NAVI ANFIBIE DELLA MARINA: DALLA CRISI POSTBELLICA ALL’ECCELLENZA

di Giuliano Da Frè -

La cantieristica italiana ha a lungo pagato l’inesperienza nel realizzare naviglio anfibio, anche a causa della disponibilità a buon mercato di materiale relativamente moderno e affidabile ex US Navy. Ma i progetti per un naviglio più adeguato alle necessità della Marina Militare furono sbloccati dalla legge navale del 1975. E negli anni ’80 arrivarono le prime due vere navi d’assalto anfibio interamente progettate e realizzate in Italia.

 

Tra nascita e rinascita 

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La nave anfibia ex US Navy Caorle, costruita nel 1958 e in servizio dal 1972 al 1992.

Nonostante il fatto che la battaglia navale di Lissa del 20 luglio 1866, vero spartiacque (e amara levatrice) per la nascente Marina militare unitaria, fosse stata innescata da un’azione anfibia italiana, tale esigenza restò relativamente negletta nella pianificazione e nel procurement della flotta nazionale. Le operazioni di sbarco successive, legate alla politica coloniale e alla protezione degli interessi italiani, venivano gestite impiegando le compagnie di marinai armati, e i fucilieri del corpo “Real Marina”, proiettati a terra con le imbarcazioni presenti sulle unità maggiori (corazzate e incrociatori); reparti che si distinsero in vari scenari: come in Cina, durante la famosa rivolta dei Boxer nell’estate del 1900. La guerra italo-turca in Libia mise in luce la necessità di rafforzare le capacità anfibie della Regia Marina, che in effetti aveva occupato Tripoli e altre località con 1.600 fanti e marinai armati – i “Garibaldini del mare” guidati da Umberto Cagni, promosso contrammiraglio per la brillante operazione [1] – forniti dalle navi, prima che giungesse il corpo di spedizione del Regio Esercito, partito in ritardo per motivi politici.
Le successive operazioni in Libia e nel Dodecanneso affinarono la collaborazione tra Esercito e Marina, e rappresentarono un’utile palestra per sviluppare una più articolata cooperazione anfibia, in vista di prove più impegnative. Durante la Prima guerra mondiale fu così formata, in via ufficiosa, una “Brigata Marina”, che fu poi rafforzata fino a comprendere 5 battaglioni di fucilieri e un reggimento di artiglieria, che si distingueranno nella difesa delle foci del Piave e di Venezia, soprattutto dopo lo sfondamento austro-tedesco a Caporetto. Proprio a Venezia, nel 1919 la Brigata sarebbe stata definitivamente istituita, prendendo il nome che ha poi da sempre accompagnato i “marines” italiani: “San Marco”.
Nel frattempo, gli sviluppi del corpo anfibio americano, e le lezioni apprese, soprattutto legate alla campagna anglo-francese dei Dardanelli, avrebbero portato le operazioni da sbarco in una nuova era.
A corto di risorse, e con scenari di impiego poco chiari, la Regia Marina procedette con cautela, mentre la Brigata “San Marco” veniva smobilitata e ridotta. I soldi per nuovi equipaggiamenti e navi specializzate non c’erano, e pragmaticamente gli ammiragli seguirono due strade.
La prima, inquadrata nel rinnovamento della flotta mercantile avviato dal regime, con sostegni economici legati alla costruzione di nuove navi commerciali, ma predisposte per una rapida militarizzazione in caso di bisogno, portò a progettare i traghetti delle Ferrovie di Stato, destinati soprattutto ad attraversare lo stretto di Messina, in modo tale da poterli riconfigurare per il trasporto di truppe e mezzi, anche su cingolo. Ma queste navi potevano sbarcare soldati e veicoli solo in punti già attrezzati, in aree portuali. Per lo sbarco su spiaggia o in punti non attrezzati, occorrevano navi militari ad hoc: e per evitare di disperdere le scarse risorse, furono attrezzate per tali esigenze sia le 4 unità posamine classe “Fasana” costruite nel 1923-1927, sia le cisterne per acqua Adige (1929) e le 4 similari “Sesia/Tirso”, realizzate nel 1933-1937.
Durante la guerra (che vide di nuovo distinguersi come reparto di élite il “San Marco”, anche durante la fase di cobelligeranza nel 1943-1945, nonché con l’unità ricostituita nella RSI) ci si arrangiò modificando navi mercantili e piccole imbarcazioni, ma senza in effetti lanciare impegnative operazioni di sbarco, se non in Egeo; ma mancò la grande prova del fuoco, rappresentata dall’assalto anfibio su Malta, organizzato nei dettagli ma poi cancellato nel 1942 [2]. Uniche unità specializzate, realizzate su licenza nel 1941-1943, furono le eccellenti motozattere da sbarco di tipo tedesco “MZ”, in varie versioni, con l’ultima radiata nel 1995.
Nell’immediato dopoguerra, tra le conseguenze del disastro e le limitazioni del Trattato di pace del 1947, la situazione delle forze anfibie era pessima, e occorreva ricominciare tutto da capo. L’unica cisterna convertibile rimasta, il Sesia, fu destinata a sole funzioni logistiche, al pari di una ventina di motozattere “MZ”, in buone condizioni o recuperabili, mentre il posamine Fasana fu radiato nel 1950. Nel frattempo però l’Italia era entrata nella nascente Alleanza Atlantica (1949), e ben presto i limiti del trattato furono superati, e dagli Stati Uniti giunsero i primi aiuti: economici, e con materiale dismesso.
Nel 1951 fu costituito un reparto anfibio interforze Esercito-Marina, al cui interno iniziarono a formarsi 2 battaglioni di fanteria anche meccanizzata, cui nel 1952 si aggiunge il battaglione anfibio “San Marco”, già riattivato nel 1948 ma inizialmente inquadrato nella Divisione di fanteria “Folgore”. L’unità fu equipaggiata con veicoli ex americani, compresi i carri anfibi LVT-4, ed ebbe il battesimo non del fuoco, ma dell’acqua, durante la catastrofica alluvione del Polesine, nel novembre 1951. Nel 1956-1957 il reparto fu riorganizzato, e (improvvidamente) superando la sua configurazione interforze: l’Esercito nel 1957 creava così il Raggruppamento – dal 1964 Reggimento – “Lagunari”, su 3 battaglioni, di cui uno meccanizzato anfibio. In Marina, il Battaglione “San Marco” diventò definitivamente autonomo dal 1964: prima a Taranto e poi inquadrato nella 3ª Divisione navale di Brindisi.
Il rafforzamento della componente anfibia aveva infatti richiesto la costituzione di una adeguata forza navale, che ne assicurasse il trasporto e sbarco. Un primo passo era stato il recupero di 9 motozattere, riclassificate MTC (Moto Trasporti Costieri), affiancate da 75 piccoli mezzi anfibi ceduti da Stati Uniti e Gran Bretagna nel 1952-1953, assieme a 8 navi da sbarco tipo LCT (Landing Craft Tank) da 450/650 tonnellate. Tutte unità costruite tra 1942 e 1945, ma di concezione moderna e affidabili, tanto che il grosso resterà in servizio per decenni, con alcuni esemplari poi ceduti all’Albania nel 1999, e gli ultimi 2 radiati nel 2008. Una LCT andrà perduta per incaglio in Mar Rosso nel dicembre 1955.
Nel 1951 furono anche trasferite dalla US Navy 6 unità da 390 tonnellate tipo LCS-L (Landing Ship Support-Large), dotate di radar e cannoni antiaerei da 76, 40 e 20 mm, e lanciarazzi pesanti per il supporto e la protezione delle forze da sbarco; la Marina italiana le avrebbe però modificate e impiegate sino al 1971-1974 come cannoniere classe “Alano”, e poi come navi addestrative per i riservisti.
Occorreva però altro. Già nel 1948 la Marina aveva acquistato 2 mercantili impostati nel 1940 e non completati: nel 1949-1955 furono convertiti nelle navi da trasporto e sbarco da oltre 6.000 tonnellate Stromboli e Vesuvio, capaci di accogliere 5 mezzi anfibi, veicoli e truppe. Nel 1960-1962 il Vesuvio avrebbe subito ulteriori modifiche, con la realizzazione di hangar e ponte di volo per 2 elicotteri: ma erano navi modeste, nate per scopi diversi e lente (13 nodi e mezzo, con scarsa autonomia), armate anche con cannoni vecchi di 40 anni; saranno radiate già nel 1972, e demolite nel 1975-1977.
Il salto di qualità avvenne grazie ai trasferimenti americani via MDAP (Mutual Defense Assistance Program), che per il naviglio anfibio fu particolarmente prezioso, stante l’allora quasi totale inesperienza della cantieristica italiana in tale settore [3]. Prima a essere ceduta, nel 1957, fu una nave appoggio idrovolanti classe “Barnegat” costruita per la US Navy nel 1942-1943, da 2.800 t e 95 metri di lunghezza, spinta da motori diesel a oltre 18 nodi, con 4.500 miglia di autonomia. Dopo un intenso servizio di guerra nel Pacifico, era stata passata in riserva nel 1946, per essere tolta dalla naftalina 10 anni dopo, e modificata in nave appoggio Cavezzale per gli incursori della Marina, riattivati nel 1952 al cantiere del Varignano, e dal 1960 inquadrati nel Comando Raggruppamento Subacquei ed Incursori “Teseo Tesei” (COMSUBIN) [4]. Più volte aggiornata con nuove armi e radar, sarebbe rimasta in servizio sino al 1993-1994, quando fu passata in riserva e quindi radiata per poi essere demolita nel 1996, dopo oltre mezzo secolo di vita. Nel 1984 avrebbe supportato i 3 vecchi cacciamine italiani del 14° Gruppo navale inviati in Mar Rosso per bonificare gli ordigni rilasciati da una nazione mai identificata, sebbene i maggiori sospetti ricadessero soprattutto sul turbolento Colonnello libico Gheddafi, all’epoca ai ferri corti con l’Egitto.
Sebbene destinata agli incursori del COMSUBIN, il Cavezzale non era una nave anfibia; e solo nel 1962 entrarono in servizio le unità specializzate Anteo ed Etna, sempre ex US Navy. L’Etna era una nave da trasporto e attacco di concezione simile alle “Stromboli” italiane, sebbene decisamente più valida e prestante. Lunga 140 metri e con un dislocamento di quasi 14.000 tonnellate, apparteneva alla classe “Andromeda” ed era stata costruita nel 1944, in pochi mesi. Una potente turbina a vapore la spingeva a 16,5 nodi, con ben 16.000 miglia di autonomia: le capacità di carico erano di quasi 5.000 tonnellate di materiali. Nel 1960-1962 fu modificata per imbarcare 300 uomini del “San Marco” e 22 mezzi anfibi, fungendo da nave ammiraglia della 3ª Divisione navale. Sarebbe rimasta in servizio sino al 1977, e demolita 2 anni dopo [5].
L’Anteo era invece una di quelle navi anfibie di nuova concezione tipo LST (Landing Ship Tank) lunghe 100 metri e con un dislocamento di 3.650 t, costruita nel 1943 per sbarcare mezzi corazzati e truppe meccanizzate, con capacità di carico che, dopo la cessione alla Marina e le conseguenti modifiche, comprendevano 150 uomini del “San Marco” e 6 veicoli anfibi tipo LCVP. Fu la prima nave italiana dotata di portellone e rampa di sbarco prodieri, e fu radiata nel 1973.
Nel 1968 era stata nel frattempo ceduta una quarta unità ex US Navy: si trattava di un’altra nave appoggio idrovolanti, poi modificata per il supporto anfibio: ribattezzata Andrea Bafile, si presentava più grande del Cavezzale, essendo lunga 163 metri e con un dislocamento di 14.000 t. Dimensioni che ne favoriranno le modifiche, apportate tra 1969 e 1971, sia all’armamento (2 cannoni da 127 mm), sia realizzando un ponte di volo per l’impiego di 2 elicotteri pesanti da assalto anfibio. La nave, costruita nel 1943-1944, era in buone condizioni, e restò in servizio attivo sino al 1981, per poi passare prima in riserva, e quindi essere impiegata come caserma flottante a Taranto dal 1985 al 1988, e venduta per demolizione nel 1990.

“Seconda mano” e “made in Italy”

La LPD San Giorgio, in servizio dal 1988 e prima di 3 unità anfibie classe Santi.

La LPD San Giorgio, in servizio dal 1988 e prima di 3 unità anfibie classe Santi.

Nel 1965 la Marina aveva ordinato al proprio Arsenale di Taranto di realizzare una classe di nuove unità da sbarco, tipo LST da 980 tonnellate: ma il primo passo della cantieristica nazionale nel comparto anfibio fu un disastro, e delle 3 unità impostate dal 1966, solo il Quarto fu completato nel 1968; ma per i limiti riscontrati fu ben presto modificato in nave per esperienze, restando in servizio come tale sino al 1992. Le 2 unità già cantierizzate furono demolite sullo scalo, e altre 2 ordinate subito cancellate.
Per sostituire quindi le 2 “Stromboli” e l’Anteo, radiate nel 1972-1973, si fece così ricorso nuovamente a naviglio americano di seconda mano. La US Navy infatti cedette all’Italia 2 grandi LST classe “De Soto County” (compresa proprio la capoclasse), entrate in servizio nel 1972 come Grado e Caorle. Benché fossero state costruite tra 1956 e 1958, e risultassero più grandi e adeguate rispetto al modello di LST bellico, erano navi di concezione ormai superata: ne furono infatti realizzate solo 7 della prima serie di 8 previste, e la radiazione avvenne dopo una media di 15 anni di servizio, svolto anche durante la guerra in Vietnam. Lunghe 135 metri e larghe 19, dislocavano quasi 7.900 t, e 6 motori diesel assicuravano 17,5 nodi di velocità e buona autonomia.
Potevano imbarcare 4 mezzi anfibi, 700 uomini e sino a 28 mezzi corazzati, oltre a 60.000 litri di carburante, mentre la coperta poteva essere sgomberata per l’impiego di elicotteri.
Negli anni ’70 furono ammodernati e potenziati i reparti anfibi di Marina ed Esercito, meccanizzati con cingolati trasporto truppe (APC) M-113, e i loro derivati da combattimento, il VCC-1/2 “Camillino”, e il semovente portamortai M-106, 25 carri anfibi LVTP-7, mortai da 81 e 120 mm, missili anticarro “Tow”.
In tempo per il vero battesimo del fuoco del “San Marco”: la missione in Libano del 1982-1984, che vide i suoi uomini – guidati da un carismatico comandante, Pier Luigi Sambo – impegnati a cercare di mantenere la pace in zona di guerra, subendo perdite: l’unico caduto del contingente nazionale ITALCON fu infatti un marò di leva del battaglione, Filippo Montesi.
La missione fu però anche una importante lezione per le rinnovate truppe anfibie, che tra anni ’80 e ’90 ottennero equipaggiamenti più moderni, come lanciarazzi C-90 e missili anticarro “Milan”, i nuovi fucili d’assalto Beretta e veicoli tattici VM-90; e una svolta per quanto riguarda il naviglio dedicato alle forze anfibie. Per il trasporto in Libano di uomini e materiali erano infatti stati noleggiati alcuni traghetti civili: passo naturale, e che anche la pur più attrezzata Royal Navy aveva appena effettuato per supportare l’operazione bellica nelle Falkland con naviglio mercantile. Ma fu la flotta militare a mostrare dei limiti: non tanto il naviglio di scorta, poiché a rotazione parteciparono alla missione alcune delle unità più potenti e moderne della Marina; ma proprio le navi anfibie, che dopo il flop del prototipo Quarto, e il disarmo del Bafile nel 1981, erano rimaste soltanto Grado e Caorle. Navi ormai usurate e dai non pochi limiti: il Grado, pur reduce da vari interventi di manutenzione (5 in 5 anni, per 1,5 miliardi di vecchie lire di spesa), fu costretto a fermarsi in mare per 3 giorni a causa di una grave avaria al motore, mentre anche la gemella lamentò inconvenienti, sempre all’apparato propulsivo.
Ma per molti versi l’incidente, una brutta figura avvenuta sotto i riflettori della stampa nazionale ed estera, avrebbe non solo anche sottolineato l’abilità dei tecnici navali nel rimettere in moto la vecchia nave senza farla rientrare in porto; soprattutto, avrebbe fornito l’impulso necessario a sostituirle entrambe, e il Bafile già passato in riserva.
Facciamo un passo indietro. Da un lato l’inesperienza della cantieristica italiana nel realizzare naviglio anfibio, dall’altra la disponibilità di materiale relativamente moderno e affidabile ex US Navy a buon mercato, avevano contribuito a congelare progetti nazionali per naviglio più adeguato alle necessità della Marina, che ad esempio guardava con interesse all’impiego degli elicotteri per l’assalto anfibio verticale, ma potendo usare solo piattaforme modificate alla meglio. Finalmente, con la Legge Navale del 1975, che aveva rilanciato il procurement della Marina dopo una grave crisi, fu decisa la realizzazione di una nuova nave anfibia nazionale, con altre 2 in prospettiva, da finanziare con fondi ordinari o altri gettiti.
Tuttavia, i 1.000 miliardi erogati per ammodernare la flotta entro il 1984, furono presto erosi dalla galoppante inflazione di quegli anni, e alcuni programmi giudicati meno urgenti furono rimandati: compreso quello per le unità anfibie, che pure il polo formato da Finmare e CNI aveva studiato, delineando un progetto a un tempo pragmatico e innovativo, dopo il fallimento della classe “Quarto”.
La missione in Libano, e l’ormai conclamata obsolescenza delle 2 LST ex US Navy, non vecchissime in sé (ci sono ancora navi anfibie della Seconda guerra mondiale in servizio, in alcune marine secondarie), ma di modello superato e di costoso mantenimento, fornirono la spinta giusta, grazie anche all’alternarsi tra 1980 e 1989 di tre ministri della Difesa – Lelio Lagorio, Giovanni Spadolini, Valerio Zanone – decisamente più attenti all’ammodernamento dell’apparato militare italiano.
Con maggiori risorse finanziare disponibili, nel 1984 furono così finalmente ordinate per la Marina le prime 2 vere navi d’assalto anfibio di nuovo modello, e di progettazione e realizzazione nazionale: San Giorgio e San Marco (quest’ultima coperta con fondi della Protezione Civile, e dotazioni sanitarie e di soccorso implementate), impostate nel 1985 e completate nel 1988 nei cantieri di Riva Trigoso, nel frattempo acquisiti da Fincantieri.
Le nuove unità erano una curiosa versione di LPD (Landing Platform Dock), ossia un modello di unità generalmente caratterizzato, nella zona centro-poppiera, da bacino allagabile per i mezzi da sbarco, e ampio ponte di volo con hangar per elicotteri. La classe “Santi” (cui nel 1994 si sarebbe aggiunta la San Giusto, ordinata nel 1991 con fondi ordinari, e in una versione modificata e ingrandita per fungere anche da nave-scuola), invece presentava un ponte continuo come nelle ben più grandi Landing Helicopter Dock (LHD), ma privo di hangar; caratteristica invece quest’ultima delle Landing Ship Dock (LSD). Le nuove unità italiane erano così un interessante ibrido LHD/LPD/LSD, ma di dimensioni compatte: scelta che presentava dei limiti, ma imperante negli anni ’70 e ’80, per contenere i costi, anche adottando alcuni standard mercantili.
Lunghe 133 metri, larghe 20,5 e con dislocamento a pieno carico di 7.670 t, spinte a 20 nodi da 2 diesel che garantiscono 7.500 miglia di autonomia, prima delle modifiche del 1999-2004 potevano ospitare sul ponte di volo di circa 2.400 metri quadri 3 elicotteri pesanti, al pari di 4 mezzi da sbarco. Il ponte-hangar sottostante era configurato solo per ospitare un massimo di 30 veicoli cingolati tipo M-113, o 36 ruotati, e sino a 1.000 t di carico; a poppa il bacino allagabile conteneva altri 2 mezzi anfibi, e le navi potevano ospitare 345 “marò”.
Come accennato, il San Marco era configurato per interventi di protezione civile, con attrezzature per la potabilizzazione, la bonifica anti-inquinamento e maggiori capacità sanitarie.
Entrambe le unità erano difese da un cannone da 76/62 mm tipo MMI-Allargato, recuperato e ricondizionato assieme al radar di tiro RTN-10X “Orion” da alcune fregate appena disarmate, da 4 mitragliere da 20 e 12,7 mm, e da 2 lancia-decoy SCLAR.
Durante i grandi lavori di ammodernamento e modifica, elaborati dopo le lezioni apprese nelle missioni in Somalia e Timor Est, e completati nel 2002-2004, cannone e mitragliere sono stati rimossi, per estendere il ponte di volo da poppa a prua, per oltre 2.700 mq, consentendo di operare con da 3 a 5 elicotteri, a seconda del modello, anche eliminando il portellone da sbarco prodiero, e 2 alloggiamenti per mezzi anfibi, con modifiche strutturali. La difesa è ora assicurata da 2 cannoni da 25 mm, nuovi sistemi elettronici ed eventualmente da postazioni per missili MANPADS “Stinger”.
Contemporaneamente alle 2 nuove unità anfibie maggiori (che mandarono in pensione le usurate LST ex US Navy, passate in riserva nel 1988-1989 e radiate nel 1992, poi demolite entro il 2000), furono sostituiti anche i vecchi mezzi da sbarco degli anni ’50, con 17 nuovi MDN veloci e 9 più grandi tipo MEN, più altri 2 natanti-comando da 82 tonnellate, tutti costruiti tra 1985 e 1994. Nel 1983-1984 venivano inoltre realizzati da Crestitalia (Ameglia) 2 veloci – 28 nodi – unità da 100 tonnellate per il supporto degli incursori, che dal 1980 potevano anche contare sulla moderna nave appoggio /soccorso sommergibili Anteo.
Infine, come accennato nel 1992-1994 veniva costruita una terza LPD, il San Giusto, con più ampi spazi interni attrezzati per alloggiare gli allievi dell’Accademia Navale, ma mantenendo buona parte delle capacità anfibie delle consorelle. L’incremento del dislocamento a 8.000 t è stato compensato con motori più potenti. Incrementato anche il ponte di volo, anche se in zona prodiera è rimasto il cannone da 76/62 mm, questa volta un moderno “Compatto-SR”, affiancato da 2 pezzi da 25 mm. Più avanzata anche la sensoristica, che comprende una completa suite di guerra elettronica, e il sistema di comando e controllo SADOC-2.
Il San Giusto non ha subito interventi di modifica, ma solo vari aggiornamenti, l’ultimo dei quali nel 2021-2022.
Le 3 LPD sono state protagoniste di tutte le campagne anfibie della Marina, o di supporto a popolazioni colpite da disastri e conflitti, a partire dal 1989: con ottimi risultati, sebbene col tempo emergessero i limiti legati alle dimensioni contenute. Da qui i lavori di modifica avviati sui 2 esemplari più datati nel 1999, e la rielaborazione del progetto nella versione “Santi-Improved”; non adottata dalla Marina Militare, ma venduta in 2 esemplari costruiti tra 2012 e 2024 per Algeria e Qatar, caratterizzata da dimensioni incrementate (lunghezza di 143 metri, dislocamento salito a quasi 9.000 t), ponte di volo più ampio con hangar sottostante, spazi per 450 uomini e sino a 15 carri armati, e sistema di difesa basato su missili sup/aria e radar a lunga portata.

I gioielli del XXI secolo

La fiammante LHD (impiegabile anche come portaerei) Trieste, consegnata nel 2024

La fiammante LHD (impiegabile anche come portaerei) Trieste, consegnata nel 2024.

Sin dal 1991 era stata presa in esame dalla Marina la possibilità di affiancare la piccola portaerei Garibaldi (che ha limitate capacità quale portaelicotteri d’assalto anfibio, ruolo che ha comunque più volte parzialmente ricoperto [6]) con una seconda unità tuttoponte, ma in configurazione LHD anfibia, con capacità secondarie quale portaerei per velivoli VSTOL. Nel 2000 fu invece ordinata una portaerei leggera vera e propria, la Cavour poi completata nel 2008, e da 15 anni nave ammiraglia della flotta, che però grazie alle generose dimensioni presenta maggiori capacità di operare per missioni anfibie: la nave può infatti alloggiare sino a 450 uomini del “San Marco”, e oltre agli elicotteri per l’assalto anfibio “verticale”, può ospitare veicoli blindati e corazzati – tank compresi –, e mezzi da sbarco.
Tuttavia, la possibilità di acquisire una vera e propria LHD, con ampio bacino allagabile, oltre alle dotazioni aeronautiche, non era scomparsa. Nel 2014, quando iniziava a farsi urgente la sostituzione del Garibaldi e delle 3 “Santi”, con il Programma navale varato quell’anno – noto anche come Legge navale del 2014 – è stato posto il primo, e più ambizioso tassello del rinnovamento, poi concretizzatosi col contratto assegnato il 1° luglio 2015 al raggruppamento di imprese formato da Fincantieri e Finmeccanica-Leonardo, e del valore di oltre 1,1 miliardi di euro, per realizzare una innovativa LHD/A: ossia una portaeromobili d’assalto anfibio, con capacità secondarie quale portaerei.
Battezzata Trieste, la nuova unità, la cui lavorazione è iniziata nel luglio 2017, seguita dal varo avvenuto a Castellammare di Stabia il 25 maggio 2019, si presenta in effetti ancora più innovativa e ambiziosa della portaerei Cavour; e leggermente più grande, essendo lunga 245 metri e larga 36, e con un dislocamento che a pieno carico varia a seconda della configurazione di missione, ma potendo toccare le 38.000 tonnellate, contro le nemmeno 30.000 dell’ammiraglia, che potrà sostituire nel ruolo di portaerei. Il Trieste infatti dispone di un ponte di volo ampio quanto quello del Cavour, e di un hangar riconfigurabile, con la possibilità di accogliere un massimo di 34 velivoli; operando come portaerei, potrà impiegare 10-12 F-35B (il sofisticato caccia di 5ª generazione avanzata acquistato in 30 esemplati VSTOL da Marina e Aeronautica), e alcuni elicotteri di supporto. Per muovere la più grande nave da guerra italiana costruita dopo il 1945, è stato adottato un innovativo apparato propulsivo CODLAG (COmbined Diesel-eLectric And Gas), incentrato su 2 potenti diesel, altrettanti generatori elettrici, e su 2 turbine a gas: queste ultime di modello diverso dalle tradizionali AVIO/GE LM2500 italo-americane adottate sin dagli anni ’70, essendo le nuove Rolls-Royce MT30 inglesi, sviluppate negli anni 2000. Propulsione che garantirà anche a pieno carico una velocità massima di 25 nodi, e 13.000 km di autonomia a 16 nodi.
Altrettanto sofisticata la configurazione combat della nave, che peraltro si presenta con l’innovativa doppia isola di comando ai lati del ponte di volo (una destinata a sede del comando navale, l’altra per gestire le operazioni aeree), derivata dalle nuove portaerei inglesi classe “Queen Elizabeth”. Il Trieste potrà così imbarcare, oltre agli aeromobili, sino a 1.064 effettivi, compresi 604 uomini e donne delle forze da sbarco, e i loro mezzi corazzati o blindati. Nell’ampio bacino allagabile di poppa troveranno posto da 2 a 4 mezzi da sbarco, a seconda del modello [7], oltre a RHIB e altri natanti. La nave avrà anche ampie capacità di supporto sanitario e per il soccorso di popolazioni colpite da calamità, potendo ospitare sino a 1.400 persone grazie a unità containerizzate, a potenti impianti di potabilizzazione, a generatori elettrici, e un’area ospedaliera di 700 mq.
Ricca la panoplia di armi e sensori, sebbene solo in parte già imbarcati: 2 i radar AESA di Leonardo, cui si aggiungono quelli per la gestione dei mezzi aerei e la direzione del tiro dei sistemi d’arma, che comprendono 3 cannoni da 76/62 mm SR-MF in configurazione “Davide”, a doppio scopo, e 3 armi da 25 mm in torri remotizzate, mentre potranno essere imbarcati anche 2 moduli di lancio VLS per 16 missili sup/aria. La difesa dai siluri e dai missili è assicurata da sensori subacquei e dal lanciarazzi polivalente ODLS-20.
Il Trieste ha iniziato le prove in mare nell’estate 2021, e dopo qualche ritardo dovuto al Covid-19 e a problemi tecnici (soprattutto legati al nuovissimo apparato propulsivo) fisiologici in navi così complesse, nel settembre 2023 è stata assegnata alla Marina per iniziare l’addestramento dell’equipaggio, prima di tornare in cantiere per la messa a punto, in vista della consegna ufficiale, ormai prossima; il 1° ottobre 2024 verrà infatti ritirata dal servizio attivo la Garibaldi, che sarà seguita a breve da una delle 2 LPD classe “Santi” più vecchie.
Per sostituire l’intera classe, tuttavia, la Marina ha avviato da anni un progetto, ormai arrivato quasi a conclusione, ora denominato LXD. Si tratterà di 3 unità tipo LPD, quindi con ponte di volo, hangar e bacino allagabile poppieri, lunghe 165 metri, larghe 29 e con un dislocamento stimato di 16.500 t. Le navi saranno spinte da 6 tra motori diesel ed elettrici a 20 nodi, disporranno di una adeguata dotazione di armi difensivi e sensori, e potranno ospitare sino a 550 effettivi delle forze da sbarco, 2 elicotteri pesanti (o anche convertiplani) e 1 drone, e 2 mezzi anfibi nel bacino allagabile. Il contratto dovrebbe essere firmato entro il 2024, per consegnare le unità tra 2028 e 2030.
Con il potenziamento della componente navale, negli ultimi 35 anni è stata gradualmente potenziata e riorganizzata anche la forza anfibia, che ha anche messo a frutto le esperienze operative del Libano, poi ampliate con le successive missioni degli anni ’90 in Somalia, ex Iugoslavia, Albania e Timor Est. Proprio gli anni ’90 hanno segnato un’epoca di crescita e riorganizzazione.
Già nel 1991 il “San Marco” divenne reggimento, spostandosi da Taranto a Brindisi, mentre nel 1992 anche i “Lagunari” furono riorganizzati in reggimento, peraltro quasi subito impegnato nell’operazione “Vespri Siciliani” in Sicilia; nel 1995 il “San Marco” diventava invece “Raggruppamento anfibio San Marco” (GRUPANF) con la ricostituzione del Reggimento “Carlotto”, e nel 1996 veniva inserito nella neonata Brigata anfibia italo-spagnola, reparto ad alta prontezza operativa della NATO: marò e lagunari inoltre erano tra i primi reparti nazionali a transitare dal modello leva/volontari a quello formato da volontari/professionisti.
Contemporaneamente, venivano riorganizzati gli assetti aeronautici della forza da sbarco, attivati nel 1962 impiegando elicotteri Sikorsky SH-34 dai ponti di volo creati sulle prime navi anfibie Vesuvio, Bafile, Caorle e Grado, per poi utilizzare gli AB-212. Nel 1994 i reparti furono riorganizzati nel Nucleo Lotta Anfibia (NLA) di Grottaglie, appositamente equipaggiato per supportare il “San Marco” operando dalle 3 nuove navi anfibie classe “Santi” e dalla Garibaldi, come accadde in Somalia nel 1994 e 1995. Per la bisogna, 2 gruppi di elicotteri pesanti “Sea King” e di AB-212 furono radicalmente modificati, sbarcando le attrezzature antisom per montare mitragliatrici pesanti, razziere e corazzature in kevlar. Nel 2000 veniva anche avviato un programma per potenziare la linea dei mezzi anfibi protetti, trasformando i 25 carri portatruppe LVTP-7 degli anni ’70 al più prestante standard AAV7, e acquisendone altri 10 dagli Stati Uniti, già modificati, mentre parte degli M-113 riceveva i kit di aggiornamento anfibio “Arisgator”.
I reparti anfibi modernizzati furono subito impiegati nelle varie missioni innescate dai fatti dell’11 settembre 2001, con dispiegamenti in Afghanistan e Iraq, e un crescente coinvolgimento in azioni belliche vere e proprie, e poi nel 2006 in Libano (operazione “Leonte”). Da questa importante esperienza anfibia furono tratte ulteriori lezioni, che oltre a influenzare i programmi per le nuove LHD e LPD progettate dopo il 2014, hanno comportato nuove riorganizzazioni organiche. Nel 2007 è così rinata una struttura anfibia interforze, il Comando Forza di Proiezione dal Mare (FPM), che inquadrava tutti gli assetti anfibi di Marina ed Esercito; una forza segnata nel 2013 da un’altra rinascita. Il “San Marco” infatti fu ricostituito a livello di Brigata, inquadrato nel nuovo Comando della Forza Anfibia (COMFORANF). Oggi la Brigata conta circa 3.800 effettivi, articolati su reparto comando, sul battaglione addestrativo “Caorle”, sul Gruppo mezzi da sbarco, che inquadra tutti i natanti anfibi minori, e 3 reggimenti di manovra: il 1° su 2 battaglioni d’assalto anfibio e uno di supporto; ossia le forze da sbarco vere e proprie, con i carri anfibi AAV7. Il 2° Reggimento fornisce invece i Nuclei militari di protezione (NMP) da imbarcare su navi da guerra o mercantili, come difesa contro attacchi asimmetrici e pirateria, e per formare i team di ispezione (boarding team), inquadrati in 20 squadre su 2 compagnie del Battaglione Operazioni Navali; il 2° Battaglione interdizione e protezione inquadra altre 20 squadre di protezione.
Il 3° Reggimento infine assicura la difesa statica di basi e infrastrutture navali, con i 3 battaglioni SDI (Servizio Difesa Installazioni) “Nord”, “Centro” e “Sud”, più 3 compagnie specializzate.
Il Reggimento Lagunari Serenissima”, invece, con QG a Venezia, se sul piano operativo fa parte della forza anfibia, è inquadrato organicamente nella Brigata di cavalleria “Pozzuolo del Friuli”, e conta sul Battaglione “Lagunari” e le compagnie di supporto e comando.
Tutti i reparti anfibi sono tuttora interessati da importanti programmi di ammodernamento: tra i più importanti, la sostituzione degli elicotteri del NLA, con 8 AW-101 e 10 NH-90, in una variante ASH-CSAR appositamente configurata con minigun e corazzatura. Con 2 contratti siglati nel 2022, Esercito e Marina hanno invece avviato l’acquisizione della versione anfibia dell’autoblindo pesante 8×8 “Freccia”: ossia il VBA (Veicolo Blindato Anfibio), che in una variante riprogettata, nel 2018 è stato venduto al Corpo dei Marines, nel paese che ha “inventato” la moderna guerra anfibia meccanizzata. I VBA dovrebbero essere complessivamente acquistati in 144 esemplari, ma i numeri potrebbero cambiare, andando a sostituire AAV7 e M-113, affiancando altri veicoli protetti ruotati come 4×4 “Lince 1/2” e 6×6 “Orso”. Le forze anfibie inoltre stanno riequipaggiandosi con nuove armi individuali e di squadra (fucile d’assalto Beretta ARX-160 e missili anticarro “Spike”), droni di sorveglianza e mortai da 81 e 120 mm.
Infine, anche gli incursori del COMSUBIN stanno per operare da unità nuove di zecca: nel 2019-2020 sono infatti state consegnate le 2 UNPAV (Unità Navale Polifunzionale ad Alta Velocità) classe “Angelo Cabrini”, lunghe 44 metri e da 185 tonnellate, realizzate da Intermarine nell’ambito della Legge Navale 2014, caratterizzate da alta velocità, blindature, una notevole dotazione di armi e sensori, comprendente una torretta remotizzata per arma da 12,7 mm, 3 mitragliere pesanti, missili “Spike”, RHIB, radar e sistemi di comunicazione allo stato dell’arte. Nel 2026 andrà poi in pensione la nave appoggio Anteo, che sarà sostituita dalla ben più sofisticata e grande (128 metri, 12.800 t, contro i 98 metri e 3.200 tonnellate dell’unità in servizio dal 1980) Olterra, in costruzione dal 2023 nei cantieri Mariotti di San Giorgio di Nogaro; ma la polivalenza delle navi di nuova generazione previste per la Marina, permetteranno al COMSUBIN di operare anche da una seconda unità derivata dall’Olterra, ma più piccola e detta Long Range Submarine Support Ship (LRSSS), da 14 nuove unità per la guerra alle mine – la UBOS (Unità Bonifiche Subacquee), una nave appoggio e 12 cacciamine costieri e alturieri -, mentre per l’addestramento è prevista la realizzazione di una apposita piattaforma galleggiante.

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Note
[1] Il termine “Garibaldini del mare” fu coniato dal capitano del Regio Esercito Pietro Verri, caduto negli scontri attorno a Tripoli il 26 ottobre 1911, e ripreso in una poesia di D’Annunzio.
[2] Operazione “C-3”, pianificata da un team interforze e posta al comando dell’ammiraglio Vittorio Tur.
[3] I cantieri Baglietto si limitarono a realizzare nel 1956-1957 un piccolo mezzo anfibio.
[4] Per il supporto agli incursori subacquei potevano essere impiegate anche la nave salvataggio sommergibili Proteo, completata nel 1955, e la corvetta Ape, modificata nel 1963-1964 e in servizio sino al 1979.
[5] Il 22 marzo 1965 investiva e speronava la fregata Castore, devastandone la zona poppiera e provocando 4 morti e 11 feriti. Limitati i danni alla zona prodiera della grande unità anfibia.
[6] Dal 2014 è nave-comando della 3ª Divisione Navale, a supporto della Forza Anfibia nazionale.
[7] Dal 2010 è stata avviata la costruzione di nuovi mezzi da sbarco, per affiancare/sostituire quelli degli anni ’80 e ’90: ossia 9 tipo MEN-217 da 65 tonnellate, e 4 LC-23 da 155 t e blindati, realizzati nel 2019-2021, tutti nei cantieri Vittoria di Adria. Baglietto ha completo nel 2022 un primo lotto di 2 Fast Assault Craft-FFC15 da 16 metri e capace di trasportare 22 incursori a 40 nodi di velocità.

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Per saperne di più
M. Cosentino-M. Brescia, La Marina militare italiana 1945-2015, 3 voll., Storia Militare-Dossier 2014-2015.
G. Da Frè, Almanacco Navale del XXI secolo: dalla Guerra Fredda alla crisi ucraina, Odoya 2022.
G. Giorgerini-A. Nani, Almanacco storico delle navi militari italiane 1861-1995, Ufficio Storico Marina, Roma 1996.
G. Giorgerini, Da Matapan al Golfo Persico: la Marina militare dal fascismo alla Repubblica, Mondadori 2003