MAZAGAN, LA CITTÀ CHE ATTRAVERSÒ L’ATLANTICO

di Max Trimurti -

Gli abitanti di questa piazzaforte portoghese in Marocco furono cacciati nel 1769 dal sultano Sidi Muhammad ibn Abd Allah. Ma quello stesso anno i suoi abitanti ne rifondarono una “nuova”  in Brasile.

La cittadella di Mazagan

La cittadella di Mazagan

La medina occupa l’antico presidio portoghese. Un presidio a forma di stella, caratterizzato dalla forza e dall’eleganza naturale delle opere difensive costruite nel Rinascimento. Le mura di questa cittadella, sebbene erose dai secoli, sono sempre in piedi, così come tutte le porte monumentali. La pittura delle abitazioni risulta scrostata in diverse parti e ciuffi di erbacce hanno invaso il cammino di ronda. Ma gli inconvenienti “cosmetici” conferiscono un fascino fuori dal tempo a questa cittadina.
Mazagan, nome a consonanza “luso-arabo”, sarebbe una deformazione di Mazigha (“la sorgente”). Un toponimo la cui provenienza risulta evidente quando si scopre che la regione circostante è una vera e propria oasi lungo le coste del Marocco. E fu proprio per le sue riserve di acqua dolce e per il suo ancoraggio sicuro che i marinai lusitani, che facevano vela in direzione dell’Oriente, si insediarono agli inizi del XV secolo in questa baia posta a mezza strada fra Tangeri e Agadir. L’interno del paese, bruciato dal sole, segnato dai contrafforti dell’Alto Atlante, è il regno arido dei Dukkalas.
I Portoghesi non furono certo i benvenuti. All’indomani della Reconquista (1492), i Mauri non vedevano con piacere l’insediamento nella terra d’islam degli adoratori del Cristo. Tanto più che i nuovi venuti, aprendo feitorias (insediamenti commerciali) lungo il litorale marocchino, avevano assorbito una parte del traffico delle carovane sahariane che portavano fino ai porti del Mediterraneo le spezie, l’oro, il rame. I coloni portoghesi, minacciati, dovettero assumere i provvedimenti necessari: si trincerarono nella cittadella… Fuori dalle mura, si coltivava la terra. Il cielo si mostrava generoso, la terra era fertile e il mare forniva cibo in abbondanza. La carne, che veniva approvvigionata presso le tribù vicine, completava il menu dei coloni. Mazagan crebbe a poco a poco, vivendo come poteva, spiando all’orizzonte gli stendardi ostili o il passaggio di una vela amica che apportasse sussidi e ricordi della patria lontana. Delle tredici piazzeforti costruite dai Portoghesi in territorio marocchino, Mazagan sarà l’ultima a rimanere in piedi.

La cisterna per l'acqua dolce

La cisterna per l’acqua dolce

Attraverso una porta nascosta in una stradina della medina, si accede al segreto di questa longevità: la sorgente d’acqua dolce. Si tratta di una cisterna dissimulata, scavata nel 1514 nella muraglia, per raccogliere e conservare l’acqua dolce. L’ambiente, anticamente una sala d’armi, assomiglia a una chiesa, con il suo soffitto a volte, le sue pietre fredde e umide, l’eco mille volte ripetuto di gocce che piovono attraverso l’apertura luminosa sulla vasca gigantesca del suolo – specchio liquido del cielo.
Per due secoli e mezzo la città è sopravvissuta grazie a questa cisterna e alla sua cittadella inespugnabile. La sua popolazione, che non ha mai superato le tremila anime, ha valentemente respinto i ripetuti assalti dei Mauri. Come nel 1562, quando 120.000 uomini e 37.000 cavalieri di Mulay Abd Allah si infransero davanti alle sue mura… Chi erano questi valorosi coloni? Lo storico Lorenzo Vidal li ha identificati: erano «esiliati, soldati, gente delle Azzorre, Mauri convertiti, schiavi; negozianti stranieri, membri del clero e dell’amministrazione civile; in poche parole, una società assimilabile al vestito di Arlecchino, fatta di pezze cucite una sull’altra».

Il bastione dell'Angelo a Mazagan

Il bastione dell’Angelo

Nel 1769, il nemico però non era più un fantasma che girava all’orizzonte e Mazagan non si trovò più nella condizione della fortezza Bastiani descritta da Dino Buzzati nel Deserto dei Tartari: il sultano del Marocco Muhammad ibn Abd Allah, o Muhammad III, decise di farla finita con l’ultimo bastione portoghese. Per difendere Mazagan occorrevano notevoli rinforzi, ma Lisbona non aveva più mezzi. Sui mari, i vascelli inglesi, francesi e soprattutto olandesi, facevano una accanita concorrenza allo stendardo della Casa di Braganza. Meglio concentrarsi su quello che la Corona possedeva di più prezioso, prima che potessero portaglielo via: il Brasile. Tanto più che dopo il legno, la canna da zucchero e il caffè, una nuova fonte di ricchezza apparsa dalla fine del XVII secolo, brillava dall’altro lato dell’Atlantico, ovvero l’oro, di cui Mazagan era sprovvista.
Il 3 febbraio 1769, 14 battelli lasciarono la baia del Tago. A bordo di queste navi, 20.000 uomini, «polvere da sparo, alcuni vecchi Mazaganisti pronti a riprendere le armi, una cinquantina di artificieri e una lettera di istruzioni per il governatore della piazzaforte». Nella lettera qualcosa che gli abitanti di Mazagan presentivano da molto tempo: questo presidio “assai inutile” rappresentava “una spesa straordinaria per il Portogallo”. Mazagan era condannata. Obbligati ad arrendersi, gli abitanti bruciarono il mobilio e gli archivi. Gli assalitori consentirono loro la possibilità di reimbarcarsi per il Portogallo. Per ringraziamento, i Portoghesi minarono la porta di accesso principale della fortezza. Volendone forzare l’ingresso, i vincitori la fecero volare in pezzi. La deflagrazione interessò una parte della muraglia e la porta del Governatore. Le vittime furono numerose fra i Mauri. Amareggiati, questi ultimi abbandonarono la loro costosa conquista, che ribattezzeranno per l’occasione El Madhuma (“la rovinata”).
Ma la storia del presidio portoghese non finì lì.

Percorso dal Marocco al BrasileDopo undici giorni di traversata, i 2092 Mazaganisti sopravvissuti sbarcarono a Lisbona, terra incognita per la maggior parte di loro. Di fronte alle acque calme del Tago, i loro ricordi andarono verso la loro cittadina di cui non restavano, come scrisse uno di loro, che «rovine e perdizione». I “Marocchini” trovarono alloggiamento nel quartiere di Belem, a spese della Corona. Come mai tanta sollecitudine? Perché i rifugiati figuravano fra le carte dell’uomo più potente del Paese, il marchese di Pombal. Il rapporto che gli aveva presentato suo fratello sulla vulnerabilità dell’Amazzonia lusofona (la Feliz Lusitania), confortò il super primo ministro del re Giuseppe I nell’idea che occorresse impiantare al più presto in questa regione – oggetto di concupiscenze da parte di potenze straniere – dei “nuclei di popolamento civilizzatore”. Per una tale missione, era in cerca di soldati-coloni, di preferenza senza radici geografiche, esiliati (degradados) e agguerriti. E i “Marrocchini” costituivano un’ottima occasione. Essi, di fatto, avevano vissuto per due secoli e mezzo alle porte del deserto, sotto il naso e in barba agli sceriffi marocchini. Pombal decise quindi di deviare questi suoi sudditi nel Nuovo Mondo, dove avrebbero potuto consolarsi della perdita della città delle sabbie, rifondandola… in piena Amazzonia!

La festa di Sao Thiago a Mazagan Velho

La festa di Sao Thiago a Mazagan Velho

E il piano del marchese primo ministro ottenne il successo sperato. Il 15 settembre 1769, dopo sei mesi di scalo a Lisbona, le navi, che trasportavano le 371 famiglie di rifugiati, raggiunsero Belem del Parà in Brasile, posta su uno degli estuari del rio Amazonas. A bordo delle navi, carpentieri, utensili, un arsenale militare e tutta una serie di oggettistica religiosa. L’anno seguente, la Nuova Mazagan, meglio Mazagao Nova, tracciata alla “squadra” lungo il rio Mutuacà, nell’Amapa, accoglieva i primi coloni.
Oggi la città di Mazagao conta 14.000 abitanti e fra questi, oltre a indigeni, meticci, caboclos, figli del miscuglio di sangue del Brasile, anche discendenti dell’antico presidio dei Dukkalas. A dire il vero, nell’area esistono due località con la denominazione di Mazagao non molto distanti fra di loro, una Mazagao Velho con la chiesetta di Sao Thiago, e una Mazagao Novo, più grande, più moderna, poco distante dalla prima, posta sul fiume Mazagao. Ogni anno, per le feste dedicate a San Giacomo (Sao Thiago), i suoi abitanti ricordano nella chiesetta di Mazagao Velho e in una grande parata festiva e carnevalesca la lotta dei loro lontani antenati luso-marocchini. Dall’altro lato dell’Oceano, nell’altra Mazagan, ribattezzata nel frattempo El Jadida (“città nuova”), la clessidra della cisterna portoghese sgrana il tempo e bambini sorridenti si gettano nel mare dall’alto delle muraglie. La cittadina, riabilitata nel XIX secolo sotto il sultanato di Mulay Abd al Rahman e sotto il protettorato francese, nel 2004 è stata inserita nell’elenco dei siti protetti dall’Unesco.

Per saperne di più

L. Vidal, Mazagao, la ville qui traversa l’Atlantique – Flammarion, 2008
A. F. do Amaral, Mazagão: A epopeia portuguesa em Marrocos – Lisbona, Fundação Oriente e Comissão Portuguesa de História Militar, 2007