VICENDE ITALIANE E CAMMINO ECCLESIALE DI PAPA BENEDETTO XV

di Pier Luigi Guiducci -

Eletto pontefice  poche settimane dopo l’inizio della Prima guerra mondiale, Benedetto XV orientò la sua azione verso alcuni obiettivi: cercare di non far estendere  il conflitto, presentare delle soluzioni alternative al perdurare delle ostilità, sostenere le azioni umanitarie. In seguito il suo pontificato si mosse nel solco del nuovo secolo, con una percezione talvolta profetica e sempre “moderna” della realtà.

Giacomo Della Chiesa, nato il 21 novembre del 1854 a Pegli (Genova), allora Comune autonomo, appartenne a una famiglia nobile, cattolica, rispettosa di Casa Savoia. Nel 1875 si laureò in giurisprudenza (Regia Università di Genova). Studiò poi teologia a Roma (Università Gregoriana). Risiedeva nel Seminario Capranica. Ordinato sacerdote (21 dicembre 1878), si specializzò in diritto internazionale alla Pontifica Accademia dei nobili ecclesiastici. Entrò, infine, a far parte del personale della Segreteria di Stato vaticana. 

La gioventù cattolica in cammino…

Nel 1867 cominciò a muovere i primi passi in Italia, per iniziativa del bolognese Giovanni Acquaderni (1839-1922) e del viterbese Mario Fani (1845-1869), la Società della Gioventù Italiana[1]. Tale organismo fu promosso per difendere i diritti della Santa Sede nei primi anni della “Questione romana” (in un clima largamente anticlericale), e per realizzare una nuova forma di laicato cattolico capace di andare oltre la pratica religiosa delle antiche confraternite.

Nasce la Società della Gioventù Italiana (1867)
La Società della Gioventù Cattolica ricevette l’approvazione di Pio IX (beato, 1846-1878)[2] il 2 maggio 1868 con il Breve Dum filii Belial, e si diffuse in modo rapido nella penisola. Nell’arco di alcuni anni tale organismo sostenne la costituzione dell’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici (1876)[3]. L’Opera, in un periodo di circa trent’anni, organizzò la vita sociale e politica dei cattolici. In seguito, dopo la soppressione voluta da Pio X (santo, 1903-1914)[4], lo stesso Papa affidò anche a mons. Della Chiesa il compito di preparare lo statuto delle Unioni nazionali cattoliche:
- l’Unione Popolare Cattolica Italiana (1906-1922) detta più brevemente Unione Popolare, sul modello della Volksverein tedesca. Istituzione di carattere generale, destinata a raccogliere i cattolici di tutte le classi sociali, ma specialmente le grandi moltitudini del popolo intorno ad un solo centro comune di dottrina, di propaganda e di organizzazione sociale. La sua attività ebbe inizio con la costituzione a Firenze dell’Ufficio centrale, di cui assunse la presidenza Giuseppe Toniolo (beato, 1845-1918);
- l’Unione Economica Sociale dei Cattolici Italiani (1906-1919) derivata direttamente dalla II Sezione permanente, che mantenne alla direzione Stanislao Medolago Albani (1851-1921);
- l’Unione Elettorale Cattolica Italiana (1906-1919)[5]. Pio X ne nominò presidente (1909) Vincenzo Ottorino Gentiloni (1865-1916)[6] , affinché organizzasse la partecipazione dei cattolici italiani alla vita politica, pur ubbidendo alla direttiva di non formare un vero partito.
L’Unione Popolare, quella Economica Sociale, e quella Elettorale, cominciarono a operare nel 1906[7].

Unificazione italiana.“Questione Romana”(post 1870)
Dopo il 1870, la questione del potere temporale pontificio rimase insoluta. L’unificazione italiana, anche se appariva fragile, non venne rimessa in discussione dalle potenze europee, neanche da quelle che si dichiaravano sensibili alle “ragioni” del papato (le cattoliche Austria, Spagna e Francia). Da parte austriaca, ciò risultò evidente con la firma a Vienna del Trattato della Triplice Alleanza (1882) che implicò anche una presa d’ atto della legge delle guarentigie (1871). La “Questione romana” fu considerata un fatto interno del Regno d’ Italia[8].

Elezione di Leone XIII (1878)
Alla morte di Pio IX (beato, 1792-1878)[9], fu eletto Leone XIII (1878-1903)[10]. La scelta del nome Leone (in omaggio a  Leone XII[11], ammirato dal nuovo Pontefice) fu un primo segno innovativo. Era, infatti, intenzione del Papa modificare l’orientamento della politica pontificia. Si trattava di affrontare un periodo storico ove una progressiva laicizzazione della società poneva problemi non marginali. In tale contesto, non mancarono pure delle tensioni (anche gravi) tra la Santa Sede e alcuni governi. Al riguardo, il Pontefice dimostrò di preferire un’opera di mediazione tra le istanze legate alla modernità e la precedente linea di Pio IX. Mantenne comunque un’opposizione alle scelte del Regno d’Italia inerenti i rapporti Stato-Chiesa, e confermò il Non expedit. I fedeli continuarono, quindi, a non partecipare alla vita politica italiana (in generale) e alle consultazioni elettorali (in particolare).

Della Chiesa nel mondo ecclesiastico (1881-1887)
Nel 1881, Giacomo Della Chiesa ebbe modo di incontrare per la prima volta mons. Mariano Rampolla del Tindaro[12]. Quest’ultimo, Segretario della Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari, gli assegnò nel 1882 l’ufficio di suo segretario. Nel febbraio del 1883 il Rampolla fu inviato come nunzio apostolico in Spagna. Accanto ebbe Della Chiesa. In tale contesto, l’esperienza madrilena realizzata da quest’ultimo si rivelò positiva. Conobbe realtà locali e aspetti nodali. Si pensi, ad esempio, a taluni fatti di corruzione; al decesso per tbc del re Alfonso XII di Borbone (1857-1885) appena tre giorni prima del suo 28°compleanno; al lungo periodo di reggenza[13]; al terremoto del 1884 (Leone XIII intervenne con una donazione di 40 mila pesetas); all’epidemia di colera… Nel frattempo, imparata la lingua spagnola, mons. Della Chiesa poté dedicarsi anche alla predicazione e alle confessioni.

Rampolla è richiamato a Roma (1887)
Nel 1887 Rampolla fu creato cardinale. Dovette raggiungere Roma. L’attendeva il nuovo ruolo di Segretario di Stato. Tra le prime decisioni ci fu quella di affiancarsi il giovane minutante mons. Della Chiesa. Quest’ultimo, collaborò nell’Urbe anche con il parroco della chiesa di Sant’Eustachio e fu insegnante di religione nell’Istituto alla Trinità dei Monti, delle Dames du Sacré-Coeur. Nello stesso anno, entrò a far parte dell’Associazione per l’adorazione notturna dell’Eucarestia. Seguì questo gruppo di fedeli fino al 1907[14]. Predicò esercizi spirituali per i giovani e fu pure chiamato da alcune parrocchie per omelie domenicali.

Chiesa e mondo contemporaneo (1887)
In quel periodo, era particolarmente vivo nel mondo cattolico, un dibattito (abate Tosti[15], mons. Bonomelli[16], in seguito mons. Scalabrini[17], mons. Nazari[18]…) sul ruolo della Chiesa nel mondo contemporaneo. Si trattava di un tema che affrontava situazioni quali la “Questione Romana”, l’autonomia della Santa Sede, la partecipazione del laicato cattolico alla vita politica. Con riferimento a tali argomenti non mancarono contrapposizioni e polemiche. Per questo motivo, nel luglio del 1887, il Rampolla inviò monsignor Della Chiesa in alcune diocesi italiane per delle consultazioni mirate a comprendere le posizioni emergenti[19]. In seguito, gli chiese pure di incontrare a Parigi il politico Émile Flourens (1841-1920)[20].
“Si affermava in Francia la linea politica del ralliement, che portava i cattolici a schierarsi a favore della repubblica e che il card. Rampolla auspicava, perché permetteva di trovare un appoggio politico alternativo al condizionamento del giurisdizionalismo del Kulturkampf che aveva nutrito politicamente la lotta per la cultura, nell’intento di costringere la Chiesa ad accettare il ruolo di strumento politico. Nel 1888 e nell’anno successivo, mons. Della Chiesa era inviato a Vienna per trattare l’orientamento politico dei cristiano-sociali austriaci”[21].
Il 29 luglio del 1887 morì Agostino Depretis (1813-1887), presidente del Consiglio dei ministri del regno d’Italia. Al suo posto subentrò Francesco Crispi (1818-1901). Quest’ultimo, fu anche titolare dei ministeri degli Esteri e dell’Interno. Alla politica italiana venne impressa una linea espansionistica all’estero. Il fatto fu motivo di forti tensioni con la Francia. Il Paese si trovò coinvolto nella spedizione etiopica (1895), conclusasi con la sconfitta di Adua (1896)[22].

Morte del padre (1888)
Nel 1888 Giacomo rimase orfano del padre, il marchese Giuseppe Della Chiesa (da tempo malato). La madre (Giovanna Migliorati) decise di trasferirsi a Roma per aiutare il figlio.

La Rerum Novarum (1891)
Il 15 maggio del 1891 Leone XIII promulgò la Rerum Novarum[23]. L’Enciclica conteneva dei punti-chiave: continuò ad essere valutata in negativo la dottrina del socialismo (disapprovata la lotta di classe); si ritennero valide le rivendicazioni del proletariato mirate a superare palesi ingiustizie; la proprietà privata (libertà della persona e della famiglia, con piccola dimensione sociale) trovò sostegno; si affermò il principio di sussidiarietà dell’intervento statale; venne valutato in positivo il diritto all’associazione sindacale; fu sottolineato il fatto che il salario doveva assicurare un giusto sostentamento). A differenza di quanto scritto da taluni autori, l’impegno sociale della Chiesa non ebbe inizio a seguito di questo atto del Magistero. Già nei decenni precedenti, in diverse Chiese locali (italiane ed estere), erano state sperimentate nuove iniziative mirate a riequilibrare i duri svantaggi economici di molte popolazioni[24].

L’incarico di Sostituto (1901)
Dopo aver svolto per quattordici anni funzioni di minutante, Della Chiesa divenne (aprile 1901) sostituto alla Segreteria di Stato per gli Affari Ordinari. Dopo nemmeno un anno da questa nomina, Leone XIII pensò di inviarlo a Genova, nella sua città natale, come arcivescovo. Della Chiesa reclinò rispettosamente l’invito. Perché? Probabilmente il Rampolla non volle privarsi del suo collaboratore (e intervenne in merito)[25]. Forse, lo stesso Giacomo ritenne di essere più libero di muoversi in nuovi ambienti[26].

Muore Leone XIII (1903)
Il 20 luglio del 1903 morì Leone XIII. Aveva novant’anni. Al conclave, Rampolla era ritenuto un candidato favorito da diversi consensi. L’Austria, però, pose il veto[27]. Venne così eletto il cardinale di Venezia, Giuseppe Sarto[28] che scelse il nome di Pio X (cit.)[29]. Il nuovo Segretario di Stato fu il cardinale Rafael Merry del Val (servo di Dio, 1865-1930)[30].

Gli anni romani in Segreteria di Stato
Nel 1904 morì a Pegli la madre di Della Chiesa. L’avvenimento segnò un’ora dolorosa per il figlio ma fu un fatto posto ai margini dai biografi. Pure sugli anni romani in Segreteria di Stato non si trovano molti dettagli riguardanti il lavoro svolto da mons. Della Chiesa. Forse, in taluni autori influirono dei convincimenti personali non vicini alla linea di Pio X (e di Merry del Val). Un tale orientamento, di conseguenza, coinvolse anche quanti operarono in Segreteria di Stato.

La questione francese (1905)
In questo periodo, le relazioni della Santa Sede con la Francia subirono un’accentuata incrinatura. È facile pensare al rammarico di Della Chiesa. Già nei giorni 29 e 30 marzo del 1880 erano stati emanati provvedimenti antireligiosi. I Gesuiti furono espulsi dal Paese. In seguito (1° luglio 1901), le associazioni religiose subirono un diretto controllo dello Stato. Il presidente del Consiglio, Émile Combes (1835-1921)[31], con la legge del 7 luglio 1904, abrogò il diritto all’insegnamento degli ordini religiosi. L’anno successivo, il 9 dicembre 1905, venne promulgata la legge sulla separazione della Chiesa dallo Stato. Davanti a tale situazione Pio X ritenne necessario preparare una risposta segnata da una ferma posizione (pur in presenza di un diverso orientamento dei vescovi francesi). Nel 1906, il Papa, con l’Enciclica Vehementer Nos (11 febbraio)[32], con l’allocuzione concistoriale Gravissimum (21 febbraio) e con l’Enciclica Gravissimo Officii Munere (10 agosto)[33], proibì ogni iniziativa cattolica intesa ad applicare la nuova legge francese. Il fatto compromise l’istituzione delle associations cultuelles (previste dalla normativa), che avrebbero dovuto ricevere il patrimonio della Chiesa. Da qui la decisione del governo francese di incamerare i beni immobili ecclesiastici[34].

La situazione in altre nazioni (1911)
Anche con altri Paesi si registrarono dei momenti difficili. Ad esempio, in Portogallo, alcuni politici riuscirono ad arrivare al potere con un programma duramente ostile alla Chiesa. Ebbero allora inizio vari attacchi contro chiese e conventi. Si arrivò alla soppressione di istituzioni cattoliche, all’espulsione di religiosi, alla confisca di beni, all’abolizione dell’insegnamento religioso nelle scuole, a duri condizionamenti nella vita dei seminari. Venne infine approvata la legge di separazione tra lo Stato e la Chiesa (20 aprile 1911). La risposta di Pio X si concretizzò con l’Enciclica Iamdudum in Lusitania (24 maggio 1911)[35].

Modernismo. Sodalitium Pianum
Nel contesto descritto, i passi compiuti dalla Santa Sede dovettero tener conto anche di alcuni movimenti di pensiero che – nelle loro espressioni più radicali – recavano disorientamento nei fedeli. Nelle vicende del modernismo[36], ad esempio, si ritrovano una gamma di posizioni tra loro molto diverse. Da semplici proposte di rinnovamento ecclesiale si passava anche ad affermazioni non in sintonìa con il depositum
fidei. Con riferimento a quest’ultima situazione, sulla base dei rapporti ricevuti e dei pareri acquisiti, Pio X condannò[37] il modernismo, e – in particolare – l’agnosticismo e l’immanentismo, un’errata concezione dell’evoluzione dei dogmi, l’uso del metodo storico-critico nell’esegesi, la riforma della struttura della Chiesa e la critica alla neoscolastica.
Unitamente a ciò, con una iniziativa “dalla base”, si costituì nel 1909 il Sodalitium Pianum. Questo organismo si assunse il compito di individuare l’eterodossia modernista nella Chiesa e di neutralizzarla. L’associazione, presieduta da mons. Umberto Benigni (1862-1934)[38], si insediò al di fuori dei palazzi della Santa Sede. Nel tempo mostrò una linea intransigente. Sui metodi utilizzati (es. l’uso abituale di informative segrete) l’attuale giudizio degli storici rimane severo. In tale contesto, Pio X, ricco di una precedente esperienza pastorale, non esitò ad approvare quanto poteva difendere la dottrina cattolica. Oggi, si rimane dell’avviso che, probabilmente, ottenne dal Sodalitium delle informative parziali. Inoltre, taluni collaboratori si dimostrarono non adatti a sviluppare delle analisi critiche. Davanti a tale situazione, Gasparri e Della Chiesa non si affiancarono all’azione antimodernista di quel periodo. Nel dicembre del 1907 ricevettero un incarico per il quale lasciarono la Segreteria di Stato[39].

Della Chiesa nunzio a Madrid?
Il 4 ottobre del 1907, apparve su Il Messaggero, un quotidiano romano, un breve scritto in cui si faceva riferimento a un presunto decreto della Santa Sede di nomina di mons. Della Chiesa a nunzio a Madrid. L’informativa era infondata. Rimane comunque un segno della popolarità di mons. Della Chiesa, ritenuto – evidentemente – adatto a quell’incarico.

Il Papa lo vuole a Bologna
Le reali intenzioni del Papa erano altre. Assegnarlo a Bologna. Questa città era stata seconda per importanza nello Stato Pontificio. Su tale vicenda esiste un libretto di un frate cappuccino, Filippo Da Tavola (1903-1985). Il religioso riferisce in merito al colloquio intercorso tra Della Chiesa e Pio X[40]. Nel testo si ricorda anche la posizione di alcuni giornali che interpretavano l’allontanamento di mons. Della Chiesa come una disapprovazione “dei superiori” di alcune sue idee. Malgrado la smentita dell’A., il fatto lascerebbe pensare a qualche non sintonìa.

Arcivescovo di Bologna (1907)
A Bologna, l’impegno pastorale del nuovo arcivescovo si attuò dal 18 dicembre 1907 al 3 settembre del 1914[41]. In tale periodo ebbe l’opportunità di ampliare la propria esperienza ecclesiale visitando parrocchie (le raggiunse tutte in quattro anni) e incontrando persone. Nella sua prima omelia, manifestò l’intenzione di imitare il Buon Pastore. Rispondendo a chi lo aveva già definito “prossimo nunzio”, dichiarò la sua preferenza per la vita pastorale, verso la quale si sentiva da sempre attratto. Gli anni trascorsi a Bologna come arcivescovo furono caratterizzati da un’intensa attività. Si alzava alle 5, si coricava alle 23. La preghiera aveva un posto centrale. Si dimostrò un amministratore preciso. Mantenne un alto numero di contatti epistolari. Manifestò una visione mentale aperta. Gli venne riconosciuta capacità di ascolto e sensibilità culturale. Leggeva i giornali ogni giorno. S’interessava della situazione internazionale. Mantenne contatti corretti con le autorità, al punto che fu sospettato di modernismo. Dimostrò contrarietà verso gli atteggiamenti integralisti. La sua permanenza a Bologna fu anche caratterizzata da: attenzione per l’istruzione religiosa dei fedeli; interventi in materia di formazione catechistica (coinvolgendo i genitori); sostegno alla diffusione della stampa cattolica; preoccupazione per la preparazione del clero (insistendo sull’importanza della vita spirituale); attenzione alle vicende politiche del tempo; investimenti economici per la costruzione del seminario regionale della Romagna. Tale realtà è stata così riassunta dal Falconi: “Nel ritiro di Bologna, insomma, il Della Chiesa non aveva dimostrato soltanto di saper essere altrettanto buon pastore d’anime che abile diplomatico, ma anche di aver un carattere e un sicuro dominio di sé, un equilibrio che lo faceva rifuggire da ogni estremismo ed una non meno ammirevole capacità di neutralizzare le avversità, oltre, s’intende, alla solita lucidità e chiaroveggenza che lo avevano fatto apprezzare nella sua lunga permanenza in Segreteria di Stato”[42].

La creazione a cardinale (1914)
Il 25 maggio del 1914 Della Chiesa fu creato cardinale. Tale decisione aveva subìto dei rinvii perché qualcuno lo sospettava di idee moderniste. Esiste un riscontro in merito. Dopo la sua elezione a Papa, fu trovata negli atti di Pio X, una denuncia di modernismo contro Della Chiesa. Probabilmente, fu per questo motivo che egli sentì l’esigenza di rassicurare i cardinali nel settembre del 1914: egli non era un modernista.

La fisicità di Della Chiesa: un impedimento?
Con riferimento al periodo in esame, e osservando la lenta progressione di incarichi assegnati a mons. Della Chiesa, si è voluto indicare come possibile ostacolo anche l’aspetto fisico non gradevole. Ad esempio, un contemporaneo, il cardinale di Boston William O’Connell (1859-1944), rimase colpito dalla sua mancanza di attrattiva fisica: “Sarebbe potuto passare inosservato, per la mancanza di imponenza fisica, la sua figura era anzi in certa misura spigolosa e camminava con una sorta di zoppia. Il suo colorito era giallastro e la sua testa, generalmente inclinata da un lato, non dava alcuna indicazione del cervello molto fertile al suo interno”[43].
Tale fatto è confermato anche da un’altra fonte, Francis MacNutt (1863-1927), che era in contatto con mons. Della Chiesa (era stato suo collega presso l’Accademia dei Nobili): “Era di statura inferiore alla media, di aspetto giallognolo, come un malato di bile; aveva una massa impenetrabile di capelli neri, denti sporgenti e tutto in lui era ricurvo: naso, bocca, occhi e spalle – tutto era privo di disegno. Nonostante questi difetti, il suo incedere era dignitoso, le sue maniere cortesi, benché un po’ asciutte, e non poteva essere scambiato per altro da quel che era: un gentiluomo”[44].
Probabilmente il non rapido cursus ecclesiastico di mons. Della Chiesa fu legato, in realtà, a molteplici fattori: dinamiche curiali, timidezza e riservatezza del monsignore et al.. Malgrado ciò, la creazione a cardinale avvenne in un momento significativo: tre mesi prima della morte di Pio X. Ciò gli permise di partecipare al conclave.

Il dramma di Sarajevo (1914)
Quasi due mesi prima della morte di Pio X, si verificò a Sarajevo (capitale della Bosnia ed Erzegovina) un dramma dalle tragiche conseguenze. Il 28 giugno del 1914, l’arciduca Francesco Ferdinando (nato nel 1863), erede al trono dell’Austria-Ungheria, venne assassinato insieme alla moglie da un rivoluzionario, Gavrilo Princip (1894-1918)[45]. L’episodio contribuì a esasperare le tensioni già esistenti tra l’Austria e la Serbia. Nel luglio del 1914 l’Austria dichiarò guerra alla Serbia. Da qui, per effetto di una pre-esistente rete di alleanze, il conflitto si ampliò fino a raggiungere capitale della un livello mondiale.

La neutralità italiana (1914-1915)
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale l’Italia assunse una posizione di neutralità rimanendo in linea con l’articolo 7 del trattato che univa l’Italia alla Germania e all’Austria (la Triplice Alleanza). Questo punto prevedeva la discussione preventiva dei territori da dare in compenso al termine della guerra, un fatto che non era avvenuto. Il problema della posizione italiana restò comunque aperto. Si formarono due schieramenti: i neutralisti e gli interventisti.

La posizione di Pio X (1914)
Di fronte al conflitto che aveva investito più Paesi, Pio X espresse il proprio pensiero il 2 agosto del 1914: “Mentre i popoli dell’Europa, quasi tutti trascinati nei vortici di una funestissima guerra, ai cui pericoli alle cui stragi alle cui conseguenze nessuno può pensare senza sentirsi opprimere dal dolore, dallo spavento, non possiamo non preoccuparci anche noi nel sentirci strappare l’animo nel più acerbo dolore per la salute e la vita di tanti cittadini e di tanti popoli che ci stanno sommamente a cuore. In così gravi angustie, sentiamo e comprendiamo bene che questo da Noi richiede la carità di padre e l’apostolico ministero. Vi faccio alzare gli animi a Colui da cui solo può venirci l’aiuto, a Cristo principe della pace e mediatore potentissimo degli uomini presso Dio, e portiamo frattanto i cattolici di tutto il mondo, a ricorrere fiduciosi al suo trono di grazia e di misericordia, e agli altri vada innanzi col suo esempio il clero, indicendo nelle rispettive parrocchie, dietro l’ordine dei vescovi, pubbliche preci per ottenere che Dio, mosso a pietà, allontani quanto prima le funeste faci di guerra e ispiri ai supremi reggitori delle nazioni pensieri di pace e non di afflizione”[46].

Morte di Pio X (agosto 1914). Il nuovo conclave
Con una guerra appena scoppiata, la Santa Sede dovette anche affrontare una delicata situazione interna: la morte di Pio X (20 agosto 1914). Occorreva individuare al più presto un nuovo Papa.
Si cercò un porporato dotato di abilità diplomatica. Venne delineato un possibile profilo del candidato. Fu concordato di individuare un cardinale non proveniente da uno dei Paesi coinvolti nel conflitto, tutelando in tal modo la neutralità del nuovo Papa. Cancellati dalla lista dei papabili anche coloro che in precedenza erano stati nunzi nelle nazioni attualmente in guerra. Il conflitto non rimase, comunque, l’unico criterio di scelta. Era vivo tra i Padri del conclave il problema del modernismo e restava nella loro memoria la durezza di alcuni precedenti provvedimenti anti-modernisti. Occorreva quindi far convergere i voti su una persona capace di mantenere equilibri interni ed esterni, favorevole a un’apertura ai mutamenti anche culturali del tempo.
Dopo i riti funebri legati al precedente Pontefice, e la fase organizzativa, il 31 agosto del 1914 si aprì il conclave. I lavori durarono quattro giorni.

Elezione del nuovo Papa (3 settembre 1914)
Il 3 settembre, dopo dieci scrutini, Giacomo Della Chiesa venne eletto Papa. Si era tenuto conto della sua esperienza curiale e dell’impegno pastorale. Egli scelse il nome di Benedetto XV per ricordare san Benedetto da Norcia (480ca-547) e il cardinale Prospero Lambertini (1675-1758) che, come lui, era stato arcivescovo di Bologna, e che era diventato Papa (1740) scegliendo il nome di Benedetto XIV. Come Segretario di Stato volle Domenico Ferrata (1847-1914), già nunzio a Bruxelles e a Parigi. Quest’ultimo, dopo un mese, morì. Al suo posto subentrò il cardinale Pietro Gasparri (1852-1934)[47].

“Cara suora, cara suora son ferito…”: Benedetto XV negli anni dell’inutile strage

Dopo essere stato eletto Papa (1914), Benedetto XV volle rivolgere ai cattolici un’Esortazione Apostolica (8 settembre). Nel testo affermò che la guerra in corso doveva essere conclusa al più presto. L’appello pontificio ebbe un contenuto spirituale. Costituì pure un chiaro messaggio ai potenti del tempo. Discordie, offese, rivendicazioni, dovevano trovare un superamento nell’interesse della società.

L’Esortazione Ubi Primum (8 settembre 1914)
Nel breve testo dell’Esortazione, Papa Della Chiesa espresse l’orrore e l’amarezza per gli effetti della guerra e invitò a pregare per una rapida conclusione del conflitto.
“(…) Pertanto, mentre Noi stessi, con le mani e gli occhi levati al cielo supplicheremo Dio, così come fece con tanto ardore il Nostro Predecessore esortiamo e scongiuriamo tutti i figli della Chiesa, specialmente quelli che sono ministri del Signore, affinché proseguano, insistano, si sforzino, sia privatamente con la loro umile preghiera, sia pubblicamente con frequenti suppliche, ad implorare Dio, arbitro e dominatore di tutte le cose, affinché, memore della sua misericordia, allontani questo flagello dell’ira con il quale fa giustizia dei peccati dei popoli.
Imploriamo che nei nostri voti comuni ci assista e favorisca la Vergine Madre di Dio, la cui faustissima nascita, che celebriamo in questo stesso giorno, rifulse al travagliato genere umano come aurora di pace, dovendo ella dare alla luce Colui nel quale l’eterno Padre volle riconciliare tutte le cose, “rappacificando con il sangue della sua croce sia le cose che sono sulla terra, sia quelle che sono nei cieli” (1 Col. 1, 20).
Inoltre preghiamo e scongiuriamo vivamente coloro che reggono le sorti dei popoli a deporre tutti i loro dissidi nell’interesse della società umana.
Considerino che sono già troppe le miserie e i lutti che accompagnano questa vita mortale, al punto che non si deve renderla ancora più misera e luttuosa; bastino le rovine che sono già state prodotte, basti il sangue umano che è già stato sparso; si affrettino dunque a prendere decisioni di pace e a stendersi scambievolmente la mano; otterranno ragguardevoli ricompense da Dio per loro stessi e per le loro nazioni; si renderanno altamente benemeriti della convivenza civile degli uomini, e a Noi, che da questa così grave perturbazione di cose vediamo non poco intralciato fin dall’inizio il Nostro Apostolico ministero, faranno la cosa più gradita e desiderata”[48].

Guerra-lampo? (settembre 1914)
All’inizio del conflitto esisteva, in taluni ambienti, la convinzione che la guerra sarebbe stata di breve durata. Non fu così. Dopo solo un mese dall’inizio delle ostilità, il Belgio (Paese neutrale), fu invaso dai tedeschi. La prima battaglia della Marna (5-12 settembre 1914), che riuscì a fermare l’avanzata tedesca, fece svanire ogni speranza degli invasori in un conflitto rapido. Gli scontri furono caratterizzati alla fine da una strategia di posizione che richiese lo scavo di moltissime trincee. A questo punto, con il prolungarsi degli eventi bellici, Benedetto XV accentuò i suoi messaggi di pace.

I rapporti con il governo italiano (settembre 1914)
Se da una parte il pensiero della guerra angosciava il Pontefice, dall’altra, cominciò a prendere consistenza anche una situazione che sembrò promettere sviluppi interessanti. Tra coloro che si erano felicitati con Benedetto XV per la sua elezione a Papa, ci fu anche un suo ex compagno di scuola. Era il barone Carlo Monti (1851-1924). Quest’ultimo, ricopriva il ruolo di direttore generale degli “Affari di Culto”. A lui fu affidato un compito delicato: quello di incaricato d’affari del governo italiano presso la Santa Sede. In tal modo, e in via riservata, egli interagì in molteplici occasioni con il Pontefice. Ebbe così inizio quella che venne definita la “Conciliazione ufficiosa”[49].

Ministri di una religione di pace (ottobre 1914)
L’8 ottobre del 1914 “LOsservatore Romano” pubblicò un articolo dal titolo La Chiesa e i suoi ministri nelle amarezze dell’ora presente. Il testo recava la firma di Benedetto XV. Con questa iniziativa inusuale il Pontefice volle trasmettere un messaggio di imparzialità e di moderazione. Tale orientamento pastorale doveva essere seguito dai fedeli, soprattutto da quei sacerdoti che (in Belgio, Francia e Germania) avevano mostrato una viva partecipazione a manifestazioni collegate ai fatti bellici. A tutti i preti si chiedeva di rimanere ministri di una religione di pace[50].

L’Enciclica Ad Beatissimi (novembre 1914)
Il 1o novembre dello stesso anno, Benedetto XV pubblicò la sua prima Enciclica, Ad Beatissimi Apostolorum[51]. Attraverso questo documento sottolineò di nuovo la propria paternità universale. “E come sarebbe potuto accadere che divenuti Noi Padre di tutti gli uomini, non Ci sentissimo straziare il cuore allo spettacolo che presenta l’Europa, e con essa tutto il mondo, spettacolo il più tetro forse ed il più luttuoso nella storia dei tempi? (…) Il tremendo fantasma della guerra domina dappertutto, e non v’è quasi altro pensiero che occupi ora le menti. Nazioni grandi e fiorentissime sono là sui campi di battaglia. Qual meraviglia perciò, se ben fornite, come sono, di quegli orribili mezzi che il progresso dell’arte militare ha inventati, si azzuffano in gigantesche carneficine? Nessun limite alle rovine, nessuno alle stragi: ogni giorno la terra ridonda di nuovo sangue e si ricopre di morti e feriti”[52].
Per Benedetto XV, quattro erano le cause che avevano condotto alla guerra: “(…) la mancanza di mutuo amore fra gli uomini, il disprezzo dell’autorità, l’ingiustizia dei rapporti fra le varie classi sociali, il bene materiale fatto unico obiettivo dell’attività dell’uomo, come se non vi fossero altri beni, e molto migliori, da raggiungere. Sono questi a Nostro parere, i quattro fattori della lotta, che mette così gravemente a soqquadro il mondo”[53].
Il Papa volle inoltre sottolineare l’importanza della religione e della Chiesa che, durante la vita, accompagnano sia la singola persona che i vari popoli, a garanzia e tutela di un mondo segnato da equilibrio morale e da rispetto fraterno. In tale contesto, razzismo e nazionalismo, correnti ideologiche da condannare, continuavano ad essere degli ostacoli al raggiungimento della pace. Benedetto XV affrontò, poi, in modo discreto, la questione del modernismo (pur disapprovandolo): “(…) E innanzi tutto, poiché in ogni umana società, qualunque sia stato il motivo della sua formazione, primo coefficiente di ogni operosità collettiva sono l’unione e la concordia degli animi, Noi dovremo rivolgere un’attenzione specialissima a sopire i dissensi e le discordie tra i cattolici, quali esse siano, e ad impedire che ne sorgano altre in avvenire, talché tra i cattolici uno sia il pensare ed uno l’operare (…)”[54].
“(…) Riguardo poi a quelle cose delle quali – non avendo la Sede Apostolica pronunziato il proprio giudizio – si possa, salva la fede e la disciplina, discutere pro e contro, è certamente lecito ad ognuno di dire la propria opinione e di sostenerla[55]. Ma in simili discussioni rifuggasi da ogni eccesso di parole, potendone derivare gravi offese alla carità; ognuno liberamente difenda la sua opinione, ma lo faccia con garbo, né creda di poter accusare altri di sospetta fede o di mancata disciplina per la semplice ragione che la pensa diversamente da lui . Vogliamo pure che i nostri si guardino da quegli appellativi, di cui si è cominciato a fare uso recentemente per distinguere cattolici da cattolici[56]; e procurino di evitarli non solo come « profane novità di parole », che non corrispondono né alla verità, né alla giustizia, ma anche perché ne nascono fra i cattolici grave agitazione e grande confusione (…)”[57].
Il Papa fece inoltre riferimento al nascere di nuove associazioni cattoliche[58]: “(…) Noi Ci compiacciamo vivamente che sorgano di continuo nuove associazioni cattoliche. E non solo desideriamo che queste fioriscano, ma vogliamo che il loro incremento si giovi della Nostra protezione e del Nostro favore; e tale incremento non mancherà purché obbediscano costantemente e fedelmente a quelle prescrizioni che furono o saranno date dalla Sede Apostolica (…)”[59].
Nell’Enciclica non mancò, poi, un riferimento alla “Questione Romana”. “(…) Purtroppo da lungo tempo la Chiesa non gode di quella libertà di cui avrebbe bisogno; e cioè da quando il suo capo, il Sommo Pontefice, incominciò a mancare di quel presidio che, per disposizione della divina Provvidenza, aveva ottenuto nel volgere dei secoli a tutela della sua libertà.
La mancanza di tale presidio è venuta a cagionare, cosa d’altronde inevitabile, un non lieve turbamento in mezzo ai cattolici: coloro difatti che si professano figli del Romano Pontefice, tutti, così i vicini come i lontani, hanno diritto d’essere assicurati che il loro Padre comune nell’esercizio dell’apostolico ministero sia veramente libero da ogni umano potere, e libero assolutamente risulti.
Al voto pertanto d’una pronta pace fra le Nazioni, Noi congiungiamo anche il desiderio della cessazione dello stato anormale in cui si trova il Capo della Chiesa, e che nuoce grandemente, per molti aspetti, alla stessa tranquillità dei popoli.
Contro un tale stato Noi rinnoviamo le proteste che i Nostri Predecessori, indottivi non già da umani interessi, ma dalla santità del dovere, alzarono più di una volta; e le rinnoviamo per le stesse cause, per tutelare cioè i diritti e la dignità della Sede Apostolica (…)”[60].

Provvedimenti a favore dei prigionieri (dicembre 1914)
In tale contesto, Benedetto XV, una volta presentato il suo programma di pontificato, volle promuovere delle iniziative umanitarie per alleviare le sofferenze causate dal conflitto in corso. Un intervento riguardò i prigionieri. In un primo momento, il progetto si orientò sui sacerdoti reclusi nei campi di concentramento. Poi ricomprese anche uno scambio dei prigionieri invalidi. Di tale iniziativa il Pontefice parlò per la prima volta ai cardinali, quando questi lo incontrarono per i consueti auguri natalizi. Dopo le necessarie pratiche diplomatiche (per trovare i necessari consensi), il Pontefice trasmise la proposta con un telegramma ai sovrani e capi di Stato: “Confidando nei sentimenti di carità cristiana di cui è animata Vostra Maestà, Noi la preghiamo di voler chiudere questo anno funesto ed inaugurare il nuovo con un atto di generosità sovrana, accogliendo la nostra proposta che le nazioni belligeranti si scambino i prigionieri divenuti oramai inabili al servizio militare”[61].
Le risposte non ebbero però tutte quante la stessa intonazione, e fu assai notata quella piuttosto asciutta del presidente della Repubblica francese, nella quale sembrò volesse dire che a tale scambio aveva od avrebbe pensato anche senza l’iniziativa della Santa Sede. Un’altra richiesta umanitaria, fu inoltrata a favore delle donne, dei fanciulli e degli anziani, tenendo anche conto della Convenzione dell’Aja del 1907[62]. In seguito a ciò, furono rimpatriati i minori al di sotto dei diciassette anni, le donne e le ragazze, quelli che avevano superato i cinquantacinque anni, e coloro che erano medici, chirurghi o sacerdoti.

Tregua bellica natalizia (dicembre 1914)
Alla vigilia del Natale 1914, Benedetto XV fece un discorso in occasione del suo primo incontro con il collegio cardinalizio. In tale occasione, il Papa fece riferimento a una richiesta trasmessa ai Paesi belligeranti: si chiedeva una breve tregua per il giorno di Natale. Leggendo il testo, ci si rende conto che l’istanza non ebbe esito positivo. Francesi e russi la respinsero. “Ci balenò alla mente il proposito di schiudere, in mezzo a queste tenebre di bellica morte, almeno un raggio, un solo raggio del divin sole della pace, ed alle nazioni contendenti pensammo di proporre, breve e determinata, una tregua natalizia, accarezzando la fiducia che, ove non potessimo dissipare il nero fantasma della guerra, Ci fosse dato almeno di apportare un balsamo alle ferite che essa infligge”[63].
Nel documento succitato non mancano gli appelli per la pace. I toni sono decisi: “Deh! cadano al suolo le armi fratricide! cadano alfine queste armi, ormai troppo macchiate di sangue… e le mani di coloro che han dovuto impugnarle tornino ai lavori dell’industria e del commercio, tornino alle opere della civiltà e della pace”[64].
Nonostante il fallimento del progetto per una tregua natalizia, il Papa continuò con altre proposte. Un apparente passo avanti si realizzò con riferimento al riposo domenicale. I Paesi belligeranti s’impegnarono (sul piano formale) ad assicurare il riposo settimanale dei combattenti.

“Pietà Signor, son pargoli innocenti che le carezze invocan dal Tuo cuor…” 1915

Dal 1915 in poi l’opera umanitaria di Benedetto XV si accentuò. Aumentarono i drammi legati a quanto succedeva sui fronti di battaglia, e si acuirono le sofferenze delle popolazioni civili. Furono impiegate le armi più deleterie: dai carri armati[65] al gas iprite[66], dai lanciafiamme[67] alle bombe di nuova generazione[68]. Unitamente a ciò, in alcuni Paesi (Gran Bretagna, Germania, Francia, Russia…) cominciarono a diffondersi voci critiche sulla guerra. L’Italia, ancora neutrale, attivò interventi diplomatici per evidenziare i propri interessi sui territori di lingua italiana appartenenti all’Austria.

Preghiera per la pace (gennaio 1915)
Il 10 gennaio del 1915, il Papa compose una preghiera per la pace. Fu trasmessa a ogni Chiesa locale.
“Sgomenti dagli orrori di una guerra che travolge popoli e nazioni, ci rifugiamo, o Gesù, come scampo supremo, nel vostro amatissimo Cuore; da Voi, Dio delle misericordie, imploriamo con gemiti la cessazione dell’immane flagello; da Voi, Re pacifico, affrettiamo con voti la sospirata pace.
Dal vostro Cuore divino Voi irradiaste nel mondo la carità, perché tolta ogni discordia, regnasse fra gli uomini soltanto l’amore: mentre eravate su questa terra, Voi aveste palpiti di tenerissima compassione per le umane sventure. Deh! Si commuova dunque il Cuor vostro anche in quest’ora, grave per noi di odi così funesti, di così orribili stragi!
Pietà vi prenda di tante madri, angosciate per la sorte dei figli, pietà di tante famiglie, orfane del loro capo, pietà della misera Europa, su cui incombe tanta rovina!
Inspirate Voi ai reggitori e ai popoli consigli di mitezza, componete i dissidi che lacerano le nazioni, fate che tornino gli uomini a darsi il bacio della pace, Voi, che a prezzo del vostro Sangue li rendeste fratelli. E come un giorno al supplice grido dell’Apostolo Pietro: salvaci, o Signore, perché siamo perduti, rispondeste pietoso, acquetando il mare in procella, così oggi, alle nostre fidenti preghiere, rispondete placato, ritornando al mondo sconvolto la tranquillità e la pace.
Voi pure, o Vergine santissima, come in altri tempi di terribili prove, aiutateci, proteggeteci, salvateci. Così sia[69].”
Il testo di tale orazione non ottenne riscontri significativi sul piano pastorale. In Francia furono sequestrati gli opuscoli e gli stampati che la contenevano. Anche in Italia si registrarono problemi. Pur inviata a ospedali, scuole, collegi, caserme, la si recitava in prevalenza solo nelle chiese.
La tiepida accoglienza di questa preghiera nel mondo cattolico confermò le molte difficoltà che la Santa Sede dovette affrontare nel corso del conflitto mondiale. Ad esempio, in Belgio e in Francia, vescovi e clero utilizzarono la prece come sostegno patriottico ai propri Paesi.

Il terremoto della Marsica (gennaio 1915)
Tre giorni dopo la pubblicazione della succitata “Preghiera” (13 gennaio), l’Italia, ancora estranea agli orrori della guerra, venne colpita da un terremoto che colpì l’intera area della Marsica (Abruzzo) e parte del Lazio meridionale. Epicentro fu la conca del Fucino. Il sisma causò più di 30.000 vittime su un totale di 120.000 persone residenti nelle zone disastrate. Tra le emergenze ci fu il problema degli orfani: gran parte di loro trovò tutela (presso istituti) attraverso l’Opera Nazionale di Patronato Regina Elena. Molti sfollati, specie bambini, trovarono accoglienza a Castel Gandolfo. Lo stesso Benedetto XV fece loro visita. Tra i volontari che intervennero emerse la figura di san Luigi Orione (1872-1940). Tra i suoi compiti anche quello di restituire i bambini orfani ai parenti rimasti in vita. Con riferimento a tale dramma il Papa trasmise (25 gennaio 1915) al Segretario di Stato vaticano (Gasparri) l’Epistola Sul Nostro Cuore[70].
“Signor Cardinale, sul Nostro cuore di Padre, lacero già dalla crudeltà di uno spettacolo che l’umana storia mai non conobbe, il terremoto del 13 corrente ha aperto un’altra ferita, sanguinante di non meno vivo dolore.
Mentre sotto il colpo della raccapricciante sciagura adoriamo i disegni della divina Provvidenza, Noi ravvisiamo Nostro ufficio di dedicare senza indugio a sollievo delle sventurate e care popolazioni, rimaste superstiti dal tremendo flagello, tutte le cure di Padre e di Pastore, che Ci saranno consentite dalle strettezze della Sede Apostolica.
Evvi tuttavia, fra i superstiti, una schiera che reclama illimitata l’affettuosa Nostra sollecitudine, vogliamo dire i miseri orfanelli.
Dinanzi a questi infelici, Noi, signor Cardinale, sentiamo, più ancora che per ogni altro, le viscere della paternità che Gesù Cristo Ci ha data.
È perciò che, confidando nel saggio ed alacre zelo del quale Ella in pochi mesi Ci ha porto prove cospicue, e nutrendo fiducia che l’opera sua, nonché essere ostacolata, troverà da ogni parte favore, Noi abbiamo deliberato di conferire a Lei pieno mandato in ordine alla ricerca, alla cura ed alla educazione dei menzionati orfanelli[71], autorizzandola a prendere all’uopo tutti quei provvedimenti che saranno necessari. E Ci è grato sperare che non invano Ella si adoprerà nel nome del Vicario di Cristo, sia per asciugare queste amarissime fra tutte le lacrime, sia per formare tanti infelici alla vita religiosa e civile, alla quale la sventura li ha anche meglio preparati.
Conforto nei non lievi sacrifici onde l’ardua impresa Le sarà apportatrice, sia a Lei, signor Cardinale, l’Apostolica Benedizione che, auspice delle grazie celesti, di gran cuore Le impartiamo”.

La questione dei prigionieri (marzo 1915)[72]
Nella primavera del 1915 il Papa volle istituire l’Opera dei prigionieri. Si trattava di un Ufficio di informazioni per i prigionieri di guerra, posizionato presso la Segreteria di Stato vaticana. Iniziato da mons. Federico Todeschini (1873-1959)[73], allora Sostituto alla Segreteria, questo Ufficio fu all’inizio diretto dal signor Bellamy-Storer (1847- 1922), ex-ambasciatore degli Stati Uniti e dal francescano americano p. Dominic Ruyter, dei Frati Minori, capo dei Penitenzieri di San Pietro[74]. Fu nominato segretario padre Henry Huisman, olandese. Quest’ultimo coordinava una trentina di persone. Collaboravano pure quattro comunità religiose femminili per preparare le schede e le scritture necessarie. Benedetto XV s’interessava continuamente dell’andamento di questo Ufficio, assumendo informazioni e prendendo nota delle lettere a lui dirette personalmente. Interveniva nei casi delicati, forniva supporti economici, esaminava incartamenti. Di tale Ufficio furono pure organizzati dei presidi decentrati in Germania, Svizzera e Austria[75].
Nel marzo del 1915 la Santa Sede propose una soluzione per l’ospedalizzazione dei prigionieri, malati o feriti. La Svizzera, Stato neutrale, fu indicata come il Paese più adatto a rendere operativo il disegno umanitario. Si concordarono al riguardo delle linee attuative. L’intervento della Santa Sede trovò consensi (Francia e Germania in particolare)[76].

Il dramma armeno (aprile 1915)
Già negli anni 1894-1896 il sultano ottomano Abdul-Hamid II (1842-1918), aveva condotto una campagna contro gli armeni[77]. Nel periodo 1915-1916 si verificò un nuovo dramma. Seguendo un progetto politico mirante alla formazione in Anatolia di uno Stato turco etnicamente omogeneo, si realizzò un genocidio degli armeni. Le deportazioni ebbero inizio il 24 aprile 1915. Di fronte a tale situazione[78], Benedetto XV non rimase in silenzio[79]. Pur con mezzi limitati, non appena seppe degli eccidi, tentò di fermare il massacro. Non potendo esercitare di persona un ruolo influente, utilizzò il delegato apostolico a Costantinopoli, l’arcivescovo Angelo Maria Dolci (1867-1939). Quest’ultimo, ebbe incontri con le autorità turche ma con scarso esito (qualche promessa limitata agli armeni cattolici). Unitamente a ciò, la Santa Sede chiese ai governi tedesco e austro-ungarico di esercitare pressioni sui loro alleati turchi per fermare le uccisioni. In tale contesto, è da evidenziare la prontezza con cui la diplomazia vaticana individuò le dimensioni della tragedia armena. Benedetto XV, che si dimostrò molto sensibile verso tutto ciò che riguardava l’Oriente cristiano (fu lui a promuovere il Pontificio Istituto Orientale), realizzò il primo intervento pubblico il 6 dicembre 1915, al Concistoro dei cardinali, pronunciando una frase che è quasi una definizione ante litteram del termine genocidio: “Miserrima armenorum gens ad interitum prope ducitur (“L’infelicissimo popolo armeno è condotto alla soglia dell’annientamento”)[80].
La lettera, poi, che indirizzò al sultano Mehmet V (1844-1918), rimane un testo di delicata abilità diplomatica, anche se il sovrano era condizionato da altre regìe.
“Ci giunge dolorosissima l’eco dei gemiti di tutto un popolo, il quale nei vasti domini ottomani è sottoposto a inenarrabili sofferenze. La nazione armena ha già veduto molti dei suoi figli mandati al patibolo, moltissimi, tra i quali non pochi ecclesiastici e anche qualche vescovo, incarcerati o inviati in esilio. Ci vien riferito che intere popolazioni di villaggi e di città sono costrette ad abbandonare le loro case per trasferirsi con indicibili stenti e patimenti in lontani luoghi di concentrazione, nei quali oltre le angosce morali debbono sopportare le privazioni della più squallida miseria e le torture della fame. Noi crediamo, sire, che tali eccessi avvengano contro il volere del governo di vostra maestà. Ci rivolgiamo, pertanto, fiduciosi a vostra maestà e ardentemente la esortiamo di volere, nella sua magnanima generosità, avere pietà e intervenire a favore di un popolo, il quale, per la religione medesima che professa, è spinto a mantenere la fedele sudditanza verso la persona della stessa maestà vostra. Se vi sono tra gli armeni traditori o colpevoli di altri delitti, che essi siano legalmente giudicati e puniti. Ma non permetta vostra maestà, nell’altissimo suo sentimento di giustizia, che nel castigo siano travolti gl’innocenti e anche sui traviati scenda la sovrana sua clemenza. Dica vostra maestà l’invocata e possente sua parola di pace e di perdono e la nazione armena, resa sicura da violenze e da rappresaglie, benedirà, al nome augusto del suo protettore”[81].
La voce del Papa rimase inascoltata. Alla fine della guerra, più di un milione di armeni erano stati soppressi.

Gli attacchi degli U-Boot (7 maggio 1915)
Nel frattempo l’azione dei sottomarini tedeschi si fece più aggressiva. Il 7 maggio del 1915 fu affondato il transatlantico “Lusitania”. Apparteneva alla compagnia di navigazione britannica “Cunard Line”. In quel momento, tra equipaggio e passeggeri, accoglieva 1964 persone. Il 15 agosto dello stesso anno fu colpita un’altra nave (“Arabic”) della compagnia “White Star”. In entrambi gli episodi morirono anche cittadini statunitensi.
Quando si seppe dell’affondamento dei due transatlantici inglesi, Benedetto XV ne rimase molto colpito. Giudicò l’accaduto contrario ai princìpi umanitari e al diritto internazionale. Gli attacchi erano stati diretti contro navi passeggeri, senza preavviso. Il cardinale James Gibbons (1834-1921), arcivescovo di Baltimora, ebbe l’incarico di trasmettere un messaggio a Wilson: la Santa Sede era subito intervenuta presso la Germania consigliando di regolare sul piano diplomatico la questione della guerra sottomarina, e di cessare nuove operazioni. In tal modo il Papa e i suoi più stretti collaboratori tentavano di prevenire un allargamento del conflitto[82].
La guerra sottomarina non si fermò. I tedeschi volevano controllare le rotte marine internazionali. E condizionare il trasporto di combustibili, alimenti e bestiame verso i Paesi dell’Intesa. Il Papa (che aveva ricevuto copia del piano di guerra collegato ai sommergibili tedeschi) decise, allora, di tentare delle missioni di pace. Il nunzio apostolico in Baviera, mons. Giuseppe Aversa (1862-1917), fu incaricato di proporre al governo germanico un accordo con i Paesi dell’Intesa. Venne poi trasmesso un messaggio al ministro inglese: “Il Santo Padre sarebbe disposto a proporre a tutte le potenze belligeranti, ed in particolare all’Inghilterra ed alla Germania, la cessazione simultanea della guerra di affamamento: né blocco, né sottomarini per tutto ciò che serve all’alimentazione. Questa disposizione del Santo Padre è assolutamente secreta: non è stata comunicata né alla Germania, né ad altri uomini, sia pubblici che privati. Se l’Inghilterra non è contraria alla proposta, allora il Santo Padre la presenterebbe ufficialmente alla Germania senza fare il minimo cenno dell’assentimento segreto dell’Inghilterra. Se la Germania accetta, allora verrebbe fatta ufficialmente all’Inghilterra”[83].
La risposta britannica fu negativa.

Iniziative per evitare l’intervento italiano (19 maggio 1915)
La diplomazia della Santa Sede, nei primi mesi della guerra, poté operare grazie anche alla neutralità italiana[84]. Una volta ritiratosi l’onorevole Giovanni Giolitti (1842-1928), per le proteste contro il suo neutralismo, la propaganda interventista ampliò i consensi. Quest’ultima insisteva sull’importanza di ridare al Paese territori di cultura e lingua italiana, ancora in possesso dell’impero asburgico. Benedetto XV, fin dall’inizio del conflitto, percorse diverse strade diplomatiche per convincere i politici del tempo a mantenere una neutralità italiana. Motivi non mancavano: sicuro ampliamento (e prolungamento) della guerra, accentuazione dei contrasti interni nel Paese, una situazione a rischio per l’Austria[85]. Non era, inoltre, possibile stabilire che impatto avrebbe avuto la guerra sulla “legge delle guarentigie” che consentiva libertà diplomatica agli organismi pontifici.
I primi approcci della Segreteria di Stato vaticana con l’imperatore austriaco, ebbero inizio nel novembre del 1914. Francesco Giuseppe I (1830-1916) espresse al nunzio apostolico (arcivescovo mons. Raffaele Scapinelli, 1858-1933[86]) la sua preoccupazione per un’eventuale entrata in guerra dell’Italia. Escluse, comunque, cessioni territoriali a favore di quest’ultima. L’azione diplomatica proseguì. Si arrivò a un fatto nuovo. La Germania fece pressioni sull’Austria per far cedere territori di cultura e lingua italiana all’Italia. Una svolta? L’Austria mostrò un consenso. Malgrado ciò, il Papa rimaneva perplesso. Il governo austriaco non concretizzava l’impegno. E rimandava. Ciò produsse diffidenza in Italia e la ricerca di soluzioni alternative presso le potenze della Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia, Russia). Il 4 maggio del 1915, fu firmata in segreto dall’Italia l’adesione al Patto di Londra. Nel testo era previsto che, in caso di vittoria dell’Intesa, l’Italia avrebbe ricevuto come compensi territoriali il Trentino, il sud-Tirolo, Trieste, Gorizia, l’Istria e la Dalmazia. In questi ultimi frangenti il Papa scrisse al nunzio a Vienna (19 maggio). Doveva riferire che, “a giudizio del Santo Padre”, un telegramma dell’imperatore al re d’Italia avrebbe potuto ancora salvare la situazione.

L’Italia entra in guerra (24 maggio 1915)
Il 24 maggio del 1915, l’Italia entrò in guerra. Si pose a fianco di Gran Bretagna, Francia e Russia (nazioni della Triplice Intesa). Tale fatto pose la Santa Sede in una situazione delicata. La sua imparzialità poteva essere messa in discussione (con ricadute negative in termini di azione diplomatica). Il governo italiano, poi, intimò agli ambasciatori dei Paesi nemici (Imperi Centrali) di lasciare il Paese.
Tra gli effetti dell’interventismo italiano sulla politica vaticana ci furono: il peggioramento dell’efficacia della corrispondenza vaticana soggetta di frequente alla censura italiana (con ritardi notevoli); la censura applicata a L’Osservatore Romano, e alla rivista dei gesuiti, La Civiltà Cattolica; il peggioramento delle relazioni tra la Santa Sede e l’Italia; l’esclusione della Santa Sede dalle future trattative di pace, chiesta dall’Italia[87].

Le città aperte (24 maggio 1915)
In tale contesto, anche le popolazioni italiane delle cd “città aperte”[88] subirono gli effetti negativi del conflitto. Il 24 maggio del 1915, aerei austriaci lanciarono bombe su Venezia. Ci furono vittime e danni. Nella stessa mattina venne colpito il santuario di Loreto (Ancona). Gravemente lesionata, inoltre, la cattedrale di San Ciriaco (Ancona). Il Papa trasmise un telegramma al nunzio di Vienna: “Santo Padre vivamente desidera e confida che Austria-Ungheria conduca attuale guerra con Italia in conformità dei principi umanitari e delle norme internazionali, rispettando altresì monumenti, sacri templi (…)”[89].
Si creò, comunque, una situazione complessa. Da una parte la Santa Sede deplorò i bombardamenti su città italiane (per le morti dei civili), dall’altra, le potenze centrali, accusarono il Pontefice di non essere imparziale. Alcuni autori cattolici intervennero, allora, a difesa del Papa[90].

L’Esortazione “Allorché fummo chiamati” (28 luglio 1915)
Il 28 luglio 1915, primo anniversario della guerra, Benedetto XV scrisse un’Esortazione apostolica intitolata Allorché fummo chiamati, indirizzata alle nazioni in guerra e ai loro governanti[91]. “Nel nome santo di Dio, nel nome del celeste nostro Padre e Signore, per il Sangue benedetto di Gesù, prezzo dell’umano riscatto, scongiuriamo Voi, che la Divina Provvidenza ha posto al governo delle Nazioni belligeranti, a porre termine finalmente a questa orrenda carneficina, che ormai da un anno disonora l’Europa. È sangue fraterno quello che si versa sulla terra e sui mari! (…) Voi portate innanzi a Dio ed innanzi agli uomini la tremenda responsabilità della pace e della guerra; ascoltate la Nostra preghiera, la paterna voce del Vicario dell’Eterno e Supremo Giudice, al Quale dovrete render conto così delle pubbliche imprese, come dei privati atti vostri”[92].
In questo testo, il Papa non descrisse solo gli orrori della guerra, con un appello per la pace, ma andò oltre. Annotò suggerimenti. Invitò a negoziare. “Perché fin da ora non ponderare con serena coscienza i diritti e le giuste aspirazioni dei popoli? Perché non iniziare con animo volonteroso uno scambio, diretto o indiretto, di vedute, allo scopo di tener conto, nella misura del possibile, di quei diritti e di quelle aspirazioni, e giunger così a por termine all’immane lotta, come è avvenuto in altre simili circostanze? Benedetto colui, che primo alzerà il ramo di olivo e stenderà al nemico la destra offrendo ragionevoli condizioni di pace”[93].
I temi-chiave dell’Esortazione furono: la paternità del Pontefice; la fraternità universale, realizzatasi attraverso il Sangue di Cristo; le nazioni e le loro aspirazioni (tema sviluppato poi nella Nota di pace del 1917); il concetto di autorità che deriva da Dio.

La nuova Congregazione dei Seminari e delle Università degli studi (4 novembre 1915)
Mentre, da una parte, il Pontefice emanava direttive mirate a superare ogni conflitto, dall’altra, Benedetto XV si preoccupò dell’organizzazione interna della Chiesa. In tale ambito, una particolare attenzione fu riservata alla formazione dei futuri sacerdoti. Si colloca qui il Motu proprio Seminaria Clericorum del 4 novembre 1915[94]. Con tale atto furono adottate due decisioni:
I. Si crei una speciale Sacra Congregazione dei Seminari, sul modello delle altre della Curia Romana, e ad essa appartenga tutto ciò che finora si trattava circa i Seminari presso la Congregazione Concistoriale, così che in avvenire sia di sua competenza l’educazione intellettuale e morale dei chierici.
II. A questa Sacra Congregazione siano aggiunti gli uffici della Congregazione degli Studi, e perciò si chiami Congregazione “dei Seminari e delle Università degli studi”[95].

Assistenza ai soldati al fronte (dicembre 1915)
Nel frattempo, specie nelle parrocchie italiane, si sviluppò una raccolta d’indumenti di vario genere, coperte, lenzuola, vestiti, maglie e calze di lana, viveri e denaro per i soldati al fronte, e per i prigionieri. Un contributo importante venne offerto soprattutto dalle organizzazioni femminili cattoliche. Nell’inverno del 1915-1916 i soldati italiani che combattevano sulle Alpi indossavano ancora i vestiti estivi e molti avevano gli arti congelati[96].

“Madonna degli alpini, vieni con noi lassù…” 1916

L’anno 1916 fu caratterizzato, tra l’altro, da due momenti-chiave: da una parte fece sentire la propria voce la corrente pacifista, dall’altra si cercò di giustificare meglio il conflitto in corso. L’opposizione pacifista mise in evidenza il fatto che si andava avanti senza vedere una fine (logorante guerra di trincea, continuo spargimento di sangue, economie rovinate …). I governi belligeranti, per non perdere il consenso popolare, impiegarono più mezzi per sostenere le ragioni della guerra. In tale contesto, la voce più forte che chiedeva pace fu quella di Benedetto XV. Ma tale posizione rimase di fatto isolata. Chi la lodò venne accusato di disfattismo (in casi più gravi di tradimento). Le potenze coinvolte negli scontri erano convinte che non si poteva tornare indietro. Troppo alti rimanevano gli interessi in gioco (egemonie territoriali, equilibri di potere da conservare, aspetti economici da tutelare).

L’unità dei cristiani (febbraio 1916)
Il 25 febbraio del 1916 Benedetto XV estese alla Chiesa universale l’Ottava di preghiere per l’unione dei cristiani. Il fatto attesta la sensibilità del Papa verso questa esigenza. Tale orientamento troverà in seguito ulteriori interventi.

La Lettera “Al tremendo conflitto”(marzo 1916)
Il 4 marzo del 1916 Benedetto XV indirizzò la Lettera pastorale Al tremendo conflitto[97] al cardinale Basilio Pompili (1858-1931), vicario generale di Roma. Scrisse il Papa: “(…) la guerra con tutti i suoi orrori continua furiosa. Ciò nonostante, Noi, signor Cardinale, non possiamo, non dobbiamo tacere. Non è lecito al padre, i cui figli sono in fiera contesa, cessare dall’ammonirli, sol perché essi resistono alle sue preghiere, alle lagrime sue. […] Non Ci è, quindi, possibile astenerCi dal levare ancora una volta la Nostra voce contro questa guerra, la quale Ci appare come il suicidio dell’Europa civile: non dobbiamo trascurare di suggerire o di additare, quando le circostanze Ce lo consentano, qualsiasi mezzo, che possa giovare al raggiungimento del fine bramato”[98].
In tale contesto, il Pontefice benedisse l’iniziativa di “alcune pie Signore”. Quest’ultime, avevano deciso di chiedere a Dio, nel periodo quaresimale, e in unione spirituale di preghiera e di mortificazione, “la cessazione dell’immane flagello”. Aggiunse al riguardo il Pontefice: “E poiché anche con le elemosine si redimono i peccati e si placa la giustizia di Dio, Noi desidereremmo che ciascuna famiglia offrisse, proporzionatamente ai propri averi, l’obolo della carità, da erogarsi a favore dei poveri e degli infelici, tanto cari a Gesù Redentore, ed in modo speciale a sollievo dei miseri figli di coloro che son morti in questa orribile guerra”[99].

I prigionieri francesi e tedeschi (maggio 1916)
Nel maggio del 1916 si concretizzò il progetto (cit.) di internare in Svizzera i prigionieri di guerra francesi e tedeschi padri di almeno tre figli e il cui periodo di prigionia raggiungeva i diciotto mesi. L’iniziativa era stata discussa nel marzo del 1915, su proposta della Santa Sede. Dopo una serie di ritardi burocratici, i primi cento padri di famiglia tedeschi poterono entrare a Berna per usufruire dei benefici dell’internamento[100].

Proposte di Wilson (maggio 1916)
Il 28 maggio del 1916, il presidente U.S.A., Thomas Woodrow Wilson (1856-1924), in un pubblico discorso[101], evidenziò tre punti su cui far convergere il consenso dei Paesi belligeranti: ogni popolo aveva diritto di scegliersi la propria sovranità, i piccoli Stati dovevano godere dallo stesso rispetto che è manifestato ai grandi Stati, il mondo doveva essere liberato da ogni violazione della pace originata da un’aggressione. Il presidente sottolineò inoltre che la pace era nell’interesse degli Stati Uniti. Se necessario, l’avrebbero promossa senza esitazioni. Il discorso aveva un’impostazione che poteva riscuotere un’approvazione generale.
Sull’imparzialità di Wilson il Papa rimase poco convinto. Pensava a una strumentalizzazione politica in considerazione delle elezioni presidenziali di novembre. Con il suo discorso, Wilson accontentava gli elettori americani di origine tedesca e irlandese che si erano dimostrati non favorevoli alla guerra. Le perplessità pontificie verso il presidente statunitense erano forse anche legate all’atteggiamento di Wilson. Quest’ultimo sosteneva economicamente gli Alleati. Il Papa non aveva approvato il commercio di armi statunitense con l’Inghilterra e la Francia, specie il trasporto di materiale bellico avveniva per mezzo di imbarcazioni passeggeri. Ciò offriva alla Germania un motivo per attaccare.
Sul finire dell’anno, in seguito alle proposte di pace degli Imperi centrali, Wilson intervenne con un altro appello cercando di concretizzare la sua linea[102].

Proposta degli Imperi centrali (novembre 1916)
Il 21 novembre 1916 morì l’imperatore Francesco Giuseppe. L’evento aprì una crisi politica che ebbe eco nei Paesi dell’Intesa e in quelli degli Imperi centrali. Il principe ereditario, Carlo I d’Asburgo (beato, 1887-1922)[103], si dimostrò meno propenso a proseguire il conflitto in corso. Per tale motivo, con lettera autografa, scritta nel mese di novembre (priva di data), espresse a Benedetto XV la speranza in un suo intervento per far cessare il conflitto[104].
Il 12 dicembre del 1916, il cancelliere tedesco, Theobald von Bethmann-Hollweg (1856 -1921), a nome delle due Potenze centrali alleate, comunicò, in un discorso, di aver trasmesso agli Stati nemici (ma anche a quelli neutrali e al Papa) una nota conforme alla lettera trasmessa da Carlo I a Benedetto XV.
Nel testo inviato al Pontefice dal cancelliere, fu scelto lo stesso linguaggio che il Papa aveva usato nell’Esortazione apostolica del luglio 1915. Il governo imperiale era assolutamente fiducioso che l’iniziativa delle quattro potenze (Germania, Austria-Ungheria, Bulgaria e Turchia) avrebbe trovato un’accoglienza benevola da parte di Sua Santità e che l’opera di pace poteva contare sul prezioso sostegno della Santa Sede. La nota esaltava la potenza degli Alleati, i loro successi militari, ma conservava un tono generico che lasciava perplessi. Per tale motivo fu accolta dalla Santa Sede con riserva.
“L’Osservatore Romano” notò che il documento non presentava proposte concrete.
Il 24 dicembre del 1916, Benedetto XV, nel discorso al collegio cardinalizio in occasione del Natale, affermò tra l’altro: (…) Ci colpisce anche oggi il ferale spettacolo di una umana carneficina, e se nell’anno scorso lamentavamo, in somigliante circostanza, l’ampiezza, la ferocia, gli effetti del tremendo conflitto, oggi dobbiamo deplorare l’espansione, la pertinacia, l’oltranza, aggravate da quelle micidiali conseguenze che del mondo hanno fatto ospedale ed ossario, e dell’appariscente progresso della umana civiltà un anticristiano regresso… Quando l’uomo ha indurito il suo cuore e l’odio ha pervaso la terra; quando imperversano il ferro ed il fuoco ed il mondo risuona di armi e di pianti; quando gli umani accorgimenti si sono mostrati fallaci ed esula ogni civile benessere, la fede e la storia Ci additano, come unico scampo, la Onnipotenza supplichevole, la Mediatrice di ogni grazia, Maria… e allora con sicura fiducia diciamo: “Regina pacis, ora pro nobis![105].
Nel frattempo, il convegno tenutosi a Roma dei ministri degli Esteri dell’Intesa, per individuare una possibile risposta alle proposte di pace degli Imperi centrali, si concluse con un nulla di fatto[106].

“Profughi ovunque dai lontani monti…” 1917

La situazione all’inizio del 1917, malgrado i tentativi di Wilson e degli Imperi centrali, era lontana da una conclusione. La nota degli Stati Uniti fu discussa a Roma in una conferenza interalleata (5-7 gennaio 1917) alla quale intervennero, oltre i ministri italiani e il generale Luigi Cadorna (1850-1928), il presidente del Consiglio francese Aristide Briand (1862-1932) con il generale Louis Lyautey (1854-1934) e il ministro per gli armamenti Albert Thomas (1878-1932), il primo ministro inglese lord David Lloyd George (1863-1945) con lord Alfred Milner (1854-1925) e il generale William Robertson (1860-1933) , il generale russo Nicolas Golitzine (1850-1925) e gli ambasciatori in Roma e delle potenze alleate. Le deliberazioni non furono rese pubbliche, ma il 7 gennaio fu emesso un comunicato che escludeva ogni eventualità di trattative per la pace. Si affermava che gli Alleati avevano costatato un comune accordo sulle diverse questioni all’ordine del giorno, e che avevano deciso di coordinare sempre meglio i loro interventi.

Rivoluzione russa (marzo 1917)
Nel marzo del 1917 la Russia fu segnata da un esteso moto rivoluzionario che, attraverso fasi progressive, arrivò a stravolgere l’equilibrio politico del tempo[107]. Nel Paese, un triennio di guerra aveva ormai prodotto degli effetti fortemente negativi sull’economia. Lo stesso esercito, pur avendo combattuto in più casi in modo valoroso, si trovava non sostenuto sul piano dei rifornimenti e di altri supporti. I problemi al fronte, l’impoverimento interno e la sanguinosa lotta civile in corso, motivarono alla fine l’uscita della nazione dal conflitto mondiale. Il 3 marzo del 1918 venne stipulato tra la Russia e gli Imperi centrali il trattato di Brest-Litovsk. L’accordo sancì la vittoria degli Imperi centrali sul Fronte orientale, la resa e l’uscita della Russia dal confronto bellico. Il 15 marzo lo zar Nicola II Romanov (1868-1918) fu costretto ad abdicare. Si formò un governo provvisorio. In seguito (6 novembre), i bolscevichi riusciranno, con la guida di Vladimir Lenin (1870-1924), a conquistare il potere. Per Nicola II sarà l’inizio della fine. Il 17 luglio del 1917 verrà ucciso a Ekaterinburg insieme ai membri della sua famiglia. Tale evento segnò la fine dello zarismo.

Gli Stati Uniti entrano in guerra (6 aprile 1917)
L’aggravarsi delle relazioni USA-Germania, a causa della guerra sottomarina, spinse l’America a intervenire nel conflitto in corso a fianco delle potenze dell’Intesa. La notizia fu accolta con delusione e perplessità dalla Santa Sede.

“Regina pacis, ora pro nobis” (5 maggio 1917)
Nella Lettera pastorale “Il 27 aprile 1915” (datata 5 maggio 1917), Benedetto XV, angosciato dagli effetti del conflitto, volle insistere sulla necessità di invocare la pace da Gesù Cristo attraverso l’intercessione della Vergine Maria. Dette così direttiva, tramite Gasparri, ai vescovi di tutto il mondo di aggiungere (da giugno 1917) nelle Litanie Lauretane l’invocazione “Regina pacis, ora pro nobis”. Scrisse tra l’altro: “Il 27 Aprile 1915, con la Lettera diretta al Rev. P. Crawley-Boevey, Noi estendemmo a tutti coloro, i quali consacrassero la loro casa al Sacratissimo Cuore dì Gesù, le Indulgenze due anni prima concesse per tale atto di pietà dal nostro Predecessore Pio X, di venerata memoria, alle famiglie della Repubblica Cilena. Ci arrideva allora, vivida e serena, la speranza che il Divin Redentore, chiamato a regnare visibilmente nei focolari domestici, vi diffondesse gl’infiniti tesori di mitezza e umiltà del Suo Cuore amantissimo e preparasse tutti gli animi, ad accogliere il paterno invito alla pace, che Ci proponevamo d’indirizzare nel Suo Augusto Nome ai popoli belligeranti ed ai loro Capi nel primo anniversario dello scoppio della attuale terribile guerra…
Ma la Nostra voce affannosa, invocando la cessazione dell’immane conflitto, suicidio dell’Europa civile, quel giorno ed in appresso rimase inascoltata! parve che salisse ancor più la fosca marea di odî dilagante tra le Nazioni belligeranti, e la guerra travolgendo nel suo spaventevole turbine altri paesi, moltiplicò le rovine e le stragi.
Eppure, non venne meno la Nostra fiducia! Ella lo sa, Sig. Cardinale, che ha vissuto e vive con Noi nella ansiosa attesa della sospirata pace. Nell’inesprimibile strazio dell’animo Nostro e tra le lacrime amarissime, che versiamo sugli atroci dolori accumulati sopra i popoli combattuti da questa orribile procella, Noi amiamo sperare ornai non più lontano l’auspicato giorno, nel quale tutti gli uomini, figli del medesimo Padre Celeste, torneranno a considerarsi fratelli. Le sofferenze dei popoli divenute pressoché insopportabili, hanno reso più acuto e intenso il generale desiderio dì pace. Faccia il Divin Redentore, nell’infinita bontà del Suo Cuore, che anche negli animi dei governanti prevalgano i consigli di mitezza, e che, consci della propria responsabilità innanzi a Dio e innanzi all’umanità, essi non resistano più oltre alla voce dei popoli invocante la pace!
A tal fine salga. a Gesù, più frequente, umile e fiduciosa, specialmente nel mese dedicato al suo Cuore Santissimo la preghiera della misera umana famiglia e ne implori la cessazione del terribile flagello. Si purifichi ciascuno più spesso nel salutare lavacro della sacramentale Confessione, e all’amantissimo Cuore di Gesù, congiunto al suo nella Santa Comunione, porga con affettuosa insistenza le sue suppliche. E poiché tutte le grazie che l’Autore d’ogni bene si degna compartire ai poveri discendenti di Adamo, vengono, per amorevole consiglio della Divina. Provvidenza, dispensate per le mani della Vergine Santissima, Noi vogliamo che alla Gran Madre di Dio in quest’ora tremenda più che mai si volga viva e fidente la domanda dei Suoi afflittissimi figli. Diamo, quindi, a Lei, Signor Cardinale, l’incarico di far conoscere a tutti i Vescovi del mondo il nostro ardente- e vivo desiderio che si ricorra al Cuore di Gesù, trono di grazie, e che a questo trono si ricorra per mezzo di Maria. Al quale scopo Noi ordiniamo che, a cominciare dal primo dì del mese di giugno, resti fissata nelle Litanie Lauretane l’invocazione: “Regina Pacis – ora pro nobis” che agli Ordinari permettemmo di aggiungere temporaneamente col Decreto della Sacra Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari in data del 16 novembre 1915”[108].

Apparizioni mariane a Fatima (13 maggio 1917)
Il 13 maggio del 1917, la Vergine Maria apparve a tre piccoli pastori. Si trattava dei fratelli Francisco[109] e Giacinta[110] Marto (9 e 7 anni) e della loro cugina Lucia dos Santos[111] (10 anni). I bambini stavano badando al pascolo in località Cova da Iria (Conca di Iria), vicino alla cittadina portoghese di Fatima. Vi furono altre apparizioni, con rivelazioni su eventi futuri. In particolare: la prossima fine del conflitto mondiale; il pericolo di una seconda guerra ancora più devastante in assenza di una conversione dell’umanità a Dio; la minaccia comunista proveniente dalla Russia, debellabile solo mediante la consacrazione della stessa Russia al Cuore Immacolato di Maria (proclamata dal Papa insieme a tutti i vescovi)[112].

Nuovo Codice di diritto canonico (27 maggio 1917)
Il 27 maggio del 1917, Benedetto XV, con la Costituzione apostolica Providentissima Mater Ecclesia[113], promulgò il nuovo Codice di diritto canonico (Codice pio-benedettino) voluto da Pio X. Il testo fu preparato attraverso tredici anni di lavoro. Tale iniziativa fu legata all’esigenza di passare da un precedente sistema dinamico e complesso (come era quello che faceva riferimento alle decretali), alla scelta di un unico testo normativo. Per la Chiesa l’innovazione fu significativa. In seguito, con un Motu proprio del 15 settembre 1917, il Papa istituì una commissione speciale incaricata dell’interpretazione autentica del Codice.

Nota ai Capi dei popoli belligeranti (1° agosto 1917)
Nell’agosto del 1917 Benedetto XV tentò nuovamente di indicare una possibile strada di pace. Malgrado i molti eventi sfavorevoli, scrisse una Nota pastorale in considerazione del fatto che, dopo gli appelli di pace di Wilson e degli Imperi centrali, fin dall’inizio del 1917 c’erano stati dei tentativi di contatto da entrambi i fronti. Nel documento[114], datato 1° agosto 1917[115], non si trovano solo delle dichiarazioni di principio contro la guerra, ma si individua anche un tentativo mirato a convincere i governanti del tempo a cessare le ostilità. Fin dall’inizio del testo, il Papa volle citare i principi ispiratori che furono alla base dei suoi interventi per la pace: “(…) una perfetta imparzialità verso tutti i belligeranti, quale si conviene a chi è Padre comune e tutti ama con pari affetto i suoi figli; uno sforzo continuo di fare a tutti il maggior bene che da Noi si potesse, e ciò senza accettazione di persone, senza distinzione di nazionalità o di religione, come Ci detta e la legge universale della carità e il supremo ufficio spirituale a Noi affidato da Cristo; infine la cura assidua, richiesta del pari dalla Nostra missione pacificatrice, di nulla omettere, per quanto era in poter Nostro, che giovasse ad affrettare la fine di questa calamità, inducendo i popoli e i loro Capi a più miti consigli, alle serene deliberazioni della pace, di una pace giusta e duratura[116].
La Nota ricordava, poi, che l’impegno pontificio per la pace si era attivato fin dal primo anno di guerra. Senza esito. Per tale motivo, si evidenziavano nefaste conseguenze se gli scontri non cessavano: “Il mondo civile dovrà dunque ridursi a un campo di morte? E l’Europa, così gloriosa e fiorente, correrà, quasi travolta da una follia universale, l’abisso, incontro ad un vero e proprio suicidio?”[117].
Il Papa, ancora una volta, si appellò al proprio dovere morale verso i fedeli. Tale obbligo lo spingeva a cercare la pace e un accordo tra i popoli. Una parte estesa della Nota venne riservata a proposte concrete.
“(…) E primieramente, il punto fondamentale deve essere che sottentri alla forza materiale delle armi la forza morale del diritto. Quindi un giusto accordo di tutti nella diminuzione simultanea e reciproca degli armamenti secondo norme e garanzie da stabilire, nella misura necessaria e sufficiente al mantenimento dell’ordine pubblico nei singoli Stati; e, in sostituzione delle armi, l’istituto dell’arbitrato con la sua alta funzione pacificatrice, secondo e norme da concertare e la sanzione da convenire contro lo Stato che ricusasse o di sottoporre le questioni internazionali all’arbitro o di accettarne la decisione.
Stabilito così l’impero del diritto, si tolga ogni ostacolo alle vie di comunicazione dei popoli con la vera libertà e comunanza dei mari: il che, mentre eliminerebbe molteplici cause di conflitto, aprirebbe a tutti nuove fonti di prosperità e di progresso.
Quanto ai danni e spese di guerra, non scorgiamo altro scampo che nella norma generale di una intera e reciproca condonazione, giustificata del resto dai beneficai immensi del disarmo; tanto più che non si comprenderebbe la continuazione di tanta carneficina unicamente per ragioni di ordine economico. Che se in qualche caso vi si oppongano ragioni particolari, queste si ponderino con giustizia ed equità.
Ma questi accordi pacifici, con gli immensi vantaggi che ne derivano, non sono possibili senza la reciproca restituzione dei territori attualmente occupati. Quindi da parte della Germania evacuazione totale sia del Belgio, con la garanzia della sua piena indipendenza politica, militare ed economica di fronte a qualsiasi Potenza, sia del territorio francese : dalla parte avversaria pari restituzione delle colonie tedesche. Per ciò che riguarda le questioni territoriali, come quelle ad esempio che si agitano fra l’Italia e l’Austria, fra la Germania e la Francia, giova sperare che, di fronte ai vantaggi immensi di una pace duratura con disarmo, le Parti contendenti vorranno esaminarle con spirito conciliante, tenendo conto, nella misura del giusto e del possibile, come abbiamo detto altre volte, delle aspirazioni dei popoli, e coordinando, ove occorra, i propri interessi a quelli comuni del grande consorzio umano.
Lo stesso spirito di equità e di giustizia dovrà dirigere l’esame di tutte le altre questioni territoriali e politiche, nominatamente quelle relative all’assetto dell’Armenia, degli Stati Balcanici e dei paesi formanti parte dell’antico Regno di Polonia, al quale in particolare le sue nobili tradizioni storiche e le sofferenze sopportate, specialmente durante l’attuale guerra, debbono giustamente conciliare le simpatie delle nazioni”[118].
Alla fine, il Papa affermava:
“(…) Sono queste le precipue basi sulle quali crediamo debba posare il futuro assetto dei popoli. Esse sono tali da rendere impossibile il ripetersi di simili conflitti e preparano la soluzione della questione economica, così importante per l’avvenire e pel benessere materiale di tutti gli stati belligeranti. Nel presentarle pertanto a Voi, che reggete in questa tragica ora le sorti dei popoli belligeranti, siamo animati dalla cara e soave speranza di vederle accettate e di giungere così quanto prima alla cessazione di questa lotta tremenda, la quale, ogni giorno più, appare inutile strage[119].

Le risposte dei governi
Le risposte dei Paesi belligeranti alla Nota furono deludenti[120]. L’Inghilterra si limitò a ringraziare. La Francia non rispose. Il primo ministro francese Georges Clemenceau (1841-1929) interpretò la Nota come un testo sfavorevole agli interessi del suo Paese. Il ministro degli Esteri italiano Sidney Sonnino (1847-1922), in un dibattito sulla politica estera, rispose indirettamente al Papa respingendo ogni proposta. Le considerò inadeguate. Presso gli Imperi centrali, la Nota non trovò migliore accoglienza. L’imperatore Carlo I, condizionato dalla politica militare germanica, fu obbligato a seguire le direttive trasmesse da Berlino. Le risposte tralasciarono qualsiasi riferimento alle questioni territoriali. Nemmeno la risposta di Wilson fu favorevole[121].

Il Pontificio Istituto Orientale (15 ottobre 1917)
Mentre il conflitto mondiale era in pieno svolgimento, un’iniziativa di apertura fiduciosa al domani riguardò la fondazione del Pontificio Istituto Orientale. Benedetto XV lo eresse con Motu Pro­prio Orientis catholici (15 ottobre 1917), come “sede di studi superiori di questio­ni orientali nell’Urbe”[122]. Pochi mesi prima (1 maggio 1917), con Motu Proprio “Dei Providentis”[123] era stata eretta la Congregazione per la Chiesa Orientale[124]. L’Istituto ebbe sede presso la Congregazione succitata. A presiederlo venne chiamato il card. Nicolò Marini (1843-1923). Vice-presidente fu il p. Antoine Delpuch (1868-1936) dei Missionari d’Africa. Le attività di competenza ebbero inizio il 2 dicembre del 1918. Il 25 settembre 1920, Benedetto XV autorizzò il conferimento dei gradi accade­mici, dottorato com­preso[125].

Allocuzione natalizia (24 dicembre 1917)
Nell’allocuzione della vigilia di Natale, Benedetto XV (per il quarto anno consecutivo) si rivolse ai cardinali per il consueto scambio degli auguri natalizi. La delusione e l’amarezza del Papa si possono leggere fin dall’inizio del discorso. “Preposti alla custodia di quel gregge che solo un falso Pastore potrebbe tollerare preda di eccidio, sentivamo, come Paolo, acuto dolore dacché vani erano riusciti gli sforzi da Noi rivolti alla riconciliazione dei popoli. In particolar modo Ci affliggeva, non per la mancata soddisfazione dell’animo, ma per la ritardata tranquillità delle nazioni, l’aver visto cadere a vuoto l’invito da Noi diretto ai Capi dei popoli belligeranti”.
“Dalle più autorevoli tribune erano state annunziate alcune principali basi di accordo, atte a sviluppare una comune intesa: Noi le avevamo semplicemente raccolte per invitare i Capi degli Stati belligeranti a farle oggetto di studio particolare, nel solo intento di giungere più presto ad appagare quel voto, che giace segreto e compresso in fondo al cuore di tutti. Quando pertanto Ci eravamo visti o non degnati di ascolto o non risparmiati di sospetto e di calunnia, non avevamo potuto non riconoscere in Noi il signum cui contradicetur[126].
Per il Papa la fine dell’inutile conflitto era da ricercarsi in un ritorno dell’umanità a Dio, alla scuola del Vangelo. Occorreva accogliere la pace di Cristo. Per raggiungere tale traguardo: “(…) basterebbe andare a Betlemme con la semplicità dei Pastori, basterebbe ascoltare qual voce si effonda, nunzia del Cielo, sul divino Presepe. (…) andiamo oltre la città di David sulle sacre orme di Cristo e su quelle di chi tutto sprezza per seguire il Messia; andiamo a Gerusalemme (…) dove fu versato quel Sangue col quale noi fummo redenti (…) fu tagliato il simbolico ramo di ulivo, e fu proteso ai piedi del Principe della Pace”[127].

Caporetto (24 ottobre 1917)
All’alba del 24 ottobre del 1917 il generale  Cadorna, nella sede del comando supremo di Udine, venne informato di un pesante bombardamento sulla linea Plezzo-Tolmino. Era l’inizio di un vasto attacco che condusse alla disfatta di Caporetto. Mezzo milione tra caduti, sbandati, fuggiaschi. Centomila i prigionieri italiani tradotti in Germania.

“Cuore di Gesù, fonte di giustizia e di carità,  abbi pietà di noi” 1918

Alcuni avvenimenti dei primi mesi del 1918 fecero nascere nuove speranze in una fine della guerra. Un discorso (5 gennaio) del premier inglese, David Lloyd George (1863-1945), e uno (8 gennaio) di Wilson, rappresentarono un fatto significativo. Entrambi i leader presentarono un programma per la pace con punti in comune con la Nota del Papa del 1° agosto 1917.[128]

Il rimpatrio dei prigionieri tubercolotici (23 gennaio 1918)
All’inizio del 1918, il barone Hilmar von dem Bussche-Haddenhausen (1867-1939), sottosegretario agli Affari Esteri di Berlino, propose al governo italiano uno scambio di prigionieri (feriti e malati gravi). La Germania era interessata a coinvolgere nel progetto anche la Santa Sede. Le autorità italiane si opposero.
L’opera umanitaria del Papa a favore dei prigionieri fu molto apprezzata in Germania. In una lettera a monsignor Eugenio Pacelli (venerabile, 1876-1958)[129], il cancelliere tedesco Georg Frierdich Graf von Hertling (1843-1919) espresse la convinzione che ogni accordo intercorso per assistere i prigionieri aveva avuto origine dall’opera di Benedetto XV promossa fin dall’inizio del conflitto[130]. Nonostante l’esclusione della Santa Sede, l’iniziativa tedesca ebbe comunque un esito positivo.
Con riferimento alla questione dei prigionieri malati, la Santa Sede ebbe un più diretto coinvolgimento con il governo austro-ungarico. Da quest’ultimo ottenne, attraverso il nunzio apostolico, l’arcivescovo Teodoro Valfrè di Bonzo (1853-1922)[131], il rimpatrio senza scambio dei prigionieri italiani affetti da tubercolosi. In un telegramma del 21 gennaio 1918, inviata al cardinale Gasparri, il nunzio annunciò il: “rimpatrio tubercolotici italiani prigionieri in Austria, avrà inizio il prossimo 23. Saranno ben 399 infermi, dei quali un centinaio gravissimi che ritorneranno in Italia con questo primo treno. Il 24 saranno al confine, il 25 in patria. L’ambasciatore spagnolo nel partecipare alle autorità italiane la determinazione presa ha fatto rilevare che ciò si deve ad alte influenze, intendendo con ciò significare la Santa Sede”[132].

La Russia (3 marzo 1918)
Il 3 marzo del 1918 la Russia firmò il trattato di pace (Brest-Litovsk)[133] con gli Imperi Centrali. Il 7 maggio anche la Romania uscì dalla guerra (trattato di Bucarest).
Il 9 maggio 1918, Benedetto XV, con il Motu proprio Quartus iam annus[134], dispose che le messe del 29 giugno 1918 (festa dei Santi Pietro e Paolo) dovevano essere celebrate con una speciale intenzione: invocare dal Signore il dono della pace.

La situazione generale (novembre 1918)
La Germania, vista la conclusione favorevole sul fronte orientale, concentrò le proprie forze sulla linea occidentale. Dopo alcune vittorie iniziali, l’esercito tedesco fu sconfitto ad Amiens (8-11 agosto). Tale fatto, unito alla capitolazione della Bulgaria (armistizio di Salonicco, 29 settembre)[135], e all’aiuto U.S.A. fornito alle potenze della Triplice Alleanza, comportò il crollo militare delle forze di Berlino.
Anche l’impero austro-ungarico, di fronte all’armistizio dell’impero ottomano con gli alleati (Mudros, 30 ottobre 1918), si dovette arrendere e accettare di firmare l’armistizio[136] (villa Giusti, Padova) con l’Italia (3 novembre 1918).
L’11 novembre del 1918 la Germania firmò l’armistizio con le forze della Triplice Alleanza (Compiègne, in Piccardia). In quella data (alle 11 del mattino) fu ordinato il “cessate il fuoco”. Era la fine della prima guerra mondiale.

Fine del conflitto (novembre 1918)
Il conflitto si lasciò alle spalle morti (più di otto milioni), feriti, invalidi, orfani, vedove, miseria (fame, malattie). Quattro imperi vennero cancellati. L’Europa si trovò ad affrontare molti problemi. In particolare, diverse realtà traumatiche riguardarono la Germania e crearono le premesse per la nascita di un non lontano moto popolare di ribellione. L’impero tedesco era crollato. Il Kaiser era fuggito. Fu proclamata la repubblica. Le condizioni di pace imposte dai vincitori furono durissime: perdita dell’Alsazia-Lorena, cessione dei bacini della Saar alla Francia, cessione dello Schleswig alla Danimarca, smilitarizzazione della Renania, creazione del “corridoio di Danzica”, riduzione dell’esercito a 100.000 uomini, cessione delle colonie (spartite tra i vincitori), danni di guerra per 132 miliardi di marchi in oro, una cifra non raggiungibile dalla fragile economia postbellica tedesca[137]. In tale contesto, Benedetto XV continuò nell’opera umanitaria iniziata fin dall’inizio del conflitto. Ogni Chiesa locale fu chiamata a costruire la pace con nuovi progetti di apertura alla vita.

L’Enciclica “Quod iam diu” (1 dicembre 1918)
Il 1 dicembre del 1918 Benedetto XV, scrisse la sua terza Enciclica dal titolo: Quod Iam Dium[138]. Il testo è breve. Si individua la gioia del Papa per la cessazione del conflitto: “Il giorno che il mondo intero aspettava ansiosamente da tanto tempo e che tutta la cristianità implorava con tante fervide preghiere, e che Noi, interpreti del comune dolore, andavamo incessantemente invocando per il bene di tutti, ecco, in un momento è arrivato: tacciono finalmente le armi”[139].
Nel documento, il Papa, sostenne che la fine della guerra non coincideva con l’inizio della pace. L’armistizio aveva solo sospeso gli orrori. In un momento così delicato, si doveva ricordare che un motivo-chiave legato al non proseguimento delle violenze era dovuto “assolutamente a Colui che governa tutti gli eventi e che, mosso a misericordia dalle perseveranti preghiere dei buoni, ha concesso all’umanità di riaversi alfine da tanti lutti ed angosce”. Era necessario, quindi, ringraziare il Signore. Verso la conclusione del testo, il Pontefice esortò i cattolici a pregare per la vicina conferenza di pace: “Fra poco i delegati delle varie nazioni si aduneranno a solenne congresso per dare al mondo una pace giusta e duratura. Dovranno pertanto prendere deliberazioni così gravi e complesse, quali non furono mai prese da un’umana assemblea. Non è possibile dire quanto abbiano bisogno di essere illuminati dalla luce divina per potere assolvere il loro mandato”[140].

Regina Pacis, ora pro nobis!: Benedetto XV e la Conferenza di pace

Benedetto XV sottolineò più volte che la cessazione delle ostilità non significava automaticamente il ritrovamento della pace. Restavano infatti in molteplici territori rancori, tensioni, desideri di rivalsa, problemi irrisolti. Per tale motivo i lavori della Conferenza di Pace che si aprì a Versailles nel 1919 furono seguiti con molta attenzione dalla Santa Sede.

L’esclusione della Santa Sede (1919)
A causa dell’articolo 15 del Patto di Londra (1915) voluto dall’Italia, la Santa Sede non poté partecipare alla Conferenza di Pace. Anche il tentativo di far partecipare all’assise il cardinale Desiré Mercier (1851-1926) fallì per l’opposizione del ministro degli Esteri italiano Sidney Costantino Sonnino (1847-1922). Tale esclusione risparmiò probabilmente al Papa e al suo Segretario di Stato una serie di problemi. Infatti, sarebbe stato difficile per la Santa Sede mantenere la propria neutralità se avesse partecipato a un’assise riservata solo ai Paesi vincitori. La partecipazione della Santa Sede avrebbe portato quest’ultima al tavolo delle discussioni di alcuni argomenti controversi come ad esempio la responsabilità della guerra, il disarmo, i risarcimenti, i cambiamenti territoriali e una sua eventuale firma dei trattati avrebbe incluso la Santa Sede tra i responsabili di tali decisioni. Per Benedetto XV, il fatto di essere rimasto ai margini, anche se non per sua volontà, risultò alla fine utile: conservò una posizione di equidistanza tra le parti[141].

I lavori della Conferenza (18 gennaio 1919-21 gennaio 1920)
La Conferenza di Parigi si aprì ufficialmente il 18 gennaio del 1919[142]. In più ambienti cattolici si guardò all’assise con scarso entusiasmo (anche per l’esclusione della Santa Sede dalle trattative). Pure i diretti collaboratori del Papa si mostrarono perplessi. Tale linea trasse motivo da un decisionismo dei vincitori che rischiava di generare nuovi rancori e conseguenti futuri conflitti. Proprio in un articolo de La Civiltà Cattolica (corretto dal Papa) emersero preoccupazioni per possibili tensioni. Non mancarono richiami ai fallimenti di precedenti conferenze di pace. Si riteneva, quindi, importante fondare l’assise su basi chiare: fermi princìpi, intenti più nobili, una più alta sanzione: “(…) diciamo una sanzione conforme all’universalità non solo della benevolenza naturale, su cui è fondata la società umana, ma più ancora della sapienza e della carità cristiana, la quale imprima, oltre al suggello della opportunità, il carattere sacro dell’autorità all’assemblea, ai suoi deliberati, alla sua legislazione”[143].
L’articolo sottolineava poi l’importanza della giustizia e dell’amore la cui assenza non avrebbe dato soddisfazione alla ragione, né tranquillità alla vita sociale. In definitiva, si metteva a rischio la possibilità di raggiungere una pace universale. Unitamente a ciò, la rivista, con riferimento a quei politici che ritenevano l’assise un paradosso (vantaggiosa solo per i vincitori, umiliante per i vinti), considerava più esatto parlare di “ripartizione del bottino” e di “divisione della preda” piuttosto che di pace. In tale ottica, l’esclusione del Papa veniva considerata coerente. Anche se invitato, il Pontefice non si sarebbe comunque presentato se l’obiettivo era quello di una pace imposta, punitiva e vendicativa.

Tentativo di soluzione della “Questione Romana” (1919)
In tale contesto, emerse anche uno spiraglio per tentare di risolvere la “Questione Romana”. Quando a Versailles sorse la questione delle missioni cattoliche tedesche (Angola, Camerun, Togo, Cina), la Santa Sede ebbe la possibilità di inviare un proprio rappresentante. Il suo compito era quello di rivendicare l’appartenenza di tali centri alla congregazione pontificia per le missioni[144]. Venne inviato come osservatore esterno mons. Bonaventura Cerretti (1872-1933)[145]. Era il Segretario della Sacra Congregazione per gli Affari Straordinari. Il Papa gli affidò pure l’incarico di individuare una strada per affrontare (e possibilmente risolvere) la “Questione Romana”. Cerretti ebbe contatti con più interlocutori qualificati. Riuscì anche a far inserire all’ordine del giorno della Conferenza la “Questione”[146]. Il 1° giugno del 1919 il delegato del Papa ebbe un colloquio con il presidente del Consiglio italiano Vittorio Emanuele Orlando (1860-1952). Si intravedeva una soluzione. Le speranze, però, cessarono quando Orlando lasciò Versailles dopo uno scontro con Wilson. Il presidente americano si era infatti opposto alla richiesta di includere tra i territori da assegnare all’Italia la città portuale di Fiume.

Firma trattato di pace. Società delle Nazioni (28 giugno 1919)
Il 28 giugno del 1919 fu firmato dagli Alleati e dalla Germania il trattato di pace. Si riconobbe anche la dipendenza delle missioni cattoliche tedesche dalla Santa Sede. Con la firma degli accordi di Versailles fu pure fondata la Società delle Nazioni[147]. Doveva, in generale, accrescere il benessere e la qualità della vita umana. In particolare, era chiamata a prevenire le guerre con l’attività diplomatica e con il controllo degli armamenti. L’organizzazione comprendeva quattordici Stati tra cui cinque a titolo permanente. Tale organismo cessò la sua attività il 19 aprile del 1946 in seguito al fallimento rappresentato dalla seconda guerra mondiale e alla nascita, nel 1945, di un’analoga istituzione: le Nazioni Unite.

Le valutazioni di Benedetto XV
Malgrado il superamento della questione delle missioni cattoliche tedesche, il Papa rimase comunque addolorato per la scarsa efficacia del trattato di pace su alcuni problemi: “E poiché le ostilità hanno avuto finalmente un termine, supplicando la divina clemenza, facciamo voti che sia ormai tolto il blocco marittimo per tanti infelici che soffrono la fame e la penuria di ogni cosa; che quanti sono ancora prigionieri siano al più presto rimessi in libertà; infine che individui e popoli, fin qui tra loro nemici, siano nuovamente affratellati dai vincoli di quella cristiana carità che Noi certo non cesseremo mai di inculcare, e senza la quale sarà vano ogni trattato di pace”[148].
Non furono pochi i rilievi della Santa Sede sui trattati di pace. Vennero espressi attraverso “La Civiltà Cattolica”. Si evidenziò una “ipocrisia della politica”, un “fallimento del Congresso per la pace”. Tra le cause principali del conflitto fu indicata la politica anticristiana che aveva escluso Dio e il suo rappresentante, il Papa, dalla Conferenza. Adesso, solo il Cristianesimo poteva salvare il mondo. Condurlo alla vera pace[149]. Si annotò anche che la pace di Versailles costituiva solo una tregua. Poneva fine alla guerra militare, ma generava in realtà quella diplomatica e sociale[150].

Adveniat Regnum Tuum!: luci e ombre del dopoguerra

La conclusione del primo conflitto mondiale mise in evidenza il fatto che molti aspetti nodali, che travagliavano i rapporti tra nazioni, non erano stati risolti con il dovuto equilibrio. Malgrado ciò, emersero negli anni del dopoguerra anche una serie di eventi nuovi che avrebbero riversato i loro effetti per un lungo periodo in Italia e nel mondo. Tra questi, occorre ricordare la fondazione del Partito Popolare Italiano.

È fondato il Partito Popolare Italiano (gennaio 1919)
Nei mesi di novembre e di dicembre del 1918 si riunì a Roma, in via dell’Umiltà, un gruppo di politici con l’intenzione di dar vita a un partito formato da cattolici e quindi in sintonìa con la gerarchia ecclesiastica e con il suo magistero. Tra i presenti, ebbe un ruolo significativo un prete nativo di Caltagirone: don Luigi Sturzo (1871-1959)[151]. Le direttive programmatiche del nascente partito furono esposte nell′Appello ai liberi e forti. L’Appello accettava ed esaltava il ruolo della Società delle Nazioni, difendeva “le libertà religiose contro ogni attentato di setta”, la centralità della famiglia, la libertà d’insegnamento, il ruolo dei sindacati. I proponenti sostenevano l’esigenza di riforme democratiche come l’ampliamento del suffragio elettorale (compreso il voto alle donne) ed erano favorevoli al decentramento amministrativo e alla piccola proprietà rurale (in alternativa al latifondismo).
Il 18 gennaio del 1919, venne fondato a Roma il Partito Popolare Italiano[152]. L’avvenimento, ebbe tra i suoi promotori un gruppo di politici provenienti da diversi orientamenti, riconducibili: all’avvocato Carlo Santucci (1869-1929)[153] e al conte Stefano Jacini (1826-1891)[154]; ad Alcide De Gasperi (servo di Dio, 1881-1954)[155]; a don Romolo Murri (1870-1944)[156]; ad Achille Grandi (1883-1946)[157], Guido Miglioli (1879-1954)[158] e Giovanni Gronchi (1887-1978)[159].
La Santa Sede fu favorevole all’iniziativa[160]. Trovavano in tal modo una positiva ricomposizione diverse criticità che avevano travagliato la vita dell’Opera dei Congressi (tra cui la difficile interazione tra il gruppo della presidenza e quanti si ritrovavano, invece, nelle posizioni di Romolo Murri), e anche le relazioni tra alcuni esponenti politici cattolici e la Santa Sede.

Save the Children (19 maggio 1919)
Il 19 maggio del 1919, un’infermiera volontaria inglese, Eglantyne Jebb (1876-1928)[161] volle fondare a Londra un’organizzazione mirata ad affrontare le tristi conseguenze che il primo conflitto mondiale aveva avuto sull’infanzia. L’organismo, denominato Save the Children, trovò molte adesioni. Nell’estate del 1919 la Jebb scrisse a Benedetto XV chiedendo aiuti (che arrivarono) per la lotta contro la carestia che minacciava più regioni europee. Nel 1923, la fondatrice redasse la prima “Carta dei Diritti del Bambino”, adottata dalla Lega delle Nazioni. Quando morì il Pontefice (1922), Eglantyne Jebb valutò positivamente la sua opera: “Papa Benedetto XV è morto prima che il mondo abbia riconosciuto la grandezza del debito che ha nei suoi confronti per la sua difesa dei bambini del mondo”[162].

L’Enciclica “Paterno Iam Diu Animo”(24 novembre 1919)
Verso l’infanzia, comunque, Benedetto XV continuò a rivolgere un’attenzione costante. Ne è prova l’Enciclica Paterno Iam Diu Animo, datata 24 novembre 1919[163]. Attraverso questo documento (un breve testo), invitò quanti avevano a cuore le sorti dell’umanità a offrire denaro, alimenti e vestiti per i bambini. Nel testo era specificato che la Santa Sede donava la cifra di centomila lire italiane per l’infanzia abbandonata. Le offerte furono raccolte in tutto il mondo il 28 dicembre del 1919, festa liturgica dei Santi Innocenti. Tale iniziativa fu anche sostenuta con pubbliche preghiere.

La Chiesa missionaria (30 novembre 1919)
Benedetto XV, nel 1919, pur seguendo le trattative di pace e le opere umanitarie di assistenza, non mancò comunque di assumere importanti decisioni sul versante pastorale. In particolare, con la Lettera apostolica Maximum illud (30 novembre 1919)[164], volle ripresentare alla Chiesa universale il valore dell’opera missionaria e dettare delle linee guida di merito[165]. Affermò tra l’altro: “ (…) è assolutamente necessario che il clero indigeno sia istruito ed educato come si conviene. Non è quindi sufficiente una formazione qualsiasi e rudimentale, tanto da poter essere ammesso al sacerdozio, ma essa deve essere completa e perfetta come quella che si suol dare ai sacerdoti delle nazioni civili. Insomma, non si deve formare un clero indigeno quasi di classe inferiore, da essere soltanto adibito nelle mansioni secondarie, ma tale che, mentre si trovi all’altezza del suo sacro ministero, possa un giorno assumere egli stesso il governo di una cristianità”[166].
Il Papa, nella Lettera evidenziò anche delle criticità: “… E veramente Ci recano gran dispiacere certe Riviste di Missioni, sorte in questi ultimi tempi, nelle quali più che lo zelo di estendere il regno di Dio, appare evidente il desiderio di allargare l’influenza del proprio paese[167]: e stupisce che da esse non trapeli nessuna preoccupazione del grave pericolo di alienare in tal modo l’animo dei pagani dalla santa religione. Non così il Missionario cattolico, degno di questo nome. Non dimenticando mai che non è un inviato della sua patria, ma di Cristo, egli si comporta in modo che ognuno può indubbiamente riconoscere in lui un ministro di quella religione che, abbracciando tutti gli uomini che adorano Dio in spirito e verità, non è straniera a nessuna nazione (…). Un altro grave inconveniente da cui deve con ogni cura guardarsi il Missionario è il cercare altri guadagni che non siano quelli delle anime (…)”[168].
Con la Maximum illud si apriva una nuova stagione missionaria. In particolare, si liberava l’azione dei missionari dall’intreccio perverso col nazionalismo e col colonialismo, che stava penalizzando soprattutto l’emergere di una gerarchia autoctona in Cina.

L’Enciclica Pacem Dei Munus (1920)
In tale contesto, anche se la Conferenza di Parigi aveva ormai concluso i suoi lavori, Benedetto XV non cessò di tornare nei suoi insegnamenti sul tema della pace. È un segno che fa trapelare una convinzione di Papa Della Chiesa: tra le nazioni non era stato raggiunto un equilibrio politico soddisfacente. Al riguardo, nell’Enciclica Pacem Dei Munus (23 maggio 1920)[169], scrisse che restavano ancora “germi di antichi rancori”. Occorreva placare l’odio con un moto di riconciliazione basato sulla carità comune. Nel documento, con riferimento a diversi passi del N.T., venne sottolineato il valore dell’amore e del perdono. Affermò il Pontefice: “(…) perdoniamo di gran cuore, ad esempio di Gesù Cristo, tutti e singoli i nostri nemici che consapevoli o inconsci ricoprirono o coprono anche ora la persona e l’opera Nostra con ogni sorta di vituperi, e tutti abbracciamo con somma carità e benevolenza, non tralasciando occasione alcuna per beneficarli quanto più possiamo: e ciò stesso son tenuti a praticare i cristiani, veramente degni di tal nome, verso coloro dai quali, durante la guerra, ricevettero offesa”[170].

Il riferimento alla Società delle Nazioni (1920)
Un altro aspetto importante della Pacem Dei Munus riguardò la Società delle Nazioni. Benedetto XV auspicò una partecipazione di tutti i Paesi a questo organismo. Tale Società doveva diventare una famiglia di popoli. Era anche necessario ridurre le enormi spese militari per evitare nuove guerre. La Chiesa si impegnava a sostenere tale cammino di pace, nel rispetto dei princìpi cristiani.

È tolto il divieto imposto ai sovrani cattolici (1920)
Con l’Enciclica Pacem Dei Munus, Benedetto XV, “considerando le mutate circostanze dei tempi e la piega pericolosa degli eventi”, abolì anche il divieto ai sovrani cattolici di recarsi in visita ufficiale presso il sovrano e il governo italiano (colpevoli del “vulnus” inferto alla Santa Sede con la presa militare di Roma nel 1870). Con tale decisione, il Pontefice si mostrò deciso a trovare un’intesa con lo Stato italiano. Nella parte finale del documento affermò: “Ci rivolgiamo con affetto a tutti i Nostri figlioli e li scongiuriamo di nuovo nel nome di Nostro Signor Gesù Cristo perché vogliano dimenticare le reciproche rivalità ed offese, e stringersi nell’amplesso della cristiana carità, dinanzi a cui non vi sono estranei o stranieri; esortiamo inoltre vivamente tutte le nazioni affinché, nello spirito della cristiana benevolenza, s’inducano a stabilire fra loro una vera pace, e a collegarsi in un’unica alleanza che, auspice la giustizia, sia duratura”[171].

Concistoro. Le relazioni internazionali (1920)
Nel concistoro del 13 giugno 1920, Benedetto XV, evidenziando i risultati positivi ottenuti della Santa Sede, constatava l’aumento delle relazioni diplomatiche stabilite con vari Paesi: “Voi lo avete veduto, Venerabili fratelli: appena finito l’immane conflitto, quasi tutte le nazioni civili, che non mantenevano rapporti diplomatici con noi, si affrettarono, di loro spontanea volontà, a esporci il desiderio di averne, ben persuase che ne ricaverebbero molteplici vantaggi. Noi pertanto, fedeli alla tradizione di questa Sede Apostolica e conformandoci alla dottrina cattolica, che propugna l’armonia dei due poteri per il bene comune dello stato e della chiesa, accogliemmo ben volentieri tal desiderio, senza però compromettere alcuno di quei principii, che sono per noi inviolabili”[172].
Si era attuato un nuovo orientamento che condurrà a un risultato importante: da quattordici rappresentanze diplomatiche si arriverà a quarantatré. Al di là delle dichiarazioni di propaganda legate agli anni della guerra, diverse nazioni si erano convinte che il Papa aveva dimostrato imparzialità e vera umanità. L’Inghilterra, dopo tre secoli e mezzo di distacco, appena scoppiato il conflitto, riprese i contatti con la Santa Sede. La soddisfazione più grande del Pontefice fu la ripresa delle relazioni diplomatiche con la Francia[173].

Benedetto XV approva l’Università Cattolica (giugno 1920)
Nel 1919, padre Agostino Gemelli ofm (1878-1959)[174], Ludovico Necchi (venerabile, 1876-1930)[175], Francesco Olgiati (1886-1962)[176], Armida Barelli (venerabile, 1882-1952)[177] ed Ernesto Lombardo (1846-1935)[178] fondarono a Milano l’Istituto “Giuseppe Toniolo” di Studi Superiori[179]. Questo organismo fu l’ente garante e fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore[180]. Il 24 giugno 1920, Benedetto Croce (1866-1952), ministro della Pubblica Istruzione[181], approvò il progetto del nuovo ateneo e Benedetto XV dette il proprio consenso[182]. L’inaugurazione dell’Università ebbe luogo il 7 dicembre 1921 presso la sede di via Sant’Agnese 2. Le prime facoltà furono quelle di filosofia e di scienze sociali.

L’Enciclica Annus Iam Plenus (dicembre 1920)
Il 1° dicembre del 1920, con l’Enciclica Annus Iam Plenus[183], Benedetto XV evidenziò nuovamente l’urgenza di predisporre iniziative umanitarie. Il documento era stato preceduto dalla Paterno Iam Diu, scritta sul medesimo argomento poco più di un anno prima; da ciò proveniva il titolo (che significa “l’anno già compiuto”). Nel testo il Papa volle rivolgere un appello ai fanciulli delle nazioni più ricche e ai loro genitori per ottenere offerte a favore dell’infanzia in difficoltà. Dopo aver ringraziato anche l’associazione Save the Children Fund, per precedenti aiuti ai fanciulli dell’Europa centrale, Benedetto XV metteva a disposizione centomila lire italiane. Scrisse inoltre: “ […] nell’approssimarsi del Natale del Signore di nuovo rivolgiamo l’appello alle genti cristiane, perché Ci diano qualcosa per porgere un po’ di sollievo ai bambini ammalati ed indeboliti, dovunque essi si trovino. Per conseguire in più larga misura questo scopo, Noi ci rivolgiamo a quanti hanno viscere di benignità e di misericordia, ma soprattutto ai fanciulli delle regioni più ricche, come quelli che più facilmente possono aiutare i loro piccoli fratelli in Cristo”[184].

Le piaghe del tempo (dicembre 1920)
Nel discorso per gli auguri natalizi del Sacro Collegio del 24 dicembre 1920[185], il Papa, con riferimento alla situazione di quel momento, affermò: “… La guerra, accesa sette anni or sono, sedata da due anni, non spenta ancora in tutte le parti del globo, se ha seminato rovine materiali che straziarono l’umanità, e che anche al presente impietosiscono ogni cuore, massime alla vista della povera infanzia, molto maggiori ha seminato le rovine morali, alle quali non pensò mai l’umana sapienza, preoccupata solo del potere, dei confini e delle sostanze.
Ma sono appunto le rovine morali che si parano innanzi alla Nostra morale missione; e cinque principalmente, quali nuove piaghe dell’età Nostra, Noi ne dobbiamo deplorare, come esiziali al bene delle anime, non meno che al materiale benessere del popolo cristiano. Son desse: la negazione dell’autorità; l’odio dei fratelli; la smania dei godimenti; la nausea del lavoro; l’oblio infine di quell’uno che è in questa terra necessario, e che ogni altra cosa, come secondaria, sorpassa: porro unum necessarium[186]”.
L’intervento pontificio poggiava su dati storici. Per Benedetto XV affrontare le rovine morali del tempo era un compito estremamente impegnativo. Per diversi motivi. Era necessario stabilire un equilibrio che consentisse: alle pubbliche autorità di adempiere ai propri compiti (problema dell’unità politica), alle popolazioni di superare gli odi di parte (questione dei rancori e delle rivalse), alla gente in generale di non preferire realtà di comodo ma di assumere responsabilità, ai lavoratori di individuare delle soluzioni capaci di superare le lotte interne al mondo produttivo del tempo, a ogni persona il ritorno a Dio, Signore della vera pace.

La situazione in un anno-chiave (1921)
Dal 15 al 21 gennaio del 1921 si tenne a Livorno il XVII° congresso del partito socialista italiano. In tale occasione avvenne la scissione della corrente comunista che diede vita al partito comunista d’Italia. I comunisti uscirono dal teatro Goldoni (sede dell’assise) cantando L’Internazionale e si recarono al teatro San Marco per svolgere il I° congresso del partito comunista d’Italia[187]. Gli altri delegati proseguirono invece i lavori approvando all’unanimità un ordine del giorno firmato da Paolo Bentivoglio (1894-1965): in esso si ribadiva l’adesione del PSI all’Internazionale Comunista accettandone senza riserva i principî ed il metodo.
Domenica, 15 maggio 1921 si svolsero in Italia le elezioni politiche in un clima di violenza. Scontri mortali tra attivisti di opposte fazioni si verificarono a Biella, Gozzano (No), Vigevano (Pv), Castelbelforte (Mn), Crema (Cr), Padova, Canale (Tr), Melissano (Le), Siracusa, e in altre località. Il Partito Popolare Italiano confermò la sua forza elettorale con il 20,4% dei voti e 108 deputati.
Il 29 luglio del 1921, Adolf Hitler (1889-1945) partecipò a un’assemblea straordinaria con i membri del Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei, Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP). Questa formazione politica insisteva per un ritorno della Germania ad un ruolo di grandezza, e sosteneva l’esigenza di unalotta anti-semita. In quella occasione, riuscì a togliere la leadership ad Anton Drexler (1884-1942). Quest’ultimo fu costretto ad accontentarsi dell’incarico di presidente onorario[188].
L’8 novembre del 1921, durante il terzo congresso nazionale dei Fasci italiani di combattimento fondati da Benito Mussolini (1883-1945) a Milano il 23 marzo 1919, fu costituito il Partito Nazionale Fascista[189]. Primo segretario generale del PNF fu eletto Michele Bianchi (1882-1930) , che rimase in carica per un anno fino al momento in cui entrò a far parte del governo Mussolini costituito dopo la marcia su Roma (28 ottobre 1922).
Il 7 dicembre 1921 si inaugurò ufficialmente a Milano l’Università Cattolica del Sacro Cuore, con una messa celebrata da padre Gemelli ofm. Fu presente il cardinale arcivescovo di Milano, Achille Ratti (1857-1939). Quest’ultimo, tre mesi dopo, sarà eletto Papa con il nome di Pio XI. La prima sede era in Palazzo del Canonica in via Sant’Agnese 2. Nell’ottobre del 1932 si trasferì nell’antico monastero di Sant’Ambrogio, tutt’oggi sede dell’ateneo. Nel 1921 gli studenti iscritti ai primi due corsi, in Scienze filosofiche e Scienze sociali, erano 68.

La preghiera “O Dio di bontà” (25 luglio 1921)
Nel gennaio-febbraio del 1921 si verificarono in Italia una serie di episodi violenti caratterizzati dall’iniziativa dello squadrismo fascista. Vennero distrutte le sedi delle organizzazioni operaie e si verificarono scontri armati con i militanti socialisti (con vittime). I fatti più gravi avvennero a Firenze. Il 1º marzo 1921 la cronaca registrò eventi conflittuali ad Empoli (morirono anche esponenti delle forze dell’ordine). Nella notte tra il 23 ed il 24 marzo avvengono sanguinosi scontri a Milano, in seguito a una strage,  causata dall’esplosione di una bomba collocata da anarchici. Poco dopo, un gruppo di squadristi assalta le sedi dell’Umanità Nova, di un circolo socialista e dell’Unione sindacale. Durante la notte avviene anche l’assalto alla sede dell’Avanti!, a cui gli squadristi appiccano il fuoco dopo essere stati respinti dalla polizia.
La sera del 21 aprile alcuni giovani fascisti uccidono a colpi di pistola, a Pavia, il principale dirigente del neonato partito comunista d’Italia nel pavese. Il 24 aprile squadristi accorsi a Bolzano da varie regioni italiane attaccano con bombe a mano, pistole e manganelli un corteo del sindacato sudtirolese socialdemocratico. Tra il 28 ed il 30 giugno avvengono i primi scontri a Grosseto, fino ad allora non toccata dalla guerra civile. Il 21 luglio 1921 circa trecento squadristi toscani si recano a Sarzana per liberare uno dei massimi esponenti dello squadrismo, incarcerato. I fascisti si trovano a fronteggiare i regi carabinieri e, per un colpo sparato da antifascisti durante le trattative, si apre una sparatoria che ucciderà otto squadristi e un carabiniere. Il 24 luglio del 1921 avrà luogo il massacro di Roccastrada
In tale contesto (segnato da molti altri episodi), Benedetto XV, con un chirografo datato 25 luglio 1921, invitò gli italiani a recitare la preghiera O Dio di bontà, da lui composta, con la quale s’invocava l’aiuto del Signore e della Madonna per raggiungere di nuovo una situazione di pace in Italia[190].
“O Dio di bontà e di perdono, col cuore trafitto ci stringiamo intorno ai vostri altari ed imploriamo misericordia.
Dopo gli orrori della guerra, il flagello più grande è quest’odio feroce per cui gli uomini di una stessa famiglia s’inseguono e si uccidono per fazioni di parte. La terra, in cui più ha sorriso la pietà cristiana e che è stata la culla di ogni gentilezza, sta per divenire un campo cruento di lotte civili. Misericordia, o Signore! Voi, che avete rivelato nella legge nuova il perdono delle offese e l’amore dei nemici, fate che si riabbraccino coloro che non sono nemici ma fratelli; fate che, deposte le armi che sanguinano, tutti possano ripetere nella dolce lingua comune la preghiera che ci avete insegnato: « Padre nostro, che sei ne’ cieli », e che, vedendo il vostro Figlio aprire il cuore e le braccia ai suoi crocifissori, sentano inondarsi l’anima della carità più viva per ripetere con umile confidenza: « Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori ».
Vergine Immacolata, Regina dei cuori, scendete in mezzo ai vostri figli e fate sentire la vostra voce di Madre: Voi sola potete, con la vostra intercessione, riconciliarli con Dio e riconciliarli tra loro: Voi sola potete far loro gustare la dolcezza di quella pace, che è preludio della vita eterna, e così sia”[191].

Gli avvenimenti in Russia (5 agosto 1921)
Nel frattempo, anche in altri territori la situazione fu segnata da gravi conflittualità e da situazioni di carestia. In Russia, la prima guerra mondiale, la rivoluzione d’ottobre (1917) e la guerra civile (1918) avevano avuto conseguenze profondamente negative sull’economia. La tattica di fare “terra bruciata” davanti al nemico, valida sul piano militare, aveva però indebolito diverse zone del Paese. Il governo bolscevico, inoltre, aveva requisito rifornimenti ai contadini senza dar niente in cambio. I raccolti avevano subìto una drastica riduzione. Quanto era stato accantonato dagli agricoltori fu poi incamerato dall’autorità politica (Lenin, 1870-1924)[192]. Nel giugno del 1921 Michail Tuchačevskij (1893-1937), fu inviato a reprimere la ribellione di Tambov con autoblinde e cannoni. Egli ordinò la cattura di ostaggi che sarebbero stati fucilati se le loro famiglie fossero state trovate in possesso di armi o avessero dato rifugio ai ribelli. L’ordine trovò resistenze anche a livello centrale e fu revocato dopo un mese.
Nel frattempo, la American Relief Administration, che Herbert Hoover (1874- 1964) aveva promosso per aiutare i Paesi europei dopo la I guerra mondiale, aveva offerto assistenza a Lenin nel 1919 a condizione che avessero a disposizione la rete ferroviaria russa e che il cibo fosse distribuito in modo imparziale. Lenin all’inizio rifiutò, poi prese atto di vari drammi interni e decretò la Nuova politica economica (15 marzo 1921). La carestia spinse a un’apertura verso l’occidente: il governo, alla fine, permise alle associazioni umanitarie di portare aiuti.
È in tale contesto che il 5 agosto del 1921 Benedetto XV, sulla base dei resoconti che gli erano stati forniti dalla Segreteria di Stato, scrisse l’Epistola Le Notizie “sulla condizione di miseria in cui versa il popolo russo”. Il testo fu indirizzato al suo più diretto collaboratore, il cardinale Gasparri.
“Le notizie che in questi giorni Ci pervengono intorno alle condizioni del popolo russo sono, come Ella, Signor Cardinale, ben sa, particolarmente gravi. A quanto si può giudicare dalla laconica sobrietà di queste prime informazioni, noi ci troviamo di fronte ad una delle più spaventose catastrofi della storia. Masse sterminate di creature umane, colpite dalla fame, falciate dal tifo e dal colera, ondeggiano disperatamente sopra una terra inaridita e si riversano su i centri più popolosi, dove sperano di trovare il pane e donde vengono ricacciate con la forza delle armi. Dal bacino del Volga, molti milioni di uomini invocano, dinanzi alla morte più terribile, il soccorso dell’umanità.
Questo grido di dolore, Signor Cardinale, Ci ha ferito profondamente. Si tratta di un popolo già sommamente provato dal flagello della guerra; di un popolo, su cui brilla il carattere di Cristo e che ha sempre fortemente voluto appartenere alla grande famiglia cristiana. Per quanto separato da Noi da barriere che lunghi secoli hanno innalzato, esso è tanto più vicino al Nostro cuore di Padre, quanto è più grande la sua sventura.
Signor Cardinale, Noi sentiamo il dovere di fare tutto il possibile nella Nostra povertà per soccorrere i figli lontani. Ma la vastità della rovina è tale che tutti i popoli debbono unirsi per provvedere; e nessuno sforzo, per quanto grande, riuscirà di troppo dinanzi all’immensità del disastro. Perciò La invitiamo, Signor Cardinale, a metter in opera i mezzi che sono a sua disposizione per far presente ai Governi delle varie Nazioni la necessità di una pronta ed efficace azione comune.
Il Nostro appello innanzi tutto va ai popoli cristiani, i quali conoscono l’infinita carità del Divin Redentore, che ha dato il sangue per renderci tutti fratelli; e poi va a tutti gli altri popoli civili, perché ogni uomo, degno di questo nome, deve sentire il dovere di accorrere dove muore un altro uomo. (…)”[193].
L’intenzione del Papa, espressa con il documento, fu di raccogliere offerte per alleviare le sofferenze di chi soffriva per la carestia. Essendo il problema di vasta portata, il Pontefice fece appello a tutte le Chiese locali. In tal modo vennero raccolti non meno di cinque milioni di lire.

L’inizio dei colloqui ecumenici (dicembre 1921)
Proprio alla vigilia della morte di Benedetto XV, ebbero inizio, in modo cauto ma reale, i primissimi colloqui ecumenici a Malines tra cattolici e anglicani (6,7 ed 8 dicembre 1921; prima sessione)[194]. Tale iniziativa si realizzò con il benestare del Pontefice. La prima conversazione si aprì con un saluto del cardinale Desiré Mercier (1851-1926)[195] ai vari partecipanti ed una invocazione allo Spirito Santo, perché li guidasse verso il superamento delle differenze dottrinali. Seguì poi l’introduzione di lord Charles Lindey Wood, secondo visconte di  Halifax (1839-1934), che fece un breve riassunto dell’Appello di Lambeth dell’anno precedente[196] e presentò un suo personale memorandum con le tappe da seguire per il raggiungimento dell’unione tra le due Chiese. Un’altra figura importante di questi colloqui fu il padre Fernand Portal (1855-1926), un religioso francese dei Preti della Missione[197].

Il passaggio alla Casa del Padre (1922)
Malgrado una fragile salute riscontrata negli anni dell’infanzia, Benedetto XV, in età adulta, non aveva avuto problemi particolari. Alcuni limiti fisici (es. diminuzione dell’udito) non allarmavano i suoi collaboratori. In tale contesto, si verificò un episodio. Il 27 novembre del 1921, uscendo alle cinque di mattina per andare in basilica, il Papa dovette attendere l’apertura della porta e accusò un colpo di freddo. Alcuni ritengono che quel breve lasso di tempo abbia dato origine a un processo patologico aggravatosi in seguito. Pur con problemi di tosse, che rendevano meno facile la comunicazione, il Pontefice mantenne gli impegni pastorali (si era arrivati a fine anno). Le sue condizioni, però, subirono un aggravamento bronco-polmonare nel gennaio del 1922. Il giorno 22, entrò in coma alle 5 del mattino. Morì un’ora dopo. Aveva sessantotto anni[198].

Le reazioni
Dopo la morte di Benedetto XV, vennero pubblicati diversi commenti sul pontificato appena terminato e, dopo lungo tempo, furono esposte bandiere a mezz’asta sugli edifici governativi[199]. Il gesto fu considerato un omaggio indiretto al Papa che aveva contribuito al miglioramento delle relazioni tra la Santa Sede e lo Stato italiano. D’altra parte, già il quotidiano liberale di Roma, L’Epoca, aveva affermato poco prima della morte di Benedetto XV: “L’uomo che sta morendo non ha dimenticato, come dicevamo ieri, d’essere italiano. E la sua altezza morale, che forse domani apparirà più chiara nel cessare dei dissidi e degli attriti del presente, è pur sempre una nuova gloria italica. Possa il suo successore essere degno di lui e perseguire l’opera di vera pace fra gli uomini di buona volontà, che indubbiamente era il pensiero primo di Benedetto XV”[200].
Le reazioni, però, non furono comunque solo positive. Il quotidiano socialista L’Avanti! descrisse il Papa come “freddo, mediocre e ostinato e preannunciò che la storia del futuro l’avrebbe dimenticato”[201]. La salma di Benedetto XV, fu sepolta nelle Grotte Vaticane (di fronte alla tomba del suo predecessore Pio X). Gli fu poi eretto un monumento nella basilica di San Pietro[202]. Dopo 83 anni dalla sua morte, un altro Pontefice volle chiamarsi Benedetto. Joseph Ratzinger (Benedetto XVI, 2005-2013) fece questa scelta anche per ricordare Benedetto XV e il suo impegno a favore della pace.
“Ho voluto chiamarmi Benedetto XVI per riallacciarmi idealmente al venerato pontefice Benedetto XV, che ha guidato la Chiesa in un periodo travagliato a causa del primo conflitto mondiale. Fu coraggioso e autentico profeta di pace e si adoperò con strenuo coraggio dapprima per evitare il dramma della guerra e poi per limitarne le conseguenze nefaste. Sulle sue orme desidero porre il mio ministero a servizio della riconciliazione e dell’armonia tra gli uomini e i popoli, profondamente convinto che il grande bene della pace è innanzitutto dono di Dio, dono purtroppo fragile e prezioso da invocare, tutelare e costruire giorno dopo giorno con l’apporto di tutti”[203].

Annotazioni di sintesi
Benedetto XV fu eletto Pontefice poche settimane dopo l’inizio della prima guerra mondiale. Davanti a tale tragedia, la sua azione si orientò verso alcuni obiettivi: cercare di non far estendere il conflitto, presentare delle soluzioni alternative al perdurare delle ostilità, sostenere le azioni umanitarie. Specie su quest’ultimo punto gli venne riconosciuto un ruolo significativo. Lo attesta una statua eretta a Costantinopoli in suo onore nel 1921[204].
1. Il pontificato di Papa Della Chiesa si mosse nel solco del nuovo secolo, con una percezione talvolta profetica e sempre “moderna” della realtà. Guardò lontano nella visione “non coloniale” dell’opera missionaria (Enciclica Maximum illud, 1919) e nella promozione dell’associazionismo laicale. Il consenso alla formazione, sempre nel 1919, del Partito Popolare di don Sturzo e il contestuale superamento del non expedit, costituirono le premesse per quel lento processo che avrebbe portato nel 1929 al Concordato: i primi colloqui tra Nitti e Gasparri risalgono al 1920.
2. Nel 1920 il Papa genovese tese la mano alla Russia condizionata dalla carestia, superando le resistenze anti-ortodosse (prima ancora che anti-bolsceviche) di ambienti vicini al Pontefice. Pur rappresentando il bolscevismo una realtà che motivava preoccupazioni, i colloqui tra Roma e Mosca continuarono fino agli incontri del 1927 tra Pacelli e il ministro degli Esteri sovietico, Georgij Cicerin (1872-1936). Fu l’intransigenza dell’URSS, avviata ormai verso il regime stalinista, a farli fallire.
3. Nei confronti del modernismo, la posizione di Benedetto XV si dimostrò non chiusa. Nella sua prima Enciclica, Ad beatissimi (novembre 1914), vennero riconfermate le condanne del socialismo (senza un linguaggio aggressivo) e del modernismo (evitando qualsiasi forma di integrismo e disapprovando un clima di sospetto in precedenza generalizzato).
4. Benedetto XV rifiutò anche in modo chiaro sia il nazionalismo fanatico e aggressivo, che il razzismo.
5. Egli indicò alla Chiesa non solo il valore del patrimonium fidei, ma anche l’esempio di chi aveva seguito il Signore Gesù con cuore indiviso: Efrem il Siro (proclamato dottore della Chiesa nel 1920)[205], san Domenico di Guzman (ricordando il 7° centenario della morte)[206], san Bonifacio (nel 12° centenario della missione in Germania)[207], Margherita Maria Alacoque (canonizzazione)[208], Giovanna d’Arco (canonizzazione)[209].
Alla sua morte, il Pontefice lasciò alla Chiesa la coscienza della propria forza morale, e della debolezza politica che allontanava i miraggi del temporalismo. E consegnò anche il dono di un gruppo di cardinali di altissima levatura (Ratti, Gasparri, Pacelli). Saranno quest’ultimi ad affrontare i nuovi segni dei tempi.

Note


[1] L. Bedeschi, Le origini della Gioventù cattolica, Cappelli, Bologna 1959. L. Osbat-F.Piva (a cura), Le origini della “Gioventù cattolica” dopo l’Unità 1868-1968, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1972. F. Piva, “La Gioventù cattolica in cammino….”. Memoria e storia del gruppo dirigente (1946-1954), Franco Angeli, Milano 2003.

[2] Giovanni Maria Mastai Ferretti nacque a Senigallia nel 1792. G. Martina, Pio IX (1846-1878), vol. 1: 1846-1850, vol. 2: 1851-1866, vol. 3: 1867-1878, Università Gregoriana Editrice, Roma.

[3] A. Gambasin, Il movimento sociale nell’Opera dei Congressi, 1874-1904. Contributo per la storia del cattolicesimo sociale in Italia, Università Gregoriana, Roma 1958.

[4] G. Romanato, Pio X. La vita di papa Sarto, Rusconi, Milano 1997.

[5] M. Invernizzi, L’unione elettorale cattolica italiana (1906-1919). Un modello di impegno politico unitario dei cattolici, Cristianità, Piacenza 1993.

[6] F. Malgeri, GENTILONI, Vincenzo Ottorino, in “Dizionario Biografico degli Italiani”, vol. 53, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2000.

[7] S. Tramontin, Unione popolare, in “Dizionario storico del movimento cattolico in Italia”, diretto da F. Traniello-G. Campanini, vol. I/2, “I fatti e le idee”, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1981, pp. 394-395.

[8] A.C.Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Einaudi, Torino 1963, pp. 173ss..

[9] G. Martina, Pio IX (1846-1878), vol. 1: 1846-1850 (ed. 1974), vol. 2: 1851-1866 (ed. 1986), vol. 3: 1867-1878 (ed. 1990), Università Gregoriana Editrice, Roma.

[10] Nato nel 1810. Cfr. al riguardo: S. Picciaredda-V.V. Alberti, Il mondo di Leone XIII d’incontro della Chiesa con il XX secolo, Fondazione Liberal, Roma 2006.

[11] Leone XII (Annibale della Genga), nato nel 1760, fu Pontefice dal 1823 al 1829.

[12] L. Trincia-J.M. Ticchi-L. Civinini, La figura e l’opera del cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, a cura di C. Cerami, Sciascia, Caltanissetta 2006.

[13] La madre di Alfonso XII, Maria Cristina d’Asburgo-Teschen (1858-1929), tenne la reggenza dal 1885 al 1902.

[14] Anno della sua nomina ad arcivescovo di Bologna.

[15] L’abate Tosti (1811-1897), monaco di Montecassino, fu autore di diverse pubblicazioni a sfondo politico-pastorale.

[16] Mons. Geremia Bonomelli (1831- 1914) fu vescovo di Cremona. AA.VV., Geremia
Bonomelli e il
suo tempo, a cura di G. Rosoli, Fondazione Civiltà Bresciana,
Brescia 1999.

[17] Mons. Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905) fu vescovo di Piacenza. Carteggio Scalabrini-Bonomelli 1868-1905, a cura di C. Marcora, Studium, Roma 1983.

[18] Mons. Luigi Nazari dei conti di Calabiana (1808-1893) fu arcivescovo di Milano.

[19] Cfr. al riguardo: M. Letterio (a cura), Benedetto XV. Profeta di pace in un mondo in crisi, Minerva, Argelato (BO), pp.34-80.

[20] Émile Flourens fu un politico della Terza Repubblica. Esponente del partito “Lazzarista” (formazione politica popolare).

[21] A. Scottà, Papa Benedetto XV. La Chiesa, la grande guerra, la pace (1914-1922), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2009, p. 6.

[22] D. Quirico, Adua. La battaglia che cambiò la storia d’Italia, Mondadori, Milano 2004.

[23] Leone XIII, Enciclica Rerum novarum (15 maggio 1891): Leonis XIII P.M. Acta, XI, Romae 1892, 97-144. Cfr. anche: G. De Rosa (a cura), I tempi della “Rerum novarum”, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003. M. Ormas, Umanesimo cristiano e modernità. Introduzione alle encicliche sociali. Dalla Rerum novarum alla Caritas in veritate, Lateran University Press, Roma 2014.

[24] Su questo punto cfr. anche: A. De Gasperi, I tempi e gli uomini che prepararono la “Rerum novarum”, Vita e Pensiero, Milano 1984. PL Guiducci, Senza aggredire, senza indietreggiare. Don Bosco e il mondo del lavoro. La difesa dei giovani, Elledici, Torino2012, pp.35-69.

[25] Cfr. N. Simonetti, Principi di teologia della pace nel magistero di Benedetto XV, Edizioni Porziuncola, Santa Maria degli Angeli 2006, p.76.

[26] A. Scottà, Papa Benedetto XV…, op. cit., pp. 8-9.

[27] Si rimanda a: G. Zizola, Il conclave, storia e segreti, Newton & Compton, Roma 2005, p. 177.

[28] Nato a Riese nel 1835.

[29] PL Guiducci, Veneto e romano. La storia di san Pio X nel centenario della sua morte (1835-1914).

http://carlomafera.wordpress.com/2014/05/16/veneto-e-romano-la-storia-di-san-pio-x-nel-centenario-della-sua-morte-1835-1914/ O. Sanguinetti, Pio X. Un pontefice santo alle soglie del “secolo breve”, Sugarco Edizioni, Milano 2014.

[30] Id., Merry del Val: un aristocratico spagnolo al fianco di papa Sarto, in “30 Giorni”, mensile internazionale, n.1/2, 2006.

[31] G. Merle, Émile Combes, Fayard, Paris 1995.

[32] Pio X, Enciclica Vehementer Nos, 11 febbraio 1906, in AAS 39 (1906).

[33] Pio X, Enciclica Gravissimo Officii Munere, 10 agosto 1906, in AAS 39 (1906).

[34] La situazione mutò solo nel 1923 con l’istituzione delle associations diocésaines.

[35] Pius pp. X, Litterae encyclicae Iamduduma in Lusitania de ecclesiae angustiis in Lusitania. [Venerabilibus fratribus Patriarchis Archiespiscopis aliisque locorum Orinariis pacem et comunionem cum Apostolica Sede habentibus], 24 maii 1911: AAS 3 (1911), pp. 217-224.

[36] C. Arnold-G. Vian (a cura), La condanna del modernismo. Documenti, interpretazioni, conseguenze, Viella, Roma 2010. R. de Mattei, Modernismo e antimodernismo nell’epoca di Pio X, in “Don Orione negli anni del modernismo”, Jaca Book, Milano 2002, pp. 29-86. G. Vian, Il modernismo. La Chiesa cattolica in conflitto con la modernità, Carocci, Roma 2012.

[37] Con il decreto Lamentabili (6 luglio 1907) e l’Enciclica Pascendi dominici gregis (8 settembre 1907).

[38] S. Pagano, Documenti sul modernismo dal fondo Benigni, in “Ricerche per la storia religiosa di Roma”, n. 8, 1990, p. 259ss.

[39] Gasparri si occupò dell’opera di redazione del codice di diritto canonico.

[40] F. Da Tavola, Benedetto XV, il papa della pace, Unione Francescana, Firenze 1942.

[41] A. Scottà, Giacomo della Chiesa arcivescovo di Bologna 1908-1914. L’“ottimo noviziato” episcopale di papa Benedetto XV, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002.

[42] C. Falconi, I Papi del ventesimo secolo, Feltrinelli, Milano 1967, p. 128.

[43] J.F. Pollard, Il papa sconosciuto. Benedetto XV (1914-1922) e la ricerca della pace, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, p. 34.

[44] J.F. Pollard, Il papa sconosciuto, op. cit., p. 34.

[45] Gavrilo Princip nacque in Bosnia-Erzegovina. Era membro della Mlada Bosna (Giovane Bosnia), un gruppo che mirava all’unificazione di tutti gli jugoslavi (Slavi del sud).

[46] Testo del discorso in “La Civiltà Cattolica”, 65, 1914, n.3, pp. 486-487.

[47] F. Roberti, Il Cardinal Pietro Gasparri. L’uomo, il sacerdote, il diplomatico, il giurista, Apollinaris, vol. XXIII (1960), pp. 5-43.

[48] Benedetto XV, Esortazione Apostolica Ubi primum, AAS, VI (1914), 501 ss..

[49] Scottà A., “La Conciliazione ufficiosa”. Diario del barone Carlo Monti “incaricato d’affari” del governo italiano presso la Santa Sede (1914-1922), 2 voll., Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997.

[50] Cfr. al riguardo “La Civiltà Cattolica”, anno 65°, vol. 4, 1914, p. 227.

[51] Benedetto XV, Enciclica Ad Beatissimi Apostolorum Principis, AAS, VI (1914), pp. 585-599.

[52] Ibidem.

[53] Ibidem.

[54] Ibidem.

[55] Espressione evidenziata in grassetto per la sua significatività (prof. Guiducci).

[56] Espressione evidenziata in grassetto per la sua significatività (prof. Guiducci).

[57] Benedetto XV, Enciclica Ad Beatissimi Apostolorum Principis, AAS, VI (1914), pp. 585-599.

[58] Al XV congresso (svoltosi a Milano dal 30 agosto al 3 settembre 1897) dell’ Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici, furono diffusi i seguenti dati: 1830 nuovi comitati parrocchiali; 310 nuove sezioni giovani; 160 nuove casse rurali; 223 nuove società operaie; 33 periodici e 16 circoli universitari. Cfr. al riguardo: M. Invernizzi, I cattolici contro l’unità d’Italia?, Piemme, Casale Monferrato 2002, pp. 74-75.

[59] Benedetto XV, Enciclica Ad Beatissimi Apostolorum Principis, op. cit..

[60] Ibidem.

[61] A. Scottà, Papa Benedetto XV, op. cit., p. 101.

[62] Convenzione dell’Aja 1907. Consiste di tredici sezioni. Fu firmata il 18 ottobre 1907 ed entrò in vigore il 26 gennaio 1910.

[63] Discorso del Santo Padre Benedetto XV al Sacro Collegio dei Cardinali nella vigilia della Solennità del Natale, 24 dicembre 1917, AAS, IX (1917).

[64] Ibidem.

[65] Il 15 settembre 1916, 32 carri furono inviati contro le trincee tedesche (battaglia della Somme).

[66] L’iprite fu utilizzata per la prima volta in Belgio, nel settore di Ypres (da cui il nome), il 12 luglio 1917, per iniziativa dell’esercito tedesco.

[67] Fu utilizzato in guerra dai tedeschi per la prima volta il 25 giugno 1915 contro i francesi; il 30 luglio 1915 fu impiegato contro le trincee britanniche ad Hooge (Belgio).

[68] Si passò dalle bombe di pochi kg sganciate manualmente, ad ordigni anche di 100 kg trasportati per es. dai dirigibili Zeppelin e da bombardieri plurimotori, come i Gotha G.V impiegati per bombardare Londra.

[69] BCSM, Decreto del Santo Padre Benedetto XV col quale si prescrivono preghiere in determinati giorni per ottenere la pace, in “Bollettino Ufficiale della Diocesi di San Miniato”, anno V, 31 gennaio 1915, n. 1, pp. 3-4.

[70] http://www.totustuustools.net/magistero/b15sulno.htm

[71] Espressione evidenziata in grassetto per la sua significatività (prof. Guiducci).

[72] A. Tortato, La prigionia di guerra in Italia 1915-1919, Mursia, Milano 2004.

[73] Fu collaboratore di Benedetto XV nella preparazione remota della Conciliazione fra Stato e Chiesa. Nel 1922 fu nominato Nunzio Apostolico a Madrid. Creato cardinale nel 1933. Prese parte alla soluzione della questione riguardante la Terra Santa e per speciale mandato della Santa Sede, nel 1929, operò la visita apostolica nella Catalogna. Fu il fondatore dell’Azione Cattolica spagnola.

[74] G. Paolini, Offensive di pace: la Santa Sede e la prima guerra mondiale, Fondazione “Spadolini-Nuova antologia”, Polistampa, Firenze 2008, p. 255.

[75] Per meglio facilitare il lavoro, Benedetto XV propose al vescovo di Paderbon, mons. Karl Joseph Schulte (1871-1941), di fondare nella sua città un ufficio destinato a raccogliere le notizie dei francesi, degli inglesi, dei belgi e dei russi prigionieri in Germania; come pure di stampare gli elenchi degli scomparsi, compilati in base alle richieste pervenute all’ufficio di Roma e di inviarli in tutti i campi di concentrazione tedeschi affinché le autorità ed i cappellani militari dei campi stessi potessero fare le opportune ricerche. La missione cattolica di Friburgo ebbe un analogo incarico per la ricerca dei dispersi fra i prigionieri germanici: in Francia. L’ufficio di Paderbon e la missione cattolica di Friburgo non tardarono a ricevere importanti notizie che permisero di stabilire le note corrispondenti alle indagini fatte e di inviarne un duplicato all’ufficio del Vaticano. Dopo l’intervento dell’Italia nel conflitto, Benedetto XV si affrettò a proporre alla nunziatura di Vienna di svolgere indagini analoghe a quelle dell’ufficio di Paderbon per la ricerca degli italiani dispersi nei campi di concentrazione austriaci.

[76] Secondo statistiche del tempo (inizio 1917) i ricoverati in Svizzera furono diverse migliaia. Negli elenchi si individuano militari e civili (francesi, tedeschi, belgi). Su questo punto cfr. A. Scottà, Papa Benedetto XV, op. cit., pp. 105-106.

[77] Si riteneva possibile un’alleanza tra gli armeni e i russi (nemici dei turchi).

[78] Segnaliamo qui gli studi più autorevoli sul genocidio armeno: Y. Ternon, Les Arméniens. Histoire d’un génocide, Paris 1977; Tribunal permanent des Peuples, Le crime du silence. Le génocide des Arméniens, G. Chaliand éd., Paris 1984; R.G. Hovannisian (ed.), The Armenian Genocide, London 1992; V.N. Dadrian, The History of the Armenian Genocide: Ethnic Conflict from the Balkans to Anatolia to the Caucasus, Oxford 1995 (ed. fr.: Histoire du génocide arménien, Paris 1996).

[79] G. Sale, Il Novecento tra genocidi, paure e speranze, Jaca Book, Milano 2006, pp. 27-28.

[80] P. Bernardini-D. Lucci-G. Luzzatto Voghera (a cura), La memoria del male: percorsi tra gli stermini del Novecento e il loro ricordo, CLEUP, Padova 2006, p.197.

[81] M. Letterio, op. cit., p. 135. Cfr. anche: A. Riccardi, Benedetto XV e la crisi della convivenza multi religiosa nell’Impero ottomano, in G. Rumi (a cura), “Benedetto XV e la pace – 1918”, Morcelliana, Brescia 1990, pp. 104-105.

[82] L.B. Liberati, Santa Sede e Stati Uniti negli anni della Grande Guerra, in G. Rumi, op. cit., p. 133.

[83] A. Scottà, Papa Benedetto XV, op.cit., p. 186.

[84] La neutralità italiana coprì il periodo che intercorse tra l’ultimatum austriaco alla Serbia (23 luglio 1914) e la dichiarazione di guerra italiana all’impero austro-ungarico (23 maggio 1915).

[85] Se veniva sconfitta l’Austria, si rischiava di far perdere a questo Paese la sua identità cattolica; in caso di sconfitta dell’Italia, si correva il pericolo di una rivoluzione politica e sociale interna.

[86] Creato cardinale il 6 dicembre del 1915 da Benedetto XV.

[87] Art. 15 Patto di Londra.

[88] Dal punto di vista diplomatico, le trattative per la dichiarazione di una “città aperta” trovavano riferimento in tre convenzioni internazionali concluse all’Aja: una il 29 luglio del 1899, e le altre due il 18 ottobre del 1907.

[89] A. Scottà, Papa Benedetto XV, op. cit., p. 89.

[90] Su questo punto e su altre polemiche contro Benedetto XV cfr.: M. Erzberger, Il Papa della pace ed il popolo tedesco. Risposta di un cattolico al libello: “Papa, Curia e guerra mondiale”, ASV, Arch. Nunz. Monaco, pos. 388, fasc. 2 , fol. 133r-142v.

[91] AAS 7 (1915) p.365-368.

[92] Ibidem.

[93] Ibidem.

[94] AAS 7 [1915], 493-495.

[95] Ibidem.

[96] Su questo punto cfr. anche: Redazione, Pontificato di carità e di giustizia nel biennio di guerra mondiale (3 settembre 1914-1916), in “La Civiltà Cattolica”, LXVII, 1916, vol. III, n. 1589, pp. 519-531.

[97] Benedetto XV, Epistola Al tremendo conflitto diretta al cardinale presbitero Basilio Pompili, Vicario Generale di Roma, in AAS, VIII (1916), pp. 58-59.

[98] Ibidem.

[99] Ibidem.

[100] F. Panzera, Benedetto XV e la Svizzera negli anni della Grande Guerra, in “Schweizerische Zeitschrift für Geschichte” (“Revue suisse d’histoire”, “Rivista storica svizzera”), n. 43, 1993, pp. 321-340.

[101] Il quotidiano della Santa Sede ne pubblicò una sintesi. Cfr.: Un discorso di Wilson a favore della pace, in “L’Osservatore Romano”, 29 maggio 1916.

[102] Cfr. J.F.Pollard, Il Papa sconosciuto. Benedetto XV (1914-1922) e la ricerca della pace, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, pp. 141-144.

[103] Proclamato beato da Giovanni Paolo II (santo, 1978-2005) nel 2004.

[104] Cfr. G. Rumi, Corrispondenza fra Benedetto XV e Carlo I d’Asburgo, in G. Rumi, op. cit., p. 29.

[105] Discorso del Santo Padre Benedetto XV al Sacro Collegio dei Cardinali nella vigilia della solennità del Natale, 24 dicembre 1916. In: www.vatican.va/holy_father/benedict_xv/speeches/documents.

[106] Cfr. Redazione, Cronaca contemporanea, in “La Civiltà Cattolica”, LXVIII, 1917, vol. 1, n. 1598, p. 241.

[107] Per una visione globale degli avvenimenti cfr. R. Pipes, La rivoluzione russa, Mondadori, Milano 1995.

[108] www.vatican.va/holy_father/benedict_xv/letters/documents.

[109] Francisco Marto (beato, 1908-1919).

[110] Giacinta Marto (beata, 1910-1920).

[111] Lúcia de Jesus Rosa dos Santos (1907-2005).

[112] Congregazione per la Dottrina della Fede, Il Messaggio di Fatima, presentazione del card. T. Bertone, commento teologico dell’allora card. J. Ratzinger, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000. Lucia Dos Santos, Lucia racconta Fatima. Memorie, lettere e documenti di Suor Lucia, Queriniana, Brescia 1999.

[113] Benedictus XV, Const. Ap. Providentissima Mater Ecclesia, ASS 9, pars II, Roma 1917, pp.5-8.

[114] Pubblicato da L’Osservatore Romano e dalla Civiltà Cattolica.

[115] Benedetto XV, Nota ai Capi dei popoli belligeranti, 1 agosto 1917, AAS, IX [1917], pp. 421-423.

[116] Ibidem.

[117] Ibidem.

[118] Ibidem. Sono stati evidenziati in grassetto dei passaggi significativi (prof. Guiducci).

[119] Ibidem. È stata evidenziata in grassetto una frase significativa (prof. Guiducci).

[120] Cfr. Redazione, La lettera del papa ai capi dei popoli belligeranti e i suoi contraddittori, in “La Civiltà Cattolica”, LXVIII, 1917, vol. III, n. 1613, pp. 393-407. Redazione, L’appello del papa per la pace e le prime risposte dei governi belligeranti, in “La Civiltà Cattolica”, LXVIII, 1917, vol. IV, n. 1615, pp. 3-24.

[121] W.H. Peters, The life of Benedict XV, The Bruce Publishing Company, Milwaukee (WI) 1959, pp. 149-151.

[122] AAS IX, 1917, 531 s.

[123] AAS IX, 1917, pp. 529-531.

[124] Divenuta dal 1967 Congrega­zione per le Chiese Orientali.

[125] AAS XII, 1920, 440. Il Pontificio Istituto Orientale ha due facoltà distinte: la facoltà di studi ecclesiastici orientali (con le sezioni storica, teologico-patristica, liturgica); e la facoltà di diritto canonico orientale (per lo studio del diritto canonico delle chiese orientali).

[126] Discorso del Santo Padre Benedetto XV al Sacro Collegio dei Cardinali nella vigilia della solennità del Natale, 24 dicembre 1917, AAS, IX (1917).

[127] Ibidem.

[128] Cfr. Redazione, Un discorso di Lloyd George al Congresso dei Sindacati inglesi, in “L’Osservatore Romano”, 7 gennaio 1918 (tenuto il 5 gennaio). Redazione, Messaggio del Presidente Wilson sul programma della pace mondiale, in “L’Osservatore Romano”, 11 gennaio 1918 (tenuto l’8 gennaio).

[129] Pontefice (Pio XII) dal 2 marzo 1939 (elezione) al 9 ottobre 1958.

[130] A. Scottà, Papa Benedetto XV, op. cit., p. 109.

[131] Creato cardinale nel concistoro del 18 dicembre 1919.

[132] A. Scottà, Papa Benedetto XV, op. cit., p. 110. Su altri interventi del Papa a favore dei tubercolotici cfr. W.H. Peters, op. cit., p. 180.

[133] Nell’odierna Bielorussia, presso la città di Brėst (un tempo conosciuta come “Brest-Litovsk”).

[134] www.vatican.va/holy_father/benedict_xv/motu_proprio/documents

[135] Nel settembre 1918, i serbi, gli inglesi, i francesi e i greci varcarono il fronte macedone e lo zar Ferdinando I di Bulgaria (1861-1948) fu costretto a chiedere la pace. Gli subentrò il figlio, Boris III (1894-1943).

[136] In realtà una capitolazione.

[137] M. Macmillan, Paris 1919, Random House, New York 2003.

[138] AAS, vol. X (1918), n. 12, pp. 473-474.

[139] Ibidem.

[140] Ibidem.

[141] Cfr. anche: A. Scottà (a cura), La conferenza di pace di Parigi, fra ieri e domani (1919-1920), Rubbettino, Catanzaro 2003, p. 454ss.

[142] Parigi, Conferenza di, la voce in “Dizionario di Storia”, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2011.

[143] Redazione, La Conferenza della Pace e i timori di nuove guerre, in “La Civiltà Cattolica”, LXX, 1919, vol. 1, n. 1647, p. 180.

[144] Cfr. al riguardo: V. De Marco, L’intervento della Santa Sede a Versailles in favore delle missioni tedesche, in G. Rumi (a cura), “Benedetto XV e la pace (1918)”, Morcelliana, Brescia 1990, pp.65-82.

[145] Cfr. G. De Luca, Il cardinale Bonaventura Cerretti, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1971, p. 141.

[146] A. Scottà, Papa Benedetto XV. La Chiesa, la Grande Guerra, la pace (1914-1922), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2009, p. 335.

[147] www.studiperlapace.it/documentazione/socnazioni.html

[148] Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740: Benedetto XV (1914-1922), volume 8, Allocuzione Nobis Quidem (3 luglio 1919), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, p. 274ss.

[149] Redazione, L’ipocrisia nella politica e il fallimento del Congresso per la pace, in “La Civiltà Cattolica”, LXX, 1919, vol. III, n. 1657, pp. 3-15.

[150] Redazione, La guerra sociale dopo la pace di Versailles, in “La Civiltà Cattolica”, LXX, 1919, vol. III, n. 1659-1660, p. 263.

[151] E. Guccione, Luigi Sturzo, Flaccovio, Palermo 2010.

[152] G. De Rosa, Il Partito popolare italiano, Laterza, Bari 1958. S. Jacini, Storia del Partito popolare italiano, prefazione di Luigi Sturzo, Garzanti, Milano 1951.

[153] O. Confessore Pellegrino, Santucci Carlo, in “Dizionario storico del movimento cattolico in Italia”, diretto da F. Traniello-G. Campanini, vol. II, “I protagonisti”, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1982, pp. 576-579.

[154] N. Raponi, Jacini Stefano, in “Dizionario Biografico degli Italiani”, vol. 61, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2004.

[155] M. R. De Gasperi, De Gasperi. Ritratto di uno statista, Mondadori, Milano 2004

[156] Sulle vicende riconducibili a don Romolo Murri si rimanda a: M. Guasco, Romolo Murri, in “Dizionario storico del movimento cattolico in Italia”, diretto da F. Traniello-G. Campanini, vol. II, “I protagonisti”, Marietti, Casale Monferrato 1982, pp. 414-422.

[157] A. Olivero, Eredità e attualità di Achille Grandi, relazione convegno ACLI per il 60º della morte (28 settembre 2006), ACLI, Roma 2006.

[158] G. Sircana, Guido Miglioli, in “Dizionario Biografico degli Italiani”, vol. 74, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma 2010

[159] G. Sircana, Gronchi Giovanni, in “Dizionario Biografico degli Italiani”, vol. 59, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2003.

[160] G. Sale, Popolari e destra cattolica al tempo di Benedetto XV: 1919-1922, Jaca Book, Milano 2006.

[161] L. Mahood,  Feminism and voluntary action: Eglantyne Jebb and Save the Children, 1876-1928, Palgrave MacMillan, London 2009.

[162] J.F. Pollard, op. cit., p. 169.

[163] Paterno Iam Diu Animo, AAS, 11 (1919), pp. 437-439.

[164] Maximum illud, AAS, 11 (1919), pp. 440-455.

[165] La Lettera fu sollecitata dalla situazione dei cattolici in Cina agli inizi del XX secolo e da una serie di note che i missionari in quel Paese inviarono a Propaganda Fide. Nelle missive i missionari denunciavano la persecuzione della Chiesa cattolica, frutto di una percezione della realtà missionaria, come di presenza paracoloniale e asservita agli interessi delle potenze straniere.

[166] Maximum illud, Lettera Apostolica cit..

[167] Frase evidenziata in grassetto per la sua significatività (prof. Guiducci).

[168] Ibidem.

[169] Pacem Dei Munus Pulcherrimum, AAS 12 (1920), p. 209ss..

[170] Ibidem.

[171] Ibidem.

[172] A. Scottà, Papa Benedetto XV, op. cit., p. 371.

[173] Durante la prima guerra mondiale la Francia era stata particolarmente ostile alla politica di pace di Benedetto XV. Quest’ultimo venne accusato di favorire di fatto gli Imperi centrali.

[174] N. Raponi, Gemelli Agostino, in “Dizionario Biografico degli Italiani”, vol. 53, Treccani, Roma 2000.

[175] Medico. O. Petrosillo, Ludovico Necchi, Vita e Pensiero, Milano 1995.

[176] Filosofo neo-classico. L. Pozzi, Olgiati Francesco, in “Dizionario Biografico degli Italiani”, vol. 79, Treccani, Roma 2013.

[177] Vice-presidente dell’Unione delle Donne Cattoliche, ebbe il compito di promuovere in Italia la Gioventù Femminile di Azione Cattolica. M. Del Genio, Armida Barelli. Un’esperienza di mistica apostolica laicale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002.

[178] Fu un industriale. Si mostrò molto attento all’educazione morale degli operai. Fondò convitti e case di riposo.

[179] A. Cova-M. Bocci (a cura), Storia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore: le fonti, vol. 1, Vita e Pensiero, Milano 2007, p. 593.

[180] AA.VV., Per una storia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Settantacinque anni di vita nella Chiesa e nella società italiana, in Vita e Pensiero, Milano 1997. AA.VV., Uomini e fatti dell’Università Cattolica, Antenore, Padova 1984.

[181] Dal 16 giugno 1920 al 4 luglio 1921.

[182] A. Barelli, Ho scritto per voi. La Sorella Maggiore racconta, Editrice Gioventù, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1962, p.117.

[183] AAS, 12 (1920), pp.553–556.

[184] Ibidem.

[185] www.vatican.va/holy_father/benedict_xv/speeches/documents/hf_ben-xv_spe_19201224_auguri-natale_it.html

[186] Ibidem. Porro unum est necessarium (lat. “infine una sola cosa è necessaria”). Parole
rivolte da Gesù a Marta (Vangelo di Luca: 10,42).

[187] F. Pieroni Bortolotti, Il Partito Comunista d’Italia a Livorno: 1921-1923, in “Rivista storica del Socialismo”, n. 31, maggio-agosto 1967.

[188] W.L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi,Torino 1990.

[189] R. Vivarelli, Storia delle origini del fascismo, vol. I, Il Mulino, Bologna 2012.

[190] Benedetto XV, Chirografo O Dio di bontà, 25 luglio 1921, in “Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740”. VIII. Benedetto XV (1914-1922), a cura di U. Bellocchi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000, p. 495. Cfr. anche: A. Guasco, L’avvento del Fascismo e le prime reazioni vaticane (1921-1922), in “Rivista della Storia della Chiesa in Italia”, anno 67, n. 1, 2012, pp. 97-113.

[191] Ibidem.

[192] Pseudonimo di Vladimir Il’ič Ul’janov.

[193] www.vatican.va/holy_father/benedict_xv/letters/1921/documents/hf_ben-xv_let_19210805_le-notizie_it.html

[194] A. Denaux y J. Dick, [ed], From Malines to ARCIC. The Malines Conversations Commemorated, ed. Leuven University Press/Peeters, coll. Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum Lovaniensium, CXXX, 1997.

[196] Nel 1920 i vescovi anglicani, riuniti in conferenza nel Lambeth Palace, lanciarono un appello a tutto il mondo cristiano per superare le divisioni: fu questo il primo passo per l’apertura del dialogo anglo-romano.

[197] A. Gratieux, L’amitié au service de l’union. Lord Halifax et M. Portal, Maison de la Bonne Presse, Montrouge 1950.

[198] http://www.cesnur.org/2009/tesi_papi_foto.htm

[199] J.F. Pollard, op. cit., p. 233.

[200] Cit. in A. Saba-C. Castiglioni, Storia dei Papi, 2 vol., “Da Bonifacio VIII a Paolo VI”, UTET, Torino 1966, p. 709.

[201] J.F. Pollard, op. cit., p. 233.

[202] Nella cappella della Presentazione, opera dello scultore Pietro Canonica (1869-1959).

[203] Benedetto XVI, Udienza generale, mercoledì 27 aprile 2005, Ragioni della scelta del nome Benedetto, in: “Insegnamenti di Benedetto XVI (aprile-dicembre 2005)”, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006.

[204] R. Marmara, Riconoscenza dell’Oriente a Benedetto XV Papa della pace e della carità, Latin Katolik Ruhani Reisliği, Instanbul 2006.

[205] Efrem il Siro (santo, 306 -373) fu autore di moltissimi inni, poesie e omelie in versi e commentari biblici in prosa. visse buona parte della vita nella città natale ma fu esiliato ad Edessa nel 373 dove morì. Benedetto XV lo proclamò Dottore della Chiesa nel 1920 (Enciclica Principi Apostolorum Petro del 5 ottobre).

[206] Domenico di Guzmán (santo, 1170- 1221), fu il fondatore dell’Ordine dei Frati Predicatori.

[207] Bonifacio (santo, 672/673-754), missionario, vescovo e martire.

[208] Margherita Maria Alacoque (1647-1690) fu una monaca e mistica francese. Canonizzata da  Benedetto XV nel 1920.

[209] Giovanna d’Arco (Jeanne d’Arc, 1412-1431). Riunì al proprio Paese parte del territorio caduto in mano inglese. Catturata dagli avversari  fu alla fine processata per eresia e condannata al rogo. Nel 1456  Callisto III dichiarò la nullità di tale processo. Beatificata nel 1909 da Pio X per le sue virtù eroiche, fu canonizzata nel 1920 da Benedetto XV. È la patrona della Francia.

Per saperne di più

AA.VV., Benedetto XV, i cattolici e la prima guerra mondiale, Cinque Lune, Roma 1963.

Alberigo G.-Riccardi A. (a cura di), Chiesa e Papato nel mondo contemporaneo, Roma-Bari, Laterza, 1990.

Cappelletti L., Laico cioè cristiano. Benedetto XV promosse la carità, la pace e la libertà dei figli di Dio attraverso il rispetto per le persone e per le istituzioni, in “30 Giorni. Nella Chiesa e nel mondo”, n. 4, 2006.

De Rosa G., Benedetto XV, in “Enciclopedia dei Papi”, Treccani, Roma 2000.

Della Rocca F., I Papi della questione romana (da Pio IX a Pio XI), Officium Libri Catholici, Roma 1981.

Filoramo G.-Menozzi D. (a cura di), Storia del cristianesimo. L’età contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2006.

Gilbert M., La grande storia della prima guerra mondiale, 2 vol., Mondadori, Milano 1998.

Jedin H. (a cura di), Storia della Chiesa, 10 vol., “La Chiesa negli stati moderni e i movimenti sociali (1878-1914)”, IX, Jaca Book, Milano 1982.

Laboa J.M., La Chiesa e la modernità, 2 vol., “I Papi del novecento”, II, (Complementi alla Storia della Chiesa), Jaca Book, Milano 2001.

Letterio M. (a cura di), Benedetto XV profeta di pace in un mondo in crisi, Minerva Edizioni, Bologna 2008.

Migliori G., Benedetto XV, Editrice Daverio, Milano 1955.

Monticone A., Il pontificato di Benedetto XV, in “Storia dei Papi”, a cura di M. Greschat e. Guerriero, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994, pp. 714-715.

Pollard J.F., Il Papa sconosciuto. Benedetto XV (1914-1922) e la ricerca della pace, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001.

Id., Una “inutile strage”. Benedetto XV e la Prima guerra mondiale, in “Concilium”, n. 3, 2014, pp. 167-173.

Pontificio Comitato di Scienze Storiche, Il Vaticano e la guerra, ristampa anastatica del volume “Il Vaticano e la guerra”, pubblicato nel 1921 a Roma, a cura del gesuita Giuseppe Quirico, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2014.

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Sale G., Il Novecento tra genocidi, paure e speranze, Jaca Book, Milano 2006.

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Scottà A., Papa Benedetto XV. La Chiesa, la Grande Guerra, la pace (1914-1922), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2009.

Simonetti N., Principi di teologia della pace nel magistero di Benedetto XV, Edizioni Porziuncola, Santa Maria degli Angeli (PG) 2005.

Allegato 1
Le carte del barone Carlo Monti (1851-1924)
Grazie al finanziamento di una ricerca relativa alle carte del barone Carlo Monti (direttore generale del Fondo per il Culto dal 1908 al 1923), l’Archivio Segreto Vaticano ha potuto intraprendere anche l’inventariazione dell’intero fondo.
Il barone Carlo Monti (1851-1924) studiò al Collegio nazionale e poi all’università statale di Genova insieme a Giacomo Della Chiesa, futuro Papa Benedetto XV. Il Monti venne assunto nel 1882 al Fondo per il Culto, organismo istituito con la legge per la soppressione delle corporazioni religiose e dipendente dal ministero di Grazia e Giustizia e Culti dello Stato Italiano. Nel 1908 ne divenne il direttore generale. Quando nel 1914 Giacomo Della Chiesa venne eletto Pontefice con il nome di Benedetto XV, scelse il suo vecchio compagno di scuola come suo “tramite confidenziale” per i rapporti con lo Stato Italiano in epoca pre-concordataria. Il funzionario dello Stato si recava un paio di volte al mese a rendere visita al Papa ed al suo Segretario di Stato (il cardinale Pietro Gasparri), conversando sui temi di mutuo interesse. Nei sette anni di pontificato il Monti venne ricevuto in udienza dal Papa 175 volte.
Nel novembre del 1924, per interessamento del gesuita Pietro Tacchi Venturi, la Santa Sede acquistò per sessantamila lire dalla vedova, la baronessa Maria Lucchesi, il diario e l’archivio del defunto barone Carlo Monti.
Il diario del barone si compone di tre notevoli incartamenti, oggi conservati nell’archivio storico della seconda sezione della Segreteria di Stato (già degli affari ecclesiastici straordinari).
L’archivio risulta costituito da 985 posizioni divise in quattro serie: “SS” (Santa Sede); “E” (Esteri); “C.P. Ris” (Carteggio Particolare Riservato); e “C.P.” (Carteggio Particolare) per gli anni 1910-1924.
La prima serie conserva la corrispondenza intercorsa tra il barone e la Segreteria di Stato; la seconda serie contiene la corrispondenza con il ministero degli Esteri; la terza e la quarta serie comprendono la corrispondenza con privati.
A queste posizioni si affiancano quattro buste divise per ordine di protocollo per gli ultimi anni del Monti (1922-1924). Alle posizioni vanno aggiunti i tre registri giornalieri della “corrispondenza riservata all’Illustrissimo Signor Direttore Generale e riguardante i rapporti tra il Regio Governo e la Santa Sede durante la Guerra”; i sedici registri relativi ai dispersi della prima guerra mondiale dal giugno 1914 al novembre 1918; i due registri sulla Missione Vaticana di soccorso a Mosca per gli anni 1922-1923; i registri delle presenze nell’Ufficio; gli oltre venti fascicoli con le liste dei prigionieri compilati dalle Suore di diversi Ordini religiosi in Roma.
Le carte dell’“archivio Monti” sono di notevole interesse per quelli che furono i rapporti “ufficiosi” tra Santa Sede e Governo italiano prima della “Conciliazione”.
Lo stretto legame che univa il Monti all’onorevole Orlando da una parte, ed il suo ruolo di amico e confidente del Papa Benedetto XV dall’altro, fanno di lui una fonte più che privilegiata delle opposte sponde del Tevere.
Il ruolo neutrale rivestito dal Pontefice durante la prima guerra mondiale, il suo impegno per la pace, il lavorìo incessante per i prigionieri di guerra, nonostante e contro gli interessi dello Stato Maggiore italiano, le informazioni dei belligeranti di entrambe le parti in lotta, sono tutti aspetti della vicenda della “Grande Guerra” che appaiono di prima mano, nella loro drammatica contemporaneità, nella grandezza delle persone coinvolte, dalla lettura delle carte del fondo. Al conflitto bellico si affianca il problema della “Questione Romana”, con i prodromi della sua risoluzione.
Anche con riferimento agli anni successivi al pontificato di Benedetto XV, l’archivio riveste una importanza non indifferente: basti pensare ai registri sulla missione vaticana di soccorso nella Russia colpita dalla carestia.