NAZISTI, EBREI E LA COMUNITÀ DEI FATEBENEFRATELLI

di Pier Luigi Guiducci -

Durante l’occupazione tedesca di Roma l’ospedale dei Fatebenefratelli divenne un riferimento chiave per gli ebrei in fuga e per la Resistenza.

 

Nei mesi dell’occupazione tedesca di Roma (1943-1944) si riuscì ad attivare una rete di protezione degli ebrei perseguitati e di altre persone ricercate dai nazi-fascisti. Su questo fatto gli storici hanno potuto ricostruire varie dinamiche.[1] Inoltre, più Istituzioni scientifiche (USC Shoah Foundation, CDEC di Milano, Dipartimento Cultura della CER di Roma…) hanno promosso molteplici interviste per conservare la memoria delle violenze, dei rastrellamenti, degli eccidi e delle deportazioni.[2] Oggi, i testimoni romani di un tempo sono deceduti. Questo, però, non deve essere un motivo per abbandonare un impegno chiave: quello di trasmettere il ricordo delle tragedie e di consegnare alle nuove generazioni un messaggio di pace e di fraternità.[3]

I Fatebenefratelli sull’Isola Tiberina

L'ospedale dei Fatebenefratelli nel 1934

L’ospedale dei Fatebenefratelli nel 1934

Tra coloro che maggiormente s’impegnarono a nascondere ebrei in fuga si collocano i frati che operavano nell’ospedale dei Fatebenefratelli di Roma, sull’Isola Tiberina. Nel 1943 i professi (avevano emesso i voti) erano 33. Di questi, otto erano stranieri: due polacchi, due spagnoli, un irlandese, un austriaco, un bavarese, un portoghese. C’erano poi cinque novizi e sei postulanti.
Con riferimento a questo nosocomio possono essere utili alcuni cenni storici. Nel 1930 il superiore generale, lo spagnolo fra Faustino Calvo[4], ricevette aiuti dalle province dell’Ordine per ristrutturare il nosocomio. Lasciò immutate, per il valore storico, solo la chiesa e la sala Assunta. Il rimanente venne ricostruito. Gli spazi aumentarono grazie all’acquisto e alla demolizione dei modesti edifici adiacenti.
In tale iniziativa fra Calvo ricevette il sostegno di Pio XI (Papa Ratti). Questi, nell’udienza[5] del 24 maggio 1930 si complimentò per la decisione di dare un volto nuovo all’ospedale Tiberino. Auspicò inoltre che divenisse un modello d’avanguardia per tutto l’Ordine unendo tra loro “carità antica e mezzi modernissimi”. Dopo quattro anni di lavori, seguiti dal priore fra Leonardo Ilundáin Sagüés[6] e dal provinciale fra Camillo Viglione[7], il nuovo ospedale venne inaugurato il 3 aprile 1934.
Dopo i lavori, i posti letto erano saliti a 350: parte in corsie, di cui la sola vasta era la sala Assunta con 41 letti di medicina (divisi a metà da una vetrata), e parte in camere per solventi. L’ospedale disponeva inoltre dei servizi di radiologia e di pronto soccorso, di diversi ambulatori e di una Scuola per Infermieri, autorizzata appositamente dal Governo per i religiosi, perché in quel tempo in Italia tali centri didattici accettavano solo donne.[8]
Le strutture rispettavano i migliori standard. Si cercavano adesso dei professionisti validi, capaci di utilizzarle al meglio. A priore della Comunità dell’Isola era stato eletto dal capitolo generale fra Faustino Giulini.[9] Questi, si affrettò a completare l’organico.
Nella prima riunione con i frati della Comunità (27 aprile 1934), fra Giulini comunicò i risultati di un concorso per primario medico. In tale occasione venne approvata la nomina del dott. Giovanni Borromeo. Da questo momento ebbe inizio una feconda intesa operativa tra il sanitario e i membri dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio.

Il contributo dei laici: Giovanni Borromeo

Il dottor Giovanni Borromeo

Il dottor Giovanni Borromeo

Il dottor Giovanni Borromeo[10], nato a Roma il 15 dicembre 1898, proveniva da una famiglia profondamente cattolica. Il nonno Ercole (medico)[11], nato nel 1854, si era arruolato volontario tra le truppe del generale Nicolas Oudinot per liberare Roma nel 1849, così da consentire al Papa di far ritorno nell’Urbe.
Il padre Pietro era medico (nato nel 1869), fu eletto deputato in Parlamento nelle file del Partito Popolare Italiano (fondato da don Luigi Sturzo ed altri nel 1919). Giovanni s’iscrisse nel 1916 a medicina. Però, già nel mese di dicembre, dovette raggiungere il fronte. Fu decorato con medaglia di bronzo al valor militare. Nel 1922 si laureò con il massimo dei voti. A Roma iniziò il suo cursus professionale negli ‘Ospedali Riuniti’. Arrivò presto a ricoprire il ruolo di ‘aiuto’. Vinse nel 1931 il concorso per ‘primario’. Per accedere a tale livello era obbligatoria l’iscrizione al partito nazionale fascista. Egli preferì rimanere ‘aiuto’. Sperando in seguito in una maggiore tolleranza, Giovanni, nel 1934, si presentò di nuovo al concorso. Lo vinse. Ma nuovamente gli venne chiesto il possesso della tessera del partito fascista. E lui rinunciò.
Decise allora di partecipare al concorso bandito il 18 marzo 1934 dall’ospedale dei Fatebenefratelli per il posto di ‘primario medico’, lasciato libero dal dott. Giuseppe Proli.[12] Nella riunione dei frati del 10 giugno 1934, fu discusso su chi scegliere come ‘aiuto’ del dott. Borromeo. Ci si orientò alla fine per il dott. Marco Marini.[13] Si legge al riguardo nel verbale che i suoi “titoli sono stati esaminati dal nostro Direttore Sanitario dott. Alfredo Ramoni e dal dottor Borromeo, i quali hanno dato parere favorevole”. Borromeo sostenne attivamente il completamento delle attrezzature del nosocomio.[14] E si distinse per le capacità diagnostiche. Attestò al riguardo il prof. Filippo Rocchi[15] che, in situazioni incerte, il primario non cessava di studiare il caso clinico fino a quando arrivava a conclusioni basate su prolungate indagini.

La figura di fra Maurizio Bialek

Frate Maurizio Bialek nel 1947

Frate Maurizio Bialek nel 1947

Oltre i superiori che operarono attivamente nell’ospedale dell’Isola Tiberina, ci fu anche un non debole numero di frati che ricoprivano più ruoli: cappellani, medici, infermieri, farmacisti, operatori di supporto a diverso livello. Tra queste persone, occorre ricordare la figura di un giovane polacco. Si tratta di fra Maurizio Bialek, responsabile dell’ufficio economato.[16] Nato in Polonia il 27 settembre 1912 (frazione Zajaczkow, municipio di Mniszków, provincia di Łódź) emise i voti semplici il 24 settembre 1931. Arrivò a Roma il 3 gennaio 1936.[17] Nell’Urbe, professò i voti solenni il 29 settembre 1936. Rimase nella Comunità tiberina fino al 6 luglio 1959. Fu poi trasferito alla sede di Napoli.[18] Ottenne anche la cittadinanza italiana (14 febbraio 1957). Morì a Roma il 20 novembre 2009. Quando Bialek si inserì nella Comunità dell’Urbe dimostrò di essere una persona dinamica. Pronta al sorriso. Facile all’ironia. Parlava perfettamente l’italiano. La sintonìa con i frati fu immediata. I suoi interventi erano ascoltati e riuscivano ad influire sulle decisioni della Comunità.
Per comprendere ciò, va precisato un punto. In quel momento non era presente un priore effettivo. Infatti, fra Faustino Giulini, alla fine del 1936, era stato trasferito come superiore alla Farmacia Vaticana. A quel punto, il superiore generale, fra Narciso Durchschein[19], di origine tedesca (Baviera), aveva preferito – fino alla convocazione del nuovo capitolo generale – non nominare un priore. E si era assegnato tale titolo in modo formale, come risulta dai verbali di Comunità. La gestione pratica dell’ospedale rimaneva affidata a un frate vicario. Per tale compito scelse il suo consigliere fra Leonardo Ilundáin Sagüés.[20] Questi, era una persona mite. Interagì molto bene con fra Maurizio Bialek.

La guerra civile spagnola

Dal luglio del 1936 all’aprile 1939 la Spagna fu devastata da una guerra civile che vide contrapposti tra loro due fronti. Da una parte c’erano i nazionalisti, autori di un colpo di Stato ai danni della Repubblica. Dall’altra, combattevano i repubblicani, composti da truppe fedeli al governo in carica, guidato dal Fronte Popolare di ispirazione marxista. Durante tale conflitto, la parte più anarchica del Fronte Popolare attivò delle durissime persecuzioni contro i cattolici, uccidendo membri della gerarchia ecclesiastica, esponenti del clero, religiosi, e laici (migliaia di morti). Tale vicenda spiega perché diversi consacrati cercarono rifugio in Italia, spingendosi fino a Roma. Tra questi perseguitati ci fu chi trovò accoglienza anche nell’ospedale dei Fatebenefratelli all’Isola Tiberina.[21]

Le leggi razziali in Italia

In Italia, negli ospedali (e in tutta la pubblica amministrazione) il personale aveva l’obbligo di essere iscritto al partito nazionale fascista. Nel complesso tiberino dei Fatebenefratelli la situazione fu diversa. Il nosocomio, per norma concordataria, era considerato una struttura privata, non sottoposta a vincoli pubblici o statali. Da qui, una relativa tolleranza delle autorità fasciste. Inoltre, i frati non sostenevano le dottrine fasciste e naziste. Grazie a tale situazione, il dott. Borromeo (cattolico liberale) e i suoi colleghi furono liberi di esprimere le proprie convinzioni, le idee politiche. Potevano così far conoscere critiche alle stesse normative in vigore. In particolare, Borromeo (e il personale del nosocomio) considerava assurde le leggi razziali del 1938.

Ulteriori vicende ospedaliere

Nel 1939 i Fatebenefratelli acquistarono dagli eredi dell’on. Carlo Roncoroni una tenuta agricola con villa padronale (detta ‘La Pellegrina’). Posizionata nell’area nord di Roma, si trova lungo la via Cassia. ‘Villa San Pietro’ (l’apostolo è il patrono della provincia religiosa) venne trasformata in casa di riposo per sacerdoti malati ed invalidi. L’antico edificio delle scuderie fu ristrutturato così da diventare un padiglione per accogliere i malati lungodegenti (cronici). Dal 17 novembre 1941 il direttore sanitario di questo centro fu il dott. Borromeo. Tale incarico lo mantenne fino alla morte. Nei diversi anni del suo lavoro poté seguire i progressivi sviluppi dell’opera. Nel 1949 venne avviata la costruzione di un edificio la cui prima ala viene adibita a ricoveri geriatrici.
Nel 1955, trasferiti a Genzano i malati mentali nel nuovo istituto psichiatrico dell’Ordine, la struttura sulla via Cassia fu classificata ospedale generale. Nel 1956 si ultimò il complesso ospedaliero strutturato a monoblocco con pianta ad H.[22] A Villa San Pietro il dott. Borromeo lavorò anche come primario. Ebbe come aiuto il dott. Salvatore Casa. Questi, già nel 1943 lavorava con lui all’Isola Tiberina. La stretta interazione esistente tra gli ospedali San Pietro e Tiberino fu facilitata dal fatto che nel 1942 la curia generalizia dei Fatebenefratelli aveva trasferito alla provincia romana l’intero complesso posto sull’Isola Tiberina. Quest’ultimo, però, tornò alle dipendenze del superiore generale nel 1953.

Il medico ebreo Vittorio Sacerdoti

Nel 1941, a seguito di contatti intercorsi tra Borromeo e il suo ex-professore ebreo Marco Almagià[23] (Università ‘La Sapienza’ di Roma), un giovane medico ebreo, il dott. Vittorio Sacerdoti[24], raggiunse il complesso tiberino dei Fatebenefratelli. Era stato espulso dall’ospedale civile di Ancona.[25] Il nuovo arrivato chiese di poter restare, disposto ad espletare compiti anche generici. Borromeo, al contrario, dette ordine di dargli subito un camice da medico.[26] Sacerdoti si occupò pure degli esami radiologici e del laboratorio analisi. (che allora era al secondo piano). Gli fu poi consegnato un documento di identità falso. Il suo nuovo nome era Vittorio Salviucci.

L’occupazione tedesca di Roma

Militari tedeschi a Roma, 1943

Militari tedeschi a Roma, 1943

Dopo il cosiddetto armistizio (resa senza condizioni) tra il Regno del Sud e gli Alleati (8 settembre 1943), i tedeschi invasero l’Italia occupando i centri strategici. Il 10 settembre 1943, la zona sud di Roma divenne teatro di uno degli episodi più drammatici della Resistenza: la battaglia di Porta San Paolo. Le forze dei resistenti non riuscirono a fermare l’attacco di due divisioni tedesche. L’Urbe fu occupata (dal 10 settembre 1943 al 4 giugno 1944) dalle formazioni del III Reich, favorite dalla carenza di precise direttive militari da parte dei comandi italiani. In questo periodo i frati dei Fatebenefratelli svolsero un ruolo importante di accoglienza e sostegno. Dopo gli scontri militari a Monterosi, Bracciano, Manziana e nell’area sud di Roma, diversi feriti (in condizioni gravissime) vennero trasportati al pronto soccorso dei Fatebenefratelli. Nel frattempo, alcuni ebrei chiesero aiuto ai frati dell’Isola. Ciò si trova attestato anche da uno studio del diacono olandese Dominiek Oversteyns. In pratica, già prima del 16 ottobre 1943 furono presenti nell’ospedale dei Fatebenefratelli di Roma circa 8 ebrei (7 romani + 1 straniero).[27]

La protezione dei perseguitati

In quel tragico periodo, nell’ospedale sull’Isola Tiberina trovarono rifugio, oltre agli ebrei, anche molti antifascisti, e perfino sbandati polacchi e russi. Pietro Scarabotti, addetto alla manutenzione dell’edificio, suggerì ai frati dei possibili nascondigli. Tra questi, uno dei più capienti si trovava sotto la botola d’accesso alle fognature. Il passaggio si trovava nel pavimento della stanza riservata ai malati infettivi (quattro letti), posta dietro l’altare della sala Assunta. La botola venne nascosta con un tappeto. A date ore, su istruzione del loro maestro, fra Clemente Petrillo[28], alcuni aspiranti la sollevavano per consegnare il vitto alle persone nascoste. Ricordava fra Fabiano[29], presente in quel periodo all’Isola come aspirante, che più volte la sorella dell’attore Aldo Fabrizi (la ‘sora Lella’) portava pentoloni di pasta o di minestra per i perseguitati.[30]
Altre persone ottennero rifugio nel nosocomio. Furono ricoverate dal dott. Borromeo con false diagnosi e generalità nelle camere per solventi.[31] La loro cartella non era mai lasciata in giro.

Il rastrellamento del 16 ottobre 1943

A inizio mattina del 16 ottobre 1943 ebbe inizio a Roma una razzìa di ebrei decisa (e duramente sollecitata) da Berlino. Per favorire tale manovra 1500 carabinieri erano stati in precedenza deportati in Germania (7 ottobre 1943). Inoltre, i tedeschi furono avvantaggiati dall’assenza di azioni partigiane[32] e dal precedente silenzio imposto sull’intera operazione. I nazisti, comunque, non furono i soli a tacere sul progetto in preparazione. Anche gli Alleati, decrittando i messaggi dei nemici, erano pienamente informati sulla prossima operazione ma decisero di mantenere una totale linea di silenzio per non far sapere ai loro avversari che potevano seguire ogni mossa del nemico.
In seguito, più testimoni del tempo, hanno riferito sulla terribile vicenda (Settimia Spizzichino, Enza Pignatelli, Vittorio Sacerdoti, Adriano Ossicini[33], Mario Mieli, Enzo Camerino, Ester Moresco, Lello Di Segni…).[34] I loro racconti sono stati tutti pubblicati.
Sfuggendo all’accerchiamento dei militari, vari ebrei dall’area dell’antico Ghetto riuscirono comunque a salvarsi, anche con l’aiuto di cittadini presenti in quelle ore. Oltrepassato il ponte, si diressero correndo verso l’ospedale dei Fatebenefratelli sapendo di trovare il medico ebreo Sacerdoti, che già conoscevano. Furono subito nascosti con il decisivo intervento dei frati, e di fra Maurizio Bialek in particolare. Mentre il rastrellamento proseguiva, il responsabile della Comunità religiosa avvisò il cardinale protettore dell’Ordine, Francesco Marchetti Selvaggiani.[35] Questi, era anche il Vicario del Pontefice nella diocesi di Roma.
Il presule parlò con Pio XII (che approvò e sostenne le azioni umanitarie) e con i suoi più diretti collaboratori (specie mons. Luigi Traglia[36]). Furono attivati contatti con organismi religiosi e di assistenza, e con singoli fiduciari (ad esempio il nipote del Pontefice) per azioni da svolgere in modo discreto.
Mentre sul piano ufficiale, il Segretario di Stato vaticano cardinale Luigi Maglione[37] interagiva con l’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede (Ernst Heinrich von Weizsäcker[38]), a livello ufficioso si attivava un’iniziativa. Dopo una riunione tra Pio XII, monsignor Montini e l’avvocato Carlo Pacelli[39], fu preparato il testo di una lettera in tedesco per il comandante militare di Roma, generale Reiner Stahel.[40] Si chiedeva di fermare la razzìa per motivi strategici, così da non obbligare il Papa a una pubblica condanna.
Carlo Pacelli consegnò la missiva al vescovo austriaco Alois Hudal.[41] Il documento, infatti, doveva apparire come un’iniziativa di quest’ultimo. Hudal firmò. In seguito, il p. Pancrazio Pfeiffer[42] consegnò la missiva a Stahel.[43] Questi, riuscì a stabilire un contatto telefonico con il capo delle SS Heinrich Himmler.[44] Lo convinse, con argomenti di strategia militare, a fermare i rastrellamenti.[45] Con l’ordine di Himmler cessò l’operazione tedesca a Roma. In tal modo, chi non era stato ancora raggiunto dai militari, poté sfuggire alla cattura e fu salvo.[46]

L’interazione con il capitano delle SS Dannecker

Il capitano delle SS Theo Dannecker: guidò la razzia degli ebrei a Roma il 16 ottobre 1943

Il capitano delle SS Theo Dannecker: guidò la razzia degli ebrei a Roma il 16 ottobre 1943

Cominciò, a questo punto, un’interazione con il fiduciario di Hitler, il capitano Theodor Dannecker.[47] Si tentò di far liberare gli ebrei rinchiusi nel collegio militare di via della Lungara. Questo ufficiale, però, non rispondeva né al generale Albert Kesserling[48], né a Stahel, né al tenente colonnello Herbert Kappler[49], né a Eugen Dollmann[50], né a Rudolf Rahn.[51] Dipendeva infatti dall’Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich.[52] Esisteva poi un’altra realtà. Il Pontefice, come documentato da più ricerche, aveva intorno (proprio all’interno dell’area vaticana) una rete di spionaggio tedesca[53] e fascista (OVRA).[54] Spie erano presenti tra i tecnici della Radio (per bloccare eventuali denunce del Papa), nella redazione dell’Osservatore Romano (per distruggere copie con articoli ostili ai regimi del tempo). La posta era controllata (anche quella trasmessa con valigia diplomatica). Da Forte Bravetta si ascoltavano le comunicazioni della Santa Sede. Inoltre, tutti gli accessi che conducevano ai Palazzi Vaticani erano controllati da tedeschi armati (oltre le postazioni militari dislocate a piazza San Pietro), e servivano autorizzazioni dell’occupante per accedere all’area vaticana[55].
Si riuscì comunque a liberare (malgrado la normativa tedesca di guerra) le coppie miste, e i figli di coppie miste. Altri ebrei, con affermazioni non veritiere, riuscirono poi a superare i controlli e a salvarsi. Ma più di mille internati rimasero nel collegio militare di via della Lungara. Fino alla stazione Ostiense, binario 1, si tentò di salvare ancora qualche ebreo.[56]
In tale contesto si deve evidenziare un ulteriore dato. Nel periodo successivo al 16 ottobre proseguirono a Roma gli arresti degli ebrei. Ma stavolta le operazioni non furono basate su elenchi forniti ai tedeschi ma sull’apporto offerto da italiani, e soprattutto dai delatori. Per tale motivo si tende a ritenere che gli elenchi in mano ai tedeschi furono probabilmente distrutti. In tal modo si ostacolò la ‘caccia all’ebreo’.[57]

La situazione nell’ospedale tiberino dei Fatebenefratelli

Nel contesto descritto l’ospedale tiberino dei Fatebenefratelli divenne un riferimento chiave per gli ebrei in fuga. Oggi diversi studi hanno cercato di identificare le persone che vi trovarono protezione. E più nominativi sono stati individuati. Il loro numero non è stato comunque accertato in modo esatto perché vi furono dinamiche diverse. Qualcuno rimase pochi giorni dentro l’edificio. Altri, trovarono protezione per periodi più prolungati. tempo Non mancarono poi i casi di volle uscire (soprattutto per la ricerca dei propri cari) e in seguito rientrò.
Per la professoressa Grazia Loparco[58] il numero dei protetti fu 46.[59] Per il medico Ossicini 61.[60] Per il ricercatore Oversteyns occorre calcolare anche gli ebrei accolti prima del 16 ottobre 1943. Inoltre, sia per la studiosa Picciotto[61] che per Guiducci[62] esistono dei nominativi non inclusi nei totali. In tale contesto, in base alla testimonianza del medico fra Timoteo Cambuli[63], tutti i suoi colleghi, specie i dottori Marini, Salvatore Casa, Tenaglia e Vittorio Sacerdoti, si mostrarono solidali con i frati e con il primario Borromeo. Quest’ultimo, comunque, per il suo comportamento umanitario, rischiava l’arresto. Così, monsignor Montini, che in quel tempo era Sostituto della Segreteria di Stato, per garantirgli una qualche protezione gli fece avere una tessera che lo qualificava guardia nobile pontificia.

1943. Irruzione tedesca 

La sala Assunta divisa da una vetrata. In fondo, dove si intravede un altare, ebbe luogo la vicenda del ‘morbo di K’

La sala Assunta divisa da una vetrata. In fondo, dove si intravede un altare, ebbe
luogo la vicenda del ‘morbo di K’

Dopo il 16 ottobre 1943 il nosocomio dell’Isola Tiberina fu uno dei luoghi considerati sospetti dai tedeschi. Questi, avevano visto le fughe degli ebrei verso l’ospedale. Per tale motivo venne alla fine decisa un’irruzione. A fine ottobre, un ragazzo corse in ospedale per avvertire i frati e il dottor Borromeo che stavano per arrivare due camion con i tedeschi. Arrivò il primo veicolo. Il secondo, però, fece un ritardo di circa trenta minuti. Aveva sbagliato percorso. Tale fatto, consentì ai frati e al dottor Borromeo di organizzarsi. Il primario fece inserire i perseguitati in sala Assunta. In particolare, furono accolti nell’ambiente ove era posizionato un altare. Una grande vetrata separava tale zona dalla corsia che ospitava i letti di medicina uomini. Borromeo dette ai falsi degenti alcuni consigli.
Tutti dovevano rimanere in silenzio. Solo lui avrebbe parlato con i tedeschi. I ‘malati’ dovevano piuttosto tossire con frequenza in direzione dei militari. Ciò avrebbe creato nei soldati la paura per un contagio. Il caposala della sala Assunta, il polacco fra Giuseppe Kuras[64], chiese a fra Silvestro Ghetti[65] di spiegare le direttive del dottor Borromeo ai polacchi sbandati.
Quando iniziò l’ispezione, il primario – in un corretto tedesco – descrisse al medico militare della Wehrmacht i casi clinici. Si arrivò poi ai falsi degenti. Borromeo spiegò che si trattava di soggetti colpiti da una patologia devastante. Tremendamente contagiosa. Anche nelle situazioni di non decesso, il paziente era segnato per sempre da gravi esiti: paralisi, demenza, cecità. In tale contesto, qualche finto malato rimase a guardare i tedeschi con occhi che esprimevano terrore. Il primario chiarì che tale comportamento segnava nel soggetto l’inizio di una fase di istupidimento. I militari, ascoltando Borromeo, si trassero indietro. Anche il loro medico preferì non rimanere a lungo nel reparto.

Il morbo di K

Il dottor Borromeo non dette un nome specifico alla malattia che si era inventato. Fu uno dei suoi aiuti, probabilmente il dottor Sacerdoti (persona finemente umorista), a definire ‘morbo di K’ la patologia descritta ai tedeschi. Il ‘K’ poteva essere interpretato in più modi: ad esempio morbo di Koch (tubercolosi), morbo di Krebs (disturbo del metabolismo). Nell’ambiente dei Fatebenefratelli, però, ‘K’ significava Kesserling o Kappler. Comunque, tale espressione venne utilizzata per indicare non solo gli ebrei in fuga ma ogni ricercato dalle autorità del tempo. In tempi successivi, come racconterà in seguito il dottor Salvatore Casa ai figli, ci furono altre ispezioni militari, ad opera di italiani e di tedeschi. Non vennero comunque riscontrate delle irregolarità.

Il contributo dei frati alla Resistenza

Mentre l’ospedale dei Fatebenefratelli rimaneva un rifugio per vari perseguitati, si verificò un altro fatto. Il nosocomio, grazie al consenso dei frati, fu pure luogo di incontri tra membri della Resistenza.[66] Nel laboratorio analisi si svolsero riunioni clandestine alle quali partecipò anche il generale dell’Aeronautica Roberto Lordi[67], paziente del dott. Borromeo. In tale contesto, alcuni membri del CLN chiesero ai frati di installare una radio ricetrasmittente per attivare collegamenti con le forze alleate. Ottenuto il consenso, la radio venne posta nel Noviziato, cioè nell’unico luogo dell’ospedale dove il personale non entrava mai. Fu collegata ai tubi dell’acqua calda che partivano dallo scantinato. Ciò dava maggiore potenza al segnale. L’iniziativa, molto pericolosa, venne seguita da frate Maurizio Bialek. Con tale strumento si segnalavano alle forze alleate, e ai militari italiani rimasti fedeli alla monarchia, anche i movimenti delle truppe avversarie e i nomi delle spie romane al servizio dei nazisti.[68]

I politici: l’avvocato Spataro e la comunità dei frati

Tra i politici che trovarono un provvisorio rifugio nel nosocomio tiberino dei Fatebenefratelli ci fu anche l’avvocato Giuseppe Spataro.[69] Nella sua stanza, oltre a incontrare membri del CLN, ebbe modo di scrivere articoli per il giornale clandestino ‘Il Popolo’. Tale aspetto riveste importanza con riferimento al n. 3, del 10 marzo 1944, 182° giorno dell’occupazione nazifascista. Si tratta del terzo numero anomalo, comparendo nel palchetto di sinistra il motto ‘Pace/Giustizia/Libertà’, poi – come negli altri due numeri anomalinon c’è la frase collocata normalmente sotto la testata ‘Una democrazia rappresentativa (…)’. Le quattro pagine che compongono il giornale misurano 27×39 cm. Nell’articolo posto in quarta pagina della rubrica ‘Fatti, notizie e commenti’, viene contestata l’esistenza di una circolare della Chiesa volta a impedire l’ospitalità ad estranei (quindi anche agli ebrei) nei conventi. Si riporta il testo: «È assolutamente falso che la Sacra Congregazione dei Religiosi abbia diramato una circolare per proibire ai conventi di dare ospitalità ad estranei. Nessuna pubblicazione di tale ordine è apparsa negli organi ufficiali della Santa Sede né i superiori dei conventi hanno ricevuta alcuna comunicazione al riguardo».
Anche da ricerche svolte presso l’Archivio storico del Vicariato di Roma non risultano direttive che obbligano a non accogliere stranieri (e ebrei). Si evince pertanto che, in un clima di incertezza e di voci incontrollate, sono state talvolta date per certe (e annotate) frasi di persone in ansia per la situazione legata all’occupazione tedesca e in allarme per possibili perquisizioni. Nelle memorie della chiesa parrocchiale di San Gioacchino (Roma), ad esempio, alla data del 2 novembre 1943, si legge: “(…) arriva una grave notizia ‘domani avrà inizio la perquisizione di tutti gli istituti religiosi’ …”.[70]

Maggio 1944: nuova irruzione tedesca

A fine maggio 1944 avvenne un fatto che avrebbe potuto avere delle conseguenze molto negative. Probabilmente, attraverso un radiogoniometro, i tedeschi captarono le onde radio trasmesse dalla ricetrasmittente posizionata nel nosocomio tiberino dei Fatebenefratelli. Il fatto era grave perché costituiva un reato penale in tempo di guerra. I militari tedeschi fecero irruzione nell’ospedale e cominciarono la ricerca dell’apparecchio. I frati della Comunità vennero ristretti in un ambiente posto sotto il refettorio. Furono minacciati di morte. Dovevano dire dov’era la ricetrasmittente. Ma nessuno parlò.
Come raccontò fra Bartolomeo Coladonato[71], i soldati salirono al primo piano. Qui c’era l’ufficio del priore, frate Natale Paolini.[72] Il responsabile della Comunità in quel momento non era presente. I tedeschi incontrarono l’economo, frate Maurizio Bialek, e chiesero del priore. Frate Maurizio si rese conto della situazione di pericolo. Rispose che avrebbe chiamato subito il priore. In realtà, come ricorda frate Fabiano, dette istruzioni a frate Clemente per far sparire la radio ricetrasmittente. Corse poi nell’area riservata ai frati, e nascose dietro a un quadro[73] le carte compromettenti che aveva in camera.
Fatto ciò, sempre secondo la testimonianza di frate Fabiano, il fidato Scarabotti sistemò Bialek (accovacciato) sul piccolo sgabello di fra Alipio Filippini[74], in un modesto armadio a muro. Vi collocò poi un mobile per meglio celare il nascondiglio. Nel frattempo, fra Clemente era riuscito a portare la radio sul terrazzo del noviziato, che era molto vicino al fiume. Buttò i pezzi in acqua.
Da un articolo giornalistico del 2004 risulterebbe che uno dei soldati tedeschi posti di vedetta nei pressi dell’ospedale, notò i movimenti del frate che gettava in Tevere i pezzi della radio. Però, come poi raccontò alla figlia Vera, questo tedesco non lo segnalò. Forse tale comportamento è da addebitare all’ormai clima di disfatta diffuso tra le forze del III Reich.[75] Comunque, in un primo momento, i tedeschi che giravano nel nosocomio furono insospettiti da alcuni fili volanti che notarono al pianterreno. Scarabotti spiegò che si trattava di una sua idea, molto artigianale, per trasmettere corrente a una piccola pompa che inviava l’acqua della fontanella del cortile ai piani alti, rimasti a secco per un guasto esistente nell’allaccio comunale. L’ispezione proseguì. Furono arrestati alcuni soldati polacchi, ma gli ebrei non vennero riconosciuti.[76]

Dopo la Liberazione

Pochi giorni dopo ebbe fine l’occupazione tedesca di Roma. I perseguitati poterono uscire da tutti i luoghi ove si erano rifugiati. Malgrado l’ora di festa ci furono dei momenti di tensione. Frate Clemente raccontava con amarezza che si presentarono nel nosocomio dei facinorosi. Cercavano eventuali fascisti nascosti per processi sommari. A guidare il gruppo era proprio uno di quelli che era riuscito a salvarsi in precedenza grazie alla protezione dei frati. Cominciavano le violenze post-belliche. Tra queste, una si verificò non lontano dall’Isola Tiberina. Si trattò del linciaggio del direttore del carcere di ‘Regina Coeli’, dottor Donato Caretta (18 settembre 1944). Dopo pesanti sevizie, fu buttato alla fine nel Tevere. Venne finito con dei colpi di remo sul capo.

Riconoscimenti ai frati e a laici

Le azioni svolte dai frati dei Fatebenefratelli trovarono in seguito più attestati di riconoscenza. A Maurizio Bialek venne conferita nel 1946 la medaglia d’argento al valor militare.[77] Si riporta qui di seguito la motivazione[78]: «Economo di un ospedale durante la dominazione tedesca in Roma, incurante dei gravi rischi cui continuamente si esponeva, si prodigava per assistere ed occultare prigionieri di guerra alleati e patrioti, prodigando loro faticosamente e con entusiasmo tutto il necessario per la resistenza ed il sabotaggio. Concedeva coraggiosamente il libero uso dell’ospedale per le riunioni del comando militare clandestino e per l’installazione di apparecchi radio-telegrafici. Sospettato, continuava imperterrito la sua pericolosa attività. Allorché l’ospedale fu circondato da numerose forze di polizia e sottoposto a perquisizione, con mirabile sangue freddo e tempestiva azione riusciva a salvare dalla cattura numerosi patrioti ed occultare abilmente il preziosissimo materiale clandestino. Nobile esempio di patriottismo animato da alto senso di umanità e di dedizione assoluta alla causa della libertà».
Analoga medaglia ricevette pure il dottor Borromeo per l’impegno nel “curare partigiani, patrioti e ebrei ricercati dalla polizia nazifascista” e per “dare e far dare asilo, sostegno e conforto a tanti perseguitati”.[79] Il Comune di Roma gli dedicò una strada a Monte Spaccato (area Gianicolense), mentre lo Stato di Israele lo proclamò Giusto tra le nazioni (13 ottobre 2004). Il diploma corrispondente e la relativa medaglia d’oro furono consegnati il 2 marzo 2005 dall’ambasciatore israeliano Ehud Gol ai figli Pietro[80] e Beatrice[81] durante una cerimonia in sala Assunta.

Gli anni del dopoguerra

Nel 1946, quando furono rinnovate le cariche dell’Ordine, fra Maurizio Bialek venne eletto priore dell’ospedale tiberino. Riconfermato poi in tale ruolo nel 1950. Unitamente a ciò, tra il 1946 e il 1959, risulta eletto nel consiglio provinciale e in quello generale. Ricevette pure il compito di economo generale. Nel 1949, il dott. Borromeo fu scelto come successore ad interim del direttore sanitario, che era ancora il dottor Ramoni. In seguito, nel capitolo conventuale del 21 dicembre 1951, la sua nomina divenne definitiva, con voto unanime, “per la sua rettitudine e attaccamento alla Casa”. Questi suoi sentimenti vennero nuovamente evidenziati quando i frati festeggiarono i suoi 25 anni di primariato.[82] Egli confidò di sentirsi “felice di avere speso con fraterna dedizione al servizio dell’ospedale i migliori anni della sua vita di medico”, e rimarcò la sua devozione ai Fatebenefratelli “alla cui famiglia sentiva di appartenere per affetto e per lunga consuetudine di lavoro comune al sollievo degli infermi”. Per tale vicinanza alla Famiglia Ospedaliera egli, considerato il fatto che nessuno dei suoi figli aveva studiato medicina, donò la sua biblioteca medica ai Fatebenefratelli.

Qualche annotazione di sintesi

Il 24 agosto del 1961, in una stanza del Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina, moriva il dottor Borromeo. Nel medesimo nosocomio, in ordine di tempo, avvenne il decesso: del caposala dell’Assunta, il polacco fra Giuseppe Kuras (21 ottobre 1982), e della già citata ‘sora Lella’ (1993), quella che portava da mangiare ai perseguitati. Nel 2019, nel reparto ortopedia, ha concluso la sua vita terrena l’antico partigiano Ossicini, divenuto poi medico psichiatra e senatore. Frati e note figure del mondo politico e sociale hanno voluto terminare il proprio percorso esistenziale proprio in quell’ospedale che li vide compiere azioni profondamente umanitarie. È bello sottolineare al riguardo che i figli hanno proseguito l’impegno sociale dei padri. Mi piace ricordare che attualmente la figlia di Ossicini, Cristina, è medico pediatra all’Isola. Mentre i protagonisti di un tempo riposano oggi in diversi cimiteri (la tomba di Maurizio Bialek è al Laurentino, Roma), altri fatti riconducono agli eventi del 1943-1944. Il 21 giugno del 2016 la Fondazione Internazionale ‘Raoul Wallenberg’ ha riconosciuto che l’ospedale tiberino servì “come rifugio per persone innocenti, perseguitate dai nazisti”. Tale frase è incisa in una targa posta sul muro esterno della sala Assunta, vicino al cortile delle tartarughe. Al momento della cerimonia, tra i presenti, c’erano pure due ebrei sopravvissuti (all’epoca molto piccoli): Gabriele Sonnino e Luciana Tedesco.[83]

Note

[1] Ad esempio il Progetto ‘Memoria della salvezza’. Promosso dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC; Milano). Durato nove anni. Obiettivo: riflettere su come molti Ebrei poterono salvarsi malgrado le persecuzioni nazi-fasciste.
[2] Ad esempio la USC, Shoah Foundation di Los Angeles, il CEDC, e la stessa Comunità Ebraica di Roma.
[3] Tra le fonti principali di questo studio: G. Magliozzi o.h., Morbo di K, una bugia da rischiarci la fucilazione!, in: ‘Archivo Hospitalario’, n. 16, 2018, pp. 257-276.
[4] Nato a Castromocho (Palencia) il 15 febbraio 1864. Emise la professione semplice il 6 gennaio 1885, quella solenne il 25 luglio 1890. Superiore generale nell’aprile 1928. Al termine dei sei anni tornò in Spagna. Eletto provinciale di Castiglia, morì durante tale incarico (14 dicembre 1936). Cf. O. M. Bueno o.h., Historia de la Provincia de San Juan de Dios (Castilla) (1934-1968), Hermanos de San Juan de Dios, Madrid 1969, pp. 97-106.
[5]Per il resoconto dell’udienza cf.: D. Manfellotto D. – M. Fabello o.h. – M. Nonis, L’Isola della Salute, in: AA.VV., L’Isola Tiberina dall’antichità ai nostri giorni, Pool Grafica Editrice, Roma 1996, p. 246.
[6] Nato in Navarra (Osacar, Juslapeña), l’8 marzo 1879. Emise la professione semplice il 30 giugno 1905, quella solenne il 24 dicembre 1908. Venne a Roma (1922) come consigliere generale. Al termine dei sei anni vi restò ancora, prima come priore dell’Isola fino al 1934, e poi di nuovo come consigliere generale fino al 1939, quando tornò in Spagna. Morì nell’ospedale dell’Ordine (San Baudilio) il 5 maggio 1951. Da notare che dal 1937 al 1939, rimasto vacante all’Isola l’ufficio di priore, ne fu nominato vicario. Cf. G. Russotto o.h., Profili ospedalieri: p. Leonardo Ilundain. 1879-1951, in ‘Vita Ospedaliera’, VI, 1951, 6, pp. 135-137.
[7] Nato a Campoli del Monte Taburno (Benevento) il 31 ottobre 1877. Emise la professione semplice il 2 aprile 1899, e quella solenne il 6 giugno 1902. Ordinato sacerdote il 19 dicembre 1915. Priore all’Isola nel 1927-1928. Superiore della provincia romana dal 1928 al 1940. Morì il 1 dicembre 1956. Cf. G. Russotto o.h., P. Camillo Viglione, cappellano ospedaliero edificante, in ‘Vita Ospedaliera’, XII, 1957, 1, pp. 2-6.
[8] Sulla ristrutturazione dell’ospedale dei Fatebenefratelli cf: E. Martire, L’Isola della Salute. Dal tempio romano di Esculapio all’ospedale di S. Giovanni di Dio (estratto da ‘Rassegna Romana’), Tip. Unione Arti Grafiche, Città di Castello 1934.
[9] Nato a San Bernardino-Crema (Cremona) il 10 novembre 1885. Emise la professione semplice il 16 agosto 1908, quella solenne l’8 settembre 1919. Morì a Roma nell’ospedale San Pietro l’11 settembre 1967.  Cf:  G. Magliozzi o.h., Nel 50° della morte di fra Faustino Giulini, infermiere di ben quattro Pontefici, in: ‘Vita Ospedaliera’, LXXII, 2017, 9, p. 15. G. Russotto o.h., Il fatebenefratello infermiere di San Pio X, in: ‘Antologia per un Giubileo’, Centro Studi ‘S. Giovanni di Dio’, Roma 1980, vol. IV, pp. 262-270.
[10] 1898-1961. Cf al riguardo il ricordo del figlio Pietro Borromeo: Il Giusto che inventò il morbo di K, Fermento, Roma 2007. L’avv. Pietro Borromeo nacque nel 1937. Deceduto nel 2019.
[11] Proveniente da una famiglia di lontana origine milanese.
[12] Sulla qualifica del dott. Giuseppe Proli come primario medico, cf la Guida Monaci del 1934 alla voce ‘Ospedale Fatebenefratelli’.
[13] Come risulta dal libro matricola, rimase in servizio fino al 31 gennaio 1968.
[14] Lo fece notare l’on. Egilberto Martire (1887-1952) nell’illustrare i lavori di rinnovamento dell’ospedale. Cf. E. Martire, op. cit., p. 91.
[15] Cf. F. Rocchi, Giovanni Borromeo, in: ‘Atti dell’Accademia Lancisiana di Roma’, anno 1961-1962, fascicolo I, p. 64.
[16] Cf anche: P. R. Bartrop, Resisting the Holocaust. Upstanders, partisans, and survivors, ABC-CLIO Corporate, Santa Barbara (California) 2016, p. 36.
[17] Come annotato a p. 41 nel registro Famiglia Religiosa di S. Giovanni Calibita 1939-1953.
[18] Fu attivo a Napoli fino al 12 luglio 1961, data in cui lasciò l’Ordine, avendo ottenuto dalla Santa Sede il rescritto di secolarizzazione n. 871/61 del 30 giugno 1961.

[19] Nato a Weissenhorn (Neu-Ulm) il 15 aprile 1866. Emise la professione semplice il 14 giugno 1891. Quella solenne il 14 ottobre 1894. Fu eletto superiore generale nell’aprile 1934. Nel 1939 tornò in Baviera. Morì nell’ospedale dell’Ordine a Regensburg il 15 maggio 1945. Cf. J.L. Martínez Gil o.h., Superiores Generales, Santos y Beatos de la Orden de San Juan de Dios (1536-2010), Editorial Hospitalaria, Madrid 2010, pp. 423-426 (il nome del paese natio è scritto corretto solo in calce al ritratto).
[20] Nel sito della Real Academia de la Historia (Madrid) si trova la scheda ‘Ilundáin Sagüés, Leonardo’. Cf al riguardo: http://dbe.rah.es/biografias/67813/leonardo-ilundain-sages.
[21] Cf V. Cárcel Ortí, Obispos y Sacerdotes prófugos en Roma durante la guerra civil, cf il sito: https://www.colegioespanol.org/images/formacion/vicentecarcel/9.pdf. Pagine: 20, 85, 87, 93, 96, 97, 107, 127.
[22] Per le vicende iniziali dell’attuale ospedale San Pietro, cf. G. Magliozzi o.h., Un Ospedale per gli anni 80, in: ‘Vita Ospedaliera’, XXXVIII, 1983, 6, pp. 83-84.
[23] Fisiopatologo.

[24] Sacerdoti nacque a Roma il 22 luglio del 1915 (la famiglia viveva comunque ad Ancona). Muore il 3 agosto 2005.
[25] Assisteva il primario di chirurgia prof. Giulio Bombi. Quest’ultimo, ad Ancona, dopo l’armistizio, sostenne la Resistenza. Con autoambulanze della croce gialla fece arrivare in montagna armi abbandonate per rifornire i partigiani. Cf: R. Bislani, Pillole di storia fidardense. In: sito istituzionale del Comune di Castelfidardo.
[26] P.L. Guiducci, La testimonianza del medico ebreo dott. Sacerdoti (1915-2005) sulle vicende del 1943-1944 a Roma. http://www.storico.org/seconda_guerra_mondiale/testimonianza_medicoebreo.html.
[27] http://www.papapioxii.it/approfondimenti/lopera-a-favore-degli-ebrei-di-roma/.
[28] Nato a Montaperto-Montemiletto (Avellino) il 23 settembre 1915. Emise la professione semplice il 24 ottobre 1933, e quella solenne il 24 settembre 1939. Si trovava all’Isola come maestro dei novizi e postulanti. Morì a Benevento, nell‘ospedale dell‘Ordine, il 7 settembre 1983. Cf. G. Russotto o.h., La repentina scomparsa di padre Clemente, servo buono e fedele, in: ‘Vita Ospedaliera’, XXXVIII, 1983, 9, pp. 120-121.
[29] Nato a Porto Torres (Sassari) il 2 febbraio 1921. Si trovava all’Isola come aspirante. Emise poi la professione semplice il 20 aprile 1947, e quella solenne il 25 aprile 1950. Morì a Villa San Pietro il 6 dicembre 2014. Cf. La festa di fra Fabiano Sechi nella Solennità dei SS. Pietro e Paolo, in: ‘Vita Ospedaliera’, LII, 1997, 9, pp. 12-13. Cf. anche: G. D’Uva, In ricordo di fra Fabiano. Un uomo semplice al servizio di Gesù, in: ‘Vita Ospedaliera’, LX, 2015, 1, p. 16.
[30] La ‘sora Lella’ gestirà in seguito un ristorante all’Isola Tiberina. Comunque, già allora si occupava di ristorazione, vendendo al dettaglio cibi cucinati in casa.
[31] Consentivano una maggiore riservatezza.
[32] L. Picciotto, Salvarsi, Einaudi, Roma 2017, p. 500.
[33] 1920-2019. Studente in medicina, fece pratica nel nosocomio tiberino dei Fatebenefratelli (il padre di Ossicini, per ragioni politiche e religiose, era amico del padre del dott. Borromeo). Il 18 maggio 1943, per la sua opposizione al regime fascista, fu  arrestato dopo una retata e finì in carcere. Si riuscì comunque a liberarlo. Sull’esperienza realizzata all’Isola Tiberina Adriano Ossicini scrisse nel 1999 il libro: Un’ isola sul Tevere. Il fascismo al di là del ponte, Editori Riuniti, Roma (uscite nuove edizioni).
[34] Cf anche: http://www.16ottobre1943.it/it/testimonianze.aspx.
[35] 1871-1951.
[36] 1895-1977. Divenne in seguito cardinale. Fu vicino a don Giuseppe Morosini prima della sua fucilazione a Forte Bravetta.
[37] 1877-1944. Fu aiutato da due sostituti: mons. Domenico Tardini (1888-1961; affari straordinari) e da mons. Giovanni Battista Montini (1897-1978; affari ordinari; futuro Paolo VI nel 1963).
[38] 1882-1951. Mantenne un comportamento equivoco.
[39] 1903-1970. Nipote di Pio XII.
[40] 1892-1955. Fu compagno di studi di Pancrazio Pfeiffer.
[41] 1885-1963. Austriaco. Rettore della chiesa di Santa Maria dell’Anima.
[42] 1872-1945. Tedesco. Superiore generale della Società del Divin Salvatore.
[43]  Episodio descritto nella ‘Positio’ riguardante la causa di beatificazione del venerabile Eugenio Pacelli. Archivio Postulazione Padri Gesuiti.
[44] 1900-1945. Morì suicida.
[45] Questa e altre conversazioni erano ascoltate dagli Alleati che le trascrivevano.
[46] Stahel in seguito fu punito duramente per tale iniziativa. Venne assegnato a Vilnius e in altre località. Non fece più ritorno.
[47] 1913-1945. Oltre a quello di Roma, si occupò di altri durissimi rastrellamenti. Morì suicida. In merito alla trattativa sono stati ritrovati sul tavolo di p. Pancrazio Pfeiffer (dopo la sua morte) alcuni appunti. Su questo punto si rimanda a: P. van Meijl, Pater Pancratius Pfeiffer SDS und sein Einsatz für die Juden während der Deutschen Besatzung in Rom (1943-1944). [Hrsg.: Österreichische Provinz der Salvatorianer, Wien]. Wien, 2007, 154 S.
[48] 1885-1960. Feldmaresciallo. Dall’estate 1943, e soprattutto dopo l’ 8 settembre 1943, assunse il comando supremo di tutte le forze tedesche in Italia.
[49] 1907-1978. Comandante dei servizi di polizia e di sicurezza tedeschi. Arrestato da militari inglesi a fine guerra. Processato a Roma. Condannato all’ergastolo. Nel 1976 gli fu diagnosticato un tumore al colon. Trasferito a Roma all’ospedale militare del Celio. Il 15 agosto 1977 , grazie a varie complicità, fuggì in Germania. Morì il 9 febbraio 1978.
[50] 1900-1985. Tra il 1938 e il 1944 Dollmann divenne un punto di riferimento per i rapporti tra i tedeschi e i dirigenti fascisti.
[51] 1900-1975. Plenipotenziario del III Reich e ambasciatore presso il governo della Repubblica Sociale Italiana.
[52] Il responsabile era Ernst Kaltenbrunner (1903-1946).
[53] D. Alvarez – ‎R.A. Graham, Spie naziste contro il Vaticano 1939-1945, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005.
[54] Cf anche: G. Mecucci, Le spie fasciste in Vaticano, in: ‘l’Unità’, martedì 4 agosto 1998, p. 2, rubrica ‘cultura’.
[55] Cf anche: P.L. Guiducci, Il Terzo Reich contro Pio XII. Papa Pacelli nei documenti nazisti, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013, p. 127ss.
[56] P.L. Guiducci, Il Terzo Reich contro Pio XII, op. cit., p. 244.
[57] A. Foa, Portico d’Ottavia n. 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del ’43, Laterza, Roma-Bari 2013.
[58] Suora salesiana. Storica. Docente universitaria. Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione ‘Auxilium’ di Roma.
[59] Cf. Appendice II, doc. n. 22 in: G. Loparco, Gli ebrei negli istituti religiosi a Roma (1943-1944). Dall’arrivo alla partenza, in: ‘Rivista di Storia della Chiesa in Italia’, n. 1, 2004, pp. 107-210.
[60] A. Ossicini, Un’ isola sul Tevere, op. cit.. Cf allegato.
[61] Liliana Picciotto. Ricercatrice del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Milano). Cf il suo libro: Salvarsi (Einaudi, Torino 2017.
[62] Pier Luigi Guiducci (nato a Roma nel 1951). Docente di storia della Chiesa presso la Pontificia Università Lateranense. Lezioni di storia della Chiesa. Epoca contemporanea.
[63] Nato a Fordongianus (Oristano) il 19 febbraio 1925. Emise la professione semplice il 2 luglio 1943. Prestava la sua opera all’Isola nel laboratorio analisi. Emise poi la professione solenne il 5 giugno 1948 e la rinnovò col nuovo nome di fra Archelao l’8 dicembre 1991. Venne ordinato sacerdote il 19 marzo 1977. Morì a Benevento nell‘ospedale dell‘Ordine il 2 maggio 2017. Cf I 25 anni di fra’ Timoteo Cambuli. Fordongianus in festa per un figlio illustre, in: ‘Il Messaggero Sardo’, anno I, n. 2, settembre 1969, p. 18.
[64] Era nato in Polonia, a Lukawiec (Podkarpackie) nel 1900. Emise la professione semplice il 26 marzo 1926, e quella solenne il 7 aprile 1929. Venne a Roma nel 1936 e, tranne un intervallo di 9 anni in Inghilterra nel l‘ospedale dell‘Ordine a Scorton, da cui tornò nel 1956, fu sempre all’Isola. Qui morì il 21 ottobre 1982. Cf. G. Russotto o.h., Il luminoso ricordo di fra Giuseppe Kuras o.h., in: ‘Vita Ospedaliera’, XXXVII, 1982, 11, pp. 174-175.
[65] Nato il 5 febbraio 1910 a Modigliana (Forlì). Emise la professione semplice il 25 dicembre 1931, e quella solenne il 25 dicembre 1934. Morì nell‘ospedale San Pietro (Roma) il 22 luglio 1998. Cf. P. Cicinelli o.h., Il ricordo e linsegnamento di padre Silvestro, in: ‘Vita Ospedaliera‘, LIII, 1998, 9, pp. 6-7.
[66] A Roma era attivo un Comitato di Liberazione Nazionale.
[67] 1894-1944. Arrestato alla fine da Kappler, venne rinchiuso a via Tasso. Fu poi eliminato alle Cave Ardeatine nel 1944.
[68] Sulla collaborazione con Radio Bari cf. M. Francini, op. cit., p. 253.
[69] 1897-1979. Delegato della Democrazia Cristiana presso la giunta militare del Comitato di Liberazione Nazionale. Cf anche: M. Francini, Il Tevere sotto il letto, Centro di Documentazione Giornalistica, Roma 1982, p. 253.
[70] Su questo punto: https://www.sangioacchino.org/node/40.
[71] Nato a Rutigliano (Bari) il 20 aprile 1927. Entrò come aspirante il 26 novembre 1942 a Benevento. L‘anno seguente a motivo della guerra passò all’Isola Tiberina, dove iniziò il postulantato. Venne ammesso al noviziato il 2 gennaio 1945 e alla professione semplice l’11 febbraio 1946. Emise quella solenne il 26 aprile 1951. Il 1° novembre 1953 fu eletto priore di Frascati (cf Status Provinciae Romanae Sancti Petri Apostoli Ordinis Hospitalarii S. Joannis de Deo (Fatebenefratelli), Tip. S.     Giuseppe, Roma 1954, p. 29). Fu ordinato sacerdote il 27 novembre 1989. Attualmente vive nella Comunità romana nell’ospedale San Pietro.
[72] Nato a Moggio (Udine) il 12 settembre 1911. Emise la professione semplice il 9 dicembre 1929. Quella solenne il 25 settembre 1935. Faceva parte della provincia milanese. Morì a Brescia il 4 giugno 1987. Cf R. Fabello o.h., Fra Paolini: una vita operosa e obbediente, in: ‘Fatebenefratelli’, IX, 1987, 3, p. 31.
[73] Cf. M. Francini, op. cit., p. 254.
[74] Nato a Brescia il 20 dicembre 1863, emise i voti il 19 dicembre 1897 e trascorse l‘intera vita religiosa all’Isola. Qui morì il 12 dicembre 1952. Cf G. Russotto o.h., Giornata di fra Alipio infermiere, in: ‘Antologia per un Giubileo’, Centro Studi ‘S. Giovanni di Dio’, Roma 1980, vol. IV, pp. 208-219.
[75] Cf. Araujov, Una nave incagliata in mezzo al Tevere, in: ‘L’Unità’, 12 giugno 2004, edizione di Roma, p. 4.
[76] A. Riccardi, L’inverno più lungo. 1943-44: Pio XII, gli ebrei e i nazisti a Roma, Laterza, Roma-Bari 2008, p. 17. Su questa vicenda cf anche: G. Benzoni, La vita ribelle. Memorie di un’aristocratica italiana tra belle époque e Repubblica, Il Mulino, Bologna 1985, p. 203.
[77] Cf. La medaglia d‘argento al valor militare sul campo a Fr. Maurizio Bialek, in ‘Vita Ospedaliera’, I, 1946, 6, p. 120.
[78] Testo confermato il 3 ottobre 1952 con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministero della Difesa.
[79] Per il testo integrale della motivazione, cf il libro di Pietro Borromeo, op. cit., pp. 60-61.
[80] Avvocato. Morto nel 2019.
[81] Coniugata Guerrieri.
[82] Cf. G. Russotto o.h., Nel “suo” Ospedale, in: ‘Antologia per un Giubileo’, Centro Studi ‘S. Giovanni di Dio’, Roma 1980, vol. IV, pp. 305-306.
[83] Cf anche: http://www.lfmagazine.it/gabriele-sonnino-gli-angeli-del-ghetto/.

Per saperne di più

Archivi

-Archivio Generalizio dei Fatebenefratelli, Isola Tiberina, registro Famiglia Religiosa di S. Giovanni Calibita 1939-1953, e registro dei Verbali dei Capitoli Conventuali dal 1928 al 1956.

-Archivio della Provincia Romana dei Fatebenefratelli, antichi registri delle Famiglie Religiose dei singoli Conventi.

-Archivio del Convento di Napoli, attuale registro della Famiglia Religiosa.

-Archivio dell’ospedale San Pietro, Stato di servizio del dottor Giovanni Borromeo dal 17 novembre 1941 al 24 agosto 1961.

 

Studi vari

AA.VV., Roma, 16 ottobre 1943. Anatomia di una deportazione, Guerini e Associati, Milano 2006.

P. Cicinelli o.h., Il ricordo e linsegnamento di padre Silvestro, in: ‘Vita Ospedaliera’, LIII, 1998, 9, pp. 6-7.

G. D’Uva, In ricordo di fra Fabiano. Un uomo semplice al servizio di Gesù, in ‘Vita Ospedaliera’, LX, 2015, 1, p. 16.

G. Debenedetti, 16 ottobre 1943, Einaudi, Torino 2015.

R. Fabello o.h., Fra Paolini: una vita operosa e obbediente, in: ‘Fatebenefratelli’, IX, 1987, 3, p. 31.

I 25 anni di fra’ Timoteo Cambuli. Fordongianus in festa per un figlio illustre, in: ‘Il Messaggero Sardo’, anno I, n. 2, settembre 1969, p. 18.

A.Foa, Portico d’Ottavia 13, Laterza, Roma-Bari 2013.

P.L. Guiducci, Tutti gli ebrei del maresciallo Lucignano, in: ‘Avvenire’, 15 maggio 2019.

La festa di fra Fabiano Sechi nella Solennità dei SS. Pietro e Paolo, in: ‘Vita Ospedaliera’, LII, 1997, 9, pp. 12-13.

Id., P. Camillo Viglione, cappellano ospedaliero edificante, in: ‘Vita Ospedaliera’, XII, 1957, 1, pp. 2-6.

Id., Nel “suo” ospedale, in: ‘Vita Ospedaliera’, XVI, 1961, 9, p. 282.

Id., Giornata di fra Alipio infermiere, in: ‘Antologia per un Giubileo’, Centro Studi “S. Giovanni di Dio”, Roma 1980, vol. IV, pp. 208-219.

G. Magliozzi o.h., Nel 50° della morte di fra Faustino Giulini, infermiere di ben quattro Pontefici. Morì nell’ospedale San Pietro l’11 settembre 1967, in: ‘Vita Ospedaliera’, LXXII, 2017, 9, p. 15.

O. Marcos Bueno o.h., Historia de la Provincia de San Juan de Dios (Castilla) (1934-1968), Hermanos de San Juan de Dios, Madrid 1969, pp. 97-106.

J.L. Martínez Gil o.h., Superiores Generales, Santos y Beatos de la Orden de San Juan de Dios (1536-2010), Editorial Hospitalaria, Madrid 2010, pp. 423-426.

G. Russotto o.h., Profili ospedalieri: p. Leonardo Ilundain. 1879-1951, in: ‘Vita Ospedaliera’, VI, 1951, 6, pp. 135-137.

Id., Il fatebenefratello infermiere di San Pio X, in: ‘Antologia per un Giubileo’, Centro Studi ‘S. Giovanni di Dio’, Roma 1980, vol. IV, pp. 262-270.

Id., Nel “suo” ospedale, in: ‘Antologia per un Giubileo’, Centro Studi ‘S. Giovanni di Dio’, Roma 1980, vol. IV, pp. 305-306.

Id., Il luminoso ricordo di fra Giuseppe Kuras o.h., in: ‘Vita Ospedaliera’, XXXVII, 1982, 11, pp. 174-175.

Id., La repentina scomparsa di padre Clemente, servo buono e fedele, in: ‘Vita Ospedaliera’, XXXVIII, 1983, 9, pp. 120-121.

Status Provinciae Romanae Sancti Petri Apostoli Ordinis Hospitalarii S. Joannis de Deo (Fatebenefratelli), Tip. S. Giuseppe, Roma 1954, p. 29.

F. Tagliacozzo, Gli ebrei romani raccontano la “propria” Shoah, La Giuntina, Milano 2011, pp. 196 e 230.