SFIDA AL CONGRESSO DI VIENNA

di Massimo Ragazzini –

In un volume che raccoglie gli atti di un convegno internazionale, un gruppo di storici analizza i moti del 1820-1821 in una prospettiva globale, tra Europa, Mediterraneo e America meridionale, dando conto delle letture storiografiche più aggiornate.

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afidacvIn occasione del bicentenario dei moti del 1820-1821, i Dipartimenti di Studi storici delle Università di Milano e Torino, insieme ad altri istituti italiani di ricerca storica, promossero nel 2021 un convegno internazionale intitolato “Torino, Milano, l’Italia. I moti del 1820-21 in una prospettiva internazionale”. Da quell’incontro è scaturito un interessante volume (Sfida al Congresso di Vienna: quadri internazionali e cultura politica nell’Italia delle Rivoluzioni del 1820-1821, Carocci editore, Torino, 2023, pp. 360, euro 46), a cura di Silvia Cavicchioli e Giacomo Girardi, che contiene ventidue saggi e raccoglie i risultati delle ricerche, rivolte sia al quadro europeo, sia alla situazione della penisola italiana.
La sfida al congresso di Vienna del 1814-1815 e il clima cospirativo transnazionale sono ricostruiti da ampie prospettive che danno conto delle letture storiografiche più aggiornate e di nuovi campi di ricerca. I curatori ricordano che il primo quindicennio della Restaurazione fu segnato da forti tensioni, da rivendicazioni liberali e nazionali e da dure repressioni. Le une e le altre furono la riprova della precarietà dell’ordine geopolitico ristabilito dal congresso di Vienna e dell’impossibilità di ricondurre cittadini e popoli allo status precedente di sudditi. Gli eventi del biennio 1820-1821 rappresentarono un momento di svolta nell’età della Restaurazione.

La prima parte del volume offre un quadro degli eventi europei.
Il 1° gennaio 1820 gli ufficiali a capo delle truppe spagnole in procinto di partire alla riconquista delle colonie sudamericane insorsero a Cadice. Il movimento rivoluzionario spagnolo, nel quale convivevano le aspirazioni modernizzatrici dei liberali e le ambizioni personali di alcuni capi militari, si estese rapidamente dall’Andalusia a tutto il paese e il re fu costretto nel marzo 1820 a ripristinare la costituzione liberale del 1812. Per tre anni la Spagna ebbe un regime costituzionale e conobbe riforme profonde fino a quando, nella primavera del 1823, le truppe francesi, per incarico delle potenze legate dalla Santa Alleanza, ripristinarono l’assolutismo.
Nonostante la sconfitta e il ritorno del regime assoluto del re, la rivoluzione spagnola del 1820 esercitò una notevole influenza in Europa. Essa inferse un primo colpo alla reazione monarchico-aristocratica, rafforzò l’opinione pubblica liberale, diede impulso alle rivoluzioni italiane del 1820-1821 e si ripercosse nel vicino Portogallo. Qui una sollevazione militare, estesasi da Oporto (agosto 1820) al resto del paese, rovesciò il regime assolutista e ottenne dal re Giovanni VI, rientrato dal Brasile (una colonia elevata a regno), un ordinamento parlamentare bicamerale. Dopo complesse vicende la Costituzione fu definitivamente revocata dal reggente Michele di Braganza proclamatosi re.

Anche nei Balcani i possessi ottomani erano stati scossi dalle onde d’urto degli eventi europei, tra la grande rivoluzione e le conquiste napoleoniche. Il contatto con le nuove idee politiche e le trasformazioni radicali in corso in Europa alimentavano le spinte nazionali. In Moldavia e Valacchia il risveglio culturale e linguistico rumeno favoriva il radicarsi di una nuova coscienza identitaria. Dopo una lotta avviata nel 1804, la Serbia nel 1830 acquistava una larga autonomia.
La popolazione dei Balcani più favorita per la conquista dell’indipendenza era quella dei greci, nei quali la lunga soggezione ai turchi non aveva distrutto il carattere etnico originario, grazie anche alla difesa dei valori condotta dal clero ortodosso. Dalla metà del Settecento si era andato rafforzando un ceto mercantile arricchitosi con la navigazione e assai sensibile alle idee di un “rinascimento” della Grecia, concretizzatosi tra l’altro nella formazione di una nuova lingua letteraria. Nell’aprile 1821 i greci iniziavano una guerra sanguinosissima contro i turchi, conclusasi con l’autonomia nel 1829 e la completa indipendenza e l’elevazione a regno sotto Ottone di Baviera nel 1832, grazie anche all’appoggio dei governanti inglesi che si schierarono a favore della loro libertà.
Dimostrando gli insanabili contrasti tra le potenze vincitrici di Napoleone, la lotta d’indipendenza della Grecia fu la prima rottura del sistema. Suscitò nell’opinione pubblica colta europea una straordinaria mobilitazione e un’ondata di simpatie, nelle quali si fondevano ideali romantici e amore per l’età classica (filellenismo). Molti furono i volontari che si recarono a combattere con gli insorti, alcuni dei quali incontrarono la morte in terra ellenica, come il poeta inglese George Byron e l’italiano Santorre di Santarosa, il capo della sfortunata rivoluzione piemontese del 1821.

Nella seconda parte del volume sono esaminate le vicende italiane.
Le idee-forza del liberalismo avevano potenziato l’insofferenza verso i regimi assoluti che era particolarmente viva nel Regno delle Due Sicilie, dove molto intensa era stata l’opera della Carboneria. E quindi la rivoluzione spagnola del gennaio 1820 ebbe le sue ripercussioni più vaste proprio nel Mezzogiorno d’Italia, dove spinse all’azione i nuclei carbonari più decisi.
Iniziato a Nola la notte tra il 1° e il 2 luglio 1820 dai tenenti Giuseppe Silvati e Michele Morelli, il moto si allargò rapidamente ad altre province e divenne incontenibile quando passò dalla parte degli insorti con i suoi uomini il generale Guglielmo Pepe, un militare che aveva combattuto nelle armate di Napoleone e di Murat. Il re fu quindi costretto a proclamare la Costituzione spagnola del 1812, poi azzerata quando l’iniziativa napoletana, indebolita dalla divisione tra carbonari e moderati murattiani e dal separatismo siciliano, fu stroncata dalle baionette austriache nel marzo 1821. Ancora una volta le masse non avevano dato alcun appoggio, tranne che in Sicilia, dove erano scoppiate rivolte a favore o contro l’indipendenza dell’isola, all’interno delle quali il “popolo” era stato, con i notabili, tra i protagonisti.

Le rivoluzioni spagnola e napoletana accelerarono anche nel Regno di Sardegna l’evolversi della situazione verso uno sbocco rivoluzionario. L’iniziativa fu di un gruppo di personaggi, la maggior parte appartenenti alla giovane nobiltà piemontese, tra i quali spiccava la figura di Santorre di Santarosa, che si fecero portatori delle istanze di rinnovamento liberale che andavano maturando in Piemonte. Questi liberali piemontesi, sensibili all’insegnamento morale di Vittorio Alfieri, si proponevano di fare della monarchia sabauda il fulcro intorno al quale organizzare lo stato liberale e lo strumento principale per la lotta dell’indipendenza dall’Austria. A differenza dei carbonari del Mezzogiorno, ponevano con determinazione il problema nazionale italiano a partire dalla liberazione del Lombardo-Veneto.  I cospiratori si mossero ad Alessandria e a Torino nel marzo 1821, di concerto con i liberali lombardi e nel momento in cui le truppe austriache erano impegnate contro i napoletani. Per i piemontesi si trattava di conquistare una carta costituzionale, per i lombardi l’indipendenza dall’Austria e la costituzione. Perno di tutta l’operazione era però l’intervento dell’esercito piemontese contro gli austriaci, che non ci fu per le note ambiguità del principe reggente Carlo Alberto. In un mese tutto era finito.

Dai saggi del libro si ricava che la penisola italiana aveva beneficiato, al pari di molti altri paesi, del coinvolgimento e dell’identificazione con le correnti di pensiero e di azione europee, la cui principale caratteristica, sul piano culturale e politico, era rappresentata dagli ideali di libertà e nazionalità. Le continue agitazioni e i moti di quei decenni, l’opposizione all’assetto territoriale, le prime insurrezioni, il delinearsi della prospettiva mazziniana di emancipazione democratica nazionale e della contrapposta concezione moderata di progresso economico pacifico e graduale furono tutti aspetti e conseguenze del pensiero e dell’agire dei patrioti italiani in termini europei, all’interno di una visione di progresso generale della civiltà europea. Tutto ciò proveniva dalla svolta rappresentata dalle rivoluzioni del Settecento e dal tentativo napoleonico di unificazione amministrativa dell’Europa.