“MERDE!” LA GUARDIA MUORE MA NON SI ARRENDE

di Massimo Iacopi -

Waterloo, 18 giugno 1815. L’ufficiale alla testa dell’ultimo battaglione imperiale, nonostante la ritirata generale, continua a combattere. Lasciando ai posteri l’immagine dell’eroica resistenza agli Inglesi.

Preambolo: Hugo sdogana Cambronne

Victor Hugo, ne I miserabili, è il primo che si azzarda a usare per iscritto questa espressione che tutti ripetevano, anche se con discrezione, nel periodo dopo la battaglia di Waterloo, attribuendola al generale che comandava l’ultimo quadrato della Guardia Napoleonica di fronte agli Inglesi la sera dello scontro. «Un generale inglese, Colville secondo alcuni, Maitland secondo altri, gridò loro: “Arrendetevi, valorosi francesi!” Cambronne rispose: “Merda!”». L’attribuzione di questa esclamazione è stata sempre contestata. Quando viene pubblicato il romanzo I miserabili, nel 1862, la questione provoca uno scandalo e suscita vive polemiche. Cambronne ha effettivamente pronunciato la parola e, poco prima di questa, la frase che gli viene attribuita: «La Guardia muore ma non si arrende»? Una cosa è certa, il mistero che aleggia intorno a questa frase risale alle prime ore che seguono la battaglia di Waterloo.
Pierre Jacques Etienne Cambronne è della stessa generazione di Napoleone Bonaparte. È nato a Nantes nel dicembre 1770 da un padre bottegaio. Arruolato nell’esercito nel 1792, scala rapidamente i gradi della carriera militare e partecipa alle principali campagne militari della Rivoluzione e dell’Impero. Esce dall’ombra quando viene scelto da Bonaparte per comandare i 400 uomini della Vecchia guardia che l’imperatore ha avuto l’autorizzazione di portare con sé nell’isola d’Elba, di cui Cambronne diventa governatore militare. Non stupisce quindi che nel marzo 1815 sia stato uno dei principali attori del “Volo dell’Aquila” dall’Elba fino a Parigi. Qui, Cambronne ritrova il suo posto nell’ambito della Guardia imperiale, come comandante del 1° Reggimento cacciatori. È proprio in questo ruolo che prende parte alla campagna del Belgio e combatte a Waterloo. La Guardia rimane in riserva per quasi tutta la giornata del 18 giugno 1815, mentre la cavalleria dà l’assalto sul pianoro dietro il quale si nascondono le truppe inglesi comandate da Wellington.

Nell’inferno di Waterloo

Cambronne a Waterloo - Dennis Jarvis

Cambronne a Waterloo – Dennis Jarvis

Verso le ore 19, mentre i Prussiani arrivano da est, Napoleone dà ordine a una parte della Guardia di passare all’assalto delle linee nemiche. La vista dei suoi cinque battaglioni che marciano in buon ordine con le armi in pugno, rianima, per un momento, gli altri combattenti disseminati sulle pendici del pianoro. Ma le linee inglesi non flettono e respingono con vigore i nuovi attacchi francesi a colpi di mitraglia. L’annuncio del ripiegamento della Guardia si diffonde, a quel punto, nell’esercito, provocando una ritirata generale. Napoleone ha ormai a sua disposizione appena tre battaglioni, che fa disporre in quadrato. Uno di essi è comandato dal generale Cambronne, che si trova, a cavallo, nel mezzo dei suoi uomini. I suoi uomini, baionetta innestata, tentano di respingere le cariche della cavalleria inglese e subiscono il fuoco dell’artiglieria avversaria. Napoleone abbandona le sue truppe e il battaglione guidato da Cambronne viene a costituire l’ultimo “quadrato” che cerca di resistere alla valanga nemica. Dopo che un generale inglese ha chiesto due volte ai Francesi di arrendersi, ottenendo la doppia risposta negativa di Cambronne, il fuoco riprende con maggiore vigore. I ranghi francesi vengono decimati e Cambronne, che ormai combatte disteso a terra, viene colpito alla fronte da un proiettile, una ferita che lo metterà fuori combattimento fino alla cattura da parte degli Inglesi.
Il generale ha effettivamente pronunciato la frase e la parolaccia che gli vengono attribuite? Ferito seriamente, Cambronne non può riferire il racconto degli ultimi assalti inglesi. Eppure, sei giorni dopo la battaglia, il Journal General riferisce dell’eroica resistenza che hanno opposto gli ultimi “quadrati” e indica nel generale Cambronne l’autore di questa espressione, destinata a diventare famosa: «La Guardia imperiale muore ma non si arrende!» In quel momento nessun soldato imperiale è ancora arrivato a Parigi e, la sera stessa, la medesima informazione viene ripresa da un’altra testata. Nel giro di poco tempo la notizia fa il giro della capitale francese. La frase sarebbe stata pertanto inventata di sana pianta, probabilmente da un giornalista in cerca di sensazionalismo, un certo Michel-Nicolas Balison de Rougemont (1781-1840).

E se fosse stato il generale Michel?

La frase si basa comunque su un sentimento condiviso, che tende a rendere omaggio al ruolo tenuto dalla Guardia nel corso della battaglia, e, più in generale, durante tutto il periodo dell’Impero. Due giorni più tardi, i Comitati della Federazione parigina decidono di erigere un monumento dedicato “ai valorosi della Guardia imperiale morti il 18 giugno”, sul quale viene riportata la frase, già diventata celebre. Essa viene ulteriormente citata alla Camera dei Rappresentanti il 28 giugno seguente; il deputato della Correze, Penieres, l’attribuisce in quella sede a Cambronne. Va comunque sottolineato che, a quella data, tutti ignoravano la sorte toccata al generale, considerato morto sul campo di battaglia.
Questa citazione contribuisce in gran parte a formare la leggenda della Guardia. Essa va incontro a un grande successo, tanto da essere ripresa in poemi e viene anche utilizzata per illustrare diverse rappresentazioni degli ultimi istanti della battaglia, disegnate dall’incisore Hippolyte Bellangé e da Horace Vernet. Cambronne, rientrato in Francia, qualche mese dopo i fatti, negherà sempre di aver pronunciato queste parole. Nonostante ciò, le stesse parole vengono incise alla base della statua che la città di Nantes gli dedica dopo la morte. Non senza sollevare polemiche. In effetti, gli eredi del generale Claude Etienne Michel, morto a Waterloo, avevano rivendicato per il loro genitore la paternità delle parole. Venti anni più tardi, nel giugno 1862, quando Victor Hugo riporta d’attualità la querelle, un certo Antoine Deleau, veterano di Waterloo (venticinquenne all’epoca dei fatti), fornisce una testimonianza nella quale attribuisce a Cambronne, sia la frase, sia la parolaccia. La sua testimonianza viene garantita da alte autorità civili e militari. La dichiarazione, rimbalzata su numerosi giornali, procurerà a Deleau la croce della Legion d’Onore nel luglio 1862. Nessuno sembra però accorgersi che Deleau non apparteneva al battaglione comandato dal generale Cambronne. Ma il veterano aveva ascoltato così tante volte il racconto di questa storia da averla fatta sua come se fosse stato presente.
E Cambronne cosa aveva detto? Nel 1815, mentre era ancora prigioniero in Inghilterra, dichiarò: «Io non ho detto quello che mi viene attribuito, ho risposto un’altra cosa…» Qualche anno più tardi preciserà di «aver pronunciato delle parole, forse meno brillanti, ma di una energia decisamente più soldatesca». L’imprecazione «Merde!» non doveva sembrargli un titolo di gloria, dal momento che era entrato a far parte della nobiltà borbonica e che si era sposato con una inglese. Quanto a Victor Hugo, lo scrittore non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di utilizzare l’imprecazione di Cambronne per scatenarsi in uno dei paragoni favoriti fra il primo e il secondo impero: «Cambronne a Waterloo ha sotterrato il Primo Impero con una parola nella quale è nato il Secondo!».

Per saperne di più
Stéphane Calvet, Cambronne, la légende de Waterloo, Paris, Vendémiaire, 2016
Alfredo Accatino, Gli insulti hanno fatto la storia, Milano, Piemme, 2005