TRIESTE NEL XVIII SECOLO: PORTO FRANCO E CITTÀ DEL MONDO

di Massimo Iacopi -

 

Non è solo la decadenza di Venezia a segnare la fortuna della città. Sono gli Asburgo a favorire quella libertà di commercio che in pochi anni contaminerà tutti gli ambiti del vivere sociale.

Nel 1857 Karl Marx paragonava Trieste agli Stati Uniti, attribuendo il loro successo economico all’assenza di tradizioni, che avrebbero potuto rendere più complicato il loro sviluppo. Per lui, come per molti altri studiosi, la storia moderna di Trieste sarebbe stata modellata dagli Asburgo. Essa avrebbe preso forma solo nel 1719 con le disposizioni che organizzavano il porto franco e che avrebbero permesso l’arrivo di numerosi mercanti e avventurieri. “Città dei miracoli”, “dei venti” o ”dei limbi”, Trieste ha una storia antica che merita di essere raccontata.

La proclamazione del porto franco di Trieste nel 1719, di Cesare Dell'Acqua (1855)

La proclamazione del porto franco di Trieste nel 1719, di Cesare Dell’Acqua (1855)

Trieste è in primo luogo un comune. Città peregrina[1], integrata nella Marca d’Istria dell’Impero romano, Tergeste si romanizza rapidamente a ragione della sua posizione strategica nei confronti del Limes e diventa una colonia romana nell’anno 33 a.C. La sua storia è poi quella di una municipalità italiana che nel 1382 si pone volontariamente sotto la protezione della Casa d’Austria per resistere alla Repubblica di Venezia, al Patriarcato di Aquileia e ai conti di Gorizia (i Mainardini). Divenuta tributaria degli Asburgo, Trieste vede confermata la sua carta delle libertà fino al XVIII secolo. Nel 1684 la città viene ricordata dal consigliere dell’imperatore Leopoldo I, Wilhelm Philipp von Hornigk o Hornick, come un porto fondamentale per lo sviluppo della monarchia asburgica. A Vienna come a Versailles si impone il mercantilismo[2]. L’accumulazione delle ricchezze e le tasse prelevate sulle importazioni fanno prosperare la monarchia. Ma il porto di Trieste è condizionato dalla posizione dominante di Venezia nel Mar Adriatico. Per di più, nel 1702, nel corso della Guerra di Successione di Spagna, la città subisce un pesante bombardamento della flotta francese, che danneggia sensibilmente la sua capacità commerciale.
L’idea di instaurare un  porto franco a Trieste viene accettata da Vienna nel 1717. Nello stesso anno l’imperatore Carlo VI d’Asburgo dichiara la libertà di commercio in Adriatico e quindi ottiene l’avallo della municipalità alla fine del 1718. Nel frattempo, a Passarowitz l’Austria conclude un trattato di pace e di commercio con il Sultano ottomano, che incoraggia la libera circolazione delle mercanzie sul territorio degli Asburgo. Le  due patenti emanate dall’imperatore il 15 e il 18 marzo 1719 fissano la natura dei privilegi accordati. Esse ricordano che i mercanti che si stabiliranno sui “confini del mare in Ungheria e Croazia, sulle coste e nei porti dell’Austria interna” potranno “liberamente e senza alcun impedimento esercitare la navigazione, equipaggiare vascelli mercantili e esercitare il loro commercio”. Ai mercanti viene offerta la bandiera imperiale e vengono  messi a disposizione degli alloggi. Inoltre, le strade che adducono al porto vengono allargate e protette al fine di garantire la sicurezza dei commerci.
L’articolo 3 della patente del 18 marzo è più esplicito: “dichiariamo colle presenti temporaneamente porti franchi le due nostre città sull’Adriatico, Trieste e Fiume, nelle quali tutti i trafficanti esteri che approderanno nei porti franchi potranno acquistare in grandissima parte di prima mano, e per conseguenza con grande loro guadagno, quegli effetti delle nostre provincie ereditarie, che prima dovevano provvedere di seconda, terza, quarta e quasi quinta mano, ed avranno facile occasione di trovare ulteriori acquisti.” Più avanti l’imperatore aggiunge che “al fine  che i detti negozianti possano meglio trovare il loro tornaconto, noi li assicuriamo di voler gratificare, comprese le loro famiglie e nazioni, di tutti i privilegi (…) che mai sono stati accordati in altre città mercantili”.
Trieste diventa da allora una città doppia. Al suo comune, i cui privilegi sono stati confermati nel 1713, si aggiunge un porto franco, posto direttamente sotto l’autorità di Vienna. Le due istituzioni entrano necessariamente in competizione. La creazione di un tribunale di commercio, di una intendenza, di una capitaneria e i conflitti di giurisdizione che tendono a moltiplicarsi, determinano progressivamente il passaggio della municipalità di Trieste sotto il controllo delle istituzioni degli Asburgo. La creazione di un governatorato nel 1776 limita ancora di più le libertà comunali e determina l’integrazione della città al porto franco.

Nel 1785 il patrizio Antonio De Giuliani descrive il porto franco con un misto di sentimento di superiorità e di fascinazione, in particolare nei confronti del commercio triestino, che si è imposto in Adriatico grazie all’immigrazione di “una popolazione composta da diverse nazioni e in parte da fuggitivi, da banditi, da malfattori e di stranieri senza risorse.”  In effetti, tra il 1720 e il 1730 Carlo VI d’Austria aveva associato i corsari dell’Adriatico per garantire il rispetto della sua bandiera, specialmente contro i Veneziani e i Barbareschi. L’esempio della famiglia Mainati, di Zante, è molto interessante: nel 1734 il maggiore dei fratelli, Nicolò, difende il commercio di Trieste, ripagandosi con le confische in mare, mentre il suo cadetto Giovanni si insedia in città, dove basa le sue attività commerciali.
All’esportazione del sale e alla pesca si aggiunge un cabotaggio di collegamento fra Trieste e Venezia, Ancona e Fiume e che avvantaggia, in particolare, la fiera di Senigallia, dove la reputazione cresce grandemente presso i mercanti greci. Le importazioni consistono in maggioranza di materie tessili e alimentari, le esportazioni in legno, per la costruzione di battelli mercantili ottomani, quindi prodotti manifatturieri come il rosolio, liquore rappresentativo del successo della città.
Sotto il regno di Carlo VI e di Maria Teresa d’Asburgo, Trieste è integrata all’economia del Mediterraneo orientale, grazie all’invito fatto ai sudditi della Sublime Porta di insediarsi in città. Le prime connessioni vengono stabilite con Smirne nel 1722 e la città vede i suoi interessi garantiti dalla potente rete consolare e diplomatica degli Asburgo nel Mediterraneo orientale. I mercanti ottomani collegano la città a uno spazio economico più ampio. I fratelli Kurtovic di Trebinje, in special modo Jovan, attivano nel corso degli anni ’70 del XVIII secolo una rete commerciale che si estende da Smirne a Vienna, passando per Istanbul e Trieste. Queste grandi casate mercantili partecipano all’integrazione regionale dell’impero degli Asburgo con quello ottomano.

La creazione dei primi consolati occidentali negli anni 1750-1770 contribuisce ad allargare questa influenza nel Mediterraneo e negli altri mari europei. Marsiglia, Napoli e Cadice diventano partner commerciali privilegiati di Trieste, che entra in concorrenza con Amburgo nel Sacro Romano Impero Germanico. Anche la Svezia e la Russia danno il loro contributo. Nel 1774 il mercante inglese Nath Greene, stupito del fatto che il re d’Inghilterra non abbia ancora nominato un console nel porto franco dove egli sta facendo fortuna, propone i suoi servigi a Londra. Grazie a lui, non solo la comunità inglese di Trieste si allarga, ma riesce ad avere anche una cappella ed il nuovo governatore conte Karl von Zinzendorf, associa strettamente il suo rappresentante nell’amministrazione economica della città.
Ma è con Giuseppe II che il commercio triestino diventa mondiale. L’imprenditore olandese William Bolts aiuta gli Asburgo ad aprire alcune succursali in Africa orientale e a stabilire trattati con prìncipi della penisola indiana. Trieste è già sulla rotta della seta. Il suo commercio nell’Oceano indiano e in Asia si associa a quello di Ostenda; esso raggiunge persino Canton (Guangzhu). L’impegno degli Asburgo è rivolto, soprattutto all’inizio degli anni ’80, a deviare una parte del commercio della East India Company con la complicità del console britannico. Questo commercio, captato a Bassora, in Iraq, risale l’Eufrate e si riversa nel Mediterraneo all’altezza di Aleppo. Anche attraverso l’Egitto, la rete commerciale dei fratelli Rossetti e dei suoi numerosi figli contribuisce ad alimentare il porto di Trieste: Antonio il primo ad affermarsi a Trieste, diventerà attraverso la moglie Daniela Gini proprietario di una fabbrica di rosolio e otterrà il titolo di nobile de Scander del Sacro Romano Impero nel 1775. Nel 1779, infine, a testimonianza della sua completa riuscita economica, Antonio Rossetti otterrà il titolo di conte dal Duca di Modena. Fra i suoi figli vanno ricordati: Giovanni, che consoliderà l’attività paterna e, soprattutto, Domenico, avvocato, geografo, letterato.

Il commercio di Trieste assume anche una dimensione transatlantica. Nel corso del XVIII secolo, mercanti del Sacro Romano Impero ottengono lettere di naturalizzazione dal re d’Inghilterra, fatto che permette loro di penetrare nel mercato coloniale britannico. E’ il caso della famiglia Grahl, ebrei di Dresda, una parte della quale emigra a Londra, dove passa alla Riforma. Johann vi sposa la figlia di un ugonotto che possedeva beni in Pennsylvania. Attraverso il suo matrimonio si apre un nuovo mercato. Quando la guerra d’Indipendenza americana inizia a condizionare il suo commercio, egli sposta le sue attività a Trieste, dove alcuni negozianti associati a imprenditori americani fondano la prima compagnia mercantile fra Trieste e gli Stati Uniti (17849, con la benedizione del futuro rappresentante della giovane repubblica a Parigi, Thomas Jefferson.
Johann Grahl rilancia il suo commercio associandovi il genero Lorenzo da Ponte (alias Emanuele Conegliano da Ceneda), vecchio librettista di opere per Mozart, che emigra in Pennsylvania, quindi a New York  nel 1810. Da lì, Da Ponte riattiva le sue reti triestine, appoggiandosi allo stesso tempo a quelle di sua moglie per organizzare un commercio di lire italiane. Nel 1802, il primo console americano a Trieste non può che entusiasmarsi di fronte al potenziale del porto franco. Per lui non si tratta solamente di mettere in connessione Boston, Baltimora o Filadelfia al Mediterraneo o il Mediterraneo all’Europa centrale. Si tratta anche, per gli Stati Uniti, di accedere al commercio dell’Oceano Indiano via Trieste.
Le conseguenze dell’occupazione della città da parte delle truppe napoleoniche sono ambivalenti. Nel 1809 dopo la vittoria di Wagram sull’esercito austriaco e il Trattato di Schombrunn, l’impero francese riorganizza la costa orientale dell’Adriatico, da Trieste a Ragusa (Dubrovnik) e la divide in “province illiriche”. Se Napoleone era cosciente della necessità di conservare aperte le rotte commerciali fra Trieste e il suo interno, questo arrangiamento non compensa la perdita di attrattiva economica della città e il forte calo della popolazione del porto franco, a seguito del blocco continentale britannico. Ma, a partire dal 1813, la riconquista di Trieste da parte dell’Austria contribuisce a rilanciare l’economia e il commercio.

La storia di Trieste è, infine, quella di una città globale. Un secolo dopo la creazione del porto franco, la società e il paesaggio urbano sono profondamente trasformati. Il porto franco si sviluppa sulle vecchie saline, a nord della città, che vengono drenate e prosciugate per sviluppare un piano ortonormato. Il collettore delle saline diventa nel 1753, il Canale Grande, strutturato da un ingegnere veneziano al fine di portare le barche fino ai depositi. Nella seconda metà del XVIII secolo esso diventa il cuore della Città Nuova.
La chiesa di San Pietro, situata sulle mura, domina l’accesso, tanto fisico che simbolico, alla città dal porto. La sua distruzione nel 1780 fornisce testimonianza dell’integrazione degli spazi urbani. Alla fine del molo San Carlo si insediano le nuove istituzioni, intorno alle quali si articolano la città Vecchia e la città Nuova. Un altro elemento fondamentale è rappresentato dalla creazione sotto Maria Teresa di un nuovo lazzaretto, a nord, per mettere in quarantena i viaggiatori suscettibili di avere contratto la peste, prima di autorizzare il loro accesso in città. Nel 1769, la sua inaugurazione viene celebrata in grande pompa in occasione dell’arrivo di una nave ottomana, come una promessa di una accresciuta prosperità.
Il paesaggio religioso si trasforma anch’esso. Il vecchio ghetto ebraico viene abolito nel 1771. Gli ortodossi, che prima si riunivano presso il grandi mercanti per vivere la loro fede in maniera privata, ricevono nel 1751 il diritto di costruire sul Canale Grande una chiesa dedicata a San Spiridione. Nel 1782, la scissione della comunità fra greco orientali e greci illirici, spinge i primi a fondare una nuova chiesa sul fronte del mare a San Nicolò. I mercanti armeni si insediano invece nel Borgo Giuseppino.
A partire dal 1774, il console d’Inghilterra diventa il protettore dei protestanti, quindi, gli editti di tolleranza di Giuseppe II (1781) consentono ai luterani e ai riformati di avere i loro luoghi di culto. La secolarizzazione dei monasteri nel 1784 libera nuovi spazi a sud. I docks moderni si moltiplicano lungo il fronte del mare e formano il Borgo Giuseppino, così chiamato in onore dell’imperatore.
Restano i numerosi mercanti musulmani, di passaggio o permanenti, il cui culto non risulta, né riconosciuto, né autorizzato, né vietato. Alla diversità religiosa e alla poliglossia delle liturgie si aggiunge quella delle strade. Nel 1782 il direttore del teatro Christian Hieronymus Moll notava[3], in tedesco, che “nei villaggi si parla il cranje (sloveno), in città una specie di italiano. A somiglianza di tutte le città di commercio, si incontrano a Trieste anche altre lingue che non risultano sconosciute”.

La città sembra interamente trasformata dal commercio. Lo statistico Giuseppe de Brodmann si rallegra[4] che “questa libertà che favorisce il commercio, manifesti anche la sua influenza sui circoli sociali, non in maniera rude e rigorosa, dividendo le differenti classi di persone come si pratica lungo le coste asiatiche, o come nelle province tedesche dell’Impero d‘Austria. Il tono aperto e liberale della società distingue vantaggiosamente gli uomini a Trieste … ed in particolare i negozianti che compongono la prima e più distinta delle classi”.
Tuttavia, nel 1788, il cronista, scrittore Pierre Sylvain Marechal propone una lettura diversa e più aspra della città[5], sottolineando che a Trieste “l’interesse divide ancora di più gli uomini che i diversi culti”. “Questi circoli sociali” evolvono in modi di sociabilità diversi. Negli anni 1780, il governatore Zinzendorf si reca quasi ogni giorno al caffè e al Casino di Piazza Grande. Queste visite vengono effettuate di norma la sera. Il caffè non è che una tappa dopo una passeggiata lungo l’antico acquedotto romano o una cena.  Ci si reca quindi al Casino per una partita di whist, di trictrac o di biliardo o ancora per flirtare, prima di ritornare, nel periodo estivo, al caffè per rinfrescarsi con un gelato.
Il caffè è un luogo misto dove uomini e donne, mercanti, amministratori e nobili della regione si incrociano e si riuniscono. Il carnevale di Trieste mostra nondimeno una forte distinzione simbolica fra la nobiltà, che lo celebra a teatro e la borghesia mercantile che si riunisce in una casa privata aperta a tutti per l’occasione. Marechal vi descrive un’atmosfera libertina e sensuale e ricorda le giovani contadine vestite “all’orientale” in un maldestro tentativo di imitare le dame della città che esse incontrano nel mercato.

In effetti, Trieste è soprattutto una città popolare, in cui convivono i circoli privati dei potenti, i caffè della “gente di commercio, dei loro agenti, dei mediatori, dei marinai e degli stranieri di tutte le  nazioni”[6], i Biergarten  e il mondo sotterraneo delle taverne. Girolamo Agapito descrive queste ultime nel 1824, aperte “in tutti gli angoli delle strade della città” e dove “le persone delle classi più basse consumano le loro entrate giornaliere ed incerte in lunghe bevute, ingollate senza la minima cura, presi in giochi frenetici ed in canti rauchi che stordiscono tutto il vicinato”.
Questo popolo ordinario di Trieste, al quale la città deve il suo sviluppo, viene descritto dal Kollmann come composto da “scaricatori, portatori, uomini di mano, carrettieri, che arrivano qui da tutte le regioni d’Italia e che, senza padrone, guadagnano aleatoriamente la loro vita”. Facendo così di Trieste, come molti porti franchi, un luogo di diversità, religiosa, culturale e sociale. Una diversità lontana dalle identità esclusive dei nazionalismi.

Note
[1] Nell’Impero Romano, le città “peregrine” conservavano le loro proprie leggi dopo la loro annessione.
[2] Mercantilismo, termine usato (per la prima volta pare dai fisiocrati) per indicare il complesso di principi in materia di politica economica (detto anche sistema mercantile o mercantilista), corrispondente alla prassi dell’epoca in cui si formarono i grandi Stati nazionali (XVI-XVIII secolo). Il termine fu largamente diffuso dalle critiche di A. Smith, che ne mise in luce soltanto due elementi caratteristici: la politica indirizzata ad aumentare, entro lo Stato, la disponibilità di moneta e il protezionismo tendente a rendere la bilancia commerciale attiva. In realtà, il mercantilismo è qualcosa di più complesso e organico e può definirsi come il sistema di politica economica delle grandi monarchie assolute, che, con il loro intervento nell’economia, miravano a dare più solide basi all’unità statale e a fare dell’incremento della ricchezza nazionale lo strumento per accrescere la forza dello Stato nei suoi rapporti con l’estero. Assunto dalla confederazione di nobili calvinisti olandesi e altri scontenti che nel 1566 si rivoltarono contro il governo spagnolo nei Paesi Bassi.
[3] Christian Hieronymus Moll, Historisch-statistische Beschreibung der Stadt Triest (“Descrizione storico-statistica della città di Trieste”), 1782.
[4] Giuseppe de Brodmann, Memorie politico e economiche della città e territorio di Trieste della penisola d’Istria, della Dalmazia fu Veneta, di Ragusi e dell’Albania, ora congiunti all’austriaco impero, 1821.
[5] Pierre Sylvain Marechal, Costumes civils de tous les peuples connus e Almanach des Honnêtes Gens, 1788.
[6] Kollmann Johann, Triest und seine Umgebungen (“Trieste ed i suoi dintorni”), 1807.
[7] Agapito Girolamo, Compiuta e distesa descrizione della fedelissima città di Trieste, 1824.

Per saperne di più
Andreozzi D., Trieste e Maria Teresa d’Asburgo. Miti, equilibri e reti tra Mediterraneo ed Europa, Crocetta del Montello, 2017.
Do Paco D., Trieste au XVIIIe siècle : port franc, ville-monde, in “L’Histoire”, maggio 2020.
Dubin L. C., The Port Jews of Habsburg Trieste. Absolutist Politics and Enlightenment Culture, Stanford University Press, 1999.
Finzi R., Panjek G., Panariti (a cura di), Storia economica e sociale di Trieste. La città dei traffici 1719-1918, Lint, 2003.
Tomasin P., Reminiscenze storiche di Trieste dal secolo IV al secolo XIX, Trieste, 1900.