MUNDA, L’ULTIMA VITTORIA DI GIULIO CESARE

di Massimo Iacopi –

Solo quattro anni separano il passaggio del Rubicone dalla battaglia di Munda. In questo arco di tempo, come una meteora, Cesare ha inseguito e vinto i suoi avversari. E’ infine in Spagna che, il 17 marzo del 45 a.C., ottiene la vittoria di Munda, la terza di una trilogia, dopo Farsalo e Tapso, che gli consegna la vittoria sul partito pompeiano e mette fine temporaneamente alla guerra civile.

 

Le operazioni lanciate da Giulio Cesare all’inizio della guerra che l’oppone a Gneo Pompeo il Grande hanno stupito i contemporanei. Il partito degli Optimates e il suo capo sono stati presi alla sprovvista dalla risolutezza e la rapidità del vincitore delle Gallie, diventato capo emblematico del partito dei Populares, che, nel 49 riesce ad impadronirsi dell’Italia senza combattere, quindi a mettere le mani sul nord della Spagna e su Marsiglia [1]. Eletto console nel 48, Cesare passa, a quel punto, in Epiro, dove il suo inizio di campagna risulta molto pericoloso. Successivamente entra in Tessaglia dove vince Pompeo nella grande battaglia di Farsalo. Cesare insegue successivamente il suo avversario in Egitto, dove apprende dell’assassinio di Pompeo ad Alessandria. Dopo aver regolato con difficoltà i problemi di successione del regno tolemaico, egli pacifica il nord dell’Anatolia entrato in ribellione contro Roma sotto la guida di un figlio di Mitridate del Ponto. Una volta ridotto all’obbedienza l’Oriente, Cesare deve ancora mettere in riga il suo vecchio luogotenente Tito Labieno e Marco Porcio Catone Minor, detto l’Uticense, divenuti padroni dell’Africa. Dopo un difficile sbarco, il condottiero sconfigge l’esercito degli “eredi” di Pompeo nella battaglia di Tapso, nell’aprile del 46. Catone il Giovane (minor) si suicida a Utica dopo la disfatta “per non sopravvivere alla libertà”, ma Labieno e tutti i sopravvissuti del campo pompeiano prendono la fuga per recarsi in Spagna al fine di unirsi agli ultimi “irriducibili”. Cesare, ancora una volta vittorioso, può rientrare a Roma: il 13 giugno del 46 a.C., egli lascia l’Africa Nova, che ha appena solidamente riorganizzato e affidato alla guida di Caio Sallustio Crispo. Di ritorno nella capitale, si dedica alla gestione degli affari correnti e a consolidare, se mai ce ne fosse ancora bisogno, il suo dominio sulla Repubblica.

Cesare, dal trionfo alla ripresa delle ostilità

Dittatore a partire dal 49, Giulio Cesare si fa eleggere Console nel 48, abdicando alla dittatura. Egli ottiene nel corso degli anni il cumulo, finora fatto inedito nella storia della Repubblica, di numerosi privilegi: il diritto di presiedere all’attribuzione delle magistrature; una seconda dittatura; il diritto di nominare i governatori delle province pretoriane; il consolato per cinque volte; un posto fra i tribuni della plebe; il diritto di fare la pace e di dichiarare la guerra; le prefetture dei costumi per tre anni (equivalente al potere dei censori); la preminenza al Senato; la direzione delle finanze pubbliche; il comando in capo delle legioni; una terza e una quarta dittatura e infine la protezione dell’inviolabilità tribunizia. Nel corso dell’estate del 46, che molti contemporanei descrivono come particolarmente torrida, “la realtà dissipa le speranze dei vuoti sognatori politici. Cesare utilizza, per rendere legale la sua autocrazia, tutta la potenza di cui si era appropriato e che il Senato aveva prontamente confermato” (Eberhard Horst, Cesare).
Successivamente, dal 20 aprile al 1° ottobre, Roma celebra, con un fasto e un lusso di ampiezza inaudita, i trionfi di Cesare sulla Gallia, sull’Egitto, sul Ponto e sull’Africa. La plebe acclama i veterani delle legioni vittoriose e può contemplare le immense ricchezze accumulate nel corso delle campagne. I soldati si permettono qualche canzone impertinente, ricordataci da Caio Svetonio Tranquillo: “Romani, chiudete le vostre donne! Noi stiamo accompagnando il seduttore calvo!”. Cesare spende senza limiti per offrire alla popolazione pane e giochi, quindi distribuisce una gran parte del suo bottino ai fedeli soldati. Egli rafforza così l’appoggio e la fedeltà che gli testimonia la plebe, già da qualche anno. La popolarità di Cesare raggiunge il suo apogeo e ormai più nulla sembra poter contrariare la sua “buona fortuna”. Ma nello stesso momento, nonostante la recente sconfitta in Africa, il campo pompeiano riesce a riemergere in Spagna (Hispania).
Per comprendere questa nuova situazione occorre effettuare un breve ritorno sugli avvenimenti che hanno segnato la Spagna nel corso degli anni precedenti. Nel 49, effettuando una prima campagna nella Spagna Citeriore, Cesare riesce a battere i legati di Pompeo, Lucius Afranius e Marcus Petreius con le loro sette legioni, nel corso della battaglia di Ilerda. Passando successivamente nella Spagna Ulteriore, il vincitore della Gallia sottomette Marco Terenzio Varrone, l’altro legato di Pompeo, raccogliendone le sue due legioni. Il dittatore lascia sul posto Quinto Cassio Longinus come legato, alla testa di quattro legioni: le due di Varrone e altre due, la 21a e la 30a, recentemente reclutate. Ma Longinus governa in maniera inefficace e tirannica. I suoi metodi gli impediscono di dominare l’influenza residua del partito pompeiano in una provincia che è stata, da sempre, il suo santuario e la sua principale base di reclutamento. Peggio ancora, Longinus riesce anche a esasperare le popolazioni indigene, in particolare i notabili, e a spingere le vecchie legioni di Varrone ad ammutinarsi. La 2a legione si solleva per prima, prima di essere raggiunta progressivamente dalle coorti dell’altra legione di Varrone. Nonostante l’arrivo di rinforzi della Mauritania condotti in Spagna dal loro re Bogud nel dicembre 48, Longinus non riesce a domare totalmente la rivolta prima del suo richiamo da parte di Cesare, che sopraggiunge all’inizio dell’anno 47. Longinus scompare, tra l’altro, nel corso del viaggio di ritorno, facendo naufragio con il suo battello davanti all’estuario dell’Ebro. Il suo successore, Caius Trebonius, non riesce neanche lui a ristabilire la situazione. Le due legioni ammutinate, dopo qualche settimana di esitazione e di calma, si decidono a fare appello ai Pompeiani, facendo trasformare una semplice rivolta in una alleanza aperta con il campo degli avversari di Cesare. Cnaeus Pompeo il Giovane, a quel tempo trentenne, coglie l’occasione per assumere il controllo della Spagna, su loro richiesta. Egli lascia l’Africa nel corso degli ultimi mesi dell’anno 47, accompagnato da un esercito eteroclito di 2 mila schiavi e uomini liberi, come anche da cavalieri allobrogi, fatti prigionieri dal re Juba I di Numidia, in occasione della guerra di questi contro Caio Scribonio Curione, l’uomo di Cesare battuto nel 49. Cnaeus sbarca quindi in Spagna nella primavera del 46, dopo una diversione nelle Baleari, che conquista senza combattere. Nello stesso tempo, le legioni ammutinate hanno nominato per capo Tito Quinto Scapula e Quinto Aponius e hanno scacciato Trebonius dal sud della Spagna. Pompeo il Giovane viene ben accolto in Spagna, conquista rapidamente diverse città e inizia anche l’assedio di Carthago Nova, che rifiuta di sottomettersi. Ben presto, i partigiani di Scapula si alleano ai Pompeiani insieme alle due legioni di Varrone. Pompeo può quindi dare inizio al reclutamento di nuove unità, al fine di mettere insieme un esercito di un certo peso e riceve poco dopo il rinforzo di suo fratello Sextus (Sesto) Pompeo, di Publius Attius Varus e di Labienus, che erano fuggiti dall’Africa, insieme ai sopravvissuti della disfatta di Tapso. Sextus è il più giovane dei figli di Pompeo il Grande, che ha appena una ventina di anni e soprattutto manca d’esperienza, caso questo che non è quello di Labienus che, a 55 anni, è un veterano delle guerre della Gallia, durante le quali è stato il comandante in seconda di Cesare e ha partecipato a tutte le battaglie della guerra civile. La minaccia pompeiana in Spagna non può più essere sottovalutata e tenuto conto della rapida degradazione della situazione sul posto, Cesare decide di intervenire personalmente in Spagna, per riprendere alla mano la provincia e porre una parola definitiva sulla guerra civile.

Le forze nella campagna di Spagna

Cesare parte da Roma agli inizi del novembre del 46. Egli vuole agire rapidamente in linea con il suo carattere impaziente. La situazione in Spagna è in quel momento particolarmente complessa: “Una grande e terribile guerra era stata accesa da Cnaeus Pompeo, figlio del grande Pompeo, un giovane ardente e bellicoso che aveva riunito intorno a sé, per aiutarlo, tutti quelli che, su tutta la terra, erano rimasti ancora attaccati alla grandezza del nome di suo padre” (Velleius Paterculus, Historia Romana). Le popolazioni provinciali vengono largamente implicate nel conflitto e portano il loro sostegno a entrambi i campi avversi, sia a ricordo degli immensi servigi resi da Pompeo, in occasione della guerra contro Quinto Sertorio, o anche a causa dei legami più discreti intessuti da Cesare, durante la sua carica di questore nel 68. Con ogni evidenza, il campo dei Pompeiani domina senza avversari la Provincia Citeriore, ma al sud, nella Spagna Ulteriore, i due partiti sono presenti e le città principali si schierano a favore dell’uno o dell’altro anche in funzione delle loro concorrenti influenze. Al momento dello scatenarsi delle ostilità, le fonti attribuiscono fra 11 e 15 legioni a Cnaeus Pompeo il Giovane, peraltro non omogenee e di diversa qualità, mentre Cesare, da parte sua, ne evoca 11 nella sua corrispondenza. Marco Tullio Cicerone, nella sua corrispondenza parla di 13 legioni [2], forse 11 dell’esercito principale di Pompeo e due altre rimaste a Cordova (Corduba). Un’altra ipotesi lascerebbe intendere che il figlio di Pompeo avrebbe avuto a disposizione 13 legioni e ne avrebbe lasciate due a Corduba, per un totale di 15. Comunque sia, fra tutte queste legioni, solo 4 sono di buona qualità: si tratta, in primo luogo, delle due legioni di Varrone (la legione Vernacula, probabilmente reclutata fra i cittadini romani di Spagna e la 2a formata da Italici). Queste due unità, reclutate dallo stesso Gneo (Cnaeus) Pompeo il vecchio dal 55, hanno acquisito esperienza, nel corso degli anni, durante i combattimenti contro i Lusitani e gli altri popoli, non ancora sottomessi, della penisola. Vengono poi una legione costituita da cittadini romani della provincia dell’Ulteriore, reclutati da Cnaeus Pompeo il Giovane e una legione costituita da veterani delle vecchie legioni pompeiani battute ad Ilerda e che hanno servito in Africa sotto gli ordini di Afranius. Il valore delle altre legioni sembra più problematico. I transfughi venuti dall’esercito dei vecchi legati di Cesare in Spagna sono senza dubbio abbastanza numerosi per formare le due legioni poste sotto gli ordini di Sextus Pompeo a Corduba. Gli indigeni spagnoli e gli schiavi sono, infine, l’ultima risorsa di reclutamento delle unità legionarie. A queste truppe, si aggiungono circa 20 mila cavalieri, fanti leggeri e ausiliari reclutati fra i Lusitani, i Celtiberi o i Cantabrici. In totale i Pompeiani possono schierare una forza abbastanza considerevole, i cui effettivi possono essere valutati fra i 60 ed i 75 mila uomini.
I mezzi schierati da Cesare sono ugualmente rilevanti. Egli dispone, in effetti, di 8 legioni: le due legioni di Spagna Ulteriore rimaste fedeli al suo campo (21a e 30a), tre legioni della Spagna Citeriore comandate da Quinto Pedius e una legione venuta dall’Italia con Quinto Fabio Maximus (forse la 28a), infine due legioni di veterani (la 3a, la 5a Alaude), alle quali vanno aggiunte due altre legioni arrivate dall’Italia insieme a Cesare e che avevano servito al suo fianco in tutte le sue campagne (le famose 6a e 10a). Questo insieme non è certo più omogeneo di quello di Cnaeus Pompeo, trovandosi fianco a fianco veterani della guerra delle Gallie con le reclute spagnole. Ciò nondimeno, i metodi di addestramento impiegati da Cesare fanno del suo esercito uno strumento senza dubbio più disciplinato di quello dell’avversario. A questi legionari vanno aggiunti numerosi ausiliari nell’ambito di un “esercito permanente”, che Cesare ha preso l’abitudine di non licenziare più alla fine di ogni campagna [3]. Il Bellum Hispaniensis afferma che “per quanto concerne la fanteria leggera ed alla cavalleria, le nostre erano largamente superiori in qualità e numero” (Pseudo Cesare, La Guerra di Spagna). Si tratta principalmente di ausiliari della Gallia e spagnoli, i cui cavalieri erano stati reclutati da Longinus e anche di cavalieri della Mauritania al servizio del re Bogud. In totale, l’esercito di Cesare può schierare 40 mila combattenti, di cui 8 mila cavalieri.

Le prime manovre

Allorché Cesare arriva in Spagna, i generali del suo partito, Quinto Fabio Maximus e Quinto Pedius, hanno da tempo rinunciato a combattere Cnaeus Pompeo il Giovane. Quest’ultimo, essendosi ritirato nella Spagna Ulteriore, dove tutte le città si erano schierate con la sua causa, decide di intraprendere l’assedio di Ulia, la sola città rimasta fedele a Cesare. Sul mare, la flotta pompeiana ha subito una sconfitta che le ha fatto perdere il controllo delle coste. Cesare, da parte sua, agisce con rapidità e sbarca a Sagunto, solo 17 giorni dopo la sua partenza dall’Italia. Dieci giorni più tardi, accompagnato solamente da una frazione delle sue forze, giunge a Obulco (Porcuna), ad est di Corduba. Le sue truppe e i loro bagagli hanno progredito al ritmo sfrenato di 90 km al giorno, in condizioni climatiche spaventose. Cesare, dimostrando di essere nel pieno possesso dei suoi mezzi a 55 anni, riesce a mettere a profitto il “tour de force” di questo tragitto estremamente difficile per redigere un’opera letteraria. I suoi luogotenenti controllano già delle piazzeforti della regione come Castulo o Tucci (Martos) e, dal canto loro, i Pompeiani hanno dovuto già abbandonare l’assedio di Carthago Nova. Da Obulco, Cesare manovra abilmente per cercare di allontanare Pompeo il Giovane da Ulia, la città che ha posto già sotto assedio da qualche mese. Egli minaccia direttamente Corduba, obbligando Cnaeus ad avvicinarsi alla stessa città, dove delega suo fratello Sextus, con due legioni, con il compito di rinforzare la guarnigione. I suoi avversari rifiutano qualsiasi scontro in campo aperto, ma alla fine Cnaeus Pompeo il Giovane finisce per abbandonare l’assedio di Ulia, per portare un soccorso più efficace alla capitale minacciata della provincia Ulteriore. Queste prime operazioni non hanno peraltro un carattere decisivo, in quanto ben presto Cesare si ammala. Egli rimane più probabilmente vittima delle cattive condizioni climatiche che di una crisi di epilessia. Comunque sia, Cesare non riesce a prendere Corduba e può riprendere attivamente la condotta della guerra solo alla metà del gennaio del 45. Durante tutto questo periodo i legionari vivono sul terreno in condizioni molto precarie, in capanne di legno, come solo riparo di fronte ai rigori dell’inverno.
Nominato console per l’anno 45, Cesare è tuttavia obbligato a proseguire le operazioni in Spagna. Rinunciando ad attaccare Corduba, troppo fortemente difesa, egli dirige il suo esercito sulla città di Aregua, che conserva delle ampie riserve di grano, delle quali spera di impadronirsi. Cnaeus Pompeo il Giovane non dà inizialmente alcuna importanza alla manovra di Cesare, pensando ad una nuova diversione. Ma quando apprende l’ampiezza dei lavori di assedio intrapresi dal console, egli cambia idea e spedisce sul posto Munazio (Munatio) Flaccus per organizzare la difesa della piazza. Munazio riesce a introdursi nella piazzaforte con l’astuzia, ma nonostante i suoi sforzi non riesce a salvare la città. Anche Pompeo si porta ugualmente in soccorso di Aregua e viene a insediarsi sulle alture fra Aregua ed Ecubis (Espejo), ma non riesce a sopraffare la posizione difensiva impiantata da Cesare e conosciuta sotto il nome di Castra Postumiana. Nel corso di un assalto condotto dai Cesariani, viene appiccato il fuoco alle loro macchine d’assedio, ma una improvvisa burrasca di vento, cambiando la direzione delle fiamme, le propaga sulla città, mettendo a fuoco numerose case e provocando la frana di una parte delle mura. La guarnigione, composta da vecchi transfughi dell’esercito di Trebonius, non pensa certo ad arrendersi, per la paura di essere messi comunque a morte. Flaccus, da parte sua, fa giustiziare i partigiani di Cesare presenti nella piazza il 15 febbraio. Ma tutti i tentativi per spezzare l’assedio dall’interno o dall’esterno falliscono e Flaccus tenta allora delle aperture presso Cesare al fine di negoziare la sua resa. Cesare le rifiuta, preferendo trattare direttamente con la popolazione indigena della città, che finisce comunque per capitolare il 18 febbraio seguente.
Questo avvenimento segna una svolta importante nella campagna e numerose città e tribù cominciano a pensare di schierarsi dalla parte di Cesare o, ancora più direttamente, iniziano a farlo. Cnaeus Pompeo il Giovane, inquieto per questa pericolosa tendenza in atto e non sapendo più che strategia seguire, pensa a quel punto di arrischiarsi ad una battaglia campale decisiva che aveva fino ad allora accuratamente tentato di evitare. Egli manovra conseguentemente verso Ecubis, alla ricerca di una posizione favorevole; egli costruisce dei fortini sulle colline circostanti per garantire la sicurezza delle sue forze. Temendo delle congiure contro il suo partito, Pompeo ordina di decapitare 74 partigiani di Cesare, denunciati come tali dagli abitanti di Ecubis.
Cesare, da parte sua, si avvicina a Ecubis nell’inseguimento dell’esercito pompeiano ed il 5 marzo ha luogo uno scontro importante a Soricaria. Cesare, avendo deciso di spostare il suo campo di questa località, per tagliare le comunicazioni dei Pompeiani con il mare, Pompeo il giovane tenta di impedire la manovra e schiera una parte delle sue forze su una collina vicina dalla quale Cesare decide di sloggiarli. Dopo un vivo scontro, i Pompeiani vengono ributtati nella piana abbandonando sul terreno 500 morti. Questo scacco non fa altro che aumentare le preoccupazioni nel campo di Pompeo, dove le diserzioni cominciano ugualmente ad assumere delle proporzioni fastidiose. Verso il 10 marzo, Pompeo lascia con le sue truppe il settore di Ecubis in direzione di Hispalis, dove stabilisce il suo campo; Cesare lo segue e insedia il suo campo a Ventipo, dopo aver conquistato questa città. Pompeo reagisce, bruciando la piazzaforte di Carruca, che si rifiuta di aprirgli le porte e si dirige quindi su Munda (Montilla). Cesare, sempre all’inseguimento dei Pompeiani, decide di piazzare il suo campo nella parte orientale della piana di Munda, il 16 marzo. L’esercito di Cnaeus Pompeo il Giovane si trova in quel momento sulle alture, in una situazione piuttosto favorevole rispetto a quella del suo avversario.

La sanguinosa battaglia di Munda

Il 17 marzo, fiducioso nella sua posizione dominante, Pompeo schiera le sue forze, costituite a quel punto da 11 a 13 legioni (essendo rimaste le altre due a Corduba con il fratello Sextus), sulla parte superiore della pendenza che scende da Munda sulla piana. Egli pensa che Cesare non oserà attaccarlo, in quanto le sue coorti occupano quello che i Romani denominano un locus iniquus (una posizione sfavorevole per l’attaccante). Il momento è critico. “Cesare sembra essere stato angosciato come mai in precedenza, senza dubbio piuttosto a causa delle oscure profezie dei suoi auguri che della poco favorevole posizione nella quale i suoi soldati, stanchi dalla campagna d’inverno, si trovavano per attaccare” (Eberhard Horst, Cesare). Il vincitore dei Galli può contemplare la lunga linea formata dalle coorti del figlio di Pompeo, coperte alle loro ali dalla sua fanteria leggera e dalla sua cavalleria. Imbaldanzendosi, Cesare decide di formare immediatamente la sua linea di battaglia nella piana e supera il torrente che l’attraversa. Egli ordina successivamente una pausa, al fine di lasciare il tempo ai suoi uomini di ricostituire i loro ranghi, costituiti da 8 legioni, ovvero 80 coorti [4]. La 3a e la 5a legione vengono schierate all’ala sinistra, la 10a è disposta sull’ala destra – secondo la sua abitudine, in quanto la stessa combatte sotto gli ordini dei capi dei Populares -, mentre le altre assumono lo schieramento al centro. La cavalleria della Mauritania di re Bogud, come tutti gli altri contingenti di ausiliari, sia a piedi che a cavallo, sono schierati sulla sinistra della linea formata dai legionari. Un altro generale, in queste condizioni non avrebbe probabilmente mai pensato di impegnarsi in una battaglia generale e forse si sarebbe accontentato di una manovra d’osservazione, ma Cesare non è un generale come gli altri. Egli non dubita mai della sua fortuna e si sente pronto, nonostante l’inferiorità dei suoi effettivi ed il carattere formidabile della posizione occupata dal nemico, ad imporre loro la battaglia, che essi stessi non credono possibile. Il vincitore di Farsalo e di Tapso conosce il suo punto forte: esso si basa sulla disciplina e sull’addestramento dei suoi soldati che non hanno equivalenti nelle forze di Pompeo.
Quest’ultimo, vedendo Cesare organizzare le sue forze per la battaglia, assume un atteggiamento offensivo, facendo avanzare le sue coorti verso il nemico, pur rimanendo ancorato, con il resto delle forze, sulle alture. Cesare reagisce a questa azione, lanciando le sue truppe all’attacco. Egli vuole farla finita al più presto con questa penosa campagna. Dal lato pompeiano, non si tratta solamente di vincere o di morire, dilemma abituale di ogni esercito costituito da ribelli o di transfughi, senza speranza di clemenza da parte dei loro avversari. L’ardore in combattimento degli avversari di Cesare è stato particolarmente intenso durante la battaglia di Munda: “Gli eserciti si sono fronteggiati e si sono impegnati in combattimento; essi non avevano più alcuna vergogna a massacrarsi, poiché essi si erano opposti molte volte in armi e non avevano pertanto più necessità di incoraggiamento” (Dione Cassio, Historia Romana).
Nella loro marcia l’uno verso l’altro, i due eserciti sono senza dubbio preceduti da uno schermo di fanti leggeri, lanciatori e frombolieri di ogni genere, che è opportuno disperdere prime che le due linee di legionari vengano a contatto. Le fonti non menzionano specificamente l’azione di questi tiratori, ma questa è una azione abituale in tutte le battaglie dello stesso periodo. Le coorti di Pompeo, con l’aiuto dello slancio loro conferito dalle loro posizioni iniziali, riescono ad arrestare quelle di Cesare ed a destabilizzarne la linea della fronte, ma quasi subito il combattimento tende ad equilibrarsi ed a stabilizzarsi “Il piede pesta il piede e le armi si scontrano con le armi” (verso di Ennius in Pseudo Cesare, La Guerra di Spagna). Nessuna unità arretra e la determinazione posta nel combattimento è totale. La battaglia di Munda è, sotto questo aspetto, molto più lunga dei precedenti grandi scontri della guerra civile.
Cesare, vedendo vacillare la sua linea, mette direttamente la sua vita in pericolo, per dare un nuovo impulso all’attacco. Egli è cosciente che il momento è grave e che occorre reagire: “Gli uomini non demordevano comunque nella loro paura, fino a quando lo stesso Cesare prendendo lo scudo di un soldato dice agli ufficiali che si trovavano al suo fianco: Ecco per me la fine della vita e del servizio ! Poi, egli esce dalle linee lanciandosi contro il nemico… Allora, chiaramente, tutti gli ufficiali si precipitano e si pongono al suo fianco e quindi tutto l’esercito al completo si slancia impetuosamente” (Appiano, La Guerra Civile a Roma). Questa azione di Cesare, fondamentalmente psicologica, viene condotta proprio davanti alle linee della 10a legione, che vede raddoppiare la sua foga nel combattimento. I veterani di Cesare incalzano e respingono, a poco a poco, la sinistra dell’esercito di Pompeo il Giovane. Questi, allarmato dall’andamento del combattimento, ordina a Labienus, il più esperto dei generali del suo campo, di rinforzare la sua ala in difficoltà con le coorti di una legione (cinque coorti secondo Florus), prelevate dall’ala destra dello schieramento. Questa decisione, sebbene sensata e logica, tuttavia provocherà indirettamente la sconfitta dei Pompeiani. Da un lato la cavalleria mauritana di Bogud approfitta del dislocamento di Labienus, per aggirare al largo l’ala destra pompeiana, puntando verso il campo avversario, dall’altro, vedendo il movimento intrapreso da Labienus, una parte delle truppe, pensando ad una sua fuga prematura, inizia a sbandarsi ed a rompere il contatto. In poco tempo, la linea dei Pompeiani, sebbene solida sin dagli inizi del combattimento, si sfalda. Questa rotta condanna i fuggitivi al massacro, che Cesare non cesserà di intensificare. Prima del cadere della notte, Cesare ha definitivamente vinto la battaglia. Le truppe del dittatore si accaniscono sulle forze avversarie fino ad uccidere più di 30 mila soldati nemici ed i loro principali capi: “Cnaeus Pompeo il Giovane che viene trovato gravemente ferito… Labienus e Varus scompaiono durante la battaglia.” (Velleius Paterculus, Historia Romana). Se il figlio maggiore di Pompeo riesce in qualche modo a fuggire, questo non è il caso dei due suoi ex luogotenenti, ai quali Cesare farà dare una decente sepoltura.
Cesare perderà mille uomini nella battaglia (contro i soli 200 a Farsalo e i 50 a Tapso), fatto che, nonostante il disequilibrio delle perdite, tende a dimostrare l’intensità del combattimento di Munda, tipico delle battaglie antiche: “Questa grande sproporzione delle perdite nella giornata così disputata fra il vincitore ed il vinto non esiste nelle battaglie moderne… Gli antichi si battevano con l’arma alla mano sino alla vittoria. Non c’erano molte perdite; lo scudo parava i lanci ed i colpi ed é solo nel momento della disfatta che il vinto viene massacrato; si trattava di una molteplicità di duelli, dove lo sconfitto, volgendo la schiena, riceveva il colpo mortale.” (Napoleone, Racconto della guerra di Cesare). Anche se le fonti sulla battaglia di Munda sono rare e spesso poco dettagliate, praticamente tutte coincidono nell’affermare che la battaglia è stata la più grande e la più disputata di tutta la guerra civile. Cesare avrebbe persino confidato a riguardo ai suoi compagni d’arme: “Ho spesso combattuto per la vittoria, ma è la prima volta che ho lottato per la mia vita.”
La conoscenza del suo esatto svolgimento rimane, tuttavia, frammentaria e le diverse interpretazioni a riguardo risultano divergenti. Lo storico Hans Delbruck stima, ad esempio, che gli storici antichi avrebbero minimizzato il ruolo indubbiamente decisivo della cavalleria di Bogud – un “semplice barbaro” – per glorificare l’azione diretta di Cesare e dei suoi veterani. E’ così possibile pensare che il fatale movimento del rischieramento effettuato dalle forze di Labienus avrebbe potuto avere invece lo scopo di bloccare il movimento di Bogud sul retro dell’esercito pompeiano, piuttosto che quello di essere stato la sua causa indiretta.

Le conseguenze della vittoria di Cesare

Il trionfo di Cesare a Munda il 17 marzo, giorno dei Liberalia (giornata dei giochi in onore di Bacco) determina la sorte dei Pompeiani in Spagna. Scapula si arrende a Corduba, dove si suicida. Sextus Pompeo fugge da questa stessa città che le sue truppe, composte da schiavi e da disertori, mettono a fuoco. Il figlio cadetto di Pompeo non viene però catturato da Cesare che, peraltro, si impadronisce rapidamente di Corduba e vi fa mettere a morte l’incredibile numero di ventiduemilamila persone. Egli conquista, in seguito, Hispalis, dove un certo Philon organizza una breve resistenza, prima di portarsi a Gades, dove ritrova la sua flotta. Nello stesso tempo, Fabius riceve, intorno al 15 di aprile, la resa di Munda, quindi, assedia Urso (Osuna). Cnaeus Pompeo il Giovane, ferito a Munda, si è, nel frattempo, rifugiato a Cartela, porto di attracco della sua flotta (nei pressi della attuale Gibilterra o Algesiras), ma l’ostilità crescente della popolazione lo costringerà a fuggire a sua volta con 20 navi. Per mancanza di acqua egli è successivamente costretto a fermarsi ed a rifugiarsi con gli ultimi suoi fedeli presso i Lusitani, mentre Cesare incarica Didius di inseguirlo. Pompeo è in breve raggiunto dalle truppe del generale cesariano e dopo un ultimo tentativo di resistenza è costretto nuovamente a fuggire. Trova quindi rifugio in una caverna nascosta dell’interno, dove viene infine ritrovato e giustiziato. La regione è nondimeno ancora ben lungi dall’essere pacificata, come è provato dall’imboscata che i Lusitani tenderanno poi alle truppe di Didius, che morirà in combattimento.
Cesare rimane tutto il mese di giugno nelle province spagnole e affida a Gaius Carrinas la carica di governatore della Spagna Ulteriore, con il compito di ristabilire l’ordine. Raggiunto da suo nipote Ottavio, che non è potuto arrivare in tempo per partecipare alle operazioni militari, Cesare convoca un’ultima volta i notabili locali ad Hispalis. Egli trova anche il tempo e la forza di scrivere un pamphlet l’AntiCato (l’anti Catone) per combattere, attraverso le idee questa volta, le tesi del suo avversario, morto ad Utica, ma ancora ideologicamente temibile, dopo che Cicerone ne aveva fatto un modello di virtù e di ideale repubblicano. Cesare rinforza ugualmente la presenza romana, creando delle nuove colonie civili ed accordando il diritto di città o di colonia romana alle città che le sono state fedeli: Carthago Nova, Tarraco (Tarragona) o ancora Olisippo (Lisbona). Il generale romano riprende, infine, il mare verso Roma nel corso della prima quindicina di luglio. In quel momento egli è al culmine della su potenza: “Dopo la battaglia di Munda, i Cesariani avevano il vento in poppa; il potere della nobilitas era cessato, i Pompeiani sconfitti, l’Italia pacificata e, se si eccettuano le agitazioni provocate da Celius e Dolabella, la capitale si era adattata al nuovo regime. Un sospiro di sollievo sale da tutte le province e la gloria di Cesare ha una grande eco dalla Spagna alla Giudea … … In tale contesto, i numerosi onori, accordati a Cesare dopo la battaglia di Munda, hanno contribuito largamente a compromettere la sua immagine.” (Zvi Yavetz, Cesare e la sua immagine).
Il suo trionfo, celebrato in ottobre, segna l’ultima celebrazione della sua gloria, prima che la sua ascensione politica, così inedita e così completa, non determinerà il suo assassinio, qualche mese più tardi.
Sebbene la vittoria di Munda consacri la vittoria dei Populares, essa non chiude il ciclo delle guerre civili, In un primo tempo il vincitore ottiene dal Senato tutto quello che vuole, la funzione di dittatore a vita, la potestà tribunizia, sebbene non sia stato ufficialmente eletto tribuno, la trasmissione ereditaria del titolo di imperator e il diritto di portarne in permanenza gli emblemi (corona di alloro e toga di porpora), di rimpiazzare con il suo nome gentilizio il quinto mese dell’anno, che così diventa luglio nella riforma del calendario. La dittatura a vita e l’attribuzione della porpora, alimentano sospetti di aspirazione alla monarchia, considerato come un crimine maggiore nella cultura politica romana e daranno vita ad una congiura, che porterà all’assassinio di Cesare alle idi di marzo dell’anno 44. In ogni caso, il suo sogno di monarchia sarà conseguito da suo nipote e vero figlio adottivo, Ottavio, che avrà, tuttavia, l’abilità di lasciare al Senato l’apparenza di un potere, instaurando il Principatus nell’anno 27, dopo aver eliminato definitivamente gli ultimi repubblicani ed anche i vecchi amici di suo zio, come Marco Antonio e Cleopatra VII d’Egitto.

Note
[1] Il pretesto invocato da Cesare per l’inizio delle ostilità era quello di soccorrere Marco Antonio, allora Tribuno della Plebe, che era stata cacciato dal Senato, insieme ad ad altri Populares. I tribuni della Plebe, in numero di 10 per anno, erano stati istituiti agli inizi del -V secolo, subito dopo l’abolizione della monarchia; essi incarnavano un contro potere all’oligarchia senatoriale, in quanto un tribuno poteva opporsi a determinate decisioni dei consoli, in nome della difesa del popolo. Si trattava di una delle rare funzioni pienamente elettive, nell’ambito delle assemblee riservate al popolo: i Comizi tributi della Plebe. Il Tribunato della plebe ha rivestito nel corso della storia romana il ruolo di ascensore sociale e di integratore delle popolazioni italiche. Ma il limite al potere dei tribuni, tenuto conto del loro carattere di inviolabilità e di sacralità, era il territorio dell’Urbe, ovvero la stessa città di Roma; Sta di fatto che con Caio Mario, a suo tempo capo dei Populares, il reclutamento delle legioni era stati aperto ai volontari plebei, che si erano professionalizzati, stazionando per molto tempo nei territori conquistati e che erano rimasti fedeli ai loro generali comandanti vittoriosi;
[2] Due legioni di veterani, una terza costituita da Romani stabilitisi in Spagna ed il resto composte da abitanti della Spagna ulteriore;
[3] In teoria, la fine delle operazioni militari doveva comportare il congedamento, ma molti generali non rinunceranno al loro impiego (che nel frattempo ottenevano attribuzioni di terre per stabilirsi nelle nuove province), formidabile strumento di popolarità e mezzo di pressione sul Senato, specie se se i loro avversari non si attenevano alle regole della repubblica;
[4] I due eserciti dal punto di vista equipaggiamento si assomigliano come due gemelli, La loro colona vertebrale é costituita dalla fanteria pesante delle legioni. Nel corso dell’ultimo secolo l’equipaggiamento si é standardizzato, in quanto risulta ormai fornito dallo Stato o dagli stessi capi militari: se la cotta di maglia risulta ancora troppo cara per essere generalizzata, tutti i soldati hanno almeno una piastra di protezione ed un grande scudo ovale, oltre a disporre del famoso pilum, il giavellotto pesante che si rompe nell’impatto e permette al legionario di obbligare il nemico ad abbassare il suo scudo, appoggiandolo sull’asta rimasta attaccata allo stesso.

Per saperne di più
Appiano di Alessandria (95-165), La Guerra Civile a Roma (De bellis civilibus volumi XIII-XVII);
Delbruck Hans Gottlieb, History of the Art of War, (1920), 4 volumi, University of Nebraska Press; Reprint edition, 1990;
Dione Cassio, Historia Romana;
Horst Eberhard, Cesare;
Pseudo Cesare, La Guerra di Spagna;
Gaio Svetonio Tranquillo, De vita Cesarum (Vita dei dodici Cesari fino a Domiziano);
Velleius Paterculus, Historia Romana;
Yavetz Zvi, Cesare e la sua immagine.