Senti che Storie…

di Af -

Kippah day…

Lo scorso novembre è passata sotto silenzio l’intervista a un esponente della comunità ebraica di Milano dopo l’accoltellamento di un ebreo israeliano in città: dichiarava testualmente che sarebbe buona norma evitare in pubblico un abbigliamento che richiami la fede ebraica. A gennaio il concistoro israelitico di Marsiglia, a seguito di numerosi attacchi antisemiti di matrice islamista,  ha invitato i fedeli a scoraggiare le provocazioni: meglio non esibire i simboli della religione ebraica fuori dal tempio. Ora qualcosa sembra essersi mosso. Il quotidiano Il Foglio, in occasione della Giornata della Memoria ha varato un’iniziativa per offrire ai suoi lettori la kippah: l’Occidente, ha spiegato il direttore, non si deve nascondere. Una piccola iniziativa per un messaggio che un’Europa dotata di un minimo di consapevolezza della propria storia dovrebbe avere chiaro davanti a sé: gli ebrei sono la cartina di tornasole dell’intolleranza, i marcatori del fanatismo. Quando attaccano loro, è la libertà e la democrazia di tutti a venir meno. Perché dopo l’assuefazione rimane solo la sottomissione…

Trovate la differenza

MontaggioUna delle due copertine è falsa. A un anno dall’eccidio della sua redazione, Charlie Hebdo è uscito con una caricatura  che allude a un Dio sanguinario dalle generiche sembianze occidental-cristiane. La copertina è stata pubblicata da tutti i media internazionali, compresi quelli che per difendere la sensibilità religiosa altrui avevano censurato o pixelato le poche copertine di Charlie (sette in una decina d’anni) con Maometto/Allah.
Il falso a destra è opera nostra. E siamo sicuri che con quelle sembianze – nonostante la quotidiana scia di sangue versata negli ultimi anni nel nome di un Dio mediorientale – la grande stampa avrebbe calato il velo della censura. La pubblichiamo noi. Perché se la paura è umana, la paura ammantata di elevati principi scade a banale viltà. E a quel punto rimarrebbe solo la sottomissione…  che in arabo si dice Islam.

Camus ci riguarda

«Esiste un’unica battaglia e, se voi non siete in grado di farla vostra, sarà il nostro nemico a dimostrarvi, in qualsiasi momento, che si tratta comunque della vostra battaglia. Fatevi sotto, perché se vi sta a cuore la sorte di tutto ciò che amate e rispettate, allora, ancora una volta, non dovete avere dubbi: la battaglia in corso vi riguarda eccome».
Così Albert Camus sul periodico clandestino Combat, n. 55, marzo 1944.

Quella stretta di mano

La figlia di Jessie Owens – il grande campione nero che alle olimpiadi di Berlino del 1936 conquistò in pochi giorni quattro medaglie d’oro – lo ha ribadito qualche settimana fa durante la preparazione di un film dedicato al padre. Non è vero che Hitler abbandonò sdegnato lo stadio per evitare di stringere la mano al campione americano di colore. Accadde invece il contrario: i due si incontrarono e si salutarono dietro la tribuna d’onore. Uno scoop assoluto? No, perché lo stesso Owens lo aveva raccontato nell’autobiografia scritta nel 1970. Ma c’è di più. La figlia spiega che il grande campione rimase profondamente deluso perché al ritorno in patria il presidente Roosevelt non trovò il tempo di riceverlo. Quindi, in sintesi: Hitler salutò Owens e Roosevelt no, la cosa è di pubblico dominio da quasi mezzo secolo ma la bufala continua a girare. Quando la storia ambisce a trasformarsi in leggenda spesso lo fa trascurando un piccolo dettaglio: la verità storica.