UN COMMISSARIO NELL’URBE OCCUPATA DAI TEDESCHI
di Pier Luigi Guiducci -
A Roma, tra il settembre 1943 e il giugno 1944, numerose persone, di ogni età e ruolo sociale, contribuirono a proteggere ebrei, renitenti alla leva e partigiani. Nel quartiere San Lorenzo fu significativa l’opera del commissario Francesco Saverio Cacace, in collaborazione con padre Libero Raganella.
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Tra il 10 settembre 1943 e il 4 giugno 1944 Roma subì l’occupazione delle truppe tedesche. Divenne, di fatto, la retrovia del fronte di Cassino. In questa fase temporale diverse persone, di ogni età e ruolo sociale, parteciparono a progetti di protezione dei perseguitati del tempo, in primis gli ebrei. Oltre quest’ultimi, erano ricercati dal regime del tempo anche i renitenti alla leva, i partigiani, e chi si era rifiutato di lavorare alle costruzioni difensive della Wehrmacht. Nel gruppo di resistenti figurano, tra gli altri, anche sacerdoti, commissari di P.S., il responsabile dell’ufficio stranieri della Questura di Roma, dottor de Fiore[1], il comandante della Polizia Fluviale tiberina, maresciallo Lucignano.[2] Nel quartiere San Lorenzo, in particolare, è rimasta significativa l’interazione tra il padre Raganella, dei Giuseppini del Murialdo, e il dott. Cacace, commissario capo di P.S. Entrambi difesero quanti erano a rischio di arresto e internamento. Questa è la loro storia.
Padre Libero Raganella
Don Raganella (1914-1990) nasce nel quartiere romano di San Lorenzo. Il padre, Giusto, tranviere socialista anarchico, lo chiamò Libero. La zona, in quel tempo, era abitata in prevalenza da operai. Si sviluppava tra le Mura Aureliane e il cimitero del Verano. In questo territorio il ragazzo frequentò l’Opera Pio X e la parrocchia dell’Immacolata, affidata ai Padri Giuseppini del Murialdo fin dalla sua costruzione (1909). Nel complesso edilizio era attivo l’oratorio, la scuola elementare e la ‘Spes’, società ginnico sportiva. Qui, Libero percorse il proprio cammino vocazionale. Entrò poi nella congregazione di San Giuseppe[3], studiò nei seminari dei Giuseppini (tra il Veneto e il Piemonte), e completò la sua formazione a Roma, presso la Pontificia Università ‘San Tommaso d’Aquino’, conosciuta anche come Angelicum.
Nel giugno del 1938, a motivo delle leggi razziali, i ragazzi ebrei furono esclusi dalle scuole pubbliche. Per questo motivo don Libero accolse il piccolo ebreo Renato Astrologo[4] e altri suoi correligionari nel collegio Pio X (via degli Etruschi). Vi rimasero fino al 30 giugno 1943.
All’inizio del 1939 padre Raganella iniziò a svolgere la sua attività, in qualità di insegnante, presso l’Opera Pio X. Mentre stava iniziando il suo impegno tra i giovani, l’Italia entrò in guerra (10 giugno 1940). Libero fu ordinato sacerdote il 30 giugno 1940 dall’allora vicegerente, mons. Luigi Traglia.[5]
Bombardamento di San Lorenzo
Diverse furono le tragedie che segnarono la cronaca del tempo. Lunedì 19 luglio 1943, San Lorenzo, vicino allo scalo ferroviario, subì un primo bombardamento alleato. Notevoli i drammi. Fu pure colpita la ‘Casa dei Bambini’ di via dei Marsi, fondata da Maria Montessori.[6] Venne distrutto l’orfanotrofio di via dei Sabelli (restarono uccisi 78 bambini e sei suore).[7] Le bombe esplosero anche al Prenestino, Casilino, Labicano e Tuscolano. Renato Astrologo, ricordato in precedenza, rimase sepolto per ore sotto le macerie. Accanto, aveva diversi cadaveri. Fu liberato dai Vigili del Fuoco verso le ore 18.
Nel bombardamento rimasero uccise circa 3mila persone, circa 11mila i feriti. Persero la vita anche il generale dei Carabinieri Anolino Hazon[8] e il colonnello Ulderico Barengo[9], che avevano raggiunto l’area colpita per intervenire in aiuto della popolazione (oggi sono ricordati da una targa). Trovò la morte (mitragliata) anche la moglie (Maria Cristina) del ferroviere Michele Bolgia.[10] Quest’ultimo venne poi trucidato alle Cave Ardeatine per l’aiuto fornito ai perseguitati del tempo.
Non era ancora cessato l’allarme che Pio XII[11], senza scorta, raggiunse in macchina il territorio devastato. Il Papa fu attorniato dagli abitanti del quartiere. Riuscì, comunque, ad arrivare fino alla basilica di San Lorenzo. Qui, pregò per i defunti e dette direttive a monsignor Montini[12] per sostenere la gente colpita dal dramma bellico.
In tale contesto, padre Libero Raganella operò per soccorrere i feriti, benedire i morti. Si arrampicò sugli edifici lesionati per recuperare qualche masserizia ancora utile. Organizzò le partenze della popolazione, consigliò gli sfollati, mantenne i contatti con le autorità civili e religiose.
Nel frattempo, il ministero della Cultura Popolare (Minculpop) vietò ai giornali di riferire in dettaglio sulle distruzioni avvenute. Però, fu proprio la mancanza dei servizi primari (luce, gas, acqua e trasporti) a convincere i romani che a San Lorenzo e al Prenestino erano avvenuti fatti molto più gravi di quelli riferiti dalla stampa del regime.
Il primo, sommario rapporto sui danni fu quello dei Vigili del Fuoco (20 luglio 1943), trasmesso al Ministero dell’Interno. Il 5 agosto 1943, la Regia Questura, ignorando ogni censura, inviò una dura lettera alla Prefettura e al Governatorato. Punti chiave furono i seguenti. 1) Dopo venti giorni lo scavo delle macerie non procedeva. 2) Strade impraticabili. 3) Assenza di disinfezione per la prevenzione delle epidemie (“specie per il personale addetto all’estrazione delle salme dalle macerie”). 4) Mancanza di luce e gas. 5) Bombe inesplose non rimosse. 6) Rottami delle vetture tranviarie non spostati. 7) Costruzione di ricoveri nel giardino pubblico di via Tiburtina, iniziati da altri sei mesi, procedono con lentezza e con pochissimi operai. 8) Rifugi inutili (“la loro specie è soltanto di para schegge perché costruiti quasi al livello stradale e coperti a malapena di qualche mezzo metro di terra, per cui non rispondono alle necessità del momento in cui occorrerebbero ricoveri anticrollo ed anti bomba”).[13]
L’azione dei poliziotti a San Lorenzo
Non è facile oggi per uno storico ricostruire esattamente ogni singolo intervento umanitario posto in essere a San Lorenzo. Questo vale anche con riferimento al contributo offerto dai poliziotti. Si conoscono però alcuni dati.Grazie all’Ufficio Storico dell’Associazione Nazionale della Polizia di Stato sono noti i poliziotti che morirono durante il primo bombardamento. Si tratta del maresciallo Domenico Carpinteri (51 anni)[14], della guardia scelta Sebastiano Cavallo (45 anni)[15], e della guardia scelta Costantino Sbraga (50 anni).[16]Esistono poi delle immagini che vennero pubblicate il 29 luglio 1943 dalla rivista francese ‘Semaine Heb domadaire illustré’. Le foto ritraggono Pio XII circondato dalla folla. Osservando soprattutto quella pubblicata in copertina ci si accorge del berretto di un poliziotto (in alto, a destra). È la prova della presenza di membri della P.S. sui luoghi del bombardamento. Tale azione delle forze dell’ordine è ancor più evidente in una foto che ritrae il Papa a San Giovanni dopo un secondo bombardamento alleato (13 agosto 1943) sui quartieri Appio-Tuscolano.
In tale contesto, oltre ai rapporti dei vari Commissariati sui fatti di San Lorenzo, sono pure da citare scritti di cittadini che ricordano l’azione dei poliziotti. Si riportano qui di seguito alcuni esempi.
“Mario Botti.
Mio padre contribuì alla riesumazione dei cadaveri sepolti sotto le macerie prodotte dalle bombe in piazzale del Verano al principio di via Tiburtina ed alla sinistra, via dei Reti. Il piazzale era pieno di buche enormi prodotte dalle bombe. Dalla parte sud c’era il mucchio di rovine della chiesa! c’era un tanfo dolciastro, quello dei corpi delle vittime che cominciavano già a decomporsi per il caldo intenso. Ed io ero lì, completamente sbalordito nel vedere quel tremendo spettacolo. C’erano molti soldati, agenti di P.S. [17]e VVFF”.[18]
“(…) Mentre i ‘Gatti neri’ – così erano chiamati i pompieri – cercavano insieme a poliziotti[19] carabinieri e militari di tirare fuori dalle rovine persone ancora vive, si affacciava dapprima Vittorio Emanuele III che veniva preso ingiurie sassate e fatto fuggire, poi arrivava la Principessa di Piemonte Maria José ben accettata insieme a Papa Pio XII, in compagnia di quello che sarebbe stato poi il futuro Papa Paolo VI (…)”.[20]
Dopo l’8 settembre del 1943
Dopo l’8 settembre del 1943, i tedeschi occuparono Roma. La caccia agli ebrei divenne durissima. La famiglia Astrologo (che si era trasferita a via S. Erasmo) seppe di essere ricercata. Don Libero, allora, assegnò un cognome fittizio ai ragazzi Astrologo (“De Nicola”) e li inserì nei corsi dell’Istituto ‘Angelo Mai’ dei Fratelli delle Scuole Cristiane.[21]
Le tragedie nell’Urbe si susseguirono a ritmo continuo. Oltre nuovi bombardamenti su Roma, avvenne un dramma legato alle persecuzioni anti ebraiche. All’inizio della giornata di sabato 16 ottobre 1943, i tedeschi dettero inizio a un’operazione di rastrellamento di ebrei. Questi, dovevano essere poi internati e trasportati in un lager di sterminio.[22] A questo punto, don Libero mandò papà Astrologo con i tre figli maschi ad Albano Laziale, presso l’Istituto Murialdo dei Padri Giuseppini. Mamma Astrologo, la figlia e la nonna vennero nascoste dal sacerdote prima a via Vicenza (Clarisse Missionarie Francescane), e poi in via XX Settembre (Monache Cistercensi di S. Susanna).[23]
Il suo impegno a favore dei perseguitati per motivi razziali proseguì fino alla fine del secondo conflitto mondiale.[24] La sua “rete” coinvolse, oltre i padri Giuseppini, le Clarisse Missionarie Francescane del SS. Sacramento[25], e le Cistercensi di S. Susanna, anche le Figlie di Maria SS. dell’Orto[26], le Suore di Maria Consolatrice[27], l’Istituto delle Dorotee[28]… Unitamente a ciò, padre Raganella protesse anche partigiani, militari alleati, soldati italiani ostili alla RSI[29], e chi aveva ignorato i richiami del regime in cerca di forza lavoro. Per concretizzare le sue azioni utilizzò più volontari. Nel suo operato ebbe la copertura del commissario capo di Pubblica Sicurezza del Commissariato di San Lorenzo: il dottor Francesco Saverio Cacace.[30]
Con riferimento alle sue opere umanitarie don Libero non accettò riconoscimenti, respinse benefici economici offerti dopo la guerra dagli inglesi[31], e non volle essere iscritto ad associazioni partigiane. Rimase prete per tutti.
Il commissario capo di P.S. Francesco Saverio Cacace
Padre Raganella ebbe modo di conoscere il commissario capo Francesco Saverio Cacace (53 anni) in un incontro richiesto dallo stesso dirigente. Di quest’ultimo si conoscono diversi dati. Il suo fascicolo è depositato presso l’Archivio Centrale dello Stato.[32] Nato a Napoli (25 maggio 1890) da Alfonso Cacace e Concetta Malatesta, affrontò un cursus di studi fino alla laurea in giurisprudenza. Ex combattente (Prima guerra mondiale), entrò in Polizia, e fu assegnato alla Questura di Roma. Nominato vice commissario di P.S. in prova il 16 settembre 1919, venne assegnato (19 ottobre 1919) al commissariato romano di Magnanapoli (vi rimase per circa sette anni). Trasferito poi a Volterra, non raggiunse la sede avendo ottenuto un periodo di aspettativa. Rientrato in servizio (novembre 1926) fu assegnato a più uffici sezionali romani. Commissario aggiunto nel 1928. Nel 1931 sposò Marta Scurti. Commissario nel 1935. Commissario capo nel 1941. Per circa dieci anni diresse il Commissariato di San Lorenzo che allora si trovava in via Tiburtina 120.[33] Operarono con lui il commissario aggiunto dottor Giuseppe Noviello, e il vice commissario dottor Luigi Donnetti. Con altri dirigenti e funzionari della P.S. fece parte di quella resistenza silenziosa che si oppose alle violenze naziste e fasciste.[34] Dopo altri incarichi, Cacace ebbe la nomina a vice questore nel 1949. Non è noto il giorno della sua morte.
L’incontro Cacace-Raganella
Nel 1943 il dottor Cacace ebbe un incontro riservato con padre Raganella a seguito di fatti avvenuti nell’Urbe. Il 9 settembre 1943 il re aveva lasciato Roma. Il 10 era avvenuta l’occupazione dell’Urbe da parte dei tedeschi. Il colloquio tra il sacerdote e il capo commissario si trova descritto nel Diario del religioso.[35] Questi, pur a distanza di tempo, annotò quanto ricordava del discorso del dottor Cacace. “(…) La situazione non è tale come molti si illudono. I tedeschi stanno facendo affluire a Roma altri reparti, e così in tutta Italia. Degli alleati non si sa più nulla. Non si sa più chi deve dare ordini dopo che il Re e Badoglio sono andati al sud, e gli unici che sanno quello che vogliono sono i tedeschi. Roma è in balia dell’esercito germanico e, quando fra poco tempo saranno in forze sufficienti e avranno preso il comando assoluto in ogni parte, incominceranno a farsi sentire, daranno certamente una caccia spietata a quanti saranno sospettati di non nutrire sentimenti di sudditanza verso di loro, e quanti si sono messi in vista dopo la caduta del fascismo saranno ricercati a uno a uno e, Dio ce la mandi buona, se non succederanno cose peggiori”.[36]
La resistenza del commissario capo Cacace
Le parole del dottor Cacace, riportate da padre Raganella nelle sue memorie, evidenziano una situazione critica. Erano infatti avvenuti diversi episodi. Il 23 settembre del 1943, alle ore 11.30, il comandante militare tedesco di Roma (generale Stahel[37]) aveva fatto arrestare il generale Calvi di Bergolo [38], genero di Vittorio Emanuele III.[39] Questi, era stato nominato dal maresciallo Badoglio[40] (prima di allontanarsi), comandante della Piazza di Roma “Città aperta”. Nel frattempo, il tenente colonnello delle SS Kappler[41] si era occupato dell’arresto del generale Maraffa[42], capo delle forze di polizia militari, alle dirette dipendenze di Calvi. Inoltre, il capitano delle SS Priebke[43] aveva arrestato il capo della Polizia Senise[44], e il vicecapo dottor Rosa.[45] Tutti erano stati deportati in Germania. Senise e Maraffa furono internati nel campo di concentramento di Dachau. In questo luogo di detenzione Maraffa morirà. Senise fu poi tradotto a Hirschegg, in Baviera. Vi rimase fino alla liberazione del campo a opera di truppe francesi. L’Urbe era ormai controllata dai soldati della Wehrmacht. In tale contesto si colloca l’apporto della Resistenza a Roma. Vi parteciparono a vario modo, anche alcuni dirigenti e poliziotti della Pubblica Sicurezza. Su questo punto, padre Raganella, nelle sue memorie, annota quanto gli disse il commissario capo Cacace. “(…) Io ho aderito a un comitato clandestino[46] che tenta di organizzare in Roma una resistenza attiva e passiva ai tedeschi. La mia qualità di commissario di PS mi permette di essere utile in tanti modi. Si stanno reclutando persone di ogni strato sociale, che abbiano l’unica qualità della fidatezza e del coraggio. Lei (rif. a p. Raganella) dovrebbe, qui in quartiere, come sacerdote, aiutare quelli che potrebbero essere ricercati dai tedeschi.[47] Altri avranno incarichi diversi. Lei può contare sul mio aiuto ma, sia ben chiaro, se dovesse succedere qualche cosa, pubblicamente lei non sa niente di me, come io non saprei niente di lei. I nostri rapporti, esternamente, continueranno sullo stesso piano sul quale erano fino a ieri. Solo in privato essi avranno un nuovo aspetto. Per eventuali contatti tra me e lei, e tra lei e quelli del comitato, verrà sempre quell’uomo che lei ha già conosciuto. Il suo nome è Mario. Naturalmente il suo vero nome è un altro, ma è meglio che né lei, né nessun altro lo sappia. Questo è tutto. Si tenga pronto per ogni evenienza”.[48]
L’interazione segreta Raganella-Cacace
Dopo il primo incontro, il commissario capo Cacace e padre Raganella ebbero la possibilità di vedersi in diverse occasioni. Il religioso giuseppino nelle sue memorie fece riferimento a più situazioni: distribuzione di abiti civili a militari italiani[49], soldati inglesi da nascondere[50], azioni partigiane da coprire[51], giovani nascosti nella comunità dei Giuseppini per salvarli dai tedeschi[52], avvisi agli antifascisti su segnalazione del dottor Cacace[53], informazioni urgenti agli ebrei e loro protezione[54], uso di carte annonarie e di documenti di identità falsi[55], liberazione di un giovane residente a via dei Campani da una camera di sicurezza del commissariato[56] e liberazione di reclusi dal carcere di Regina Coeli[57], monitoraggio di ronde fasciste[58] e intesa con il dottor Cacace[59], boicottaggio censimento e interazione con Cacace[60], ricerca di persone di cui non si avevano notizie e accordo con Cacace[61], retate di fascisti da neutralizzare[62], acquisizione di avvisi da Cacace.[63]
In tale contesto la situazione divenne sempre più critica. Annotò al riguardo padre Raganella nelle sue memorie: “(…) Il commissario Cacace mi avverte che i tedeschi ed i fascisti sono infuriati per certi volantini clandestini che circolano per Roma incitando i cittadini alla resistenza passiva.[64] Hanno compilato l’elenco di tutte le tipografie di Roma, per individuare, con minuziose perquisizioni, dove vengono stampati. In quartiere ci sono tre tipografie, mi consiglia di avvertirle”.[65]
Si ricorda, al riguardo, che l’11 settembre del 1943, il feldmaresciallo Kesselring[66] aveva firmato un editto ove al punto 10 affermava: “(…) Le Autorità e le organizzazioni civili italiane sono verso di me responsabili per il funzionamento dell’ordine pubblico. Esse compiranno il loro dovere solamente se impediranno ogni atto di sabotaggio e di resistenza passiva contro le misure Tedesche e se collaboreranno in modo esemplare con gli Uffici Tedeschi”.[67]
Nel frattempo, proseguirono le irruzioni dei tedeschi nelle case alla ricerca di resistenti. Scrisse al riguardo padre Raganella: “(…) Continuano intanto le retate di giorno per le strade, e le sorprese notturne in casa dei sospetti. Di giorno appena compare qualche fascista o tedesco funziona l’allarme e tutte le strade diventano deserte di uomini e giovani, rimangono solo donne, vecchi, bambini. Di notte, poi, bussano a vuoto alla porta delle case dei sospetti, perché già sono diventati uccelli di bosco. Con l’avvertimento del commissario, sono sempre in anticipo sull’arrivo dei ricercatori. Come farà, poi, il commissario ad essere sempre preventivamente al corrente, questo proprio non lo so. Avrà pure lui dei buoni informatori in campo nemico. L’importante è che in quartiere non si sono verificati fatti incresciosi, nonostante l’attività indefessa dei tedeschi e della banda Bardi e Pollastrini”.[68]
Cursus successivo al 1943
Dopo aver diretto il Commissariato di San Lorenzo, il dottor Cacace fu responsabile di altri presidi romani situati a Magnanapoli (1944), e a Trevi-Colonna (1945). Promosso vice questore il 1 gennaio 1949, fu assegnato alla Questura di Grosseto. Nel 1953, dopo il trasferimento del questore, Cacace divenne reggente. Dal luglio 1954 fu responsabile a Roma dei servizi di Polizia presso l’Azienda Rilievo Alienazione Residuati (ARAR).[69] Il 1° febbraio del 1956 venne collocato a riposo, d’ufficio, per avanzata età e per anzianità di servizio, con il titolo ufficiale onorifico di questore.
Gli atti ritrovati nell’Archivio Centrale dello Stato
Con la liberazione di Roma da parte degli Alleati ebbe inizio un periodo di revisione del pubblico assetto amministrativo mirato ad allontanare i dipendenti (dirigenti e funzionari) che si erano compromessi con gli occupanti tedeschi e con il regime fascista. A tale operazione si affiancarono poi i processi contro i criminali di guerra. Pure l’allora commissario capo Cacace venne inquisito (con proscioglimento finale) perché rimasto in servizio anche nel periodo 1943-1944. Il dirigente dovette quindi presentare – a propria difesa – una serie di atti che misero in luce le operazioni svolte di nascoste per soccorrere i perseguitati dell’Asse Roma-Berlino. Grazie a tale documentazione è possibile oggi conoscere vicende significative.
Gli atti ritrovati. Maresciallo dei CC Carosi
Risale all’8 giugno 1944 una lettera a firma del maresciallo maggiore dei Carabinieri Reali Estevan Carosi, comandante un gruppo delle Bande Monte Sacro – Sant’Agnese. Nella missiva, indirizzata al commissario capo Cacace, si legge quanto segue. “(…) Preg.mo Commendatore, compio con la presente il dovere di ringraziarLa ancora una volta per il grande aiuto dato a me, alla mia famiglia ed ai miei carabinieri durante la dominazione nazi-fascista con l’averci forniti di documenti di identificazione apocrifi e di false attestazioni per ottenere le iscrizioni anagrafiche e conseguente rilascio di carte annonarie. Sono lieto altresì di renderLe atto del consapevole e prezioso contributo da lei dato alla causa della libertà “ne ho fatto anche menzione nella mia relazione della quale Le accludo copia” con il fornire a me continuamente notizie importanti che sono valse anche a salvare centinaia di operai degli stabilimenti Stacchini ed Innocenti, nonché gran numero di giovani figli e dipendenti degli agricoltori di questa borgata e di quelle viciniori con i quali durante le mie sfuggite mantenevo i dovuti contatti d’intesa con Lei. Particolare ringraziamento Le rivolgo per avere tolto dalle fauci insaziabili dei nazisti il figlio del capostazione di Lunghezza, sig. SANSONI, che avrebbe certamente fatto la fine del povero generale Lordi[70] che di Lei aveva completa fiducia. I miei di casa ed io serberemo di Lei eterna riconoscenza e mi ritenga sempre a sua completa disposizione per quanto possa occorrerLe”.[71]
Gli atti ritrovati. Il parroco dell’Immacolata
Anche il parroco della chiesa romana dell’Immacolata, a San Lorenzo, superiore di padre Libero Raganella, annotò in una lettera al dott. Cacace i meriti di questo commissario capo. Il religioso giuseppino si chiamava p. Bortolo Zanata.[72] Si riporta qui di seguito il testo, datato 15 agosto 1944. “Caro Comm. Cacace, oggi, nella solennità dell’Assunta, il nostro popolo del Quartiere Tiburtino che considera l’Immacolata come Madre e Regina, ha tributato alla Madonna un fervido omaggio di riconoscenza per la incolumità di Roma[73] e per tanti tangibili segni della sua materna protezione in questi ultimi difficili tempi. In questa circostanza non abbiamo dimenticato di pregare per Lei che nei vari anni nei quali ha diretto il Commissariato di P.S. di San Lorenzo si è sempre dimostrato sollecito del bene del popolo. In particolare io ringrazio Lei e i suoi collaboratori per quello che, nei limiti del possibile, hanno fatto per proteggere il popolo dai soprusi delle faziosità politiche e salvarlo dalle persecuzioni, durante l’ultima dominazione nazifascista. Il mio ringraziamento è unito a quello di coloro che sfuggendo a ricerche di ogni genere, hanno trovato rifugio in questo mio Istituto dove hanno potuto stare tranquilli , mercé la nostra cristiana carità e il vostro consapevole appoggio e aiuto. Ora essi sono salvi e ciò devono in parte anche a lei, ai funzionari, e agli agenti che hanno fatto il possibile per rendere meno penosa la situazione. Invocando la benedizione del Signore e dell’Immacolata su tutto il personale del Commissariato, rinnovo i miei ringraziamenti ed ossequi. Mi creda sempre, caro Commendatore, Suo dev.mo P. Bortolo Zanata”.[74]
Gli atti ritrovati. Scheda compilata da Cacace
In data 6 settembre 1944 il dottor Cacace compilò una scheda fornita dal Ministero dell’Interno, Direzione Generale della Pubblica Sicurezza, Divisione Personale. Si trattava di rispondere a 14 quesiti. Nel documento sono evidenziati aspetti significativi. Dalle risposte si evince che il commissario capo non fece parte né di organizzazioni fasciste, né della polizia segreta del regime (OVRA), né ricoprì cariche politiche. Ma il punto più interessante si trova alla fine, quando è chiesto se dopo l’8 settembre aveva fatto parte di qualche organizzazione patriottica o antinazifascista. “(…) Ha collaborato con partito d’Azione[75] e dopo l’8 settembre anche col fronte militare clandestino di resistenza[76] tenendo contatto con la Banda Napoli”.[77]
Gli atti ritrovati. Regia Questura di Roma
Nel fascicolo del dott. Cacace è conservato anche un atto dell’11 marzo 1945. Si tratta di una relazione che il questore del tempo trasmise all’Alto Commissariato Aggiunto per l’Epurazione, Ufficio Interni con riferimento al dott. Cacace. Nel documento si ricostruisce l’iter professionale del commissario capo. Si riporta la parte della dichiarazione che più interessa il presente saggio. “(…) Era iscritto al disciolto partito fascista dal 29/10/1932, ma non diede mai prova di settarietà, di intemperanza fascista o di malcostume. Nello svolgimento della sua carriera non si sono verificate ingerenze di carattere politico. Egli si giovò solo dei benefici derivantigli dal suo passato di ex combattente della guerra 1915-18, cui partecipò prima come tenente di Fanteria e successivamente come Ufficiale nella R. Aviazione. Venne infatti promosso al grado di commissario il 1° agosto 1935 ed il 1° gennaio 1941 al grado di commissario capo. Dopo l’8 settembre 1943 continuò a rimanere al suo posto di dirigente di commissariato distrettuale, piegandosi alle esigenze dei questori del tempo, per non compromettersi nell’impiego, e dare qualche aiuto ai perseguitati del momento. Si ricorda la di lui sollecitudine nel rinunziare alla nomina che gli era stata conferita dal capo della provincia del tempo a commissario liquidatore dei beni della Comunità Israelitica di Roma (…)”.[78]
Gli atti ritrovati. Il Ministero dell’Interno
Il 12 aprile del 1945, il Ministero dell’Interno trasmise all’Alto Commissario Aggiunto per l’Epurazione dell’Amministrazione un rapporto informativo sul commissario capo Cacace. Il testo ricalca la precedente informativa del questore di Roma.
Gli atti ritrovati. Il direttore della SAFAR
Il 4 maggio 1945, il direttore della sede romana della ‘Società Anonima. Fabbricazione Apparecchi Radiofonici’[79] scrisse al dott. Cacace attestando vari fatti. Si riporta qui di seguito il testo, ove si trova anche un riferimento al quartiere San Lorenzo. “Egregio Commendatore, nel momento della raggiunta vittoria finale, in cui il mio cuore si riapre alla speranza di tornare al mio lavoro, mi è caro ricordare il suo cortese ed affettuoso interessamento nelle molteplici e poco liete traversie che ho avuto. Ricordo con piacere, oltre i suoi intimi sentimenti antifascisti esternatimi in vari colloqui, i preziosi consigli ed il valido aiuto prestatomi quando, malgrado i perentori ordini degli uffici politici della P.S., del defunto partito, e del Fabbriguerra[80], sono riuscito a mantenere in servizio degli operai che non riuscivano graditi al regime.
Ma la sua collaborazione, quale Dirigente del Commissariato di S. Lorenzo, è stata ancora più preziosa dopo la dichiarazione dell’armistizio, quando cioè mi ha reso possibile di non consegnare l’automobile ai tedeschi facendola figurare rubata; quando mi preavvisava degli ordini per i rastrellamenti rendendo così possibile lo allontanamento del personale, impiegati ed operai; quando ha preso in custodia la mia pistola, evitandomi di consegnarla ai tedeschi; quando mi ha messo a disposizione l’Ufficio e la sua casa per nascondere il più prezioso e meno voluminoso materiale tecnico.
Purtroppo non ho accettato l’offerta e per salvare il più possibile ho fatto murare due grandi depositi che, a seguito di delazione, sono stati scoperti e confiscati. Nella conseguente mia fuga per sottrarmi alle ricerche delle S.S. e nel lungo periodo in cui sono stato nascosto presso amici cambiando spesso domicilio, i suoi consigli mi sono stati molto utili.
Anche dopo, quando sono stato rintracciato a Milano ed il Generale Leyers[81] ha imposto il mio licenziamento alla Ditta, confiscandomi quanto mi apparteneva, al mio rientro a Roma, nel mio abbattimento morale, sono state di gran giovamento le sue parole di fede e di speranza nell’avvenire.
E negli ultimi giorni dell’occupazione nazista di Roma, quando il Magg. Schultz[82] venne ripetutamente a cercarmi per suggerirmi di recarmi al Nord, ove avrei riavuto il mio posto di lavoro e tutti gli onori, è stato ancora il suo consiglio che mi ha fatto destreggiare in modo da sfuggirgli di mano all’ultimo momento e poter restare a Roma.
Anche dopo la liberazione di Roma sono dovuto restare in ombra per non danneggiare i dirigenti rimasti sotto i nazifascisti al Nord, ma ora finalmente spero di poter riprendere il mio posto e nell’occasione non voglio mancare di ringraziare e ricordare chi mi è stato vicino nell’avversa fortuna.
Si abbia caro Commendatore i miei più vivi e cordiali saluti (firma illeggibile)”.[83]
Gli atti ritrovati. Direttore amministrativo della Sapienza
Nel fascicolo del dott. Cacace, conservato presso l’Archivio Centrale dello Stato, si trova anche una lettera dichiarazione del dott. Nicola Spano, datata 8 maggio 1945. Spano fu direttore amministrativo dell’Università romana ‘La Sapienza’ (Studium Urbis) dal 1933 al 1949. Si riporta qui di seguito il testo. “Caro Comm. Cacace, Apprendo con estremo stupore che lei è sospettato di aver collaborato coi nazi-fascisti. Io credevo che la sua condotta le avrebbe procurato qualche alto riconoscimento da parte dei suoi superiori, e invece sono costretto, e direi quasi umiliato, in omaggio alla verità ed alla giustizia, a dichiararle quanto segue: 1) Da molti anni, fin da quando la conobbi, riscontrai in lei un aperto antifascista, che si rivelò non soltanto nelle molte nostre conversazioni ma anche in molte sue azioni. 2) Lei sapeva che io avevo assunto, contro le allora vigenti disposizioni di legge, molti impiegati senza tessera e quasi tutti gli operai (circa un centinaio); ma soltanto un tipografo il Morara, fui costretto ad allontanare; e dovetti obbedire perché lei aveva avuto ordini precisi e tassativi e superiori che glielo segnalavano come sovversivo pericoloso, soprattutto in una tipografia. 3) In occasioni di manifestazioni studentesche fasciste si mise in contrasto con coraggio e spirito d’indipendenza con i gerarchi; e ricordo un conflitto col Segretario del Guf[84], dott. Gai, che chiedeva a tutti i costi alle autorità la sua sostituzione. 4) Nel periodo nazista rivelò con atti concreti e con parole d’incoraggiamento un forte spirito antitedesco, così come mi aveva rivelato prima un aperto spirito antifascista. 5) Molte volte si adoperò per liberare elementi raccomandati da me o da altri amici, che erano stati rastrellati dai vari Commissariati e dalle squadre speciali; e quasi sempre con esito positivo. 6) Per i miei collegamenti con gruppi partigiani o con formazioni militari o con partiti politici clandestini, ebbi spesso da lei notizie riservate delle quali mi servii con profitto e, fra l’altro, fu proprio per suo mezzo che appresi come l’allora federale Zerbino[85] avesse individuato me e Emilio Lussu[86] come i sardi antifascisti più pericolosi e come ci cercasse. 7) Essendo io trasferito al Nord dal Ministro Biggini[87] e cercato dalle SS, offrì ospitalità in casa sua tanto a me che a mia moglie; e se non accettammo fu perché io dovevo uscire molto spesso dal nascondiglio e la sua casa era centrale, e mia moglie preferì un convento. 8) Mi rilasciò un documento falso del furto di un’automobile per sottrarla alla requisizione e una ricevuta, pure falsa, di consegna d’armi (credo non meno di una dozzina di moschetti) per simularne la scomparsa dopo che feci svaligiare la casermetta della milizia universitaria; i moschetti furono invece trattenuti da me e consegnati a partigiani di Roma. 9) Mi fornì pistole, bombe a mano e munizioni che pure consegnai a partigiani della Ciociaria. 10) Fu lei che una sera mi telefonò a casa per annunciarmi la lieta notizia che eravamo riusciti, col nostro ostruzionismo, a imporre al comando tedesco la chiusura dell’Università. Si abbia i miei migliori saluti. Aff. Nicola Spano”.[88]
Gli atti ritrovati. Il presidente della Baracchini
Il 30 maggio del 1945, il sig. Camillo Mostossi, firmando per il presidente della società anonima ‘Eredi di Flavio Baracchini’[89], scrisse una lettera-dichiarazione al dott. Cacace. Nella missiva ricordò con riconoscenza alcuni fatti, con riferimento allo stabilimento pirotecnico romano della ditta. Si riporta qui di seguito il testo. “Sono molto lieto di dichiarare che l’opera spiegata dal Commissario Capo Dott. Francesco Saverio Cacace già dirigente l’ufficio di San Lorenzo, è valsa, attraverso utili e tempestivi avvertimenti, a salvare dalle continue razzie tedesche, numeroso personale operaio della mia azienda, specie quello valido al lavoro ed al servizio militare. Verso la metà del mese di dicembre 1943, avvertito in tempo da un suo agente, mi riuscì di fare nascondere nel ricovero e sottrarlo alla vista di tre ufficiali tedeschi venuti per una ispezione, quasi un terzo dei miei operai”.[90]
Gli atti ritrovati. Segretario Policlinico Umberto I°
Tra i documenti che sono stati ritrovati risulta anche una dichiarazione significativa, a firma del dott. Giuseppe Fantoni, segretario e capo ufficio amministrativo del Policlinico Umberto I°. È datata: Roma, 13 giugno 1945. Si riporta qui di seguito il testo integrale. “Conosco il Dr. FRANCESCO SAVERIO CACACE, da molti anni e precisamente fin da quando fu nominato capo dell’Ufficio del Commissariato di San Lorenzo. Il Dr. CACACE conosceva le mie idee politiche e sapeva, quindi, la mia posizione di vecchio repubblicano ed antifascista. Egli ebbe con me più volte a manifestare un suo diffuso senso di stomachevole irritazione contro le autorità fasciste e, in modo particolare, tenne a mettere in evidenza sempre una irriducibile ostilità anti tedesca. Né tale ostilità si fermò a pure forme verbali espresse con me dopo il 25 luglio 1943. Già prima di quell’epoca egli mi tenne al corrente (cosa che non aveva voluto fare il suo predecessore) di una inchiesta politica che era stata ordinata dal Commissariato contro di me, verso il 1937, dietro ordine del gruppo fascista tiburtino, e mi informò dello stato della mia cartella personale esistente nell’archivio della Questura di Roma. Fu appunto per queste sue manifestazioni che volli stringere con lui rapporti di cordialità amichevoli che si fecero più stretti dopo il 25 luglio del 1943. Egli mi sapeva in contatto con alcuni fra i più noti esponenti del Partito d’Azione, fra i quali l’Onorevole Emilio Lussu, l’Avv. Francesco Fancello[91] e l’Avv. Stefano Siglienti[92], e si offrì spesso di dare aiuto a me ed ai miei amici politici.
Si prestò volentieri a far scrivere all’anagrafe persone sprovviste di carte annonarie, rilasciando permessi di soggiorno temporaneo.
Nel mese di novembre, mi pare, del 1943 lo informai di essere stato riconosciuto per istrada da un milite della brigata Giov. Maria Angioi[93], in compagnia di un’altissima personalità antifascista (si tratta dell’On.le Lussu), lo pregai di prendere tutte le informazioni possibili per evitare qualche sorpresa della polizia. Egli non solo mi rassicurò che si sarebbe informato e che avrebbe fatto di tutto per far perdere qualunque traccia, ma mi offrì allora di ospitarmi in casa sua e, se avesse sentore di provvedimenti, mi avrebbe tenuto informato.
In data che non saprei precisare, ma che mi pare risalga all’aprile del 1944 quando il Dr. CACACE era stato trasferito da San Lorenzo al Commissariato di Magnanapoli, mi mandò ad avvertire che l’allora federale repubblichino[94] aveva ordinato di raccogliere, attraverso l’anagrafe di Roma l’indirizzo dei sardi più in vista e sospetti politicamente, allo scopo di farne una retata per riuscire a carpire da qualcuno di essi l’indirizzo dell’On.le Lussu. Nel mandarmi ad avvertire, il Dr. CACACE mi assicurò anche che se avesse potuto raccogliere altre notizie me lo avrebbe comunicato tempestivamente.
Trascuro episodi meno appariscenti, (offerta di certificati di denuncia di armi non consegnate; offerta di armi, di aiuti ad amici politici; informazioni su denunce fatte a mio carico, ecc.) che tuttavia dimostrano l’animo non servile verso le autorità nazi fasciste del CACACE.
Aggiungo che i miei amici politici erano stati da me avvertiti dei miei rapporti personali con il dr. CACACE.
Giuseppe Fantoni, Segretario capo del Policlinico Umberto I°”.[95]
Nel testo sopra riportato si trova anche un post scriptum, non dattiloscritto ma annotato a mano, che per completezza documentaria è corretto riportare. “P.S. Aggiungo che il Dr. Cacace sapeva che l’on. Lussu ed altri esponenti del Partito d’Azione frequentavano, con assiduità, la mia abitazione, la quale era, come è tuttora nella Casa dello Studente. Né ebbi mai a pentirmi della fiducia da me riposta nel Dr. Cacace, il quale, pur essendo commissario del distretto, non avrebbe – ero sicuro – mai fatto neanche la benché minima cattiva azione contro i miei amici o contro di me. Lo sapevo e lo so un perfetto gentiluomo le cui idee politiche collimavano con le mie. Giuseppe Fantoni”.[96]
Gli atti ritrovati. Onorevole Emilio Lussu
Nella dichiarazione del già ricordato Dr. Fantoni, tra il testo dattiloscritto e il post scriptum annotato a mano si trovano anche sei righe a firma dell’On. Emilio Lussu, datate Roma 14 giugno 1945. Si riporta qui di seguito il testo. “Sapevo che Fantoni era in rapporto con il commissario di S. Lorenzo, antifascista. Questi mi avrebbe dovuto fornire una carta d’identità falsa (ma regolarmente inscritta al commissariato del quartiere) per vivere clandestinamente al sicuro. Ma io lasciai passare del tempo, e il commissario fu cambiato di quartiere”.[97]
Gli atti ritrovati. Carucci, negozio bar e biliardi
Nel fascicolo Cacace desta interesse anche una dichiarazione a firma del sig. Nello Carucci. Quest’ultimo era titolare di un bar con sala biliardo. Il negozio stava in via Latini. Il documento è datato Roma, 18 giugno 1945. Lo si riporta qui di seguito integralmente. “Io qui sottoscritto, Carucci Nello, proprietario del Bar e Biliardi sito in Via Latini n. 49-51, dichiaro che nel periodo nazifascista dal Dott. Cacace Francesco Saverio dirigente l’Ufficio di P.S. a S. Lorenzo, venivo continuamente avvertito allorché gli era sentore di razzie da parte di nazifascisti e ciò allo scopo di far allontanare tutti i giovani dal locale e dare l’allarme”.[98]
Gli atti ritrovati. Sosi, barista
Un ultimo documento ritrovato nell’Archivio Centrale dello Stato, riguarda la dichiarazione del sig. Alfredo Sosi. Si tratta di un barista che gestiva la propria attività in via dei Volsci. Il documento è datato Roma, 12 luglio 1945. Si riporta qui di seguito il testo. “Nell’inverno 1933-1944, epoca in cui gestivo il bar sito in via dei Volsci N° 2, il Commissario Capo Dott. Cacace, dirigente dell’Ufficio di P.S. di S. Lorenzo, continuamente mi avvertiva, sia direttamente che a mezzo di elementi suoi fidati, circa il giorno e l’ora dei rastrellamenti di uomini, che dovevano essere effettuati o da personale del Commissariato o da squadre speciali. In tal modo tutto l’elemento maschile che si trovava nel bar, che del resto era sempre numeroso, da me avvisato, aveva agio di allontanarsi indisturbato e quindi nel locale non è mai stato rastrellato un uomo. Tanto per la verità. Alfredo Sosi via Sabelli 98 – Roma”.[99]
Alcune annotazioni di sintesi
Lo studio che è stato presentato in questo saggio, ha riguardato la persona e l’operato del dott. Francesco Saverio Cacace. Tale ricerca può agevolare una comprensione di ciò che costituisce una resistenza silenziosa (condannata nel 1943-1944 da tedeschi e repubblichini). Questo dirigente di P.S. non abbandonò mai il suo posto di lavoro. Volle rimanere all’interno del “sistema” così da essere informato sulle decisioni che venivano adottate delle autorità del tempo. Con i dati acquisiti poté aiutare perseguitati e resistenti. Tale scelta, che favorì interazioni con più interlocutori quali il p. Libero Raganella, accomunò il dott. Cacace ad altri commissari di Polizia. Su questo punto è rilevante, ad esempio, quanto attestato da Giacomo Debenedetti nel suo libro “16 ottobre 1943”.[100] Oggi, nel migrare del tempo, si tende a relegare nell’oblio vicende legate a decenni trascorsi. Inoltre sono anche morti i testimoni del tempo. A San Lorenzo, in particolare, una fonte orale significativa fu legata al barbiere Gaetano Bordoni.[101] Malgrado ciò, la resistenza a ogni forma di oppressione conserva sempre una particolare attualità. Quando in determinati contesti storici, non è possibile modificare immediatamente una estesa situazione di ingiustizia, la resistenza passiva rimane il primo passo da compiere. Seguiranno poi decisioni più radicali. In tale contesto, ciò che rimane essenziale è la difesa di ogni scelta di vita e di libertà dei cittadini.
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Note
[1] Dott. Angelo de Fiore (1895-1969). Proclamato “Giusto tra le Nazioni”.
[2] P.L. Guiducci, Tutti gli ebrei del maresciallo Lucignano, in: ‘Avvenire’, mercoledì 15 maggio 2019.
[3] I suoi membri sono noti come Giuseppini del Murialdo.
[4] Renato Astrologo (nato nel 1932). La famiglia abitava in via degli Ausoni (San Lorenzo).
[5] P.L. Guiducci, Un monsignore durante l’occupazione tedesca di Roma, in: ‘Storia in Network’, sito online, 2 maggio 2023.
[6] Dott.ssa Maria Montessori (1870-1952). Medico, specializzata in neuropsichiatria. Pedagogista.
[7] C. De Simone, Venti angeli sopra Roma. I bombardamenti aerei sulla Città Eterna (19 luglio 1943 e 13 agosto 1943), Mursia, Milano 1993.
[8] Generale Azolino Hazon (1883-1943).
[9] Colonnello Ulderico Barengo (1896-1943).
[10] Michele Bolgia (nato nel 1894). Era padre di due ragazzi, Giuseppe di 12 anni e Sara di 15.
[11] Eugenio Pacelli ( 1876-1958; Venerabile). Eletto Papa (Pio XII) nel 1939. Il suo pontificato durò fino alla morte.
[12] Giovanni Battista Montini (1897-1978; Santo). Eletto Papa (Paolo VI) nel 1963. Il suo pontificato durò fino alla morte.
[13] G.L. Naso, Memorie di guerra. I bombardamenti del ’43 a Porta Maggiore, Portonaccio e delle officine di Prenestina, ATAC, Roma 2013, p. 82.
[14] Nato a Floridia (Siracusa) il 19 maggio 1892. La ricerca storica sul maresciallo Carpinteri si deve all’ispettore capo Vincenzo Marangione.
[15] Nato a Vizzini (Catania) il 19 maggio 1898.
[16] Nato a Tivoli (Roma) il 20 febbraio 1893. Colto di sorpresa dall’incursione nemica, la guardia scelta Sbraga cercò rifugio all’interno della Caserma di Polizia ‘Smiraglia’, ma venne ucciso da una bomba caduta a poca distanza da lui. Secondo i documenti ufficiali dell’epoca il suo corpo venne letteralmente polverizzato dall’esplosione. Notizie fornite dal nipote ed omonimo alla Polizia di Stato.
[17] Riferimento evidenziato in grassetto per la sua significatività.
[18] Testimonianza di Mario Botti, pubblicata sul sito “Roma città aperta. Gli anni della guerra”.
[19] Riferimento evidenziato in grassetto per la sua significatività.
[20] Tratto dal post di Riccardo Massaro, ‘ la storia in pillole/history in pills’, 19 luglio 1943 San Lorenzo Roma’.
[21] Congregazione fondata da Giovanni Battista de La Salle (1651-1719; Santo).
[22] P.L. Guiducci, Shoah a Roma. 16 ottobre 1943. Salvare gli ebrei, EDUCatt, Milano 2023.
[23] Testimonianza in: https://www.radioradicale.it/scheda/552865/cerimonia-di-commemorazione-a-80-anni-dalle-leggi-razziali?i=3889207.
[24] Tra gli ebrei presenti a San Lorenzo si ricordano anche i fratelli Lello (1919-2010) e Angelo Perugia. La famiglia abitava a via degli Equi 70. I Perugia il 16 ottobre 1943 scamparono al rastrellamento degli ebrei grazie alla telefonata di un maresciallo di P.S. che li avvertì del pericolo. Furono protetti da don Libero Raganella. A seguito di ulteriori vicende (1944), tre fratelli Perugia morirono in un lager tedesco. Lello e Angelo riuscirono a sopravvivere. Cf al riguardo: Intervista di Gigliola Colombo a Lello e Angelo Perugia registrata a Roma il 15 luglio 1987, su digital-library.cdec.it.
[25] Via Vicenza, 33.
[26] Via Tiburtina Vecchia.
[27] Via degli Etruschi, 13.
[28] Via dei Campani.
[29] Repubblica Sociale Italiana. Istituita il 23 settembre 1943. Fu un’entità politica che operò fino all’aprile del 1945.
[30] Cf anche: P. Mattei, Padre Raganella, la speranza di padre Libero. Storia del religioso giuseppino che trascorse quasi tutta la vita con la gente del quartiere romano di San Lorenzo, dove era nato, in: ’30 Giorni’, mensile, n. 8, 2009. Redazione, L’omaggio del quartiere San Lorenzo a padre Libero Raganella, in: ‘Romasette.it’, 10 settembre 2010.
[31] Ricompense assegnate a chi aveva protetto soldati inglesi rimasti lontani dalle proprie formazioni.
[32] Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale P.S., Dipartimento P.S., Personale fuori servizio, versamento 1973, b. 122.
[33] Nella piazza del Verano, ove oggi è posizionato il Commissariato di Polizia, esisteva nel 1943 la Casa dei Balilla.
[34] Emma Castelnuovo (1913-2014), divenuta in seguito docente di matematica, ricordò in una intervista l’aiuto ricevuto da un commissario di P.S. due giorni prima del 16 ottobre 1943 (razzia degli ebrei romani da parte di militari tedeschi). Questo dirigente, dott. Puma, era il responsabile del Commissariato di piazza Bologna. Avvisò, tramite il fratello, la famiglia ebrea dei Castelnuovo del pericolo imminente. Tale nucleo di perseguitati si salvò dall’arresto e riparò in casa di amici per un mese. Cf al riguardo Conversazione con Emma Castelnuovo, in: ‘Lettera Matematica Pristem’, trimestrale, n. 52, 2004, pp. 5-7.
[35] Nel periodo 1969-1970 p. Raganella cominciò la prima stesura delle sue memorie. Si tratta di dieci taccuini a quadretti, rilegati a spirale, con copertine in cartoncino. Vi si trovano i ricordi dell’infanzia (primo taccuino e qualche pagina del secondo), e il “Diario” relativo al 1943-1944 (dal II taccuino alle prime pagine del IX), già contrassegnato dal titolo: ‘Un anno nella vita (19/7/1943-4/6/1944)’. Infine, senza soluzione di continuità, un’ultima parte di riflessioni circa eventi, sia pubblici che privati.
[36] Questo brano si trova pubblicato in: L. Raganella, Senza sapere da che parte stanno. Ricordi dell’infanzia e “diario” di Roma in guerra, con introduzione e a cura di L. Piccioni, Bulzoni, Roma 2003, p. 138.
[37] Generale Reiner Stahel (1892-1955).
[38] Conte Giorgio Carlo Calvi di Bèrgolo (1887-1977).
[39] Vittorio Emanuele III (1869-1947).
[40] Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio (1871-1956).
[41] Tenente colonnello delle SS Herbert Kappler (1907-1978).
[42] Generale Riccardo Umberto Maraffa (1890-1943).
[43] Capitano Erich Priebke (1913-2013).
[44] Prefetto dott. Carmine Senise (1883-1958). Nel 1943 cessò dall’incarico di capo della Polizia. Lo sostituì il dott. Renzo Chierici.
[45] Prefetto dott. Salvatore Rosa. Ispettore generale. Nel 1943 cessò dall’incarico di vice capo della Polizia. Lo sostituì il dott. Francesco Sepe.
[46] Non è specificato il comitato al quale si fa riferimento. Sul piano storico, il 9 settembre 1943 si formò a Roma il Comitato Centrale di Liberazione Nazionale.(prima riunione il 16 ottobre ’43). Furono attivi anche i nuclei di “Bandiera Rossa”, e i Gruppi di Azione Patriottica (GAP). I GAP avevano suddiviso la città in zone. La V zona includeva: Macao, Monte Sacro, San Lorenzo, Tiburtino. Per estensione, vennero denominate GAP anche le meno numerose unità partigiane cittadine socialiste e azioniste (ndr).
[47] Frase evidenziata in grassetto dall’A. del saggio per la sua significatività.
[48] L. Raganella, Senza sapere da che parte stanno…, op. cit., pp. 138-139.
[49] L. Raganella, op. cit., p. 131ss.
[50] L. Raganella, op. cit., p. 126ss.
[51] L. Raganella, op. cit., p.143ss.
[52] L. Raganella, op. cit., p. 149ss.
[53] L. Raganella, op. cit., p. 153ss., p. 156ss, p. 225.
[54] L. Raganella, op. cit., p. 158 (famiglia ebrea residente a via dei Volsci); p. 159 (famiglia ebrea residente in via degli Ausoni e poi in via Sant’Erasmo); p. 159 (fratelli Perugia, dott. Muller, altri ebrei tra i quali due commercianti di stoffe); p. 160 (ebrei nascosti presso: collegio dei Giuseppini ad Albano, suore di via Vicenza, monastero di Santa Susanna).
[55] L. Raganella, op. cit., p. 161.
[56] L. Raganella, op. cit., p. 168ss.
[57] L. Raganella, op. cit., pp. 202-210.
[58] La sezione del Partito Nazionale Fascista “Franco Baldini” si trovava in via dei Volsci.
[59] L. Raganella, op. cit., pp. 179-199.
[60] L. Raganella, op. cit., pp. 196-197ss.
[61] L. Raganella, op. cit., p. 226.
[62] L. Raganella, op. cit., p. 234-235. Su questo punto è da ricordare che a via dei Volsci abitò anche il tenore Nicola Stame (nato nel 1908), ucciso alle Cave Ardeatine (1944). Era aderente al movimento di resistenza ‘Bandiera Rossa’.
[63] L. Raganella, op. cit., pp. 250-251 e 254.
[64] Espressione evidenziata in grassetto per la sua siognificatività (ndr).
[65] L. Raganella, op. cit., p. 162.
[66] Feldmaresciallo Albert Konrad Kesselring (1885-1960).
[67] L’editto di Kesselring è stato riprodotto anche nel libro: C. Capponi, Con cuore di donna. Il Ventennio, la Resistenza a Roma, via Rasella: i ricordi di una protagonista, Il Saggiatore, Milano 2009.
[68] L. Raganella, op. cit., p. 163. Gino Bardi e Guglielmo Pollastrini furono per un breve periodo capi di una milizia irregolare con sede a palazzo Braschi. Furono in seguito condannati per i reati commessi.
[69] Dopo la seconda guerra mondiale l’ARAR si occupò di vendere i beni e i materiali bellici confiscati al nemico o abbandonati dall’esercito alleato.
[70] Generale Roberto Lordi (1894-1944), ucciso dai tedeschi alle Cave Ardeatine. Medaglia d’oro al valor militare (ndr).
[71] Archivio Centrale dello Stato, fasc. cit.
[72] Padre Bortolo Zanata fu parroco a San Lorenzo dal 1938 al 1956.
[73] Si fa riferimento all’evitato dramma di uno scontro tra tedeschi e truppe alleate all’interno dell’Urbe.
[74] Archivio Centrale dello Stato, fasc. cit.
[75] Durante la resistenza ai nazifascisti il Partito d’Azione fu attivo nell’organizzazione di nuclei armati quali le brigate ‘Giustizia e Libertà’ (ndr).
[76] I suoi comandanti furono: col. Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo (dal 10 ottobre 1943 al 25 gennaio 1944); gen. C.A. Quirino Armellini C.A. (dal 25 gennaio 1944 al 22 marzo 1944); gen. brig. Roberto Bencivenga (dal 22 marzo 1944 al 5 giugno 1944).
[77] Archivio Centrale dello Stato, fasc. cit.
[78] Archivio Centrale dello Stato, fasc. cit.. Riguardo all’espropriazione dei beni ebraici cf anche: G. Dodi, La persecuzione patrimoniale e l’attività dell’Ente di Gestione e Liquidazione Immobiliare a Modena, in: ‘Storia e Futuro’, Rivista di Storia e Storiografia Contemporanea online, n. 38, 29 giugno 2015. Cf paragrafo: ‘Struttura e attività dell’Ente’.
[79] Oltre Milano, la SAFAR aveva una fabbrica a Roma, in via Tiburtina 963. Sul direttore della sede romana cf anche: AA.VV., L’Aeronautica militare. Una storia del Novecento, a cura di P. Ferrari, Franco Angeli, Milano 2005, p. 406.
[80] Sottosegretariato di Stato per le fabbricazioni di guerra (FabbriGuerra; 1940). (Ndr).
[81] Hans Leyers (1896-1981) fu un ufficiale della Wehrmacht. Ebbe in ultimo il grado di maggior generale.
[82] Schultz fu uno stretto collaboratore del tenente colonnello Herbert Kappler.
[83] Archivio Centrale dello Stato, fasc. cit.
[84] Gruppo Universitario Fascista.
[85] Paolo Zerbino (1905-1945). Ebbe vari incarichi negli anni del regime fascista. Nel settembre 1943 aderì al Partito Fascista Repubblicano di cui fu commissario speciale presso la Federazione di Roma.
[86] Emilio Lussu (1890-1975). Capitano della brigata Sassari nella prima guerra mondiale. Esponente dell’antifascismo. Politico. Scrittore. Co-fondatore del Partito Sardo d’Azione, e del Movimento Giustizia e Libertà.
[87] Carlo Alberto Biggini (1902-1945). Fu anche ministro dell’educazione nazionale nella R.S.I.
[88] Archivio Centrale dello Stato, fasc. cit.
[89] Stabilimento pirotecnico sito a Roma in via Casal S. Basilio 68. La sede legale era in via F. Crispi 20.
[90] Archivio Centrale dello Stato, fasc. cit.
[91] Avv. Francesco Fancello (1884-1970). Politico, scrittore (ndr).
[92] Avv.Stefano Siglienti (1898-1971). Politico, banchiere (ndr).
[93] Il Battaglione volontari di Sardegna ‘Giovanni Maria Angioy’ operò nella Repubblica Sociale Italiana. Fu attivo in Istria e nella Venezia Giulia. Una parte dei miliziani venne paracadutata in Sardegna con compiti di intelligence (ndr).
[94] Il 13 aprile del 1944 si insediò a Roma quale nuovo Federale il dott. Luigi Pasqualucci (nato nel 1905; ex Federale di Pistoia, Catanzaro e Viterbo). Prese il posto di Giuseppe Pizzirani, nato nel 1898 (ndr).
[95] Archivio Centrale dello Stato, fasc. cit.
[96] Archivio Centrale dello Stato, fasc. cit.
[97] Archivio Centrale dello Stato, fasc. cit.
[98] Archivio Centrale dello Stato, fasc. cit.
[99] Archivio Centrale dello Stato, fasc. cit.
[100] Einaudi Editore, Torino 2001, p. 25.
[101] Sig. Gaetano Bordoni (1932-2013). Barbiere a via dei Volsci (San Lorenzo; Roma).
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Per saperne di più
A. Baldinotti, La Polizia nella difesa di Roma, in: ‘Polizia Moderna’, n. 8-9, 1984, pp. 25-27. R. Camposano, Poliziotti a Roma per la libertà (1943-1944), in: AA.VV., ‘La Resistenza a Roma (1943-1944). Militari, partigiani e civili’, a cura di M. Lodi, Associazione Nazionale Combattenti Forze Armate Regolari Guerra di Liberazione, Genova 2011, pp. 177-209. S. Falocco – C. Boumis, La Resistenza a Roma, Le Commari, Roma 2021. L. Fiorani, Roma città aperta 1943-1944, in: AA.VV., ‘Ricerche per la storia religiosa di Roma’. 12. Chiesa, mondo cattolico e società civile durante la Resistenza, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2009, p. 69. N. G. Franzella, Giornata della Memoria: la Polizia di Stato ricorda gli eroi silenziosi, Ministero dell’Interno, Ufficio Stampa, sito online, Roma 27 gennaio 2023. A. Majanlahti – A. Osti Guerrazzi, Roma occupata 1943-1944. Itinerari, storie, immagini, il Saggiatore, Milano 2010, pp. 32-33, 271. F. Manacorda, L’Italia lacerata. Storie di eroi e furfanti nel 1943-45, SEAM, Roma 1998, pp. 209-215. M. Pazzaglini, San Lorenzo 1881-1981. Storia urbana di un quartiere popolare a Roma, presentazione di C. Aymonino, Officina, Roma 1989. L. Piccioni, Un sacerdote e la guerra. Dal diario di padre Libero Raganella un osservatorio su Roma occupata, in: AA.VV., ‘Ricerche per la storia religiosa di Roma’. 12. Chiesa, mondo cattolico e società civile durante la Resistenza, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2009, p. 267-286. L. Picciotto, Salvarsi. Gli ebrei d’Italia sfuggiti alla Shoah. 1943-1945, Einaudi, Torino 2017, p. 183. L. Raganella, Senza sapere da che parte stanno. Ricordi dell’infanzia e “diario” di Roma in guerra, con introduzione e a cura di L. Piccioni, Bulzoni Editore, Roma 2003. A. Riccardi, L’inverno più lungo 1943-44. Pio XII, gli ebrei e i nazisti a Roma, Laterza, Bari-Roma 2008, pp. 3 e 11. M. Sanfilippo, San Lorenzo 1870-1945. Storia e storie di un quartiere, pp. 128-129.
Ringraziamenti
Direzione e Personale dell’Archivio Centrale dello Stato (Roma). Don Giovenale Dotta, Direttore Archivio Congregazione di San Giuseppe, Casa Generalizia (Roma). Sig. Francesco Cauti Sancricca, Specialista in sistemi informatici (Roma). Commissario dott. Giulio Quintavalli, Ispettore Fabio Ruffini, Assistente Capo Luca Magrone, Relazioni Esterne, Settore Storico Ministero dell’Interno (Roma). Arch. Carlo Galeazzi, Direttore del sito ‘Roma Città Aperta’ (Roma). Drssa Irene Salvatori e Drssa. Ilaria Colarossi, Museo Storico della Liberazione, via Tasso (Roma). Drssa Livia Morganti, Istituto Romano per la Storia d’Italia dal Fascismo alla Resistenza (IRSIFAR). Dott. Massimo Gay, Responsabile Ufficio Storico Associazione Nazionale della Polizia di Stato (Roma). Dott. Fabrizio Gregorutti, Ispettore della P.S., Capo Redattore e Coordinatore del sito ‘Caduti Polizia’ (Roma). Architetto Carla Onesti, Capo Settore Archivio Storico Università di Roma ‘La Sapienza’. Dott. Andrea Lovati, Responsabile Archivio Storico Fondazione Fiera Milano.