STORIA E CINEMA: NOI CREDEVAMO
di Umberto Berlenghini -
Quel Risorgimento così contemporaneo: la frattura del Paese raccontata senza retorica da Mario Martone
«Era la torrida estate del 2003. Un celebre regista propose a uno scrittore appena baciato dal successo di scrivere una sceneggiatura sul Risorgimento. La risposta dello scrittore fu immediata: ma sei matto?»
Potrebbe essere questo l’incipit per raccontare cosa è stato Noi credevamo, considerata da molti l’opera più ambiziosa e riuscita (nella settima arte non sempre i due aggettivi vanno di pari passo) di Mario Martone e uno dei capitoli più importanti della storia del nostro cinema risorgimentale. Tratto dall’omonimo romanzo che la scrittrice fiorentina Anna Banti aveva pubblicato nel 1967, vede come autori della sceneggiatura Martone e Giancarlo De Cataldo il quale, al momento di vedersi consegnare dal regista napoletano il libro di Banti, aveva appena raggiunto la definitiva consacrazione con Romanzo criminale.
De Cataldo racconta che l’ardita intuizione che Martone ebbe in quel momento fu di ripercorrere la linea narrativa di Romanzo criminale adattandola ai giovani rivoluzionari dell’Ottocento. Come sempre accade nella Storia, loro sono considerati dal potere costituito alla stregua di delinquenti o terroristi e solo in caso di vittoria diventano patrioti: «se nel mio romanzo quel gruppo di delinquenti va all’assalto di una città come Roma, nell’Ottocento quei giovani idealisti attaccarono l’Italia, in quel momento divisa fra vari Stati e sorvegliata da uno dei più potenti imperi europei qual era quello austroungarico».
L’impresa produttiva era difficile e complicata, le perplessità erano molte visto che si sarebbe trattato di un film che aveva sulla carta tutte le caratteristiche di un kolossal, ma l’idea di Martone era quella di un prodotto vicino allo stile di Roberto Rossellini. A complicare le cose c’era il desiderio del regista di spargere qua e là palesi riferimenti alla modernità, con lo scopo di non nascondere i legami fra quegli eventi e l’attualità del nostro Paese. Frutto della coproduzione fra Palomar, Rai Cinema, Rai Fiction, Feltrinelli, Les Films D’Ici, Arte France, Noi credevamo deve la sua realizzazione ai produttori e coproduttori Conchita Airoldi, Carlo Cresto-Dina, Carlo Degli Esposti, Serge Lalou, Giorgio Magliulo, Patrizia Massa, Cecilia Valmarana. Airoldi era l’unica a vantare nel curriculum un film di ambientazione risorgimentale, essendo stata coproduttrice insieme a Erre Produzioni e Rai 2 di In nome del popolo sovrano di Luigi Magni, indirettamente citato in Noi credevamo nei ricordi di Antonio Gallenga interpretato da Luca Barbareschi, presente nel cast del film di Magni. Nel raccontare quell’impresa, con una punta di orgoglio Magliulo rammenta tutte le difficoltà poi superate, seppur faticosamente: non a caso dall’idea di Martone alla sua realizzazione passarono sei anni. Magliulo ricorda che uno dei problemi di Noi credevamo era quello di avere un impianto diviso tra nord e sud, con 16 mesi di riprese fra Torino e dintorni, Cilento e Cinecittà, dove furono ricostruiti gli esterni del teatro parigino, luogo dell’attentato a Napoleone III.
Magliulo sottolinea che nel film è forte il tema che il Risorgimento porta da sempre con sé: quello cioè di una frattura mai sanata fra nord e sud, fra repubblicani e monarchici, contraddizioni che Martone ha raccontato senza retorica. E sono state proprio le indicazioni di Martone che hanno permesso a Magliulo e agli altri produttori italiani di convincere i loro colleghi francesi a partecipare al progetto: per i produttori transalpini infatti la conoscenza del Risorgimento era soltanto una piccola parte della storia del loro imperatore di fine Ottocento. E’ sull’assenza di retorica e della «lamentazione del sud rapinato dal nord» che De Cataldo mostra soddisfazione per il lavoro fatto insieme a Martone, a dispetto di alcune perplessità iniziali da parte di qualche commentatore che rilevava l’eccessiva presenza di «uomini del sud» nella produzione di Noi credevamo: «pur con tutte le imperfezioni e gli errori commessi, il Risorgimento e l’Italia unita andavano fatti, punto e basta», afferma perentorio De Cataldo.
Essendo un maestro della narrativa noir, De Cataldo non poteva non cimentarsi con questo genere ambientando nel nostro Ottocento: I traditori, Nell’ombra della luce e Quasi per caso, pubblicati fra il 2012 e il 2019. Alla proposta del primo titolo il suo editore si mostrò dubbioso, un po’ come aveva fatto lo stesso scrittore tarantino con Martone quando gli propose di scrivere lo script di Noi credevamo: l’editore forse aveva qualche ragione in più e indirettamente De Cataldo lo conferma, ripercorrendo la storia del declino dell’interesse che il Risorgimento ha avuto nel nostro Paese. Nel 1911, in piena era laico-liberale, furono grandi e sontuose le celebrazioni per il 50esimo anniversario dell’Unità. Dopo la parentesi di retorica fascista su quegli eventi, è col centenario che si creano le condizioni per quella che De Cataldo descrive come una crisi apparentemente irreversibile, che toccherà l’apice nella metà degli anni Settanta: «termina allora il nostro interesse per il Risorgimento, che coincide con la grande crisi produttiva del cinema italiano; negli autori avviene un cambiamento politico»: non a caso i film di maggior successo in quegli anni sono i poliziotteschi, in qualche modo vicini all’attualità.
Nel 1961 lo Stato, pur esaltando gli eventi di un secolo prima, volle stabilire un rapporto privilegiato col Vaticano: iniziò così una lenta ma inesorabile opera di edulcorazione degli eventi che condussero all’Unità, e il tutto venne ridotto a un’agiografia di personaggi che portarono inevitabilmente a percepire il Risorgimento come una «vecchia, polverosa, stantia, melensa retorica». Il cinema non si sottrasse a questa catastrofe, passando nell’arco di pochi anni dalle lunghe file per vedere i film di Rossellini, Magni e dei fratelli Taviani alle sale quasi deserte per i successivi capitoli girati sostanzialmente dal solo Magni.
Durante la promozione di Noi credevamo, De Cataldo è stato numerose volte nelle scuole per parlare del film di Martone e, specie in quelle di provincia, lo scrittore ha trovato una realtà incoraggiante, fatta di insegnanti decisi a far (ri)nascere nei loro studenti la voglia e la passione di leggere e studiare la Storia. Ma, avverte De Cataldo, le insidie sono quotidianamente in agguato: «un tweet è sufficiente a spazzare via ore e ore di pensiero profondo».
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Scheda del film
Noi credevamo di Mario Martone – 2009 – 170’
Con Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco, Luigi Pisani, Toni Servillo.
Uscita cinema 12 novembre 2010, prima tv Rai3 30 dicembre 2011. In concorso al Festival di Venezia 2010 con la versione di 205’. David di Donatello 2011 miglior film, sceneggiatura, fotografia, scenografie, costumi, trucco e acconciature. Nastro d’Argento 2011 a Mario Martone, Rai Cinema, Carlo Degli Esposti, Giorgio Magliulo, Conchita Airoldi, Giancarlo De Cataldo e il cast. Ciak d’Oro miglior regia, costumi, montaggio, scenografie.
Produzione Palomar/Rai Cinema/Rai Fiction/Feltrinelli/LesFilms D’Ici/Arte France; distribuzione O1 Distribution.
Regno delle Due Sicilie. Dopo la repressione borbonica dei moti del 1828, Domenico Lopresti (Lo Cascio), Angelo Cammarota (Binasco) e Salvatore Tambasco (Pisani) decidono di continuare l’attività rivoluzionaria entrando nella Giovane Italia di Giuseppe Mazzini (Servillo). A differenza di Salvatore, Domenico e Angelo appartengono a famiglie aristocratiche con quest’ultimo che vede nell’azione anche violenta l’unico modo per arrivare all’Unità d’Italia. Il percorso dei tre amici sarà lastricato di sofferenze, paure, tradimenti veri e presunti.
Fonti
“L’Unità”, “Il Giornale”, “Il Messaggero”, “Il Sole 24 Ore” e “La Stampa” del 12 novembre 2010
Conversazione dell’autore con Giorgio Magliulo, 22 febbraio 2021
Conversazione dell’autore con Giancarlo De Cataldo, 23 febbraio 2021