Senti che Storie…

di Af -

Qui e altrove

Nelle piazze semivuote di Roma e Milano, quelle piazze da cui si attendeva la condanna dell’islam moderato nei confronti dell’islam jihadista, è echeggiato un appello che suonava più o meno così: “Contro il terrore a Parigi ma anche contro le morti in Iraq, Afghanistan, Gaza e Siria”. Uno slogan astuto, che dimostra però la debolezza intrinseca dell’iniziativa e l’ambiguità di fondo dei manifestanti. La tecnica comunicativa è quella della “diluizione”: sminuire il particolare annegandolo nell’universale, distrarre dal “qui” per concentrarsi sull’“altrove”. Un po’ come nell’estate del 1968 quando l’URSS invase Praga: in un’assemblea all’università di Torino gli studenti ammisero all’ordine del giorno il dibattito sui fatti cecoslovacchi, ma solo a patto che si levasse forte e chiara la condanna dell’imperialismo statunitense.

I libri del califfo

Nel 641 dopo Cristo gli Arabi del califfo Omar ibn al-Khattab incendiarono la grande biblioteca di Alessandria. Il califfo disse che, tanto, i libri sono inutili o dannosi: inutili se conformi alla fede, dannosi se contrari. Sono passati quasi quattordici secoli ma la sensazione è che da allora il tempo si sia mosso con una lentezza prossima all’immobilismo. Uno studio dell’ONU intitolato Arab Human Development riferisce che «l’intero mondo arabo traduce annualmente circa 300 libri, un quinto di quelli che si traducono in Grecia». In oltre mille anni, conclude lo studio – che è del 2002 ma, vista la prospettiva plurisecolare, certo ancora attendibile – i libri tradotti complessivamente in Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi, Giordania, Iraq, Kuwait, Libano, Libia, Marocco, Mauritania, Oman, Qatar, Siria, Somalia, Sudan, Tunisia, e Yemen sono stati circa 100.000. Meno di quelli tradotti in Italia nell’ultimo decennio.

La paura

«Ma ovunque e da tutti c’era il timore. Gli austriaci che entravano temevano le imboscate. I turchi avevano paura degli austriaci, i serbi degli austriaci e dei turchi. Gli ebrei avevano paura di tutto e di tutti, poiché, specialmente in tempo di guerra, chiunque è più forte di loro». Così Ivo Andrić descrive l’occupazione austroungarica della Bosnia del 1878 nel suo straordinario romanzo intitolato Il ponte sulla Drina. Un passaggio che ci è tornato in mente, mutatis mutandi, osservando il complicato groviglio di timori, indecisioni e interessi che tengono in ostaggio le potenze coinvolte nella matassa mediorientale.

SuperMario

I rivoluzionari dei salotti bene, gli arditi del popolo in armi, i fanatici della bella morte proletaria se la presero a male: Salvador Allende morì mitra in pugno, ucciso dai soldati di Pinochet, guai a sostenere il contrario. Mario Cervi, inviato del Corriere della Sera a Santiago del Cile, fu pesantemente contestato quando spiegò che le cose erano andate diversamente: il presidente cileno, ormai privo di scampo, si era suicidato; ma il tragico epilogo – aggiunse – nulla toglieva alla parabola storica e al mito nascente dell’uomo.
Ci piace ricordare con questo episodio la scomparsa di uno degli ultimi esponenti della “brigata” montanelliana che, proprio un anno dopo, nel 1974, fondò Il Giornale da una costola del Corriere. Efficace divulgatore di storia – con Montanelli firmò a partire dal 1979 i volumi della Storia d’Italia – Mario Cervi era un giornalista-gentiluomo dalla scrittura cristallina e immediata, sobria e poco incline alla polemica grossolana. Insomma, un fuoriclasse (liberale) d’altri tempi.