Senti che Storie…

 di Af -

 

Merkel alla guerra.

In più occasioni Angela Merkel ha citato la prima guerra mondiale e il volume dello storico inglese Christopher Clark, I sonnanbuli, per stigmatizzare le politiche di alcuni Paesi membri del consesso europeo. La cancelliera tedesca evoca spesso i toni apocalittici per incentivare gli Stati dell’Unione a scelte politiche ed economiche indigeste. Ma la minaccia è un’arma spuntata. In un continente che si è marginalizzato dalla storia, non si vedono all’orizzonte gli appetiti nazionali di inizio Novecento, non esistono quasi contenziosi etnici, non ci sono grandi equilibri strategici da capovolgere. Ma soprattutto non c’è l’incosciente disponibilità ad affidare alle armi la risoluzione delle dispute diplomatiche. Gli ultimi settantanni di pace vissuti dall’Europa, più che un esito del sentimento europeista appaiono come il grande sonno di un continente stanco. Di guerre e di sè.

Macron alla guerra

Lo scorso 17 aprile intervenendo al Parlamento europeo il presidente francese Macron ha ammonito gli stati dell’Unione in merito  al pericolo rappresentato dagli egoismi nazionali. Egoismi, ha aggiunto, che mettendo in gioco l’idea stessa di democrazia rischiano concretamente di far scoppiare una nuova “guerra civile europea”. Un discorso che ricorda le amichevoli esortazioni lanciate dall’Unione Sovietica nei confronti delle vie nazionali al socialismo: pericolose e potenzialmente destabilizzatrici di un supremo ordine costituito, al quale solo spetta il compito di eventuali correzioni di rotta.

De la manière de négocier

Le schermaglie per la formazione del nuovo governo, le dichiarazioni roboanti dei leader coinvolti, le parole tranchant e spesso incontrollate date in pasto alla stampa, così come le offese gratuite utilizzate per chiudere “forni” o avviare nuovi dialoghi riportano alla mente la riflessioni  di un grande diplomatico francese, François Callières, artefice di alcune tra le più importanti missioni al servizio del Re Sole. Nel suo De la manière de négocier avec les souverain scriveva a proposito delle capacità di un buon diplomatico: «È necessario essere persona accorta, accattivante, insinuante, in grado di controllare il proprio umore e le proprie emozioni, capace di adattarsi ai diversi tipi di intelligenza e di carattere degli uomini con cui ha a che fare, di conformarsi alle loro passioni, come pure alle loro prevenzioni e alle altre loro debolezze, nell’intento di farli ricredere e di indurli a sentimenti giusti e ragionevoli». Ah, le buone creanze del tempo antico…

Mussolini censore di D’Annunzio

C’è la censura preventiva e quella repressiva, la censura politica e quella religiosa. E poi la censura morale, quella  estetica e la censura del silenzio, cioè l’omertà. C’è n’è poi un’ultima del tutto particolare, quella amichevole, vagamente complottarda, in cui censore e vittima praticano un gioco delle parti in cui entrambi sanno che tutto finirà a tarallucci e vino, e a nulla serviranno rancori e recriminazioni. Nel settembre 1919 Gabriele d’Annunzio inviò a Mussolini una lettera di protesta per l’inconsistenza del suo aiuto alla missione fiumana. Mussolini la pubblicò sul “Popolo d’Italia”, censurando però i passaggi più offensivi, che riportiamo sotto depennati. D’Annunzio non accusò mai dello sgarbo il direttore e futuro Duce, forse nella speranza di un appoggio in extremis (che non arrivò). La missiva originale venne alla luce solo nel 1954.
Mio caro Mussolini, mi stupisco di voi e del popolo italiano.
Io ho rischiato tutto, ho fatto tutto, ho avuto tutto. Sono padrone di Fiume, del territorio, d’una parte della linea d’armistizio, delle navi; e dei soldati che non vogliono obbedire se non a me. Non c’è nulla da fare contro di me. Nessuno può togliermi di qui. Ho Fiume; tengo Fiume finché vivo, inoppugnabilmente.
E voi tremate di paura! Voi vi lasciate mettere sul collo il piede porcino del più abbietto truffatore che abbia mai illustrato la storia del canagliume universale [Francesco Saverio Nitti, ndr]. Qualunque altro paese – anche la Lapponia – avrebbe rovesciato quell’uomo, quegli uomini. E voi state lì a cianciare, mentre noi lottiamo d’attimo in attimo, con una energia che fa di questa impresa la più bella dopo la dipartita dei Mille. Dove sono i combattenti, gli arditi, i volontari, i futuristi?
Io ho tutti soldati in uniforme, di tutte le armi. un’impresa di regolari. E non ci aiutate neppure con sottoscrizioni e collette. Dobbiamo fare tutto da noi, con la nostra povertà. Svegliatevi! E vergognatevi anche.
Se almeno mezza Italia somigliasse ai Fiumani, avremmo il dominio del mondo. Ma Fiume non è se non una cima solitaria dell’eroismo, dove sarà dolce morire ricevendo un ultimo sorso della sua acqua.
Non c’è proprio nulla da sperare? E le vostre promesse? Bucate almeno la pancia che vi opprime, e sgonfiatela. Altrimenti verrò io quando avrò consolidato qui il mio potere. Ma non vi guarderò in faccia.
Su! Scotetevi, pigri nell’eterna siesta. Io non dormo da sei notti; e la febbre mi divora. Ma sto in piedi. E domandate come, a chi m’ha visto. Alalà.