PROVINCE UNITE: LA RICCHEZZA COME STRATEGIA

di Massimo Iacopi -

Con il termine “Paesi Bassi” veniva designato, agli inizi del Rinascimento, un insieme di sette Province che coprivano approssimativamente il territori attuali del Belgio, dell’Olanda e del Lussemburgo. Riunite dal duca di Borgogna, erano entrate a far parte dei domini degli Asburgo di Spagna. Nella seconda metà del XVI secolo, una parte di esse si ribellò al dominio spagnolo, fondando un nuovo Stato che ben presto rivaleggerà con la più grandi potenze nella costruzione di un impero mondiale.

Paesi Bassi sono, nel XVI secolo, una delle regioni d’Europa in cui la percentuale di abitanti che sa “leggere e scrivere” è fra le più elevate d’Europa (almeno il 25 della popolazione) e dispongono sul loro territorio rinomati centri universitari come Lovanio o Utrecht, oltre ad essere la terra natale del grande umanista Erasmo da Rotterdam. Questo fatto spiega da un lato la forte penetrazione del Protestantesimo, visione più individuale e più intellettuale del Cristianesimo e, dall’altro, la spartizione del potere politico fra i rappresentanti de re e delle assemblee locali, gli Stati Provinciali e Regionali.

Calvinismo e “Democrazia”
La Spagna di Filippo II d’Asburgo Spagna sembra decisa, a partire dagli anni 1560, a limitare l’autonomia dei Paesi Bassi ed a restaurare il Cattolicesimo. Nel 1565, una delegazione dei principali nobili delle Province (in quanto le istituzioni elettive dell’epoca erano, di fatto, monopolizzate dalle grandi famiglie borghesi ed aristocratiche) non può evitare la repressione diretta da Don Fernando Álvarez de Toledo y Pimentel, terzo Duca d’Alba e provocata da una spinta di violenze iconoclaste, fomentate dai calvinisti. Gli Olandesi fanno risalire l’inizio della loro guerra d’indipendenza, la cosiddetta “Guerra degli 80 anni” (1568-1648), con la data della prima vittoria dei ribelli, guidati da Guglielmo d’Orange-Nassau, detto il Taciturno, a Heiligerlee sul duca d’Alba. Ma solo nel 1579 si produrrà la frattura nei Paesi Bassi spagnoli: in risposta all’Unione di Arras delle Province meridionali, decise a restare cattoliche e fedeli alla Spagna, le Province del Nord formeranno l’Unione di Utrecht, i cui Stati Generali, considerato che Filippo II non era più degno di essere il loro sovrano, decideranno per la formazione di una “Repubblica della Province Unite nel 1588.
Il successo finale di questi “mendicanti del mare”, così come erano stati apostrofati dagli Spagnoli, si spiega per la concomitanza di diversi fattori. In primo luogo il valore degli Olandesi, specialmente come marinai, in quanto le loro flotte commerciali e da pesca risultavano già le più attive dell’Europa – specialmente per la pesca delle aringhe, il “re dei pesci”. Ma anche il sostegno della Francia e dell’Inghilterra, pronte a sfruttare ogni occasione per controbilanciare la potenza spagnola: nel 1588, una flotta che gli Inglesi denomineranno ironicamente la “Invincibile Armada”, viene respinta nella Manica.
Occorre dire che la Spagna era costretta a disperdere i suoi sforzi sull’insieme del globo al fine di poter controllare i suoi possedimenti. Di fatto, Inglesi ed Olandesi faranno del tutto per danneggiare gli interessi coloniali ispanici e proprio gli Olandesi soppianteranno progressivamente i Portoghesi nell’Oceano indiano, in maniera provvisoria nel Brasile e l’ammiraglio Piet Pieterszoon Heyn riuscirà, nel 1628, ad impossessarsi dei galeoni che trasportavano, due volte all’anno, i carichi di metallo e beni preziosi dalle colonie spagnole e dalle Filippine verso l’Europa.

Una potenza senza strategia

Allegoria delle Province Unite, 1620

Allegoria delle Province Unite, 1620

Le Province Unite dovranno la loro indipendenza, sia alle sconfitte spagnole – fra le quali quella del 19 maggio 1643 a Rocroi, di fronte a Luigi II di Borbone Condé, quarto duca d’Enghien che contribuisce a distruggere l’immagine di invulnerabilità della “temibile fanteria dell’esercito spagnola”, sia alle loro vittorie, che saranno in maggioranza difensive. Nel 1648, alla firma del Trattato di Osnabruck (insieme a quello di Munster appartiene ai “Trattati di Westfalia” che impongono il principio dello Stato Nazione come fondamento dell’ordine giuridico e politico nell’Europa moderna), che sancisce la loro indipendenza, esso sono già diventate effettivamente una grande potenza commerciale e coloniale, e rimarranno tale fino a tutto il XVII secolo. E tutto questo nonostante le divisioni interne, sia religiose (fra calvinisti ortodossi e gli “arminiani”, che rifiutavano la predestinazione), sia politiche, fra i difensori di una concezione repubblicana e federalista, che auspicavano la conservazione di una larga autonomia degli Stati e i fautori di un potere più centralizzato e quasi monarchico, incarnato da Maurizio di Nassau, il figlio del “Taciturno”. Questi, in effetti, è stato poi nominato Stathoulder per cinque Province. Il periodo di guerra risulterà favorevole allo Stathoulder, che riesce a vincere le reticenze degli Stati ed a schiacciare provvisoriamente i repubblicani, facendo giustiziare il loro capofila Johan van Oldenbarnevelt, nel 1619. Ma dopo il ritorno alla pace e la morte di Guglielmo II d’Orange, gli Stati riassumono il controllo della situazione, lasciando vacante il posto di Stathoulder per decenni, periodo che corrisponde veramente “all’Età d’oro” olandese, anche sul piano artistico.
La potenza delle Province Unite non risulta, pertanto, la conseguenza di un progetto imperialista, guidato da una volontà politica, ma la risultante di una visione prioritariamente mercantile: fare del tutto per favorire l’arricchimento della borghesia d’affari, che aveva il controllo delle strutture “federali”. Tale atteggiamento sottintende, come sarà sostenuto da Max Weber, uno stretto legame fra la riuscita sociale e la salvezza dell’anima, ovvero il successo nella società costituisce il mezzo per ottenere la certezza della salvezza. O forse, più prosaicamente, la semplice ricerca di maggiori ricchezze ed agi e l’intuizione di una possibile ridistribuzione a cascata (ruscello) sulle classi più povere, non ancora teorizzata e che molto somiglia alla Flat Tax odierna. Esisteva, comunque, una concezione del mondo dietro questa espansione commerciale, una concezione “liberale”, nel senso pieno ed etimologico del termine, difesa specialmente dal giurista Ugo Grotius nella sua opera, Mare liberum, pubblicata nel 1609. Il suo lavoro costituisce una dissertazione sulle libertà del mare nella quale il giurista attacca il monopolio del commercio con le Indie, rivendicato dal Portogallo e la logica patrimoniale che aveva portato le potenze iberiche a dividersi il mondo nuovo (Trattati di Tordesillas, del 1494, e di Saragozza, del 1529), sotto l’alto patronato del papa spagnolo Borgia, fatto che evidentemente impressionava certamente un paese diventato protestante.
Lo strumento di questa potenza “apolitica” è stata logicamente una impresa commerciale: la Compagnia unificata delle Indie Orientali, conosciuta con l’acronimo olandese di VOC. Come evidenziato dallo stesso nome, la VOC risultava dalla fusione di diverse Compagnie anteriori, che avevano iniziato a contestare il monopolio portoghese nei collegamenti con l’Asia del Sud Est. Dopo diversi tentativi bloccati, gli Olandesi riescono, fra il 1598 ed il 1602, ad inviare 65 navi nell’Oceano Indiano, da dove alcuni battelli si spingeranno fino in Cina e nel Giappone, ottenendo guadagni che arriveranno fino al 265% sulle merci trasportate. Per evitare un concorrenza che poteva rischiare di diminuire fortemente i profitti, saranno gli Stati Generali delle Province Unite, e dunque il loro “Parlamento”, che nel 1602, imporranno la fusione dei concorrenti, dando origine al nuovo soggetto commerciale ed al suo statuto.
La VOC non smetterà da quel momento di ricevere privilegi commerciali, ma anche diplomatici, che l’autorizzano a trattare con gli Stati sovrani ed a mantenere un vero e proprio esercito privato, prefigurando in tal modo le compagnie di sicurezza, recentemente ingaggiate dall’esercito americano per assicurare determinate operazioni militari in occasione dei sui interventi all’estero. Agli inizi degli anni 1670, la VOC risulta alla testa di ben 150 bastimenti di commercio e di 40 navi da guerra. Basti considerare che nello stesso periodo la marina di Luigi XIV, il Re Sole, ne conta appena qualcuna di più, prima che nel 1672, il ministro Jean Baptiste Colbert incrementi la sua consistenza a circa 120 battelli. L’esercito della VOC comprende più di 12 mila soldati, necessari per la polizia sui suoi battelli e per la protezione dei suoi stabilimenti commerciali, una organizzazione che, all’occasione, poteva trasformarsi in uno strumento offensivo, come nel caso della progressiva conquista dell’Indonesia (fondazione di Batavia nel 1619 e conquista di Malacca nel 1641).

Talassocrazia e capitalismo
La VOC è stata un vero e proprio braccio armato dell’espansionismo olandese nell’Oceano Indiano, imponendo progressivamente ai sovrani locali, dalle coste dell’India a quelle della Malesia e dell’arcipelago indonesiano, un monopolio sulle esportazioni di spezie (del pepe in particolare) e di tessile, produzioni di grande interesse per gli Europei. La compagnia assicura ugualmente una grande parte del “commercio verso le Indie”, che oggi chiameremmo “scambi interregionali, al quale alla fine del XVII secolo erano addette circa un centinaio di navi. La VOC ha finanziato, fra il 1642 ed il 1644, le esplorazioni di Abel Tasman nel sud dell’Oceano Indiano e nell’Ovest del Pacifico, scoprendo oltre all’isola di Mauritius anche la Tasmania, la Nuova Zelanda, le Tonga o le Figi. La VOC risulta, di gran lunga, la più importante compagnia commerciale del tempo: alla sua costituzione, il suo capitale equivaleva a 60 tonnellate d’oro, ovvero 10 volte di più della sua rivale inglese. Essa è stata, inoltre la prima grande società anonima della storia, con un capitale diviso in azioni di 3 mila fiorini, detenute da poco più di 300 azionari e quotata alla Borsa di Amsterdam. L’organo supremo di direzione della VOC era il Consiglio dei 17 Signori, di cui 8 rappresentanti della città di Amsterdam, che si riuniva ordinariamente tre volte all’anno.
Se la VOC apparteneva ad Olandesi ed era diretta da “nazionali”, essa può essere comunque considerata come la prima compagnia “transnazionale” della storia nella misura in cui le sue operazioni avevano come contesto territoriale l’oltremare. Essa di dedica essenzialmente ad una attività commerciale, senza una vera colonizzazione, se si considera come eccezione la fondazione della Colonia del Capo, la punta meridionale dell’Africa, nel 1652, per consentire uno scalo sulla “Rotta delle Indie” e per soccorrere le navi colpite da naufragio nei suoi pericolosi dintorni (all’origine dell’attuale Africa del Sud e del suo popolamento di “Afrikaners”, discendenti, appunto dei coloni olandesi e anche protestanti francesi). Per contro, il suo equivalente per le Indie “occidentali” cercherà in primo luogo di impiantarsi nell’America del Nord e nelle Antille (creando, fra gli altri, la Nuova Amsterdam nell’isola di Manhattan). Ma questa WIC non raggiungerà mai lo sviluppo della sua omologa orientale; essa perderà una parte dei suoi possedimenti – fra i quali al futura New York – a partire dalla seconda guerra anglo-olandese e cesserà la sua attività nel 1674.
Non è per puro caso se queste grandi compagnie siano nate nei Paesi Bassi, dove sono stati messi a punto alcuni strumenti essenziali del capitalismo: se la banca è apparsa in Italia ed in Lombardia nel corso del Medioevo e se la pratica del finanziamento partecipativo per le spese delle spedizioni marittime esisteva già a Venezia, le società per azioni e le “Borse” dei valori sono state effettivamente inventate nelle Fiandre: il termine e la sua relativa pratica appare a Bruges agli inizi del XV secolo e la Borsa di Anversa è attestata da documenti del 1531, in attesa della creazione, nel 1611, di quella di Amsterdam.
E’ anche nella capitale olandese che è stata fondata, nel 1609, una banca pubblica, controllata dalla municipalità, la Wisselbank, dotata del monopolio del cambio e primo esempio di una banca di deposito. Il capitalismo olandese associava strettamente interessi privati e potenza pubblica, anche se quest’ultima appariva largamente sotto il controllo ed al servizio dei primi.

Una fragile età dell’oro
Il dominio dei Paesi Bassi agli inizi del XVII secolo si è avvalso della concomitanza di favorevoli circostanze. Mentre la Spagna egli Imperiali risultavano occupati altrove dalla Guerra dei Trent’Anni, l’Inghilterra va incontro ad un periodo di regressione, rispetto al periodo elisabettiano, specialmente suo mari, durante il regno di Carlo I Stuart, marcato da scontri politici e religioso e culminato da due guerre civili (1942-45 e 1648-49) e nell’esperienza repubblicana (1648-1653), sotto Olivier Cromwell. Per quanto concerne la Francia, scossa dalle convulsioni di due Reggenze e dalla Fronda, essa non ha potuto rivaleggiare con la prima potenza marittima del tempo, alla quale forniva il suo sostegno nella sua lotta anti imperiale. Localmente, infine, la rivolta contro la Spagna comporterà la rovina di Anversa, messa a sacco nel 1576 ed in parte abbandonata dai suoi abitanti verso le Province Unite, che contribuiranno a bloccare le bocche dell’Escaut a partire dal 1585; l’asfissia di questo porto importante ed il declino del principale polo economico dei Paesi Bassi, faciliterà l’ascesa di Amsterdam.
L’età d’oro delle Province Unite restava comunque fragile, in quanto la base territoriale dello stato era decisamente vulnerabile: poco tempo dopo la sua indipendenza ufficiale, la giovane nazione si trova coinvolta in due guerre contro l’Inghilterra, la cui potenza marittima di rinforza a seguito degli Atti di Navigazione del 1651; queste leggi sono dei provvedimenti protezionistici destinati a finanziare la costruzione di una marina da guerra. Con queste leggi, gli Inglesi impongono un monopolio alle navi inglesi per le importazioni e contemporaneamente minacciano l’attività della flotta olandese che, all’epoca, assicurava una gran parte dei noli del commercio internazionale in Europa (il 70% del commercio nel Baltico, ad esempio). Le Province Unite usciranno da questo confronto senza grandi danni grazia all’opera di eccezionali ammiragli, come Maarten Tromp e Michiel de Ruyter. Quest’ultimo infligge alla Royal Navy una sconfitta ed una umiliazione memorabile con il suo raid del giugno 1667 nell’estuario del Tamigi. E’ a quel punto che l’Inghilterra prende coscienza della vulnerabilità di Londra e comprende che per il futuro non dovrà mai lasciare ad una forte potenza navale il controllo della facciata nord del mare del Nord e specialmente delle bocche dell’Escaut.
Nel 1672, l’alleato francese, già impegnato in una guerra doganale dal 1667, cambia atteggiamento e combina un’offensiva terrestre con la terza guerra anglo-olandese sul mare. L’attacco francese risulta fatale per i repubblicani, il Grande Pensionario (carica a mezza strada fra il Primo Ministro e il Ministro degli Affari Esteri) Jan de Witt e suo fratello vengono massacrati dalla folla di scontenti e la carica di Stadhoulder viene ristabilita a vantaggio di Guglielmo d’Orange. L’ammiraglio Ruyter riesce a produrre ancora miracoli, come nella zona di Texel, dove riesce ad allontanare la minaccia di uno sbarco, mentre l’invasione terrestre viene bloccata al prezzo dell’inondazione di polders recentemente guadagnati al mare. Ma il sud del paese risulterà devastato ed i conflitti interni contribuiscono ad indebolire la Repubblica: lo Stadhloulder spedisce l’ammiraglio de Ruyter, amico di De Witt, nel Mediterraneo, dove viene battuto dall’ammiraglio Abraham Duquesne nella battaglia di Augusta (nota anche col nome di Agosta) e muore a seguito delle ferite riportate in combattimento (22 aprile 1676). La politica estera dei Paesi Bassi si appiattisce sempre di più su quella dell’Inghilterra, specialmente da quando lo Stadhoulder Guglielmo III d’Orange Nassau accede al trono di Inghilterra con sua moglie Maria Stuart, al posto del suocero Giacomo II Stuart, a seguito della “Gloriosa Rivoluzione”.
Il XVIII secolo sarà quello del declino delle Province Unite, irrimediabilmente superate su piano navale dall’Inghilterra ed obbligate ad appoggiarsi a potenze protettrici, per scongiurare l’incombente minaccia francese, ovviamente l’Inghilterra, ma anche la Prussia per scelta di Guglielmo IV d’Orange Nassau, che ottiene la reintroduzione della carica di Stadhoulder, dopo una nuova vacanza di 45 anni con due novità: la carica di estende a tutta la Repubblica, diventando ereditaria e preparando la strada per la monarchia. I Repubblicani, diventati “patrioti”, tenteranno di contrastare la politica conservatrice di Guglielmo IV, ma una disastrosa quarta guerra anglo-olandese (1780-1784) e l’intervento prussiano metteranno fine ad un inizio di rivoluzione. L’occupazione del Paese da parte della Francia a partire dal 1795 e la dissoluzione della VOC nel 1799, verranno a confermare il passaggio in secondo piano della potenza olandese, che conserverà tuttavia una gran parte del suo impero coloniale fino all’indomani della seconda Guerra Mondiale.

Per saperne di più
Israël, J.I., The Dutch Republic: Its Rise, Greatness, and Fall 1477–1806. Oxford: Clarendon Press, 1995
Reynolds, Clark G., Navies in History. Annapolis: Naval Institute Press, 1998
Schama, Simon, The Embarrassment of Riches: An Interpretation of Dutch Culture in the Golden Age. New York: Random House USA, 1988