SIEYÈS, LA MENTE SOTTILE DELLA RIVOLUZIONE

di Giancarlo Ferraris -

 

Sacerdote curioso di studi filosofici e scientifici, fu il teorico di uno Stato nuovo basato sull’essere cittadini, sulla rappresentanza parlamentare, sull’uguaglianza davanti alla legge, sul bene comune e sul rifiuto degli interessi di parte. Tuttavia, consentì la conquista del potere di Napoleone e lo stravolgimento della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino.

 

La famiglia e la formazione culturale

La Rivoluzione francese, lo abbiamo già detto nell’articolo dedicato a Mirabeau, è piena di paradossi: nobili che sposano la causa rivoluzionaria, strenui sostenitori della libertà che si trasformano in dittatori sanguinari, eserciti che da difensori della patria diventano invasori e conquistatori di altri popoli. A questa categoria, anche piuttosto vasta, di personaggi e di eventi appartiene sicuramente Emmanuel Joseph Sieyès, abate, politico, costituzionalista nonché teorico di quella rivoluzione che alla fine del Settecento sconvolse la Francia e l’Europa intera. Emmanuel Joseph Sieyès nacque in una famiglia della piccola borghesia a Fréjus, una località della regione della Provenza nella Francia meridionale, il 3 maggio 1748. Il padre Honorè, esattore delle tasse, e la madre Anne erano convinti che il piccolo Emmanuel Joseph sarebbe diventato un ottimo prete mentre lui, al contrario, desiderava intraprendere la carriera militare per diventare artigliere. Naturalmente i genitori ebbero la meglio e così Emmanuel Joseph, nel 1762, a quattordici anni, entrò nel Seminario di Saint-Sulpice a Parigi dove, lo scrisse più tardi in una sorta di autobiografia, visse costantemente afflitto da una profonda malinconia, che appare ben evidente in un ritratto di quel periodo, accompagnata però da una indomabile energia stoica destinata, quest’ultima, a diventare quella tenacissima flemma che negli anni della Rivoluzione contraddistinse tutti i suoi interventi in materia politica e giuridica. Dopo aver conseguito la laurea in teologia alla Sorbona ed essere stato ordinato sacerdote nel 1772, divenne canonico a Tréguier, in Bretagna e successivamente cancelliere presso la cattedrale di Chartres. Sia negli anni del seminario che in quelli successivi Sieyès coltivò gli studi filosofici e scientifici, leggendo avidamente, tra le altre, le opere di John Locke, Condillac, Charles Bonnet e Voltaire, senza comunque mai trascurare la musica, un’altra sua grande passione. Ebbe anche modo di frequentare gli enciclopedisti durante i numerosi viaggi che, dopo essere diventato consigliere della Camera Sovrana del Clero, compì in lungo e in largo per la Francia. L’adesione di Emmanuel Joseph Sieyès alle idee rivoluzionarie fu immediata. Nel 1788, l’anno precedente lo scoppio della Rivoluzione, si stabilì a Parigi ed iniziò a dedicarsi completamente alla politica.

Il teorico della Rivoluzione

Tra il dicembre 1788 e il gennaio 1789 Sieyès pubblicò tre pamphlet anonimi che contenevano alcune delle idee chiave della imminente Rivoluzione francese e che divennero subito molto noti. Il primo di essi, il Saggio sui privilegi, è sostanzialmente un attacco ai privilegi della nobiltà. Il secondo, Sugli Stati Generali, contiene un invito rivolto a tutti i rappresentanti delle classi sociali della Francia dell’epoca, nobiltà, clero e Terzo Stato cioè la borghesia e il popolo, a trasformare gli Stati Generali in una Assemblea Nazionale. Il terzo, Che cos’è il Terzo Stato?, mette in discussione l’intero ordinamento politico, economico e sociale della Francia settecentesca e si scaglia palesemente contro la classe nobiliare, affermando nello stesso tempo che i rappresentanti della borghesia e del popolo devono porre le basi per creare un nuovo regime. L’incipit del pamphlet, fulminante, è uno dei più noti di tutta la storia: «Che cos’è il Terzo Stato? Tutto. Che cosa è stato finora nell’ordinamento politico? Nulla. Che cosa chiede? Di diventare qualcosa».
Sieyés, in sostanza, nel suo scritto dà le indicazioni per costruire uno Stato nuovo basato sull’essere cittadini, sulla rappresentanza parlamentare, sull’uguaglianza davanti alla legge, sul bene comune e sul rifiuto degli interessi di parte. Nell’ambito del pamphlet possiamo individuare alcuni punti chiave, che ispirarono di lì a poco i rivoluzionari nella loro opera di demolizione del vecchio regime:

Il Terzo Stato comprende la maggior parte della popolazione e svolge tutte le attività produttive.
Il Terzo Stato basta a sé stesso, può fare a meno della Nobiltà e senza di essa starebbe meglio.
La Nobiltà è un Ordine privilegiato che vive sulle spalle del Terzo Stato senza produrre nulla.
Finora il Terzo Stato non ha avuto alcun peso politico, ma ora rivendica il peso che gli spetta.
I principi che dovrebbero guidare una Nazione sono l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e il bene comune.
Essi devono essere tradotti in una Costituzione, scritta da un corpo di delegati che rappresenti la Nazione intera.

Ecco, di seguito, alcuni passi salienti del pamphlet.

“La Nobiltà è solo un peso per il Terzo Stato”
Chi dunque oserebbe dire che il Terzo Stato non ha in sé tutto ciò che occorre per formare una Nazione completa? Esso è l’uomo forte e robusto con un braccio ancora in catene. Se si eliminasse l’Ordine privilegiato, la Nazione non sarebbe qualcosa di meno, ma qualcosa di più. Di conseguenza, cosa è il Terzo [Stato]? Tutto, ma un tutto ostacolato e oppresso. Cosa sarebbe [il Terzo] senza l’Ordine privilegiato? Tutto, ma un tutto libero e fiorente. Nulla può procedere senza di lui, tutto andrebbe molto meglio senza gli altri.

“Il Terzo Stato è l’insieme dei cittadini senza privilegi”
Per Terzo Stato si deve intendere l’insieme dei Cittadini appartenenti all’Ordine comune. Tutto ciò che, in qualsiasi modo, è privilegiato per Legge esce dall’ordine comune e, di conseguenza, non fa parte del Terzo Stato. L’hanno detto una legge comune e una rappresentanza comune, ecco ciò che fa una nazione.

“Le richieste del popolo”
Il Popolo vuole essere qualcosa e in verità il minimo che sia possibile. Esso vuole avere 1° veri Rappresentanti agli Stati Generali, cioè Deputati provenienti dal suo Ordine, che siano abili interpreti della sua speranza e difensori dei suoi interessi. Ma cosa gli servirebbe assistere agli Stati Generali se vi predominasse l’interesse contrario al suo? Con la sua presenza non farebbe che consacrare l’oppressione di cui sarebbe un’eterna vittima. Così è sicuro che non può andare a votare agli Stati Generali se non vi può avere un’influenza almeno eguale a quella dei Privilegiati; a tal fine chiede 2° un numero di Rappresentanti uguale a quello degli altri due Ordini messi insieme. Infine, questa uguaglianza di rappresentanza diventerebbe perfettamente illusoria se ogni Camera votasse separatamente. Quindi, il Terzo Stato chiede 3° che i voti vi siano calcolati per testa e non per ordine.

“Tutti i cittadini hanno uguali diritti politici”
[..] Il diritto a farsi rappresentare appartiene ai Cittadini a causa delle comuni qualità, non a causa di quelle che li differenziano. I vantaggi che differenziano i Cittadini sono al di là del carattere di Cittadino. Le disuguaglianze di proprietà e di attività sono come le disuguaglianze di età, sesso, statura, colore, etc. Esse non snaturano per niente l’eguaglianza del civismo; i diritti del civismo non possono collegarsi a delle differenze. I vantaggi particolari sono indubbiamente sotto la salvaguardia della Legge, ma non spetta al legislatore crearne di questo tipo, attribuendo privilegi ad alcuni e rifiutandoli ad altri. La legge non accorda nulla, ma protegge ciò che già esiste fino al momento in cui l’esistente comincia a nuocere all’interesse comune.

La carriera politica e giuridica

Emmanuel-Joseph Sieyès, di Jacques-Louis David

Emmanuel-Joseph Sieyès, di Jacques-Louis David

Il successo del pamphlet di Sieyés presso la borghesia fu enorme e gli valse l’elezione a deputato del Terzo Stato all’assemblea degli Stati Generali. Fu l’inizio di una lunga, intelligente e raffinata carriera politica e giuridica. Il 20 giugno 1789, dopo il sostanziale fallimento degli Stati Generali che erano stati convocati dal re Luigi XVI agli inizi di maggio per risolvere la drammatica situazione sociale ed economica in cui versava la Francia, Emmanuel Joseph Sieyés, insieme a pochi altri deputati del Terzo Stato, scrisse il celebre Giuramento della Pallacorda: in base ad esso i rappresentanti della borghesia e del popolo di Francia, che tre giorni prima si erano costituiti in Assemblea Nazionale Costituente e si erano attribuiti il diritto di legiferare in materia fiscale, giurarono solennemente «di non separarsi mai e di riunirsi ovunque le circostanze l’avrebbero richiesto, fino a che non fosse stata stabilita e affermata su solide fondamenta una Costituzione per il Regno di Francia».
Grande fu il contributo di Sieyés alla stesura della Costituzione del 3 settembre 1791 la quale prevedeva un regime monarchico non più assoluto, dal momento che la sovranità apparteneva alla nazione francese. Secondo la nuova Costituzione il sovrano deteneva soltanto il potere esecutivo mentre quello legislativo veniva esercitato da un parlamento denominato Assemblea Nazionale Legislativa eletto ogni due anni da un corpo limitato di elettori che provvedeva anche ad eleggere le magistrature. Fu proprio Sieyés a scindere il concetto di diritti naturali dell’uomo in diritti civili (o passivi), riconosciuti a tutti i cittadini, e in diritti politici (o attivi), riconosciuti solo ai cittadini titolari di un certo reddito. I diritti politici erano riservati ai «veri azionisti della grande impresa sociale», vale a dire a coloro i quali erano in grado di versare nelle casse statali un contributo diretto non inferiore al valore di tre giornate di lavoro. Per diventare membri dell’Assemblea Nazionale Legislativa era poi necessario essere proprietari terrieri.
Oltre a partecipare alla stesura della Costituzione del 1791 Sieyés si batté contro il diritto di veto del re, in virtù del quale il sovrano poteva bloccare le decisioni parlamentari, e contribuì alla suddivisione della Francia in dipartimenti. Restò invece deluso e amareggiato quando l’Assemblea respinse le sue proposte di suddividere l’Assemblea stessa in due camere sul modello del parlamento inglese e di mantenere le decime ecclesiastiche dopo aver nazionalizzato i beni del clero. Precedentemente Sieyés aveva aderito alla Costituzione civile del clero (1790), l’atto con cui l’Assemblea Nazionale Costituente aveva modificato in senso gallicano (autonomia dal sommo pontefice e rafforzamento della Chiesa nazionale) i rapporti tra la Francia e la Chiesa di Roma, incorrendo così nella sospensione a divinis con la conseguente riduzione allo stato laicale. A questa condizione Sieyés sarebbe comunque incorso, essendo membro della loggia massonica Les Neuf Soeurs di Parigi e all’obbedienza del Grande Oriente di Francia.
Verso la fine del 1791, improvvisamente, Emmanuel Joseph Sieyès si allontanò dalla scena politica ritirandosi in campagna. Vi ritornò nel settembre 1792, quando venne eletto deputato del Terzo Stato in rappresentanza della Sarthe, un territorio della regione Paesi della Loira. Nonostante fosse favorevole alla creazione di una monarchia costituzionale, durante il processo a Luigi XVI si schierò contro il sovrano tanto che nel gennaio 1793 votò la sua condanna a morte. Nei drammatici mesi successivi all’esecuzione di Luigi XVI che videro un profondo radicalizzarsi della Rivoluzione francese – dall’ampliarsi della guerra contro l’Europa monarchica all’esplosione della rivolta in Vandea all’inizio del Terrore – Sieyès scomparve nuovamente dalla scena politica. Ruppe il silenzio solo in un’occasione, il 10 novembre 1793, quando nel clima della campagna di scristianizzazione condotta dai cordiglieri arrabbiati di Jacques-René Hébert, abiurò al cattolicesimo o meglio, come disse lui stesso, dichiarò, approfittando della festa della Dea Ragione, che non riconosceva nessun altro culto se non quello della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità e nessuna altra religione se non l’amore dell’umanità e della patria. Nel periodo del Terrore rimase totalmente nell’ombra, preoccupandosi soltanto di salvare la propria vita. Celebre una frase che avrebbe detto ad un servitore in quei mesi cupi: «Se dovesse venire monsieur Robespierre ditegli che non ci sono».
Dopo il 9 termidoro 1794, che vide la caduta di Maximilien Robespierre, Sieyès non tornò subito alla ribalta anzi non volle minimamente collaborare con i termidoriani alla stesura della nuova Costituzione del 1795, la quale prevedeva l’esistenza di un corpo legislativo bicamerale (il Consiglio dei Cinquecento e il Consiglio degli Anziani), di un organo esecutivo (il Direttorio) e di magistrature elettive. Le sue parole furono ben chiare: «Ho studiato profondamente la materia, ma voi non mi capireste, perciò non ho nulla da dirvi».
Nonostante questo rifiuto, alla fine Sieyés riprese ad occuparsi di politica, entrando a far parte del Consiglio dei Cinquecento, ma non del Direttorio. Nel 1797 subì un attentato, fallito, messo in atto da un monarchico che non gli perdonava il fatto di aver votato a favore della condanna a morte del re Luigi XVI. L’episodio produsse una grande emozione popolare che permise a Sieyès di presentarsi agli occhi dei francesi come uno dei fondatori della Repubblica. Nel 1798 fu inviato in qualità di ambasciatore di Francia in Prussia, a Berlino, dove allacciò fecondi rapporti con il mondo culturale germanico che lo stimava notevolmente per le sue doti politiche e intellettuali. Nella primavera del 1799 fece ritorno a Parigi. Il 16 maggio entrò a far parte del Direttorio sostituendo il deputato Jean-François Reubell, che era stato estromesso dal governo con l’accusa di essere responsabile delle sconfitte subite dall’esercito francese nella guerra contro l’Europa monarchica. Sieyés si illuse di poter dare alla Francia il modello di Costituzione che aveva in mente: un esecutivo stabile e forte, sorretto da deputati che non sarebbero stati eletti, ma cooptati in liste di notabili costituite dal popolo mediante il suffragio universale. Sieyés sapeva perfettamente che per rivedere la Costituzione del 1795 attraverso la procedura legale sarebbero stati necessari almeno dieci anni e proprio per questo motivo pensò ad una via molto più breve: il colpo di Stato militare. Il 18 brumaio (9 novembre) 1799 il giovane generale Napoleone Bonaparte attuò il colpo di stato che Sieyés desiderava, ponendo fine al Direttorio e dando vita al Consolato guidato dallo stesso Bonaparte, Pierre-Roger Ducos e Sieyés, il quale venne nominato supervisore di due commissioni costituzionali. Paradossalmente Emmanuel Joseph Sieyès, che da ragazzo sognava di diventare artigliere, vide, una volta diventato console, svanire il sogno della sua Costituzione ad opera di Napoleone Bonaparte, che era stato realmente ufficiale di artiglieria. La successiva Costituzione del 1799, modellata su un potere esecutivo fortissimo esercitato da tre consoli, manteneva una parvenza di democrazia rivoluzionaria, ma affidava tutto il potere effettivo al primo console Napoleone Bonaparte, violando così palesemente la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789. Da parte sua Bonaparte si dimostrò riconoscente nei confronti di Sieyès al quale, oltre a conferire la Legion d’Onore e il titolo di conte, regalò la tranquillità di chi è stato messo in disparte. Nel 1815, dopo la caduta di Napoleone e il ritorno della dinastia dei Borboni, Emmanuel Joseph Sieyès fu bandito dalla Francia dal momento che aveva votato per la condanna a morte di Luigi XVI durante la Rivoluzione. Stabilitosi in Belgio, ritornò in patria soltanto dopo la rivoluzione del 1830. Morì a Parigi il 20 giugno 1836.

Per saperne di più
A. Bigeon, Sieyès, l’homme et le constituant, Parigi, 1893
F. Furet – D. Richet, La Rivoluzione francese, trad. it., Bari, 1974
A. Mathiez, La Révolution et la théorie de la dictature in Revue Historique, Parigi, 1929
E. J. Sieyès, Che cos’è il Terzo Stato? a cura di Umberto Cerroni, Roma, 1992
G. Van Deusen, Sieyès. His life and his nationalism, New York, 1932