“ORO, ORO, ORO!” E COSÍ NACQUE LA CALIFORNIA

di Matteo Sommaruga -

Nel 1848 un giornale statunitense diede la notizia: “vicino a San Francisco trovate scaglie del nobile metallo”. Partirono in migliaia in una folle corsa all’oro. Due anni dopo venne costituito il 31° stato degli USA

(Da Storia in Network n. 51, gennaio 2001) Quando il 15 marzo del 1848 il The Californian riportò la notizia del rinvenimento di scaglie d’oro lungo il corso dell’American River, a San Francisco pochi vi prestarono credito. Ma quando le voci della scoperta furono confermate con i fatti, la febbre dell’oro si propagò attraverso gli Stati Uniti e diede inizio alla più grande epopea della storia americana. Solo una minoranza fra le migliaia di avventurieri che giunsero sulle sponde del Pacifico in cerca di fortuna poté realizzare le proprie speranze, ma il loro contributo fu determinante per la nascita dello Stato della California e il rapido sviluppo di quella che fino a pochi anni prima era stata una provincia messicana.
Il 23 marzo del 1846 gli Stati Uniti avevano dichiarato guerra al Messico in seguito a uno scontro di frontiera che vide la morte di alcuni soldati americani. Mentre il commodoro John Drake Sloat aveva ricevuto l’incarico di prendere possesso della California, John Fremont, un avventuriero che si sarebbe in seguito distinto per il tentativo di portare la bandiera a stelle e strisce a Cuba e in America Centrale, proclamò l’istituzione della Repubblica della California. Al suo seguito si unirono i coloni di lingua inglese, di lì a poco inquadrati nel California Battalion. Il sette luglio i marine di Sloat avevano occupato Monterey, due giorni dopo il governatore Vallejo era stato preso prigioniero, lo stesso giorno il capitano Montgomery sbarcava a Yerba Buena. La penisola poteva essere considerata sotto il controllo americano.

James Marshall nel 1884

James Marshall nel 1884

Negli stessi giorni, sempre a Yerba Buena erano sbarcati 230 Mormoni che, a bordo della Brooklyn, un veliero a tre alberi, erano salpati dal porto di New York ai primi dell’anno. Con loro si congiungevano un’altra colonna di pellegrini giunti via terra dall’Illinois. A capo della spedizione era l’allora ventiseienne Samuel Brannan, editore, uno dei principali protagonisti della corsa all’oro e del boom economico degli anni che seguirono. A lui si deve, a metà del 1847, il primo quotidiano di Yerba Buena, il California Star, stampato con la macchine da cinque tonnellate che aveva portato con sé da New York. In quello stesso anno Yerba Buena fu rinominata, per ordine del nuovo Alcade, il tenente di marina Bertlett, San Francisco.
La città, settantanove edifici in tutto di cui solo 26 in mattoni, perdeva sempre più le caratteristiche che la legavano alla passata dominazione spagnola e adottava rapidamente le tradizioni importate dall’Est. Così come il resto della California che il 2 febbraio del 1848, con il Trattato di Guadalupe Hidalgo, entrò ufficialmente a far parte degli Stati Uniti. Quasi una settimana prima, il 24 gennaio, James Wilson Marshall e Peter L. Wimmer, impegnati nella costruzione di una segheria lungo il corso dell’American River, a 25 chilometri a nord est di Sacramento, erano stati gli involontari protagonisti di quel primo celeberrimo rinvenimento che avrebbe di lì a poco accelerato, se non mutato, il destino dell’intera regione. Marshall era un carpentiere originario del New Jersey.

Johann Sutter nel 1866

John Sutter nel 1866

Le cronache dell’epoca lo descrivono come un uomo rozzo e totalmente privo di un qualsiasi livello di istruzione, pur elementare, ma ingegnoso e particolarmente dotato nel lavoro manuale. Uno schizzo realizzato al momento della scoperta, ritrae la figura di un uomo di corporatura robusta, il volto coperto da una folta barba. Rimasto disoccupato, ma avendo una certa esperienza anche nella costruzione di grossi macchinari, propose a John A. Sutter che, in cambio del sostentamento, avrebbe esplorato la Sierra Nevada alla ricerca di un sito adeguato alla costruzione di una segheria.
Anche se il suo nome non fosse stato legato alle origini della corsa all’oro, Sutter avrebbe ottenuto comunque, con tutta probabilità, una pagina sui libri della storia americana. Di origine svizzera, si era trasferito nell’Ovest nel 1839 dove, a partire dal suo arrivo, aveva preso parte ai principali traffici commerciali dell’intera regione, stabilendo il cuore del suo centro economico a New Helvetia, un forte alla confluenza fra il Sacramento e l’American River. Da lì aveva intrapreso una serie di attività, ma il commercio e il trattamento delle pelli erano probabilmente la più fiorente.
Al suo seguito alcune centinaia di indiani e una cinquantina di kanaka, aborigeni originari delle Isole Sandwich. Quando conobbe Marshall aveva già concepito l’idea di sviluppare una serie di segherie alle pendici della Sierra Nevada, dove il legname da costruzione, la cui richiesta era in costante crescita, era abbondante. Il ruvido carpentiere individuò una posizione favorevole in una località che i nativi chiamavano Culloomah e, il 19 agosto del 1847, il finanziere svizzero e il carpentiere americano conclusero l’accordo che li vedeva soci nella realizzazione del nuovo impianto. Peter L. Wimmer fu assunto alcune settimane dopo, assieme alla moglie, una cuoca, e ai figli, con l’incarico di coordinare le squadre degli operai. Il lavoro non sarebbe però mai stato portato a termine.

La segheria di Sutter a Coloma

La segheria di Sutter a Coloma

Verso la fine del gennaio del 1848 il letto del fiume si era rivelato poco profondo, insufficiente per il funzionamento del macchinario e Marshall decise di sfruttare la corrente del corso d’acqua per rimuovere lo strato di terra necessario. La mattina del 24 gennaio, osservando i sedimenti lasciati dal flusso d’acqua non poté però fare a meno di osservare il luccichio di alcune pietruzze colpite dai raggi del sole. Per lo più erano cristalli abbastanza comuni, ma a incuriosire i due operai furono le schegge di un materiale del tutto simile all’oro. Wimmer si rivelò più scettico e pensò a un minerale di scarso valore, Marshall, dopo averne testata la duttilità, iniziò a sospettare si trattasse effettivamente di oro. La sera stessa si precipitò a New Helvetia e quando vi giunse trovò il capitano Sutter impegnato con la corrispondenza.
L’agitazione dell’uomo fece intendere al più esperto uomo d’affari che doveva avere avuto luogo un fatto di estrema gravità e, come testimonia lo stesso Sutter in una memoria, il primo istinto fu di afferrare un fucile. Ritiratisi in una stanza privata Marshall mostrò al finanziere svizzero i reperti rinvenuti quella mattina. Questi non aveva precise conoscenze in merito, ma, aiutandosi con i volumi dell’Enciclopedia Americana e alcuni prodotti conservati nello studio del farmacista, non poté che confermare la tesi del carpentiere. Il quale, nonostante le piogge intense, affrontò il viaggio di ritorno, circa quaranta miglia lungo un percorso accidentato e coperto dal fango, la notte stessa. Il mattino seguente, alle sette, Sutter e un indiano del forte si incamminarono a loro volta verso Coloma. Sulla strada incontrarono Marshall, cui l’emozione della scoperta aveva impedito di prendere sonno. Se l’operaio era felice, l’uomo d’affari svizzero era invece di tutt’altro avviso perché aveva previsto, e i fatti gli diedero ragione, che i suoi dipendenti avrebbero presto abbandonato il proprio lavoro di fronte alla prospettiva di un facile guadagno. Chiese solo che il ritrovamento fosse mantenuto segreto per sei settimane, il tempo sufficiente per permettergli di ultimare una segheria in cui aveva investito 25.000$. Ma non fu così. La moglie di Wimmer rivelò il segreto a un carrettiere appena giunto dal forte con i rifornimenti. Questi ottenne alcuni campioni e, tornato a New Helvetia, li volle utilizzare per acquistare del brandy da Smith & Brannan. Smith in un primo momento non volle credergli, ma Sutter, seppur con amarezza, non negò che l’oro era stato effettivamente rinvenuto due settimane prima.

La notizia si propagò per l’intera valle e, secondo le previsioni, nel giro di pochi giorni tutti gli impiegati del finanziere svizzero lo avrebbero abbandonato in cerca di fortuna. I lavori alle segherie furono interrotti e alla conceria non toccò sorte migliore. Le pelli che ancora dovevano essere trattate marcirono e a Sutter, sull’orlo della rovina, non rimase che andare a sua volta in cerca di un ricco giacimento con un seguito di cento indiani e dei 50 karaka. La ricerca si rivelò infruttuosa, mentre Coloma, New Helvetia e le pendici della Sierra Nevada, un territorio fino ad allora in gran parte inesplorato, venivano improvvisamente invasi dai cercatori.
Il fenomeno rimaneva però ancora circoscritto all’area locale perchè le poche notizie giunte fino alla costa non avevano ancora trovato conferma. L’articolo apparso il 15 marzo sulle pagine del The Californian venne confermato dieci giorni dopo dal California Star, ma quando un inviato del quotidiano fondato da Sam Brannan giunse a Coloma non vi trovò riscontro. I cercatori più fortunati avevano scelto di tentare la sorte nelle zone ancora inesplorate, mentre rimanevano coloro che erano stati spinti dall’insuccesso a riprendere il lavoro abbandonato.
Quando però il 12 maggio Sam Brannan giunse a San Francisco con una bottiglia di polvere d’oro, frutto del commercio con i cercatori, la febbre contagiò l’intera California. La popolazione di San Francisco, secondo una colonna pubblicata il 18 marzo dal California Star, contava 575 uomini, 177 donne e 60 bambini. In poco più di un mese non rimasero che cinque uomini, poco dopo anche loro partirono lasciando il paese nelle mani del gentil sesso. Il 29 maggio il The Californian dedicò un articolo alla carenza di manodopera lamentata lungo l’intera costa, ma nello stesso numero il celebre quotidiano annunciò la chiusura delle pubblicazioni. La stessa sorte accadde al California Star.

Pionieri in cerca dell'oro

Un gruppo di cercatori d’oro

L’abbondanza dei giacimenti avevano spinto l’intero personale di entrambe le testate a preferire gli scavi alla cronaca. Sorte non migliore toccò a alcuni piroscafi che, una volta giunti nella Baia, non furono più in grado di salpare perché l’intero equipaggio aveva disertato. Nella regione di Coloma la scarsità di lavoro spingeva i committenti a offrire fino a 10$ al giorno per la manodopera non specializzata, 50$ a un carpentiere, e l’oro rinvenuto garantiva ai cercatori una entrata media di 20$ giornalieri. Che poteva salire anche a più di 100$ nei casi più fortunati. Oltretutto il rinvenimento di una vena, che non avveniva troppo raramente, poteva garantire anche 10,000$.
Una cifra per i tempi del tutto ragguardevole, tale da indurre il governo degli Stati Uniti a affidare al colonnello Richard Barnes Mason (altre fonti riportano il grado di generale ) una visita di ispezione ai campi minerari. Mason giunse a San Francisco il 20 giugno, il 2 luglio era a Fort Sutter. Il 17 agosto, al termine della missione, descrisse, in un dettagliato rapporto, l’atmosfera di quei primi mesi della corsa all’oro. Da cui trassero giovamento soprattutto i commercianti perché l’abbondanza di denaro assieme alla scarsità di manodopera aveva fatto lievitare i prezzi. Il grano era quotato a 36$ il sacco, e probabilmente non si sarebbe arrestato che a 50$. Anche gli agricoltori avevano abbandonato i campi, fatta eccezione per Sutter il quale, pur rovinato per il fallimento del commercio delle pelli e del legname, aveva immagazzinato quasi 40.000 sacchi di frumento.

Le voci sulla scoperta dell’oro in California si stavano facendo insistenti anche all’Est, e il 19 agosto furono riportate sulle pagine del New York Herald. La conferma ufficiale giunse il 5 dicembre attraverso un messagio, basato sul rapporto di Mason, che lo stesso presidente Polk si premurò di inviare al Congresso. “Il resoconto dell’abbondanza d’oro è di un carattere così straordinario che sarebbe difficilmente creduto se non trovasse riscontro nell’autenticità dei rapporti degli inviati del Governo”, scrisse lo statista americano.
La diffusione della notizia sulla sponda del Pacifico contribuì a risolvere l’ormai endemica scarsità di manodopera lamentata in tutta la California con l’afflusso massiccio di immigrati. Non solo dagli Stati Uniti, ma anche dal Cile e dalla Cina, che, non essendo ancora stato realizzato il canale di Panama, si trovavano più vicini a San Francisco di quanto non lo fosse New York. Il due febbraio del 1848 i primi sudditi del Celeste Impero che avrebbero contribuito a colonizzare gli stati dell’Ovest, salparono a bordo della Big Eagle, un veliero a tre alberi battente bandiera americana.
Gli orientali si rivelarono buoni lavoratori, imparavano in fretta, si rendevano disponibili per gli impieghi dove era richiesto personale e, nelle zone aurifere, preferivano scavare nei giacimenti abbandonati dai cercatori di razza bianca. Per circa un anno furono ben voluti, ma quando, a partire dalla fine del 1849, i campi e le miniere non furono più produttivi, I minatori americani cacciarono i francesi, i messicani e i cileni. I cinesi non furono meno fortunati perché i campi abbandonati, di nuovo produttivi grazie al loro impegno, furono rivendicati dai precedenti proprietari e, nella maggior parte dei casi, dovettero arrendersi alla legge del più forte. Il risentimento di alcune frange estremiste, che reclutavano sostenitori in larga parte fra i minatori, sfociò in una serie di incidenti e problemi di ordine razziale che si risolsero solo nel giro di alcuni decenni.

Veduta di San Francisco intorno al 1850

Veduta di San Francisco intorno al 1850

Nel frattempo però la costa andava ripopolandosi e San Francisco, il 31 dicembre del 1849, quando ormai l’afflusso di nuovi minatori veniva bilanciato da quei cercatori che abbandonavano i giacimenti ormai esauriti, contava circa 100.000 abitanti. Di costoro circa 35.000 erano giunti via nave e 42.000 via terra. Si aggiungevano 3.000 marinai che avevano disertato per raggiungere i campi sulla Sierra Nevada e molte altre migliaia di avventurieri. Molte altre migliaia ancora di coloro che partirono per la terra dell’oro non vi sarebbero mai giunti. A chi proveniva dalla sponda atlantica degli Stati Uniti, il viaggio verso la California si poteva presentare infatti non solo lungo, ma anche estremamente pericoloso.
La via più semplice rimaneva quella marittima. Doppiando Capo Horn, con una spesa non superiore a 150$ a testa. Era però la più lunga e quando un’imbarcazione impiegò 112 giorni da New York a San Francisco fu considerato un record. Un’alternativa era il passaggio attraverso l’Istmo di Panama. Il canale sarebbe stato aperto alcuni decenni più tardi, ma esisteva la possibilità di attraversare il tratto di terra a piedi e raggiungere una nave diretta verso la California una volta sulle sponde del Pacifico. Il che non era sempre semplice perché l’Istmo era un territorio ancora inesplorato e infido, e non sempre si aveva la certezza di trovare un bastimento dalla parte opposta. Per via terra, le carovane dirette in California partivano invece dal Missouri. Franklin, Kansas City, St. Joseph e Nebraska City accoglievano i pionieri e i loro empori li rifornivano del materiale necessario.

Si impiegavano da 16 a 22 settimane, passando per il Nebraska, attraversando le Montagne Rocciose, costeggiando le sponde del Gran Lago Salto per arrivare a Sacramento lungo quella che passò alla storia come l’Oregon-California Trail. Fu sicuramente la via più pericolosa perchè, se nel solo 1849 fu utilizzata da circa 27mila fra coloni e cercatori, furono oltre 20mila coloro che nel giro di un decennio vi trovarono la morte. Di cui non più 400 in seguito a scontri con le popolazioni indigene.
Non fu solo San Francisco a beneficiare del massiccio afflusso di coloni, ma l’intera California. L’11 giugno del 1849 alcuni volantini, firmati da 59 cittadini, apparvero intorno alla città della Baia. Comunicavano la riunione che si sarebbe svolta il giorno seguente, alle 3 del pomeriggio, per l’elezione dei delegati per la Convenzione Costituzionale. All’assemblea, che si sarebbe riunita alla Colton Hall di Monterey il primo settembre del 1849, partecipò anche il generale Mariano Guadalupe Vallejo, che fino a pochi anni prima aveva coperto la carica di governatore.
La Costituzione dello Stato della California fu approvata il 13 ottobre del 1849. L’ingresso nell’Unione, come 31esimo Stato, sarebbe avvenuto il 9 settembre del 1850. Dal rinvenimento dell’oro a Coloma erano passati due anni, 7 mesi e quindici giorni.

Per saperne di più
Capt. Cutter’s account of the first discovery of the gold, Britton & Rey, San Francisco, Cal. 1854.
The discovery of gold in California, di John A. Sutter – “Hutchngs’ California Magazine”, Novembre 1857.
The gold discovery, di Theodore H. Hittel – N. J. Stone & Co., San Francisco, Cal. 1897.
Official report on the gold mines, di Richard Barnes Mason, 1848.
The discovery of gold in California as viewed by New York and London, di Dean Albertson, in “The Pacific Spectator”, Vol. III, Numero I, Berkley, Cal. 1949.
Three years in California, di Walter Colton – H. W. Derby Co., Cincinnati 1850.
The gold rush, di Jacques Antoine Moerenhout, console di Francia a Monterey – Canton R. Kennedy, S. Francisco, Cal. 1935.