Senti che Storie…

di Af -

Una rubrica di notizie, spigolature e curiosità per leggere lo “stato” della Storia attraverso i media italiani e internazionali.

Uno su cento

«Il cattolicesimo ci assedia: abbiamo il dovere di difendere la nostra cultura. Subiamo ogni giorno gli abusi dei predicatori d’odio che si annidano in quasi tutte le 900 chiese italiane». Oppure: «Milano si inchina alle chiese ma vieta le moschee». E ancora: «Ha ragione l’imam bolognese [...] quando mi dice che il nostro vero nemico non sono i cattolici integralisti, ma i cosiddetti cattolici moderati che ci impongono chiese e scuole cattoliche». Potrebbero essere le  considerazioni di un giornalista anticlericale vagamente progressista. E come tali criticabili o condivisibili a discrezione. Nessuno si scandalizzerebbe a vederle pubblicate, nero su bianco, su quotidiani o riviste. Anzi, toni ancor più vivaci sono stati utilizzati in occasione delle polemiche sul finanziamento alle scuole cattoliche, sulla fecondazione assistita o in seguito agli scandali legati alla pedofilia. Ma se in quelle frasi sostituiamo cattolicesimo con islam, chiese con moschee (e viceversa), imam con cardinale, cattolici integralisti con islamici bombaroli, cattolici moderati con islamici moderati e scuole cattoliche con scuole coraniche ecco che scatta l’indignazione. E l’Ordine dei Giornalisti apre contro l’autore un procedimento per «islamofobia». E’ quanto è successo a Magdi Allam i cui articoli, pubblicati su Il Giornale, sono stati censurati dall’Ordine perché non riportano «valutazioni critiche per fatti di cronaca circostanziati ma affermazioni di carattere generale sulla religione islamica e coloro che la osservano, con una generalizzazione che colpisce anche quanti, moderati, tra i circa due milioni presenti in Italia, rispettano le leggi del Paese che li ospita».
A cosa è dovuto questo zelo censorio? Alla necessità dell’Ordine di giustificare la propria esistenza in vita? A una forma di anticlericalismo che si manifesta nella tutela estrema della sensibilità dell’altro? A un lungo contenzioso tra un ordine professionale politicamente molto corretto e una testata ribelle? Probabilmente tutto questo insieme. In aggiunta, a noi viene in mente anche l’intimidazione: «Colpiscine uno per educarne cento» (Mao).

Mito islamico

Sempre a proposito del rapporto tra mondo occidentale e mondo arabo, un mito è molto diffuso sui media nazionali, internazionali e nel parlare comune, cioè quello della tolleranza messa in atto negli emirati islamici di Spagna in epoca medievale. Viene spesso dipinto il quadro di una stagione d’oro di armoniosa convivenza pacifica, alla quale ispirarsi per ristabilire un corretto rapporto tra mondi che oggi paiono incompatibili. In realtà – spiega Bat Ye’Or, studiosa di origini egiziane trapiantata nel Regno Unito, nel suo Eurabia (Lindau, 2007) – il mito è stato creato dagli illuministi, perpetuato dai colonialisti occidentali e poi utilizzato dai nazionalisti arabi nel XX secolo. Nella Spagna degli emiri, così come nel resto dell’impero islamico, ebrei e cristiani non se la passavano troppo bene: erano gli unici costretti a pagare le imposte, erano legati in condizione servile alle terre dei proprietari arabi, vivevano in ghetti e dovevano sfoggiare sulle vesti un marchio identificativo, era vietato loro restaurare chiese e sinagoghe, e spesso erano soggetti a pogrom e rappresaglie. Insomma, una leggenda dai piedi d’argilla. Un po’ come citare la Germania degli anni ’30 a modello di convivenza tra tedeschi ed ebrei…

Gli eroi di Moena

La Gran Vera (la Grande guerra, in dialetto ladino) è il titolo di una bella mostra allestita a Moena, in val di Fassa, in occasione del centenario del primo conflitto mondiale. Ricostruzioni di trincee italiane e austriache, postazioni interattive con la possibilità  di toccare elmetti, gavette, bombe a mano e mitragliatrici. E un’attenzione particolare alle popolazioni locali, allora parte dell’Impero asburgico: i giovani coscritti furono inviati a combattere non solo a difesa del confine sulle vicine Dolomiti ma anche sul fronte austro-russo, in Galizia e Bucovina. Al termine del percorso espositivo un’area ludica dove i bambini possono disegnare o lasciare commenti. Tra questi, in un tripudio di “Viva la pace”, “Mai più guerre”, “Distruggiamo le armi”,  spiccava un foglietto scritto con mano incerta: “Siete eroi, grazie”.

Terrore, guerre e petrolio

Qualche tempo fa un esponente (Alessandro Di Battista) di un partito con un discreto seguito elettorale (M5S) ha fatto due dichiarazioni a nostro modo interessanti per le ricadute sulla conoscenza della storia e sull’uso disinvolto – semplificatorio quando non addirittura ingannevole – con cui la si gestisce in ambito politico. Il terrorismo, ha scritto, è legato «indissolubilmente all’ingiustizia sociale». E ancora: «il petrolio è la causa della stragrande maggioranza delle morti del XX e XXI secolo». In merito alla prima considerazione si fatica a individuare un legame tra l’ingiustizia sociale e le formazioni terroristiche italiani e tedesche degli anni ’70, i movimenti indipendentistici che hanno praticato la lotta armata (con ampio uso del terrore) in Europa e altrove o le attuali formazioni che si appellano al fanatismo islamico. Nel secondo caso viene da chiedersi quale ruolo abbia avuto il petrolio nello scatenamento di alcuni degli eventi più sanguinosi degli ultimi cento anni, come la prima e la seconda guerra mondiale, la guerra di Corea, la guerra del Vietnam, la guerra in Afghanistan, la guerra delle Falkland, le guerre nella ex Jugoslavia e in Kosovo, la guerra civile in Ruanda… Probabilmente è la scarsa conoscenza della storia la causa della stragrande maggioranza degli strafalcioni dei politici italiani del XX e XXI secolo.