RADIUS E “GLI EBREI IN ITALIA” DI PAOLO ORANO
di Daniela Franceschi -
Un saggio antisemita del 1938 recensito da Emilio Radius sulle pagine del “Corriere della Sera”. Alla base dell’opera, specchio di un’epoca che si avvicinava all’introduzione delle leggi razziali, vi era la tesi secondo cui esistesse un’assoluta incompatibilità fra identità ebraica e italiana.
Il 1937 vide la pubblicazione di vari saggi chiaramente antisemiti: Gli Ebrei in Italia di Paolo Orano; la ristampa del falso storico I protocolli dei Savi Anziani di Sion, edito da «La vita italiana» di Giovanni Preziosi; Sotto la maschera di Israele di Gino Sottochiesa; Il mito del sangue di Julius Evola, teorico del razzismo italiano.
Il libro di Paolo Orano, che ebbe vasta fama e consensi, denunciava l’assoluta incompatibilità fra identità ebraica e italiana, con un’aperta svalutazione dell’ebraismo italiano. L’autore ingiungeva agli ebrei di integrarsi completamente nella società nazionale e abbracciare la religione di Stato, in caso contrario avrebbero subito gravi conseguenze. Interessante, a questo riguardo, riportare il paragrafo in cui Orano si rivolgeva, in modo diretto, agli ebrei: «Venuta è l’ora della chiarificazione […] Ciò che io dico e chiedo è invocato da molti Israeliti d’Italia che nella persistenza dell’equivoco, nella sospensione del problema, vedono prepararsi, perché il destino è severo, risoluzioni non meno severe. È il problema che deve essere abolito. L’Italia fascista non ne vuole. Il dire di più sarebbe superfluo». Il libro non era altro che una «dichiarazione di guerra a tutto campo nei confronti degli Ebrei Italiani».
L’articolo che Emilio Radius, importante collaboratore del «Corriere della Sera», dedicò al testo di Orano (Emilio Radius, Gli Ebrei in Italia, «Corriere della Sera», 18 maggio 1937) non era una recensione classica, giacché il giornalista citava il saggio solo nella parte conclusiva del suo intervento.
L’analisi, pubblicata nella pagina culturale del giornale, si apriva con l’asserzione dell’antinomia esistente fra «romanità ed ebraismo», che poteva essere «lenita, civilmente dissimulata […] non può, se vogliamo attenerci al buon realismo delle nostre tradizioni vive, essere negata o esclusa per sempre da ogni dibattito». La «tragedia ebraica», il non aver riconosciuto Gesù come Messia, rendeva comprensibile, secondo Radius, «l’intelligenza sempre sveglia e la perenne inquietudine di quelle genti. L’una e l’altra caratteristica sembrano essere prodotte dalla stessa causa, derivare dal fatto che gli Israeliti continuano ad attendere l’evento risolutivo che per i Cristiani si verificò duemila anni or sono». A parere del giornalista, la contrapposizione con «l’anima del Cristiano, e specialmente del Cattolico o Romano, riposa su una fondamentale certezza che ha già tutti i pregi del vetusto e dell’antico: l’anima dell’Israelita, tenuta in agitazione da una promessa non ancora mantenuta, anela a un rinnovamento radicale, a un rovesciamento di valori, cerca le vie del Signore attraverso i più diversi movimenti religiosi, filosofici, scientifici e sociali e, com’è naturale, si rifiuta poi di riconoscere il nuovo Regno nel conseguimento degli scopi di quelli; […] il mito trozkiano della rivoluzione permanente, sorta di nomadismo politico, opposto al reale o al presunto stabilirsi in Russia d’una dottrina e d’una prassi statiche. Per l’uomo che fu il braccio destro di Lenin e per i suoi seguaci della stessa razza, la Russia sovietica non è più la terra di Canaan, ma una provincia dell’immenso esilio, Babilonia anch’essa!».
Nel contrapporre all’intelligenza ebraica quella latina, il giornalista faceva notare come quest’ultima possedesse «perfino la giacitura del Paese», l’Italia; non poteva affermarsi lo stesso per l’intelligenza ebraica, giudicata incapace di integrarsi in qualsiasi ambiente. Degne figlie di un’intelligenza ebraica sempre inquieta, a giudizio dell’articolista, erano le opere di Albert Einstein e di Sigmund Freud, che destavano «un senso di disagio, di smarrimento e di vertigine». È singolare che il giornalista scrivesse di un’intelligenza ebraica, quando si riferiva chiaramente ad un’identità ebraica.
Nel paragrafo conclusivo, Radius scriveva che le successive considerazioni avrebbero preso spunto dal libro di Paolo Orano. Tuttavia, osserviamo come anche la prima parte del suo contributo riprendesse molte delle tesi esposte nel saggio, per esempio il contrasto fra identità ebraica e latina, intendendo un’identità che fondeva insieme perfettamente l’appartenenza alla religione cattolica ed all’Italia, la svalutazione dell’ebraismo.
L’analisi sopra esposta, continuava il giornalista, riguardava in modo marginale gli ebrei italiani, poiché «la scarsità numerica degli Israeliti, la condizione di cui godono, la loro indole placata dall’assuefazione fatta a una vita aperta e sicura, la saldezza etica e l’equità del Regime fascista, la chiarezza e la generosità del Concordato, ci fanno ragionevolmente sperare che non si abbiano a registrare nemmeno nell’avvenire cause di attrito». È importante ricordare che il Governo fascista, dopo la firma del Concordato, sottopose i culti non cattolici, definiti culti ammessi nel Regno, a regole molto rigorose e a forti limitazioni per quanto concerneva l’organizzazione interna.
Le comunità ebraiche italiane erano esortate ad opporsi con efficacia ad «un’organizzazione internazionalistica, un mito tutt’altro che limpidi e, comunque, non soltanto contrari, ma diametralmente contrari agli sviluppi e ai presupposti della politica italiana del Mediterraneo e dell’Oriente […] l’ormai famoso sionismo». Il sionismo, strumento indiretto di dominio britannico, era quindi incompatibile con gli interessi italiani.
Radius concludeva domandando esplicitamente alle comunità ebraiche italiane se avessero vagliato con attenzione il loro appoggio alla causa sionista, considerata un errore, «una pietra d’inciampo». In modo perentorio, il giornalista intimava agli Ebrei Italiani di troncare ogni rapporto con il sionismo, così da giovare, piuttosto che nuocere, all’Italia.
La linea editoriale antisionista del «Corriere della Sera» si era già evidenziata in precedenza, per poi conoscere un’amplificazione durante la campagna antisemita che accompagnò le Leggi razziali.
La prima dichiarazione ufficiale del regime fascista sulla questione ebraica consisté nella diffusione alla stampa dell’Informazione diplomatica numero 14, il 16 febbraio 1938; si trattava della risposta del regime agli articoli di vari giornali stranieri che denunciavano il crescente antisemitismo in Italia. La nota iniziava affermando che «l’impressione che il Governo fascista sia in procinto di inaugurare una politica antisemita […] è completamente errata e si considerano le polemiche come suscitate soprattutto dal fatto che le correnti dell’antifascismo mondiale fanno regolarmente capo a elementi ebraici», continuava negando l’avvicinarsi di «misure politiche, economiche, morali contrarie agli Ebrei in quanto tali». Nella conclusione si precisava che «il Governo fascista si riserva tuttavia di vigilare sull’attività degli Ebrei venuti di recente nel nostro Paese e di far sì che la parte degli Ebrei nella vita complessiva della Nazione non risulti sproporzionata ai meriti intrinseci dei singoli e all’importanza numerica della loro comunità». L’Informazione diplomatica fu pubblicata, su ordine del Ministero della Cultura Popolare, da tutti i giornali in prima pagina, su una colonna, senza commenti. Il «Corriere della Sera» non fece eccezione.
♦
Per saperne di più
Anonimo, La situazione degli Ebrei in Italia in una precisazione dell’«Informazione diplomatica», «Corriere della Sera», 17 febbraio 1938.
Enzo Collotti, Il fascismo e gli Ebrei. Le Leggi razziali in Italia, Roma-Bari, Laterza, 2006.
Michel David, La psicanalisi nella cultura italiana, Torino, Bollati Boringhieri, 1970.
Daniela Franceschi, A dieci anni dalla Dichiarazione Balfour. Antisionismo un po’ confuso nel fascistizzato «Corriere della Sera», «Il tempo e l’idea», settembre-ottobre 2004, pagina 112.
Daniela Franceschi, In sostegno alle rivolte arabe in Palestina. L’antisionismo nel fascistizzato «Corriere della Sera», «Il tempo e l’idea», seconda metà di dicembre 2004, pagine 183-184.
Meir Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, Milano, Comunità, 1982.
Michele Sarfatti, Mussolini contro gli Ebrei. Cronaca dell’elaborazione delle Leggi del 1938, Torino, Zamorani, 1994.
Emilio Radius, Gli Ebrei in Italia, «Corriere della Sera», 18 maggio 1937.
Angelo Ventura, La persecuzione fascista contro gli Ebrei nell’università italiana, in «Rivista storica italiana», (1997), fascicolo I.