TITO LABIENO, LUOGOTENENTE DI CESARE E POMPEO

di Max Trimurti -

Spesso descritto come il braccio destro di Cesare in Gallia, Tito Labieno si rivelò oltre che un eccellente ufficiale anche un politico di spessore, leale tanto ai suoi capi quanto alla Repubblica. Qualità, quest’ultima, che lo trasformò nel peggiore nemico del suo migliore amico…

L’ultimo secolo della Repubblica romana è dominato dalla figura di capi militari prestigiosi, come Caio Giulio Cesare e Gneo Pompeo Magno o ancora Lucio Licinio Lucullus, sui quali i testi antichi mettono principalmente l’accento. Commetteremmo però un torto nel trascurare altri protagonisti, giudicati spesso secondari ma il cui ruolo e importanza nelle guerre romane di quest’epoca fu di fondamentale importanza. Fra questi emerge la figura Titus Labienus (99-45 a.C.), braccio destro di Cesare in Gallia, che in seguito, all’inizio della guerra civile, prenderà le armi contro il suo capo diventandone uno degli avversari più accaniti.

Ma partiamo dall’inizio. Nel corso della guerra delle Gallie (58-51 a.C.) il proconsole Giulio Cesare è coadiuvato da diversi legati ai quali delega il comando di una parte delle truppe a seconda delle circostanze. La storia ci ha tramandato il nome di una decina di questi legati, il più famoso dei quali è dubbio Titus Labienus, il solo che abbia ricoperto in permanenza questo incarico a fianco di Cesare (come citato nel De Bello Gallico). Labienus ha contribuito in maniera decisiva ai successi di Cesare sugli Elvezi (giugno del 58), sui Belgi (estate del 57), sui Morini (ottobre del 55) e ancora sui Treviri (giugno del 53).
Nel gennaio-febbraio del 53 egli riesce a resistere con sangue freddo all’accerchiamento del suo campo invernale da parte dei Treviri in rivolta, guidati da Induziomar, che sarà poi sconfitto e ucciso. In occasione della grande rivolta del 52, Labienus viene incaricato, con quattro legioni, dell’offensiva contro i Galli Senoni e contro i Parisii, ottenendo, in primavera, una grande vittoria nei pressi di Lutezia (Parigi). Poi, tra fine estate e inizio autunno aiuta Cesare nell’assedio di Alesia. La sua partecipazione a queste battaglie è dimostrato dai proiettili di fionde incise con il suo nome: una è stata scoperta sul sito di Sens e due altre, più recentemente, su quello di Alesia (attuale Alise-Sainte Reine) sul posto del Campo C, che viene chiamato ormai per questo motivo “il campo di Labienus”.

Da luogotenente fedele a transfuga

Come prova di fiducia nel suo principale luogotenente, Cesare gli chiede di sostituirlo diverse volte. In tal modo l’intero esercito viene posto sotto i suoi ordini durante i quartieri invernali 58/57 presso i Sequani. Labienus comanda, in seguito, la parte dell’esercito rimasta sul continente in occasione della seconda spedizione di Cesare oltremanica nell’estate del 54. Infine, tocca a lui assumere la responsabilità della Gallia Cisalpina, nell’Italia del Nord, durante l’inverno 51/50.
Tuttavia, quando Cesare decide di opporsi al Senato e condurre la guerra in Italia, attraversando il Rubicone con il suo esercito nella notte dell’11 gennaio del 49, Labienus entra a far parte di quelli che cambiano immediatamente di campo ed abbandonano il generale “rinnegato”. Egli raggiunge Pompeo nella Puglia, già dal 22 gennaio dello stesso anno, prende parte alla ritirata dall’Italia (febbraio-marzo), quindi, l’anno seguente, alle campagne d’Epiro e di Tessaglia. Presente all’assedio di Dyrrachium (Durazzo), del giugno-luglio 48, egli è uno di quelli che spingono Pompeo a dare battaglia nella piana di Farsalo, battaglia che determina l’inattesa sconfitta del campo senatoriale (9 agosto 48). Dopo la morte di Pompeo (28 settembre 48), mentre alcuni suoi sostenitori si schierano dalla parte di Cesare vittorioso, Labienus, in quanto legato di Quinto Cecilio Metellus Scipione Nasica, prosegue la lotta, prima in Africa, quindi, dopo la vittoria cesariana di Tapso (6 aprile 46), come legato di Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno, nella Spagna ulteriore. Egli trova la morte nella cruenta battaglia di Munda (17 marzo 45), che segna il termine definitivo della guerra civile. Secondo Appiano di Alessandria (95-165 d.C.), la sua testa sarebbe stata presentata a Cesare, con quelle di altri capi pompeiani.

Dall’elogio al biasimo

Occorre precisare, peraltro, che tutte queste informazioni relative all’azione di Labienus provengono, per la maggior parte, dai racconti di Cesare e da quelli dei suoi continuatori, essendo le altre fonti molto più succinte, se non quasi inesistenti. La nostra visione di Labienus, come capo militare, dipende molto da quanto rappresentato dai testi cesariani. In tale contesto, nel libro primo del De Bello Gallico, Cesare si attribuisce il merito della vittoria dell’Arar sulla tribù elvezia dei Tigurini, riportata nel giugno 58, mentre Plutarco ne attribuisce il merito a Labienus, senza dubbio perché il biografo segue, su questo punto specifico, una fonte diversa da Cesare. Non risulta, pertanto, sempre facile determinare con esattezza l’implicazione degli uni e degli altri nelle operazioni militari, così come sono state narrate. D’altronde, per ben due volte nel suo racconto, Cesare fa dire a Labienus, nelle arringhe indirizzate ai suoi legionari, che, sotto i suoi ordini, essi devono combattere come se fosse presente lo stesso proconsole in persona.
E’ necessario, soprattutto, tenere conto di un aspetto della documentazione. In effetti, la positiva presentazione di Labienus come legato capace e brillante riguarda i primi sette libri del De Bello Gallico, vale a dire testi redatti e pubblicati da Cesare prima della defezione del suo legato nel gennaio 49, mentre i racconti posteriori a questa defezione (i tre libri del De Bello Civili) o posteriori alla morte di Cesare (libro VIII del De Bello Gallico; la Guerra d’Africa e la Guerra di Spagna) offrono, al contrario, un ritratto di Labienus deliberatamente meno lusinghiero. Quelle che, a suo tempo, erano state presentate come qualità strategiche e tattiche si trasformano in difetti.
In tal modo, i suoi principali successi, quelli che emergono nel dettaglio da Cesare nel De Bello Gallico nei libri V (la vittorio di Induziomaro), VI (la vittoria contro i Treviri) e VII (la vittoria di Lutezia contro Camulogeno), lo mettono in evidenza, ogni volta, come un capo la cui abilità nell’arte dello stratagemma merita elogi incondizionati. Per contro, nella Guerra d’Africa, il continuatore anonimo tratteggia ormai Labienus come un avversario sleale e inefficace, i cui tentativi di imboscate vengono sistematicamente sventati, uno dopo l’altro, da Cesare. La figura del traditore ha il sopravvento su quella del generale talentuoso. Mentre, nel De Bello Gallico, il proconsole dichiara, a più riprese, di fidarsi completamente del giudizio del proprio legato. I racconti sulla guerra civile insistono, al contrario, sull’obnubilamento di Labienus: è lui che sottovaluta la qualità delle forze cesariane prima dello scontro di Farsalo o prima della battaglia di Ruspina in Africa; è ancora lui che perde, per due volte, l’occasione di sfruttare una sconfitta delle truppe avversarie per mettere un termine definitivo alla guerra, a Dyrrachium, quindi agli inizi della campagna d’Africa.

Uomo di Stato prima ancora che soldato 

Di fronte a tali contraddizioni che riflettono con evidenza un punto di vista fazioso, non risulta facile per gli storici moderni individuare con esattezza i contorni del valore militare di Labienus. Una qualità, questa, che nei contemporanei non veniva minimamente messa in discussione. Nonostante la sua posizione ideologica, l’autore anonimo della Guerra d’Africa riconosce, in questo contesto, che i numerosi cavalieri ausiliari galli e germani dell’esercito pompeiano, famosi per il loro valore, avevano seguito Labienus in ragione della sua indiscussa autorità. Per quanto concerne Cicerone, questi afferma, in una lettera al suo segretario Marco Tullio Tirone del 27 gennaio del 49, che Labienus è quello che, nell’esercito di Cesare, godeva della massima autorità e prestigio.
Principalmente citato nelle nostre fonti attraverso i comandi esercitati per un periodo di nove anni di guerra in Gallia e in cinque anni di guerra civile, Labienus viene talvolta considerato un esempio di ufficiale di carriera (vir militaris), una nuova categoria di cittadini la cui comparsa è spesso datata (a torto) al I secolo a.C. In quest’epoca, i quadri superiori dell’esercito romano provengono effettivamente dall’aristocrazia, che alterna responsabilità militari a cariche civili: l’uomo di Stato ideale per i Romani resta colui che è capace, quando necessario, di dare prova del suo valore come soldato e come comandante in guerra.
Labienus non fa eccezione a questa regola. Quando viene scelto da Cesare come legato nel 58, egli è già un senatore esperto e di alto rango, conosciuto per le sue prese di posizione politiche. Nel 63, nelle vesti di Tribuno della Plebe, egli è all’origine di un clamoroso processo intentato contro Gaio Rabirius: Cesare induce Labienus ad accusare il senatore Gaio Rabirius di essere stato coinvolto, 37 anni prima, nell’assassinio del suo avversario politico Lucio Saturninus – omicidio di cui lo zio dell’accusatore era stato vittima collaterale. La manovra consente a Cesare di rinforzare il potere popolare a danno del Senato. Rabirius, difeso da Marco Tullio Cicerone, viene, alla fine, esiliato.
Labienus fa votare, inoltre diverse leggi, fra cui un’importante riforma del sistema elettorale che consente, ancora a Cesare, di diventare Pontifex Maximus, il primo magistrato religioso di Roma. Appare evidente che questi affari siano stati alla base dell’amicizia fra i due uomini.
Non si conoscono bene le tappe della sua traiettoria politica, ma si concorda in genere sul fatto che, fra il 61 e il 59, ovvero poco prima della partenza di Cesare per la Gallia, Labienus sia stato nominato Pretore, una magistratura fra le più importanti dopo il Consolato e alla quale non tutti i senatori riescono ad accedere. Egli, d’altronde, non è il solo pretore anziano fra i legati cesariani in Gallia: Quinto Cicerone, fratello dell’oratore, aveva anch’egli ricoperto questa magistratura nel 62 in contemporanea con Cesare. Pertanto, il subordinato di Cesare non è un uomo qualsiasi, anche se, derivato da una famiglia equestre del Picenum (provincia a sud di Ancona), non appartiene alla più alta aristocrazia del suo tempo. Si sa, inoltre, attraverso una lettera da Cicerone a Tito Pomponio Attico del dicembre 50, che Labienus aveva accresciuto la sua fortuna in maniera considerevole durante il periodo trascorso in Gallia a fianco di Cesare. Questo fatto gli aveva permesso di finanziare, a sue spese, importanti lavori nella città di Cingulum (Cingoli), da dove era certamente originaria la sua famiglia (fatto che non impedirà alla città stessa di schierarsi dalla parte di Cesare sin dal gennaio del 49).
Labienus è, dunque, un senatore ricco e influente, un uomo politico in vista, “uno dei migliori amici di Cesare”, secondo le parole di Plutarco, che lo asseconda piuttosto che affrontarlo. La sua esperienza militare non sembra essere stata diversa da quella dei membri dell’aristocrazia cui apparteneva. A tal riguardo le fonti risultano meno esplicite, evocando solamente un servizio militare agli ordini di Publio Servilio Vatia, l’Isaurico, governatore della Provincia di Cilicia fra il 78 e il 74 a.C. e durante il quale egli ha potuto fare la conoscenza del giovane Cesare, presente agli ordini di Servilio nell’anno 78. Acquisite le competenze necessarie per il comando, in parte per mezzo di letture e attraverso l’osservazione dei colleghi più anziani sul terreno, Labienus forgia sul campo le sue qualità. Il lungo periodo passato da Labienus nell’esercito, a partire dall’anno 58, si qualifica in primo luogo come il frutto di relazioni personali che egli aveva allacciato con il proconsole dei Galli, quindi da circostanze particolari della guerra civile, piuttosto che da una forma di specializzazione nel mestiere delle armi, estranea alla mentalità aristocratica del tempo.

Servitore della Repubblica

In questa prospettiva e contrariamente a quanto, a volte, si legge, la defezione di Labienus agli inizi della Guerra Civile non deve essere intesa come il risultato di un semplice obbligo clientelare nei confronti di Pompeo o come un gesto di stizza di un soldato di mestiere che si reputava poco considerato dal capo, ma come una presa di posizione politica decisa da parte di un membro rispettato della classe dirigente romana.
Rinnegando e sconfessando pubblicamente Cesare, il suo principale legato avrà forse inteso far passare il messaggio che nessuna amicizia avrebbe avuto il sopravvento sull’idea che egli si era costruito della legalità repubblicana. Questo, in effetti, era stato ben capito da Cicerone, che in diverse lettere ad Attico, risalenti alla fine del gennaio del 49, saluta con entusiasmo il senso civico di colui che viene qualificato come “eroe” e “grand’uomo”.

Per saperne di più
Le Bohec Yannik, Cesar, chef de guerre, Texto, 2019;
Stringer G. P., Cesar and Labienus: a reevaluation of Cesar’s most important Relationship in De Bello Gallico, New England Classical Journal n. 44, 2017;
Ramini Antonio, Tito Labieno, legato di Cesare, in «L’Ippogrifo», n. 1, I (1984).