RUSSIA E TURCHIA, DUE IMPERI ALLO SPECCHIO

di Massimo Iacopi -

Panslavismo contro panturchismo, ortodossia contro islam, eurasismo contro atlantismo: i rapporti tra Russia e Turchia sono sempre tesi e complessi. I due popoli, infatti, condividono una storia fatta di messianismo, di espansione imperiale e di una stessa fede in un “destino manifesto”.

“È più facile avere la pelle dell’orso che essere amico di un russo”, recita un detto turco. Nell’immaginario turco, il grande vicino del nord coniuga i tratti contraddittori dell’ortodossia, desiderosa di rivincita, e del bolscevismo ateo. Mosca, con i suoi occhi avidi accesi da una bramosia secolare, non aspetta altro che l’istante propizio per slanciarsi sugli Stretti e chiudere il conto aperto con la caduta di Bisanzio (1453). La recente annessione della Crimea, vero e proprio balcone sul Mar Nero, e l’intervento russo ai confini dell’Anatolia meridionale (Siria) hanno riproposto ad Ankara lo spettro dell’accerchiamento.

Tre secoli di inimicizia

Agli inizi del XV secolo la Russia di Ivan il terribile, appena uscita dal giogo mongolo, si volge verso le vaste distese dell’Ucraina. Quest’ultima, vittima della sua posizione geografica, diventa una direzione privilegiata di espansione della Moscovia. In effetti, a nord, la Svezia chiude l’accesso al Baltico, a ovest la Polonia blocca la strada, mentre a sud, la rotta verso il Mar Nero e il Mediterraneo, consentirebbe di accedere a un mare caldo. In  questa direzione, Mosca approfitta anche  della progressiva ritirata dall’area dell’Impero ottomano.
Dal 1568 al 1917, dodici guerre oppongono la Russia al sultano della Sublime Porta. I Russi avanzano le loro pedine verso il Caucaso e gli Stretti. La Crimea, simbolo forte, è una delle prime terre del Dar al Islam (Casa dell’islam) a tornare nel dominio di una potenza cristiana (in occasione del Trattato di Kushuk Kaynardji o Kainarca, in Dobrugia, attuale Bulgaria, nel 1774).
Lo zar si ritiene investito di un duplice sacerdozio: affrancare gli Slavi dal dominio ottomano e rialzare la croce sulla chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli. Peraltro, sotto la guida di Pietro il Grande la Russia cerca di affiancarsi al concerto delle potenze europee. La costruzione di uno stato moderno esige di acquisire e assorbire scienze e tecniche occidentali. Tutto questo richiede linee di comunicazione rapide: e  il Mediterraneo è una di queste. Gli “Stretti sono la chiave di casa”, rincara la dose la zarina Caterina II.
Nello stesso tempo, le potenze occidentali si servono della barriera turca per bloccare la discesa russa verso il Mediterraneo orientale. Londra, alle prese con San Pietroburgo in Asia centrale, non vuole che un’analoga minaccia raggiunga l’Egitto e la rotta delle Indie.
Alla vigilia della Prima guerra mondiale gli Stretti turbano le notti dello zar Nicola II. Il Bosforo e i Dardanelli, vero cordone ombelicale di un Impero in pieno decollo economico, vedono passare il 40% delle esportazioni russe. Per quanto riguarda i cereali, vitali per un’economia in via di industrializzazione e dunque alla ricerca di capitali, questa quota raggiunge l’80%. Le rivendicazioni russe inquietano il sultano e la presunta incapacità della coppia franco-inglese di garantire l’integrità dello Stato ottomano lo spinge nelle braccia di Berlino.
La nascita dell’URSS accresce l’antipatia fra le due nazioni. All’indomani della Seconda guerra mondiale la Turchia, fronte sud dell’Alleanza Atlantica, diventa la pietra angolare della politica di containment di Washington.

Duello in Siria

Il disaccordo fra la Turchia e la Russia ha quindi radici profonde. E gli eventi recenti lo hanno portato a una forma di parossismo.
Agli inizi del 2011 l’onda d’urto delle Primavere arabe investe la Siria. Dopo qualche esitazione, i Turchi ritengono che il regime baathista di Damasco sia ormai definitivamente condannato. La Turchia, in nome della fratellanza sunnita, orienta in senso filo islamico la sua politica estera e arma senza distinzioni i ribelli, sia moderati che islamisti. Nella terra siriana si trovano a incrociare i ferri due assi geopolitici: da un lato la Turchia, le petromonarchie del Golfo, associate alle potenze occidentali, dall’altro l’arco sciita (Iran, Irak, Siria, Hezbollah libanesi) sostenuti dai paesi emergenti (Cina e Russia).
Da lungo tempo, i Turchi coltivano l’idea di una zona di divieto di sorvolo aereo nell’area, nella speranza di espanderla sino a Damasco. Queste combinazioni si frantumano di fronte al netto rifiuto espresso dai Russi. Mosca giustifica il suo atteggiamento con il calamitoso esempio libico, all’origine della caduta di Gheddafi e del caos che ne è conseguito, nonostante le risoluzioni dell’ONU. Nell’autunno del 2015 la campagna dei bombardamenti russi sconvolge i piani di Ankara. La sconfitta politica turca insidia l’insurrezione siriana, persino all’interno delle frontiere: la guerriglia curda diventa incontrollabile. I Turchi, messi alle corde, cercano disperatamente un punto di arresto. Il 25 novembre 2015 l’aviazione turca abbatte un caccia russo: il messaggio indirizzato al Cremlino è triplice.
In primo luogo, Ankara si considera la garante della minoranza turkmena di Siria (40 mila persone), i cui villaggi sui primi contrafforti anatolici hanno ricevuto danni dai raid russi. Questi turcofoni, a lungo repressi dal governo di Damasco, erano diventati gli alfieri dell’insurrezione.
Su un piano tattico, si tratta di impedire ai Curdi, alleati di Mosca, di stabilire una continuità territoriale lungo la frontiera turca e dunque, di chiudere il corridoio che consente agli insorti di collegarsi con il mondo esterno. Oggi, la città di Aleppo risulta praticamente isolata dal resto del mondo sotto i colpi degli attacchi paralleli delle truppe di Bashar el Assad ad est e dei Curdi al nord. La caduta di questa città costituirebbe una smacco rilevante per i ribelli e per la stessa Turchia che li sostiene.
Infine, i Turchi vogliono scoraggiare i tentativi di avvicinamento russo-occidentale nel contesto immediato degli attentati di Parigi. Questo scenario, vero incubo per Ankara, riabiliterebbe de facto Bashar el Assad nell’ambito di una grande coalizione e dunque della comunità internazionale.
Tuttavia, la reazione russa al grave atto turco risulta misurata. Il Cremlino annuncia rappresaglie, ma esclude il settore degli idrocarburi. In effetti, fare a meno della rendita energetica in piena recessione si dimostra inattuabile per l’economia russa. La stretta connessione delle due economie (la Russia fornisce il 40% del petrolio e il 60% del gas alla Turchia) condanna inevitabilmente Mosca e Ankara alla prudenza.
I due paesi ingaggiano quindi un braccio di ferro. La Turchia riduce le partenze dei turisti proprio nel momento in cui i Russi costituiscono il più grosso contingente di visitatori della Turchia. Ankara può cercare di strumentalizzare i Tatari della Crimea, mentre Mosca può influenzare i Curdi d’Anatolia e questa seconda minaccia è decisamente molto più pericolosa della prima.
Una rappresentanza dell’YPG, il partito curdo della Siria, è stata accolta a Mosca nel mese di febbraio scorso. Peraltro, la politica di Recyp Erdogan appare sempre più erratica di fronte ai suoi alleati occidentali, che condannano i bombardamenti turchi sui Curdi siriani, uno dei bastioni più solidi anti ISIS.
Eppure Mosca e Ankara si erano riavvicinati nel corso della crisi ucraina. Dopo le sanzioni occidentali, la Russia aveva deciso di boicottare i prodotti europei e si era rivolta verso la Turchia per approvvigionarsi in frutta e legumi. Questo appariva come un possibile campo di intesa.

L’asse degli esclusi

Turchia e Russia sovrastano la stessa immensità continentale. La loro situazione geografica al centro dell’Eurasia, la forza dell’eredità imperiale e la convinzione di incarnare una specifica civiltà hanno modellato la loro storia. È possibile pensare a un’alleanza fra le due nazioni in funzione antioccidentale? Alcuni ci credono, specie in Turchia, ma secoli di storia di inimicizia propendono al massimo per una alleanza puramente tattica e strumentale.
In ogni caso, a Mosca, come ad Ankara, le conseguenze del crollo imperiale vengono rapidamente a galla. La necessità di uno stato forte si sposa con la difesa del territorio di fronte al separatismo (Curdi, Ceceni). Al contrario degli Europei, che denunciano l’uso della forza e privilegiano i grandi canoni universalisti, Turchi e Russi mettono l’accento sui valori regali: sovranità, unità, senso dello Stato. Queste parole d’ordine vengono dal fondo della loro storia. Grazie alle tribù turaniche, scriveva il principe Trubetzskoy, teorico dell’eurasismo russo, “L’ideale dello Stato eurasiatico è passato dal Turan (il mondo turco) ai Russi”.
Da Pietro il Grande a Mustafà Kemal i due paesi nutrono le stesse ambivalenze nei confronti della modernità. L’uno, come l’altro, considerano l’Europa come una scuola di conoscenze scientifiche e di pratiche tecniche indispensabili, ma per poterle mettere al servizio del rispettivo genio nazionale.
In verità, secondo Suat Ilhan, capofila dell’eurasismo turco, le manipolazioni delle potenze occidentali sono l’origine della rivalità turco-russa. In questa visione, l’Occidente si è dato da fare a mettere “i Russi contro i Turchi e i Turchi contro i Russi. In tal modo l’Occidente ha trovato il mezzo di neutralizzare simultaneamente la minaccia turca e quella russa… Per l’Occidente, la Turchia e la Russia sono gli altri, gli stranieri di sempre”.

Motivi per un riavvicinamento

I fautori di un riavvicinamento turco-russo cercano di evocare diversi precedenti storici favorevoli alle loro tesi, che, peraltro, possono essere facilmente demolite da fatti opposti tratti dalla stessa storia. Essi ricordano l’anzianità delle relazioni fra i due paesi (1497), l’apporto di sangue turanico alla cultura slava, il rifiuto unanime dell’Illuminismo, sia per l’ortodossia che per l’islam. Essi citano l’esempio dell’alleanza tattica fra lo zar Alessandro I e Selim III, che ha visto una squadra navale russo-ottomana sfidare Napoleone Bonaparte nell’Adriatico. Essi, infine, fanno valere il fatto che, al momento della guerra d’indipendenza (1919-1924), Mustafà Kemal ha potuto godere della benevolenza dei bolscevichi nel suo rifiuto del Trattato di Sevres (1920), che prevedeva la spartizione della Turchia fra i vincitori della Prima guerra mondiale (Francia, Gran Bretagna e Italia). Il Trattato di Mosca, del 1921, consacrò l’alleanza dei due paesi, paria del continente. La rivoluzione internazionale di Lenin aprì, incidentalmente, la strada alla rivoluzione nazionale di Kemal. Combattere per l’indipendenza della Turchia contro la vassallizzazione da parte dello straniero (il vecchio regime delle capitolazioni) implicava il rovesciamento dell’ordine sociale. E la lotta contro il capitalismo richiedeva e implicava il consolidamento della sovranità nazionale. I primi kemalisti combatterono il capitalismo, sia per la sua natura ideologica, sia per la sua provenienza straniera, vale a dire occidentale. Questa idea viene ancora ripresa al giorno d’oggi da Mehmet Perinçek, fautore del kemalismo radicale, quando afferma che, dallo scontro fra l’atlantismo e l’euroasismo, uscirà “un ordine nuovo che non si baserà più sull’istinto del profitto personale”.

Situazione e prospettive

Infine, a prescindere dalle incertezze attuali, Vladimir Putin ed Erdogan rifiutano l’idea di un mondo unipolare, organizzato intorno a un centro egemonico, e di una periferia emarginata. Mosca e Ankara convergono quando si tratta di affermare il diritto delle potenze emergenti sulla scena planetaria, anche se appare decisamente ardito comparare come potenze dello stesso valore la Turchia alla Russia.
Per questa ragione, la Turchia vorrebbe spalleggiare l’ingresso della Russia nell’Organizzazione della Conferenza Islamica e assistere, in cambio, ai lavori del Gruppo di Shangai, che riunisce, sotto la guido sino-russa, i paesi dell’Asia centrale.
I due paesi si trovano inoltre d’accordo quando si tratta di difendere il diritto all’autodeterminazione dell’Ossezia del Sud, dell’Abkhazia o di Cipro nord, ivi compreso il superamento di certe norme giuridiche internazionali, dimenticandosi invece dei problemi dei Ceceni e dei Curdi di casa loro.
Russi e Turchi respingono l’individualismo occidentale a vantaggio dei legami organici (famiglia, nazione). “La concezione della famiglia in Turchia ed in Russia sono molto vicine”, affermava l’ex primo ministro turco Ahmet Davatoglou.
La recente svolta autoritaria in Turchia, oltre a segnare definitivamente la fine del kemalismo, almeno nella concezione voluta dal suo fondatore, spinge la Turchia verso una vocazione neo-ottomana e, di conseguenza, verso la ricerca di un sostegno per la sua politica estera nei confronti degli alleati occidentali. Proprio in questo momento la Russia appare un alleato provvidenziale. Ankara, che si è scusata ufficialmente per l’abbattimento del caccia russo, è ormai ampiamente disposta ad accettare Bashar el Assad a Damasco, a condizione che non si parli di uno stato curdo indipendente alle sue frontiere. Per la Russia, scuotere e scardinare il perno della NATO in Medio Oriente rappresenterebbe un enorme successo e contribuirebbe a congelare la situazione della Crimea e dell’Ucraina.
In poche parole, al momento, e in linea teorica, i disaccordi storici e strategici fra queste due potenze autoritarie e sovrane sembrano essere accantonati. Tutto ciò ha portato a una forte riavvicinamento politico fra le due nazioni. A un semplice osservatore, Vladimir Putin appare ancora una volta il personaggio vincente, mentre Erdogan trova il modo di consolidare definitivamente la sua posizione esterna e interna.
Meno chiaro appare l’atteggiamento occidentale, specialmente quello degli Stati Uniti, completamente sorpresi dagli eventi. Di fatto Washington assiste, apparentemente senza reagire, a una tacita alleanza tattica di un alleato e membro della NATO con il suo nemico dichiarato. Si ritiene, tuttavia, che questo, per certi aspetti prevedibile riavvicinamento turco-russo, abbia per entrambi gli attori un valore meramente tattico. Le convergenze del momento non potranno avere il sopravvento sulle divergenze e sugli antagonismi storici e strategici di fondo, che porterà nei tempi lunghi a una nuova e invitabile collisione.

Per saperne di più

Mesdi Ismaylov, L’eurasismo, uno studio comparato attraverso l’esempio russo e turco, Dogu Bati, Ankara, 2011.
Suat Ilhan, Geopolitica dei turchi ed eurasismo, Bilgi, Ankara, 2006.
Mehemet Perinçek, L’Eurasismo, pratica e teoria in Turchia, Bilgi, Ankara, 2006.