NOVEMBRE 1918, TRIESTE È ITALIANA
di Massimo Iacopi -
La città era stata reclamata fin dalla fine del XIX secolo per la presenza maggioritaria di popolazione italiana. Ma l’arrivo delle nostre truppe non pone fine a una stagione di aspri contrasti nazionalistici, che di fatto si trascinerà fino alla fine del successivo conflitto mondiale.
Il 3 novembre 1918, intorno alle ore 16.00, una flottiglia di quattro cacciatorpediniere italiane esce dalla bruma ed entra nel porto austriaco di Trieste davanti ad una folla entusiasta. Diverse migliaia di uomini sbarcano agli ordini del generale Carlo Petitti di Roreto, che è stato designato Governatore militare della Regione Venezia Giulia ed Istria. Egli annuncia che la vittoria è conseguita e che la guerra è finita. Più o meno alla stessa ora viene firmato l’armistizio fra l’Italia e l’Austria-Ungheria in una villa non lontana da Padova. Il cessate il fuoco viene fissato per il giorno seguente, 4 novembre, alle ore 15.00 con le truppe austriache che dovranno ritirarsi e lasciare ai loro vittoriosi avversari la possibilità di occupare i territori liberati fino alla linea del fronte del 1917 (1). Con una giornata di anticipo, l’Italia ha provveduto ad occupare Trieste, come peraltro ha fatto per Trento. L’iniziativa del Comando Supremo della conquista di Trento e Trieste seguiva una rivendicazione italiana di diversi decenni e si basava sulla logica dell’applicazione del principio delle nazionalità.
Le origini di una contesa
Trieste era sotto l’autorità degli Asburgo fin dal XIV secolo. Porto franco del regno d’Austria sull’Adriatico dal 1719, la città era collegata per ferrovia direttamente a Vienna, la capitale dell’Impero. Come tutti i possedimenti imperiali era stata coinvolta nella guerra scatenata nell’agosto 1914, a seguito dell’assassinio del granduca Ferdinando d’Asburgo, commesso a Sarajevo il 28 giugno 1914. In tale contesto, sin dall’agosto del 1914 i Triestini vengono mobilitati nelle truppe imperiali sul fronte russo.
Da parte sua, il Regno d’Italia, sebbene alleato dell’Austria nella Triplice Alleanza, non aveva ritenuto imperativo, ai termini del trattato, l’intervento nel conflitto e non aveva voluto impegnarsi nella guerra prima di avere avuto assicurazioni per ricevere in contropartita il Ticino, la Venezia Giulia e l’Istria. Il netto rifiuto dell’Austria e la promessa di Gran Bretagna, Francia e Russia, di soddisfare buona parte di questa esigenza in un trattato segreto, firmato a Londra il 26 aprile 1915, aveva portato l’Italia ad entrare in guerra a fianco dell’Intesa nel maggio 1915. All’improvviso, gli Austro-ungarici si videro costretti ad aprire un nuovo fronte di guerra inatteso e a stabilizzarlo a una trentina di chilometri da Trieste.
Dal maggio 1915 al novembre 1917, si svolgono in successione, intorno al fiume Isonzo e sul Carso, ben 12 battaglie, con un bilancio di 500 mila morti, senza che nessuno riesca ad ottenere una vittoria decisiva. L’eco delle cannonate del fronte arrivavano sino al centro della città, che subisce ripetuti bombardamenti aerei. Le condizioni di vita della popolazione inizia a peggiorare, tanto più che l’attività portuaria è sostanzialmente bloccata e che le relazioni con l’hinterland austriaco risultano interrotte dalla conquista italiana di Gorizia.
La situazione è aggravata dalla natura cosmopolita della città, dove convivono, fianco a fianco, più culture rivali. La maggioranza degli 220 mila Triestini sono italofoni e molti sono favorevoli all’Italia (2). Diverse migliaia di giovani sono passati clandestinamente nell’esercito italiano, con il rischio di dover combattere contro membri di alcune loro famiglie, rimaste fedeli all’imperatore, o contro vicini di quartiere appartenenti all’importante minoranza slovena. Questi ultimi (poco meno di un quarto della popolazione) abitano anch’essi nella città da molto tempo e costituiscono, a quel tempo, uno dei sostegni locali dell’amministrazione imperiale. Una parte degli effettivi del 97° Reggimento di Fanteria imperiale e reale, reclutati fra gli Sloveni, i Croati e gli italofoni della regione (fra cui anche i Triestini), è rimasta sul posto, mentre la maggioranza viene inviata in Galizia contro l’esercito russo.
Nel novembre 1917 la sconfitta di Caporetto (attuale Kobarid in Slovenia), allontana il fronte, senza però attenuare la tensione fra i differenti gruppi etnici cittadini. Un anno più tardi le forze imperiali, vengono battute a Vittorio Veneto, mentre i Bulgari e gli Ottomani, alleati dell’Austria-Ungheria e della Germania, abbandonano la guerra.
Il nuovo imperatore Carlo I d’Asburgo chiede la pace agli Alleati e nello stesso tempo ipotizza, il 16 ottobre 1918, la ricomposizione dell’Impero in uno stato federale. Nel momento in cui è pronto a riconoscere l’autonomia della popolazione ceca, polacca, ungherese e slava, l’imperatore non riesce a far fronte alle rivendicazioni nazionaliste, che scoppiano a Praga, a Budapest, ma anche a Lubiana e a Zagabria. A Zagabria, il 7 ottobre, viene chiesta la creazione di un Regno degli Slavi del Sud, comprendente la Slovenia, la Croazia e la Serbia. I loro emissari, riuniti a Corfù nel luglio 1917, avevano reclamato l’integrazione dell’Istria e di Trieste nel nuovo Stato.
Gli Italiani di Trieste sono divisi. Alcuni si allarmano per lo statuto di autonomia che Carlo I preveder per la regione del litorale adriatico (Kusterland), che comprende Trieste e l’Istria. I socialisti locali non sarebbero contrari alla creazione di una città libera nell’ambito di una provincia che riunisca il Friuli e l’Istria. I liberali nazionalisti, da parte loro, si affrettano a mettere in piedi un comitato per recuperare i poteri municipali confiscati dagli Austriaci a partire dal 1915.
Il 28 ottobre 1918, il timore che i Croati possano impadronirsi della città di Fiume (oggi Rieka), a sud dell’Istria, scatena una serie di manifestazioni pro italiane: cortei di giovani circolano per le strade dove vengono esposte le bandiere italiane. Il 30 ottobre, per tutelare l’ordine pubblico in città, si costituisce a Trieste un comitato di salute pubblica che riunisce gli Italiani socialisti e i liberali nazionalisti. A questo si affianca il Comitato sloveno di Trieste, che ha avuto l’assenso di Lubiana e che propugna il riconoscimento dell’identità slovena in città. Per contro, i gruppi di germanofili non riescono ad organizzare alcuna rappresentanza, mentre il potere austriaco, incarnato dal governatore, si ritira.
Nel frattempo si amplificano problemi di ordine pubblico e di approvvigionamento, mentre bande di disertori e di ex prigionieri di guerra circolano in città e nei sobborghi. Il comitato crea una guardia civica volontaria e invia una torpediniera a Venezia, il 1° novembre, per chiedere aiuto. Il battello, che era appartenuto alla marina austriaca, parte con le bandiere italiana e slava. Quando la nave giunge a destinazione, i delegati devono preliminarmente convincere i militari italiani della loro buona fede, poiché vengono considerati inviati del nemico. Finalmente, il 2 novembre, mentre si diffondono voci circa colpi di mano contro le città italiane dell’Istria, sei idrovolanti italiani sorvolano Trieste annunciando l’arrivo delle forze italiane per il giorno dopo.
Il 3 novembre sera, il generale Petitti, insediato nel palazzo del governatore, scioglie il Comitato di Salute Pubblica, suscitando le riserve degli Sloveni che ricordano al governatore che egli esercita la sua missione non solo a nome del Re d’Italia, ma anche a nome degli Alleati. Ma questo non è ciò che vuole la maggioranza italiana, che manifesta la sua gioia e tutto il suo entusiasmo, rinnovati il 10 novembre con il rapido passaggio in città dello stesso re d’Italia, Vittorio Emanuele III.
Scontri etnici
In tal modo, l’11 novembre 1918, nel momento in cui entra in vigore l’Armistizio sul fronte occidentale, l’Italia controlla già gran parte delle terre “irredente” rivendicate sin dalla fine del 1800. Tuttavia, questa conclusione non fa altro che prolungare un conflitto che durava già da quasi 50 anni e che durerà ancora per molto tempo. Nell’immediato, la preoccupazione di Petitti è quella di regolare la vita quotidiana e la coabitazione delle comunità, ulteriormente aggravate dall’arrivo di un centinaio di migliaia di prigionieri di guerra, fra cui molti italiani catturati durante la ritirata di Caporetto e che, per questa ragione, poco considerati dalla stessa gerarchia militare. Nel resto della regione, le truppe italiane d’occupazione, che si stabiliscono fin sulla linea d’armistizio, sono mal viste dalle popolazioni slovene o croate, che temono di passare sotto il dominio italiano.
Tanto più che i “14 punti” di Wilson, con il riconoscimento dei diritti dei popoli all’autodeterminazione, impongono agli Alleati di conciliare le promesse contenute nell’accordo con l’Italia vittoriosa, che prevede di assegnarle le terre “irredente”, con le pretese dei Serbi, Croati e Sloveni di instaurare uno stato jugoslavo. Wilson limita le ambizioni italiane all’Istria, staccando Fiume, che deve entrare a far parte del regno slavo. Nel Trattato di Saint Germain en Laye, firmato il 10 settembre 1919 e che definisce la sorte dell’Austria, viene sancita anche la creazione del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, futura Jugoslavia. L’Italia si vede attribuire l’Alto Adige, Trieste e l’Istria e la città di Zara nella Dalmazia, decisamente meno di quanto pattuito: sarà questo il pretesto usato dai nazionalisti per costruire il mito della “vittoria mutilata”. Due giorni più tardi, Gabriele D’Annunzio, alla testa di una nutrita colonna di arditi, si impadronisce di Fiume.
A Trieste il governatore Petitti rimane prudente: non vuole creare martiri e propugna una coabitazione pacifica delle comunità. In un clima decisamente surriscaldato, anche per colpa degli slavofoni, ordina l’allontanamento delle persone sospette ed asseconda, per certi aspetti, quelli che reclamano l’italianizzazione dei servizi amministrativi. I germanofili ne sono le prime vittime, come anche gli Sloveni, considerati come Kaisertreu, ovvero fedeli all’impero durante la guerra.
Le continue rivendicazioni indipendentistiche slovene, inquadrate nel contesto del Regno degli Slavi del Sud, gli intrighi e le cospirazioni e gli attentati condotti nella città, spingono il Governo di Roma a una posizione più radicale. Il vescovo cattolico di Trieste e Capodistria, Andrej Karlin, di origine slovena, viene costretto alle dimissioni e sostituito dal vescovo castrense Lorenzo Angelo Bartolomasi. Il 3 luglio 1920 l’Hotel Balkan, il “Palazzo del popolo sloveno” (Narodni Dom) viene incendiato dagli squadristi italiani, mentre, nello stesso periodo altre istituzioni slovene vengono messe al sacco. Il movimento, sostenuto dai nazionalisti estremisti riguarda anche le scuole e le chiese nelle zone controllate dall’esercito italiano, dove più attiva risultava l’azione di propaganda slovena, come nell’area dei dintorni di Gorizia.
L’Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, decidono, a quel punto, di risolvere i problemi rimasti in sospeso dopo il Trattato di San Germano. Il Trattato di Rapallo, firmato dai due Stati il 12 novembre 1920, conferma al regno d’Italia la vecchia regione del Litorale (Adriatiche Kusterland), diventata Venezia Giulia e l’Istria, ad eccezione della città di Fiume, trasformata in città libera. La città di Fiume verrà poi annessa all’Italia nel 1924. Trieste diventerà oggetto di numerose attenzioni durante il periodo fascista, soprattutto nei termini di una forzata italianizzazione della popolazione slava. Il 18 settembre 1938 Mussolini giungerà a Trieste per inaugurare il colossale monumento dedicato alle vittime della guerra 1915-1918, a fianco del quale figura anche una piccola placca dedicata alla memoria delle vittime della parte austro-ungarica.
Conclusione
Nel novembre 1918 la fine della guerra a Trieste non è, in effetti, che un episodio di una lunga storia di scontri fra nazionalità che si erano sviluppati dopo il 1848 in tutta l’Europa. L’Impero austro-ungarico aveva dovuto fronteggiare a varie riprese il fenomeno, al prezzo anche di modificazioni politiche importanti. Ma l’innegabile cosmopolitismo che pervadeva tutta la società imperiale non riusciva più a mascherare, già dalla fine del XIX secolo la continua crescita delle rivendicazioni unitarie delle diverse nazionalità. L’avanzata russa nei Balcani, sancita dal Congresso di Berlino nel 1878 (3), quindi le disastrose guerre balcaniche del 1912-1913 (4), avevano confermato l’impotenza degli Asburgo nel controllare le rivalità nazionali interne. L’assassinio del 28 giugno 1914 dell’arciduca Francesco Ferdinando da parte di fautori dell’annessione della Bosnia Erzegovina alla Serbia si inserisce in questa logica di scontro di nazionalità, di cui la guerra mondiale costituirà appena un tragico momento.
Il novembre 1918 risolve solo in parte i conflitti esistenti, dando uno sbocco naturale alle aspirazioni della stragrande maggioranza degli italiani di Trieste. Le rivendicazioni slovene, gli attentati e le mire malcelate della Jugoslavia, spingono il regime fascista a una italianizzazione forzata e le violenze commesse durante la seconda guerra mondiale raggiungono l’apice nell’occupazione nazista del 1944 e nella realizzazione del campo di sterminio a San Saba. Ma non possono essere dimenticare le pesanti esazioni perpetrate dalle truppe di Tito nei 43 giorni di occupazione di Trieste, del maggio-giugno 1945. Durante tutto il periodo di occupazione jugoslava vengono effettuate dalla polizia titoista requisizioni, confische, arresti di numerosi cittadini, sospettati di nutrire scarse simpatie nei confronti dell’ideologia comunista o ritenuti inaffidabili per posizione sociale, censo, origini familiari e nazionalità. Fra questi vi furono soprattutto fascisti o collaborazionisti, ma anche combattenti della Guerra di Liberazione, semplici lavoratori, vittime di vendette personali e di odi maturati nel corso del conflitto. La massima parte degli arrestati non fece più ritorno alle proprie case. Ma soprattutto non possono essere dimenticati, i numerosi saccheggi, massacri e le esazioni perpetrate dai partigiani di Tito anche nell’Istria e nella Dalmazia, dopo la fine della guerra. Di questi eventi va rammentato, su tutti, il brutale fenomeno di pulizia etnica delle foibe (nascosto o depistato dal PCI praticamente fino al crollo del muro di Berlino) dove sono state uccise diverse migliaia di Triestini e Istriani e che ha provocato la fuga e l’emigrazione forzata di circa 300 mila istriano-dalmati.
Dopo il 1945, la regione triestina, diventata Territorio Libero di Trieste, rimarrà una zona di conflitto, inserita nel contesto della guerra fredda e, solo nel 1954, la città e parte del suo territorio amputato ritorneranno all’Italia, anche per la determinata volontà della sua popolazione. I contrasti dureranno fino al 10 novembre 1975 quando, con il Trattato di Osimo, l’Italia e la Jugoslavia hanno chiuso il contenzioso ancora in atto. In realtà, l’Italia, con il Trattato di Osimo, prende atto di una situazione di fatto dall’altra parte dell’Adriatico, non facilmente modificabile, rinunciando praticamente a tutto e soprattutto alle rivendicazioni degli istriano-dalmati, espulsi con la forza e con il terrore dal territorio istriano e dalmata. Oggi, la memoria dei Triestini scomparsi in tutte le guerre del XX secolo, ivi compresi quelli dei volontari morti nella Spagna franchista e dei deportati assassinati nei campi nazisti, viene onorata in un parco memoriale ai piedi della Cattedrale di San Giusto.
Note
(1) Vedasi su questo episodio Visintini A., L’Italia a Trieste, l’operato del governo militare italiano nella Venezia Giulia, 1918-1919, Editrice Goriziana, Gorizia, 2000;
(2) Secondo il contestato censimento austriaco del 1910 (fonte Wikipedia), su un totale di 229.510 abitanti del Comune di Trieste (comprendente anche una serie di località limitrofe al centro e dell’altopiano) si ebbe, a seguito di revisione, la seguente ripartizione sulla base della lingua d’uso:
118.959 (51,9%) parlavano italiano, 56.916 (24,8%) parlavano sloveno, 11.856 (5,2%) parlavano tedesco, 2.403 (1,0%) parlavano serbocroato, 779 (0,3%) parlavano altre lingue, 38.597 (16,8%) erano cittadini stranieri a cui non era stato chiesta la lingua d’uso (tra i quali 29.639, cioè il 12,9%, erano cittadini italiani, e 3.773, l’1,6%, erano cittadini magiari).
Sul totale della popolazione residente censita, ben 98.872 abitanti (43%) non erano nati nel comune di Trieste, ma in altri territori posti sotto sovranità austriaca (71.940 abitanti censiti, ovvero il 31,3%) oppure all’estero (26.842 abitanti censiti, pari all’11,7%). Fra questi ultimi la massima parte era nata nel Regno d’Italia (i cosiddetti “regnicoli”);
(3) Il Congresso di Berlino del 1878 fissa nuove frontiere nei Balcani ed il Caucaso; esso segna l’inizio del ripiegamento dell’Impero Ottomano essenzialmente a vantaggio della Russia;
(4) Le due guerre balcaniche nel 1912 e 1913, oppongono i paesi balcanici (Serbia, Montenegro, Bulgaria e Grecia) all’Impero Ottomano, che perde la quasi totalità dei suoi territori europei.
Per saperne di più
Ara Angelo, Magris Claudio, Trieste, un’identità di frontiera, Einaudi, Torino, 1982.
Cattaruzza Marina, Nazionalismi di Frontiera, identità contrapposte sull’Adriatico nord orientale, 1850-1950, Rubbettino Editore, 2003.
De Castro Diego, La questione di Trieste, Edizioni LINT, Trieste, 1981.
Fabi Lucio, Trieste 1914-1918: una città in guerra, Trieste, MGS Press, 1996.
Gayda Virginio, L’Italia d’oltre confine, Torino, 1914.
Monzali Luciano, Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra, Firenze, 2011.
Papo de Montona Luigi, L’Istria e le sue foibe. Storia e tragedia senza la parola fine, Roma 1999.
Sestan Ernesto, Venezia Giulia, Lineamenti di una storia etnica e culturale, Bari, Edizioni del «Centro Librario».
Schiffrer Carlo, La questione etnica ai confini orientali d’Italia, Trieste, 1992.
Tamaro Attilio, Storia di Trieste, Roma 1924.
Visintini A., L’Italia a Trieste, l’operato del governo militare italiano nella Venezia Giulia, 1918-1919, Editrice Goriziana, Gorizia, 2000.
Ziberna Maria Grazia, Storia della Venezia Giulia da Gorizia all’Istria dalle origini ai nostri giorni, Gorizia 2013.