RIYAD E TEHERAN, DUE VICINI IN DISACCORDO PRATICAMENTE SU TUTTO

di Massimo Iacopi -

Arabia Saudita e Iran combattono una guerra per procura nello Yemen. I sauditi sono sempre più esasperati per l’influenza crescente dell’Iran nella penisola arabica, mentre l’ayatollah Khamenei ha paragonato i bombardamenti di Riyad nello Yemen ai quelli israeliani su Gaza. La tensione sembra al suo massimo.

Ci troviamo di fronte a due grandi produttori di petrolio e di gas naturale, membri dell’OPEC, due teocrazie antagoniste, che si oppongono violentemente nel Bahrein, in Siria e in Yemen; due rivali che si spartiscono la comunità dei credenti (Umma) nel Medio Oriente e in Africa. Uno, maggioritariamente sciita e persiano, che rivendica il governo del dogma (velayat al faqih), l’altro, fondato nel 1932 e che porta il nome di una famiglia regnante dalla fragile legittimazione, costituisce, invece, il centro nevralgico di un wahabismo puritano e dedito al proselitismo.

Le radici di una rivalità

Una pagina del Corano.

Una pagina del Corano.

In assenza di statistiche, la popolazione saudita di confessione sciita viene valutata intorno al 15%. Emarginata e percepita da Riyad come una quinta colonna che agisce per conto del grande vicino iraniano, la sua presenza si concentra nella strategica provincia orientale di Hasa, che conserva l’essenziale delle riserve petrolifere del regno. Va sottolineato che la maggior parte dei sauditi sciiti è di origine irachena e porta le stigmate delle persecuzioni causate dall’islam wahabita della famiglia dei Saud. Questi ultimi, soprattutto dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003, temono che questa minoranza sciita, desiderosa di essere riconosciuta, possa seguire l’esempio dei suoi correligionari del Bahrein e rivoltarsi. Questa ostilità, appena velata, divenne evidente quando nel novembre del 2010 le rivelazioni di Wikileaks svelarono un violento sfogo del re saudita Abd Allah bin Abd Aziz al Saud (1924-2015) contro l’Iran, esortando gli Stati Uniti a “tagliare la testa del serpente”.
Alleati entrambi degli USA, l’Iran dello Shah e l’Arabia Saudita già a quel tempo si sopportavano con difficoltà. In effetti, nel periodo del regno della dinastia Palhavi, i due vicini hanno vissuto una grave crisi diplomatica quando nel 1943 Abu Taleb Yazdi, un pellegrino iraniano, venne incarcerato per diversi anni per sacrilegio. Tuttavia nel 1968, nel momento in cui la potenza britannica si avviava a lasciare le piazzeforti lungo gli Emirati del Golfo, Teheran e Riyad firmarono un accordo sulla delimitazione delle loro frontiere marittime. Per entrambi era venuto il momento di rendere sicuro lo Stretto di Ormuz. Poi, nonostante una convergenza di vedute sulla questione comunista, l’Arabia Saudita iniziò a preoccuparsi per i programmi di ammodernamento dell’esercito iraniano e per l’occupazione da parte di Teheran degli isolotti di Tumb e di Abu Musa, sotto sovranità formale degli Emirati. Washington, che aveva grande fiducia nello Shah, lasciò passare la cosa.

La rivoluzione islamica

Le cose si aggravarono quando il nuovo regime dei mullah di Teheran si mise in testa di esportare la rivoluzione islamica. Le monarchie arabe del Golfo, con i sauditi in testa, si affrettarono a sostenere lo sforzo di guerra iracheno al fine di contenere le velleità egemoniche iraniane. In tale contesto, per tutto il periodo del conflitto irano-iracheno (1980-1988), Riyad sborserà più di 25 milioni di dollari per finanziare l’esercito iracheno.
Sarà nel 1987 che si consumerà la rottura fra i due vicini. Nel corso di un discorso, l’ayatollah Ruhollah Khomeiny (1902-1989) insorse contro il carattere “eretico” del wahabismo, qualificando come “vili ed empi” i sauditi che avevano assunto unilateralmente la guardia dei Luoghi Santi (Haram al Sharif). Il 31 luglio 1987, un sanguinoso scontro fra pellegrini iraniani e forze saudite provocò 402 morti. A Teheran, i diplomatici sauditi furono aggrediti, causando la morte di un impiegato dell’ambasciata. Gli Iraniani da quel momento non otterranno più il visto dei sauditi.
Occorrerà aspettare il 1991 e l’invasione del Kuwait perché Riyad e Teheran ristabiliscano le relazioni diplomatiche. Questa normalizzazione consentì a 115mila pellegrini iraniani di recarsi alla Mecca (nel 1988, la quota dei pellegrini iraniani era di 45 mila unità). L’arrivo al potere a Teheran del riformatore Mohamed Khatami diede nuovo slancio alle relazioni bilaterali.
Nel 1997 si tenne a Teheran l’ottavo Vertice dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI). L’evento si tradusse in un successo mediatico e diplomatico per l’Iran, che rinforzò le relazioni con l’Egitto e l’Arabia Saudita. Nel maggio del 1999 il presidente Khatami effettuò una visita storica in Arabia Saudita, la prima dalla rivoluzione islamica. Nell’euforia dell’evento, nel luglio 1999, il re Fahd bin ʿAbd al-ʿAzīz Āl Saūd invitò i Paesi del Consiglio della Cooperazione del Golfo (CCG) a migliorare le loro relazioni con l’Iran, con grande disappunto degli Emirati Arabi Uniti (EUA), che vedevano in questo gesto l’abbandono delle loro rivendicazioni territoriali sugli isolotti contestati.

La svolta dell’11 settembre

Paradossalmente, gli attentati dell’11 settembre 2001, portarono Washington a relegare Teheran nei “Paesi dell’Asse del Male”. Ciò è dovuto al fatto che l’amministrazione neoconservatrice americana intratteneva dei legami privilegiati con il capo dei servizi informativi sauditi e ambasciatore a Washington, principe Bandar bin Sultan al Saud.
L’Iran, che rappresenta uno dei principali prestatori di fondi di Hamas e degli Hezbollah libanesi, utilizza la retorica anti israeliana, ovvero antisemita, come un arma al servizio della delegittimazione della leadership regionale saudita. Ne sono prova le affermazioni del presidente Mahmud Ahmadinejad nel 2009, durante gli scontri di Gaza, dirette contro l’Arabia Saudita “complice di un genocidio perpetrato contro i palestinesi”. Parallelamente, il programma nucleare iraniano ha contribuito ad acuire le preoccupazioni dell’Arabia Saudita.
In questo contesto, i sauditi hanno visto nelle sanzioni occidentali per il nucleare iraniano un’opportunità per fare pressione sul suo alleato americano, arrivando persino ad offrire, nel 2012, compensazioni ai clienti dell’Iran per il petrolio che non sono più in grado di acquistare legalmente. Nel 2014 l’Arabia Saudita provocò deliberatamente un calo dei prezzi del petrolio, che nelle speranze di Riyad avrebbe dovuto contribuire a soffocare l’Iran.
Dopo l’intervento saudita nel Bahrein per sostenere la famiglia reale sunnita degli Al Khalifa contro la rivolta sciita (2011), la questione yemenita contribuisce attualmente a creare un nuovo fronte a sud del regno saudita. Si tratta, in questo caso, della più vasta operazione militare condotta dall’esercito saudita dall’invasione del Kuwait del 1990. Se il ruolo dell’Iran a sostegno della milizia zaydyta degli Huthi non può essere negato, sembrerebbe abbastanza esagerato considerare l’importanza strategica dello Yemen equivalente a quella dell’asse Iraq-Siria-Hezbollah libanesi.
Lo Yemen, l’antica “Arabia Felix”, rimane, al massimo, un efficace strumento di pressione contro i sauditi, le cui relazioni con lo stato islamico dell’ISIS per un certo periodo sono state contrassegnate da un marchio di ambiguità.

Per saperne di più
Arabia Saudita vs Iran, in “Limes”, http://www.limesonline.com/arabia-saudita-vs-iran/98297?refresh_ce
Il problema non è l’Iran ma le petrolmonarchie sunnite, in “Limes”, 5 marzo 2013 http://www.limesonline.com/cartaceo/il-problema-non-e-liran-ma-le-petromonarchie-sunnite?prv=true
E. Abrahamian, Storia dell’Iran. Dai primi del Novecento a oggi – Feltrinelli, 2013
Madawi Al-Rasheed, Storia dell’Arabia Saudita – Bompiani, 2004