RONALD REAGAN E LA RIVOLUZIONE MAI COMPRESA IN ITALIA

di Cristian Usai -

 

Il Presidente col cappello da cowboy. Questa l’immagine con cui molti ricordano Ronald Reagan, il presidente americano che ha segnato un’epoca. Le scelte di politica economica da egli attuate, note come Reaganomics, offrono una chiave di lettura degli eventi caratterizzanti l’attuale momento storico dell’Italia.

Ronald Wilson Reagan nacque a Tampico, Illinois, il 6 febbraio 1911. Nel 1932 conseguì un Bachelor of Arts in Economia e Sociologia e nel 1937 iniziò la carriera di attore cinematografico. Fu financo dirigente del sindacato di categoria. Politicamente fu, fino agli anni 1950, di idee democratiche, in seguito abbracciò le posizioni della destra repubblicana. Nel 1964 sostenne il candidato alla Presidenza del Partito Repubblicano Barry Goldwater. Fu Governatore della California dal 1966 al 1974. Ottenuta la nomination, alle Elezioni Presidenziali del 1980 stravinse sul candidato uscente James Earl (Jimmy) Carter divenendo il 40° Presidente degli Stati Uniti. Nel 1984 venne riconfermato con una schiacciante vittoria sul candidato del Partito Democratico Walter Mandale. Morì a Los Angeles il 5 giugno 2004.
Negli anni tra il 1960 e il 1980 gli Stati Uniti dovettero fare i conti con la Guerra del Vietnam, conclusasi con una débâcle, e con lo scandalo Watergate. Nello stesso periodo, il 6 ottobre 1973 durante la festività ebraica dello Yom Kippur (il giorno dell’espiazione), Egitto, Siria ed altre nazioni arabe invasero i territori israeliani nella penisola del Sinai. Israele rispose sconfiggendo nel giro di qualche giorno le truppe arabe e minacciando di prendere El Cairo. Il 17 ottobre, i paesi membri del Organization of Arab Petroleum Exporting Countries, OAPEC, decisero di bloccare le esportazioni di petrolio nei paesi fiancheggiatori di Israele innescando, tra l’atro, una spirale inflazionistica nelle maggiori economie occidentali. Il Governo degli Stati Uniti tentò di frenare l’inflazione con misure straordinarie tra cui l’abbassamento dei limiti di velocità a 55 miglia all’ora. Mentre tutti gli stati nordamericani, il 6 gennaio 1974, adottarono un orario avanti di 60 minuti per garantire risparmio energetico.

Reagan ereditò un paese economicamente interventista e con un livello di tassazione molto alto. L’inflazione era a quota 11,83% [Fonte Bureau of Labor Statistics], il tasso di disoccupazione al 7,5% [Fonte Federal Reserve Bank of Saint Louis]. Egli dunque puntò a ridurre la spesa federale, all’abbattimento della pressione fiscale e a deregolamentare l’economia (Deregulation). Tali strumenti furono i pilastri della Reaganomics. Già nel 1981 il Presidente convinse il Governo a ridurre drasticamente la tassazione. L’aliquota massima sul reddito personale, Flat tax passò dal 70 al 50%. Le tasse sui redditi di capitale furono tagliate di un terzo [Jones M. A. 2014]. Contrariamente alle previsioni questa politica economica, unita al massiccio aumento delle spese militari, creò deficit di bilancio. Va detto, tuttavia, che i deficit si verificarono perché l’inflazione si ridusse ancor più rapidamente, come affermò l’economista Paul Craig Roberts nel 2004, di quanto l’Amministrazione Reagan aveva previsto. Gli economisti presenti al Dipartimento del Tesoro, afferenti alla scuola della supply side, previdero l’espansione deflattiva, ma questa loro previsione fu ignorata dall’establishment economico keynesiano e statalista, allora imperante, fiducioso verso la Curva di Philips [Respinti M. 2005]. Le problematiche che il neoeletto Reagan dovette affrontare non sono, sostanzialmente, dissimili da quelle dell’Italia attuale. Il debito pubblico italiano nel mese di gennaio 2017 era a quota 2.251.411 milioni di euro. Nel mese di luglio ha raggiunto il record di 2.301.585 milioni di euro, mentre nel mese di dicembre s’è attestato a quota 2.256.061 milioni di euro (Fonte Banca d’Italia). La spesa pubblica italiana nel 2012 ammontava a ben il 50,6% del PIL, ed era così ripartita: 16,3% in pensioni; 10,8% in spese per il personale; 9,7% in altri consumi finali; 4,9% in interessi sul debito; 3% in altri trasferimenti sociali; 2,2% in trasferimenti alle imprese; 2% in investimenti pubblici; 1,1% in imposte indirette; 0,5% in altro (Fonte Istituto di ricerca Bruno Leoni 2013). Secondo una previsione, nei prossimi due anni la spesa pubblica italiana crescerà di 30 miliardi di euro (Fonte: Unimpresa). Il tasso di disoccupazione a settembre 2017 era del 11,1%, quello della disoccupazione giovanile del 35,7% (Fonte Istat). Altrettanto grave è il problema della la fuga dei talenti. Nell’Indagine conoscitiva sulle politiche relative ai cittadini italiani residenti all’estero condotta dall’Istat nel 2011 si legge: “[…] nell’ultimo decennio si assiste ad un progressivo spostamento dell’incidenza del fenomeno dell’emigrazione verso fasce della popolazione a maggiore istruzione: dal 2001 al 2010 l’incidenza dei cittadini laureati sul totale degli espatri è raddoppiata (dall’8,3% al 15,9%) […] In totale, quasi 1.300 dottori di ricerca che prima dell’iscrizione all’università risiedevano in Italia risultano vivere abitualmente all’estero al momento dell’intervista (6,4% del totale), per lo più in Francia, Stati Uniti d’America e Regno Unito. […]”. Secondo il Dossier Statistico Immigrazione 2017, elaborato dal Centro studi e ricerche Idos e Confronti, è stimato che su 114.000 italiani emigrati, i laureati siano 34.000. Una ricerca congiunta condotta da Idos e dall’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” nel 2016 mostra che ogni emigrante rappresenta un investimento per il paese oltre che, ovviamente, per la famiglia. In media un diplomato costa 90.000 euro, un laureato 158.000, un laureato magistrale 170.000, un dottore di ricerca 228.000.

Nella campagna elettorale per le Elezioni Politiche del 4 marzo scorso, a fronte dei dati summenzionati, ci si sarebbero aspettate proposte elettorali incentrate sul portare il debito pubblico sotto al 100% del prodotto interno lordo (PIL), sul taglio della spesa pubblica del 6% proporzionalmente al PIL, e sull’abbattimento della pressione fiscale del 5%. Orbene, nessuno dei partiti che compongono il nuovo Parlamento ha proposto, ne pare aver intenzione di proporre, tali misure. Anzi, hanno proposto un incremento della spesa pubblica nell’ambito della previdenza (abolizione o superamento della Legge Fornero, pensioni minime a 1.000 euro, pensione di cittadinanza) e in forme di ammortizzazione sociale, variamente intese (reddito di cittadinanza, raddoppio fondi reddito di inclusione, salario minimo). Queste proposte sarebbero, forse, in parte attuabili con ulteriore incremento di debito pubblico. Ad ogni modo nessuna politica in favore di scuola e università, di finanziamento della ricerca, di efficientamento della Pubblica Amministrazione, sarebbe, in tale situazione, attuabile. Parimenti inattuabile sarebbe la riduzione dei tassi di disoccupazione nel rispetto della creatività e del merito.
Paradossalmente, dopo le Elezioni del 4 marzo, Ronald Reagan è stato tirato in ballo dall’On. Matteo Salvini. In un dibattito televisivo con il giornalista Alan Friedman , dedicato alla proposta della flat tax al 15%, avanzata dalla Lega, l’On. Salvini ne avrebbe decantato il successo affermando che la relativa proposta del suo partito sarebbe la copia di quella che, a suo tempo, fu di Reagan. In realtà questi non ha mai, né proposto, né implementato alcuna flat tax. L’aspetto paradossale risiede nel fatto che L’On. Salvini ha accostato la flat tax leghista al concetto di Reaganomics. La Reaganomics, infatti, rappresentata l’antitesi dello statalismo economico della Lega di cui la flat tax e l’abolizione della Legge Fornero (punti programmatici del partito) sono, giustappunto, l’esempio più palese. Si rammenti, inoltre, che malgrado le reali emergenze dell’Italia, come sopra esposto, siano di carattere economico finanziario, il tema dell’immigrazione è stato il vero protagonista della campagna elettorale delle forze afferenti all’estrema destra le quali hanno fomentato, in maniera deplorevole, intolleranza e paura. Si è udito parlare di invasioni, di aumento di criminalità straniera ed altre folcloriche preoccupazioni. È opportuno pertanto un breve richiamo alla realtà in tal senso. La stima degli stranieri, di diverse nazionalità, residenti in Italia raggiunge l’8,3% della popolazione (Fonti Istat, Unhcr, Eurostat, Fondazione Ismu). Gli stranieri irregolari rappresentano l’8% di quelli regolari (Fonte Ismu).

Nel 2017 gli sbarchi di migranti sono calati del 34% (Fonte Cruscotto statistico giornaliero del Ministero dell’interno. Infine il Dossier Statistico Immigrazione 2016, relativamente al decennio 2004-2014, smentisce l’accostamento tra aumento della presenza di stranieri, peraltro non vero, e l’aumento di criminalità. Al lettore le ovvie deduzioni. A parere di chi scrive il pensiero di Ronald Reagan può essere sintetizzato con una frase che lo distanzia enormemente da quello dai politici cui l’elettorato ha affidato il futuro dell’Italia: «Abbiamo creduto allora e ora: non ci sono limiti alla crescita ed al progresso umano quando gli uomini e le donne sono liberi di seguire i propri sogni». Parole che denotano lungimiranza e considerazione del diritto all’umana realizzazione. Caratteristiche di una politica consapevole che i frutti di scelte impopolari sono si raccolti dalle generazioni future, ma salvaguardano l’avvenire di una Nazione. Nonostante tutto, peraltro, la Reaganomics portò ad un aumento dei consumi e contribuì a invertire la congiuntura economica, e dal 1982 al 1990 gli USA conobbero un periodo di crescita economica ininterrotto.

Per saperne di più
Jones, Maldwyn A., Storia degli Stati Uniti d’America: dalle prime colonie inglesi ai giorni nostri, Milano, Bompiani, 2002.
Respinti, Marco (a cura di), Ronald W. Reagan: un americano alla Casa Bianca, Soveria Mannelli Rubbettino, 2005.