TARRAFAL, IL CAMPO DELLA MORTE DI SALAZAR

di Renzo Paternoster -

 

Conclusa la Prima guerra mondiale in Europa nascono regimi dittatoriali e autoritari. In Portogallo, dopo una serie di golpe prende il potere il dittatore Salazar. In un terribile campo di concentramento il regime rinchiude gli elementi ostili all’Estado Novo portoghese.

 

Antonio Oliveira Salazar

Antonio de Oliveira Salazar

Colpi di Stato, instabilità politica, crisi economica e finanziaria, indebolimento delle strutture sociali, caratterizzano il Portogallo all’inizio del Novecento. Nel 1926 un ennesimo colpo di Stato militare porta al potere il generale Antonio Oscar de Fragoso Carmona, che diventa Presidente del Portogallo. A sua volta, Carmona nomina il professor Antonio de Oliveira Salazar Ministro delle finanze. Quest’ultimo però lascia il dicastero assegnatogli dopo solo tredici giorni, ritenendo di non avere le condizioni politiche per lavorare. Lo riprende nel 1928, questa volta con pieni poteri. Salazar, applicando una politica di rigido contenimento della spesa, riesce a riportare il bilancio in attivo. Questo successo personale lo porta nel 1932 alla nomina a Primo ministro. Da Capo del governo, Salazar introduce una nuova Costituzione che di fatto gli garantisce i pieni poteri e il controllo totale dello Stato: dal 1933 col motto “Deus, Patria, Familia”, Salazar diventa così “padrone” del Paese, instaurando un “Nuovo Stato” (Estado Novo) parafascista. L’ardore nazionalistico del salazarismo – esprimibile nella formula “Tudo pela Nação nada contro a Nação” – diventa il volto della dittatura, che vuole portare alla mitizzazione della Nazione, all’enfatizzazione della tradizione storica e colonialista del Portogallo, all’accentuazione del mito dell’Europa cristiana e anticomunista. Questo porta all’eliminazione delle forme classiche della democrazia rappresentativa, all’accentramento dei poteri e al controllo totale della politica sulla società. Di conseguenza sono aboliti i diritti civili, politici e corporativi, con l’adozione di un sindacato unico, il divieto di scioperi, l’attuazione della censura preventiva, l’uso del terrore nella società.

Nel 1933 Salazar promulga così l’Estatuto do Trabalho Nacional (Statuto del lavoro nazionale), per controllare i lavoratori e inquadrare il loro pensiero morale; il “Segretariado pela Propaganda Nacional” (Segretariato per la Propaganda Nazionale), con la funzione divulgare lo spirito di unità che presiede all’opera realizzativa dell’Estado Novo; la “Legião Portuguesa” (Legione portoghese), milizia popolare anticomunista; la “Acçao Escolar Vanguarda” (Scuola d’azione avanguardista) associazione giovanile nazionalista del regime; la “Mocidade Portuguesa” (Gioventù Portoghese), organizzazione paramilitare per aggregare tutta la gioventù lusitana. Altra creatura di Salazar è la polizia politica, la famigerata Polícia de Vigilância e Defesa do Estado (PVDE), creata nel 1933 e poi trasformata nel 1945 nella Polícia Internacional e de Defesa do Estado (PIDE). La PVDE, guidata dal capitano Agostinho Lourenço è un’istituzione repressiva che, anche attraverso una fitta rete di informatori civili, attua un vero e proprio sistema di giustizia parallelo per reprimere in maniera brutale qualsivoglia tipologia di dissenso. Ascoltare radio straniere, leggere giornali o riviste censurate, criticare e ingiuriare le cariche dello Stato, diffondere notizie provenienti dall’estero o contrarie all’ideologia salazarista, anche solo pensare di cospirare contro la Nazione, diventa un crimine politico di competenza dei tribunali speciali militari. Per gli “elementi” eversivi e pericolosi, più indomabili e altamente “infettivi”, il regime riserva un terribile campo di concentramento, lontano dalla penisola iberica, a Tarrafal, nell’Africa di Capo Verde.

Mappa0Il Portogallo già aveva utilizzato le sue colonie africane (in Angola dal 1907 e a Capo Verde nel 1931) per esiliare i militari ribelli, specie quelli arrestati dopo la rivolta del 1931. Il campo di Tarrafal è una novità, perché a essere internati sono ora i civili. Il campo di Tarrafal è anche un espediente del regime per sradicare l’opposizione senza allarmare l’opinione pubblica: in pratica il governo ha ritenuto più conveniente internare i suoi oppositori, veri o presunti, che eliminarli fisicamente, per evitare di creare martiri tra le loro fila. Il 23 aprile 1936 il decreto-legge n. 26.539, perfezionando altre disposizioni precedenti (del 1933 e 1934) che già prevedevano l’isti­tuzione di una colonia penale per prigionieri politici e sociali fuori dal Portogallo ‒ delibera la creazione «di una colonia penale per prigionieri politici e sociali a Tarrafal, nell’Isola di Santiago, nell’Arcipelago di Capo Verde» (art. 1), destinata ai «detenuti per reati politici che dovrebbero scontare la pena dell’esilio o che, essendo stati ammessi in un altro carcere, si sono dimostrati refrattari alla disciplina o dannosi per gli altri detenuti» (art. 2). L’istituzione del Campo penale di Tarrafal ha per il regime due finalità: una repressiva, ossia allontanare dalla metropoli i soggetti più pericolosi per la dittatura, l’altra pedagogica, ovvero dare un segnale chiaro alla popolazione. Tarrafal si popola di prigionieri politici, tra cui comunisti, anarchici, socialdemocratici, sindacalisti, pacifisti e coloro che simpatizzavano con i repubblicani spagnoli, in lotta contro i nazionalisti di Francisco Franco. Molti prigionieri sono inviati a Tarrafal non per quello che hanno fatto, ma per quello che avrebbero potuto fare, quindi sono imprigionati preventivamente, perché rappresentano una minaccia per il regime. La competenza di questa colonia penale civile è assegnata al Ministero dell’Interno, anziché al Ministero della Giustizia; mentre l’arresto, il trasferimento e la custodia in questo campo è competenza esclusiva della Polícia de Vigilância e Defesa do Estado, anziché della magistratura. Tarrafal diventa così feudo del Ministero degli Interni, gestito direttamente dal suo potente braccio armato, la PVDE. Ovviamente, neppure il Ministero delle Colonie e il governatore di Capo Verde hanno alcuna giurisdizione sul campo. La costruzione del campo è assegnata al Ministero dei Lavori Pubblici. La Marina militare e il Ministero delle Colonie assumono l’onere del trasporto dei prigionieri.

Il campo visto dall'alto

Il campo visto dall’alto

Tarrafal si trova nello Stato di Capo Verde, un arcipelago di dieci isole situate al largo dell’Africa occidentale, a cinquecento chilometri dalle coste senegalesi, nell’oceano Atlantico settentrionale. È un territorio ubicato nell’Ilha de Santiagu (Santiago), isola del gruppo delle Ilhas do Sotavento (isole sottovento). La sede della colona penale a Tarrafal è prescelta dal regime per il carattere inospitale e insalubre della zona e per il peggior clima di tutta l’isola di Santiago, ideale per un’istituzione punitiva; per essere un luogo isolato, poiché circondato da montagne scoscese; per essere la sede ideale per sorvegliare gli internati, in quanto priva di vegetazione.
Il campo è inaugurato il 29 ottobre 1936, con l’internamento di 152 persone, arrivate sull’isola dopo undici giorni di viaggio a bordo della Luanda, nave della Companhia Colonial de Navegação. Con la Luanda arriva anche una brigata della PVED, comandata da Gomes da Silva, destinata alla gestione e sorveglianza del campo, con loro pure il primo direttore del campo, il capitano Manuel Martins dos Reis. I primi “ospiti” del campo sono costretti a vivere in tende. Infatti il campo è solo una distesa di terra recintata da filo spinato sostenuto da pali di legno. All’interno una serie di tende di sette metri per quattro, che ospitano dodici prigionieri. Unico edificio in pietra è la cucina. Il personale del campo utilizza baracche di legno. All’inizio manca l’energia elettrica. Anche i servizi igienici sono assenti e le feci sono quindi depositate direttamente in mare. I primi arrivati sono costretti a costruire le strutture del campo e a scavare due fossati attorno al campo per complicare eventuali fughe. I primi capannoni edificati sono quelli riservati agli ufficiali e ai sottufficiali, alle guardie e alla medicheria. Dopo due anni, anche i prigionieri hanno i loro alloggi in mattoni, dei casermoni lunghi una trentina di metri e larghi quindici. Il medico ufficiale del campo arriva solo nel 1938, è Esmeraldo Pais Prata, che resta a Tarrafal sino al 1954. Il campo è sorvegliato da 25 agenti della PVDE e da altre 75 guardie ausiliarie angoliane.

La cella Frigideira

La cella Frigideira

L’appellativo “O campo da morte lenta” denota inequivocabilmente la bassa qualità di vita all’interno del campo: isolamento totale, angherie da parte dei carcerieri, malnutrizione, disidratazione. La presenza di malattie infettive, tra cui la malaria, rende ancor più precaria la sopravvivenza in questo luogo, soprattutto per la deliberata mancanza di assistenza sanitaria: il dottor Esmeraldo Pais Prata, il medico del campo, ha sempre fatto sapere agli internati che: «Não estou aqui para curar, mas para passar certidões de óbito» (Non sono qui per curarvi, ma per firmare attestati di morte) [cit. in P.R. De Almeida, Salazar. Biografia da ditadura, Edições “Avante!”, Lisboa 1999, p. 217]. A rendere ancor più infernale la vita all’interno del campo è la struttura per le punizioni chiamata la Frigideira (la padella), una «malignità umana inventata al fine di eliminare la tortura» da parte dei carcerieri. [V. Barros, Campos de concentração em Cabo Verde. As ilhas como espaços de deportação e de prisão no Estado Novo, Imprensa da Universidade de Coimbra, Coimbra 2009, p. 41]. Si tratta di un piccolo parallelepipedo rettangolo di cemento, eretto a notevole distanza da qualsiasi altra costruzione, in modo tale da non ricevere mai ombra e, quindi, da essere esposto perennemente ai raggi del sole durante il giorno. La struttura ha due piccolissime celle contigue e non comunicanti, sormontate ognuna da una piccolissima fessura grigliata posta sopra le rispettive porte d’accesso. All’interno di ogni cella solo due secchi, uno contiene acqua da bere, l’altro è utilizzato per le deiezioni. La mancanza di areazione, di illuminazione, di letti o sedie, rende il luogo un inferno. Di giorno il sole riscalda il cemento, trasformando l’interno in una vera e propria fornace, a sera le zanzare, con il loro carico di plasmodi, entrano dalle fessure poste sulle porte, affliggendo i reclusi sprovvisti per regolamento di copricapo, calzature e coperte. Anche l’alimentazione (pane e acqua) a giorni alterni, assieme all’iso­lamento totale contribuisce a rendere infernale il soggiorno, che può durare anche un mese e mezzo. Dall’apertura del campo sino al 1940 è il periodo più duro per le condizioni di vita. Con l’arrivo del nuovo direttore, il capitano José Olegário Antunes, responsabile del campo sino al 1943, la vita degli internati migliora lievemente: è consentito leggere alcuni libri, giocare a palla, la punizione della Frigideira diventa meno frequente, il cibo e le cure mediche incrementano. A gennaio del 1943, Olegário Antunes è sostituito dal capitano Filipe de Barros e le condizioni di detenzione migliorano ancora: i libri inviati dalle famiglie ai propri cari internati che erano stati sequestrati sono restituiti, si organizza una biblioteca, agli internati è permesso organizzare lezioni di Fado (è un genere di musica popolare tipicamente portoghese) e di chitarre, preparare rappresentazioni teatrali, ascoltare i programmi radio dell’emittente nazionale. Allo stesso tempo anche le cure mediche e l’alimentazione migliorano.

Ingresso al campo

Ingresso al campo

Nell’ottobre 1945, grazie a una amnistia, centodieci internati vengono liberati, mentre altri cinquantadue restano nel campo sino al 26 gennaio del 1954, data in cui la struttura viene sgomberata, ma solo provvisoriamente, dai prigionieri politici: tornerà a ripopolarsi di oppositori al regime nel quadro delle lotte anticoloniali. Nel 1961 infatti, con l’ordinanza n. 18.539 del 17 giugno firmata dall’allora ministro dei territori d’oltremare Adriano Moreira, è istituito nell’ex campo di concentramento di Tarrafal il Campo de Trabalho de Chão Bom (campo di lavoro di Chão Bom). Nel campo di concentramento di Tarrafal dei 340 prigionieri politici internati trentadue trovano la morte. Tra questi ci sono Benito Gonçalves, segretario del Partido Comunista Português, morto per malattia l’11 settembre 1942, e Mário Castelhano, ultimo coordinatore del segretariato della Confederação Geral do Trabalho, morto il 12 ottobre 1940 per febbre intestinale. Nel cimitero del campo per molto tempo ci sono state 33 tombe, una era di Artur Santos Oliveira, un criminale comune morto nel campo. Le salme sono trasportate in patria solo nel 1978 e tumulate nel Memoriale di Tarrafal creato nel cimitero di San Giovanni a Lisbona.

Holandinha

La cella Holandinha

All’indomani della Seconda guerra mondiale fioriscono le lotte anticoloniali di molti movimenti nazionali di liberazione. Dopo la proclamazione di indipendenza di alcune colonie britanniche e francesi, è la volta della lotta anticoloniale contro i portoghesi, che inizia in Angola. In questo quadro il regime di Salazar crea campi di concentramento per i nazionalisti africani a Missombo e São Nicolau, in Angola, Machava e Madalane in Mozambico, quello dell’isola di Galinhas in Guinea, oltre a quello nell’ex campo di Tarrafal. Il Campo di lavoro di Chão Bom, è il più terribile, anche a causa dell’aumento dei detenuti rispetto al periodo precedente.
La sottoalimentazione, le condizioni ambientali e la rigidissima disciplina interna contribuiscono a rendere il soggiorno nel nuovo campo per nazionalisti africani un vero inferno. Diabolica è anche la cella disciplinare, la Holandinha, che sostituisce la Frigideria. È una celletta di cemento di novanta centimetri per novanta, alta un metro e sessantacinque, costruita vicino alle cucine. L’insopportabile calore che si crea all’interno quan­do le cucine sono accese, la ancor più scarsa alimentazione rispetto alla quotidianità del campo, il profumo di odori del cibo cotto (tormento per chi è in uno stato di malnutrizione), lo spazio ridotto che non permette all’incarcerato di muoversi agevolmente, e l’isolamento totale rendono la Holandinha una pena perfida che concorre ad aumentare sadicamente le pessime condizioni di detenzione. Lo stesso termine Holandinha, “piccola Olanda”, è coniato con disprezzo dai prigionieri, rifacendosi al fatto che moltissimi capoverdiani emigravano in Olanda, cercando una miglior qualità di vita. Così, cinicamente, la cella di punizione è chiamata Holandinha per la diversa qualità di vita che offriva rispetto alla quotidianità del campo.
La seconda fase del “campo della morte lenta” dura tredici anni, fino al 1° maggio 1974, data in cui i nazionalisti africani sono rilasciati. Durante questo periodo sono internati 238 combattenti della lotta per l’indipendenza delle colonie portoghesi: 108 angolani, 20 capoverdiani e 100 della Guinea. Fra gli “ospiti” illustri del campo di Chão Bom, ricordiamo Amilcar Cabral, José Luandino Vieira, António Jacinto. Il primo è il poeta fondatore del Partito Africano per l’Indipendenza della Guinea e di Capo Verde, considerato il grande padre dell’indipendenza del Capo Verde e della Guinea; gli altri sono illustri poeti angolani, tutti membri del Movimento Popolare di Liberazione dell’Angola. António Jacinto, a testimonianza della sua dura reclusione nel campo, ha scritto una raccolta di poesie intitolata Sobreviver em Tarrafal de Santiago.

Il dittatore António de Oliveira Salazar esce di scena nel 1968, a seguito di un’infermità invalidante. Un mito popolare vuole che per alcuni mesi nessuno abbia avuto il coraggio di annunciargli che non era più Presidente del Consiglio. La dittatura, con Marcelo Caetano, prosegue sino al 1974, anno in cui la “Rivoluzione dei garofani” riconquista la democrazia per il popolo portoghese.
Con la caduta della dittatura portoghese, la cui parabola durò per quarantotto anni, la colonia penale dell’Ilha de Santiagu è sgombrata dagli ultimi indipendentisti africani internati. Il campo di Tarrafal/Chão Bom viene definitivamente chiuso nel 1975 dopo che, per un anno, era stato usato dalle autorità indipendenti di Capo Verde per rinchiudere persone ritenute complici dell’apparato repressivo coloniale. In questo modo Tarrafal/Chão Bom risulta la più longeva realtà concentrazionaria europea. Abbandonata per anni all’incuria del tempo la struttura è stata trasformata, per volere del governo capoverdiano, in un memoriale che ricordi la resistenza dei popoli di Capo Verde, Guinea Bissau, Angola e Mozambico contro il colonialismo portoghese.

 Per saperne di più

AA. VV., Tarrafal: Memória do Campo de Concentração. Fundação Mário Soares, Museu do Neo-Realismo, Câmara Municipal de Vila Franca de Xira 2010.
Barros V., Campos de concentração em Cabo Verde. As ilhas como espaços de deportação e de prisão no Estado Novo, Imprensa da Universidade de Coimbra, Coimbra 2009.
Brito N., Tarrafal na Memória dos Prisioneiros (1936-1954), Edições Dinossauro, Lisboa 2006.
De Almeida P.R., Salazar. Biografia da ditadura, Edições “Avante!”, Lisboa 1999.
Fraquelli M., Altri duci. I fascismi europei tra le due guerre, Milano, Mursia, 2014.
Lopes J.V., Tarrafal – Chão Bom: Memórias e Verdades, Praia – Instituto de Investigação e do Património Culturais, Cape Verde 2010.
José Manuel Soares Tavares, Campo de Concentração do Tarrafal (1936-1954). A Origem eo Quotidiano, Lisbona, Colibri Edizioni, 2006.
Surhone L.M., Tennoe M.T., Henssonow S.F., Tarrafal Camp, Betascript Publishing, Saarbrücken 2011.