari territoriali. Ma non finiva qua: torme di sfollati dalle città bombardate provenienti dal centro-nord Italia; giuliano-dalmati in fuga dalla furia titina; migliaia di prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento i cui cancelli si aprirono dopo l’armistizio; renitenti alla leva e disertori che si imboscavano in ogni dove; spie e contro spie di ogni nazionalità; e last but not least, tutto il fiorire di bande e formazioni regolari fasciste repubblicane che solcavano il territorio dell’Italia del Nord in lungo e in largo a caccia di “ribelli” o per compiti di presidio territoriale.
Il Governo ebbe un bel da fare a requisire edifici pubblici e privati per sistemare questo e quel funzionario, adibire mense, aprire uffici e sedi staccate di Ministeri, piazzare corpi di guardia, presidi militari, approntare caserme, e il mercato locale degli immobili e della ristorazione – e in generale quello alimentare – non conobbero – sempre in termini relativi si intende – crisi alcuna.

 

 

Unità archivistiche consultate:
Archivio Centrale dello Stato, RSI, MI, DGAGP, Misc., b. 42
Archivio Centrale dello Stato, RSI, SPD, CR, b. 63
Archivio Centrale dello Stato, RSI, SPD, CR, b. 27