MAX, LA SPIA RUSSA CHE INGANNÒ I TEDESCHI SUL FRONTE ORIENTALE
di Simone Barcelli -
Durante la Seconda guerra mondiale, l’intelligence dello Stato Maggiore dell’esercito tedesco si servì di un fantomatico disertore dell’Armata Rossa per ottenere notizie da Mosca. In realtà “Max” era Alexandre Demianov, agente doppiogiochista dell’NKVD.
L’Operazione Monastero, predisposta nell’agosto del 1941 dall’NKVD (Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti, “Commissariato del popolo per gli affari interni”, il servizio di polizia politica e controspionaggio russo) e dal GRU (Glavnoe razvedyvatel’noe upravlenie, “Direttorato generale per le informazioni militari”, in sostanza il servizio di spionaggio dell’Armata Rossa), mirava a penetrare la rete degli agenti dell’Abwehr operanti in Unione Sovietica.
In sostanza i russi crearono una fittizia area di resistenza al loro stesso regime, in modo da convincere i servizi segreti tedeschi che “Max”, un fantomatico disertore dell’Armata Rossa, appartenente all’organizzazione clandestina monarchica Prestol, sarebbe stato disposto a collaborare.
In realtà Max, come si scoprirà nel dopoguerra, era Alexandre Demianov, un agente doppiogiochista dell’NKVD, la cui copertura era assicurata da un vecchio nobile decaduto di nome Glebov, che viveva in un ex monastero di Novodievitchi, da cui forse deriva il nome dell’operazione stessa.
I tedeschi, dopo aver verificato negli ambienti dell’aristocrazia sovietica la veridicità delle affermazioni di Max, decisero nei mesi seguenti di avvalersi delle sue informazioni e il 15 marzo 1942 lo paracadutarono in territorio nemico.
Da quel momento Max, con il walkie talkie fornitogli dai tedeschi, cominciò a trasmettere le informazioni concordate con il generale Pavel Sudoplatov dei servizi segreti, passato alla storia anche per l’assassinio, commissionato da Stalin, dei dissidenti al regime Jevhen Konovalec’ nel 1938 e Lev Trockij nel 1940. Due corrieri, Stankevic e Shakurov, inviati dai tedeschi per recapitare batterie di ricambio a Max, furono naturalmente arrestati come agenti di collegamento nazisti, e uno di loro iniziò a collaborare con i sovietici.
Nell’arco di appena tre anni, in questo e altri modi, furono catturati almeno un centinaio di collaborazionisti tedeschi.
Le false notizie comunicate da Max il 4 novembre 1942, con l’annuncio di un’offensiva sovietica in direzione di Ržev, nel nord del Caucaso, potrebbero aver favorito l’Armata Rossa che sferrò un’offensiva decisiva a Stalingrado (operazione Urano), sbaragliando completamente la Sesta Armata del generale von Paulus, indebolita negli organici.
Al riguardo Reinhard Gehlen, all’epoca comandante del Fremde Heere Ost (FHO), una branca specializzata di intelligence dello Stato Maggiore dell’Esercito tedesco con il compito specifico di analizzare le informazioni provenienti dall’Europa orientale, sostenne invece, nel suo libro di memorie, che il FHO avesse predetto correttamente, addirittura con dieci giorni di anticipo, il punto esatto in cui l’Armata Rossa avrebbe sferrato l’offensiva del 19 novembre 1942 a Stalingrado, che, di fatto, determinerà la disfatta[1].
Se consideriamo l’offensiva strategica di Stalingrado con l’altra (operazione Marte), lanciata solo qualche giorni dopo sul fronte di Kalinin a Ržev contro l’Heeresgruppe Mitte (Gruppo d’armate Centro della Wehrmacht), che non permise di disarticolare la linea difensiva nemica e fu quindi per i russi un fallimento completo (come ammise, d’altronde, anche il maresciallo Georgij Žukov, l’ufficiale che guidava quell’avanzata), dobbiamo convenire che nel quadro strategico d’assieme, compresa la parte affidata a Max, qualcosa non abbia funzionato per il verso giusto.
L’opera di Max, comunque, proseguì, rilevandosi importante nel maggio del 1943, come osserva Domenico Vecchioni: «La spia fa credere a Berlino che le truppe sovietiche situate ad est e a sud della città sono, benché consistenti, assai limitate nella loro capacità di manovra. Mentre truppe con ampia possibilità di movimento sono schierate piuttosto a nord di Kursk e in Ucraina, sul fronte sud. False informazioni che disorienteranno i tedeschi e contribuiranno alla “sorprendente” vittoria sovietica di Kursk»[2].
Vecchioni si riferisce naturalmente all’operazione Cittadella, l’offensiva voluta da Hitler il 15 aprile 1943, ma procrastinata al 5 luglio successivo, anche per assecondare il generale Heinz Guderian, all’epoca Ispettore generale delle truppe corazzate, che stava cercando di eguagliare in qualità e quantità la produzione di mezzi corazzati sovietica[3].
Il grave ritardo nell’inizio delle manovre fece svanire l’effetto sorpresa che l’attacco avrebbe potuto sortire, poiché i russi – che nel frattempo avevano ricevuto preziose informazioni da Rudolf Roessler, una spia che da Lucerna trasmetteva per la rete Rote Drei (Orchestra Rossa) -, riuscirono a non farsi trovare impreparati e contrattaccarono con successo.
Lo storico Martin Gilbert attesta inoltre che «regolari messaggi tedeschi di “Enigma” rivelarono [...] agli Alleati una notevole attività nemica nella zona nord del saliente di Kursk. Uno di questi messaggi fu decifrato il 15 aprile, il giorno stesso in cui Hitler illustrava ai suoi comandanti i piani particolareggiati dell’Operazione Cittadella»[4].
Gehlen, contrariamente a quanto sentenziato in questo caso da Vecchioni, sostenne di essere stato sempre contrario a quest’offensiva, soprattutto per il notevole ritardo nell’attuarla. In un suo ultimo rapporto del 4 luglio, il giorno prima dell’attacco, egli scriveva, infatti, che «non c’è una sola ragione che giustifichi il lancio dell’Operazione “Cittadella”. [...] Da settimane i russi aspettano il nostro attacco proprio nel settore da noi prescelto per l’offensiva. [...] Ci sono dunque ben poche probabilità che l’offensiva tedesca realizzi uno sfondamento strategico. [...] Considero l’operazione che è stata predisposta un errore particolarmente grave, di cui in seguito pagheremo le conseguenze»[5].
Il giornalista Giuseppe Rasolo, ricostruendo le vicende di questa battaglia, annota che l’obiettivo dei tedeschi è quello di «riprendere il saliente di Kursk e sferrare un attacco decisivo per le sorti della guerra in Russia. Sfruttando una tattica collaudata fin dal 1939, la Wehrmacht studia l’attacco a tenaglia: con il solito sistema, i tedeschi avrebbero attaccato da nord e da sud cercando di chiudere i russi in una morsa».
Ma i sovietici avevano intuito tutto fin dall’inizio: «Non solo i movimenti tedeschi di retrovia manifestano tale intento, ma è anche ipotizzabile che Hitler voglia sfondare proprio in quella parte del fronte. [...] i sovietici passano la primavera a sistemare le linee di difesa con l’aiuto della popolazione civile, scavando un numero infinito di trincee, posizionando migliaia di mine per impedire l’avanzata [...] Lo scontro deve iniziare tra il 3 e il 6 luglio: i generali russi sono in allerta e si attende un segnale. La sera del 4 luglio una pattuglia in ricognizione cattura un geniere tedesco che ha l’incarico, insieme ad altri commilitoni, di sminare un campo. Nel corso dell’interrogatorio, il prigioniero indica l’ora dell’attacco (prevista per le 3:30 del mattino). Da tutto il fronte sovietico parte il contrattacco di artiglieria, che coglie letteralmente di sorpresa i tedeschi e di fatto ritarda l’inizio dell’offensiva».
L’esito della battaglia è quindi segnato: «Nonostante le perdite siano inferiori a quelle russe, i tedeschi battono in ritirata: l’offensiva è definitivamente fallita, non esistono più le risorse necessarie in grado di cambiare le sorti della guerra. [...] L’Operazione Cittadella è chiusa, come ammette Hitler il 13 luglio. La battaglia è perduta, l’iniziativa sul fronte orientale anche»[6].
In definitiva, di là dell’efficienza o meno delle reti spionistiche in competizione fra loro, nella battaglia di Kursk, come arguisce lo storico Victor Davis Hanson, «i russi e i tedeschi impiegarono entrambi carri armati di qualità per evitare che il loro nemico fendesse la fanteria. Ma visto che la superiorità numerica dei carri armati sovietici era pareggiata dalla marginale qualità tedesca e dal maggiore addestramento degli equipaggi, le due forze corazzate si neutralizzarono reciprocamente senza che nessuna delle due parti riuscisse a superare l’altra. I russi subirono il triplo delle vittime dei tedeschi e persero dieci volte più carri armati. Eppure, la sconfitta tattica e strategica fu dei tedeschi, e questo segnala l’importanza dei numeri, più che della qualità e dell’addestramento delle truppe sovietiche»[7].
Anche l’operazione Berezino, ingegnosa ma in realtà priva di risultati concreti per l’esito della guerra[8], reca la firma di Max: fu inscenata dall’NKVD una falsa sacca di resistenza tedesca in territorio sovietico, dal 19 agosto 1944 al 5 maggio 1945, con la compiacenza del prigioniero di guerra tenente colonnello Heinrich Scherhorn, che figurava al comando di un’inesistente brigata della Wehrmacht accerchiata dal nemico. Lo stratagemma sortì la reazione dei tedeschi, con l’operazione denominata Bracconiere e l’invio in missione di commandos agli ordini del tenente colonnello delle Waffen-SS Otto Skorzeny, inquadrato in una squadra speciale addestrata ai sabotaggi.
Skorzeny era diventato uno dei preferiti di Hitler, anche per aver partecipato il 12 settembre 1943 alla ‘liberazione’ di Benito Mussolini dalla prigione a Campo Imperatore del Gran Sasso, ove il Duce era stato ristretto dal re dopo la mozione di sfiducia nei suoi confronti, votata nella seduta del Gran Consiglio del Fascismo il 25 luglio precedente.
La sapiente opera di disinformazione militare di Max proseguì fino al termine del conflitto, senza che i tedeschi si avvedessero dell’inganno. La conferma che tutto procedeva per il verso, venne, infatti, dalle comunicazioni periodiche che la spia dell’Unione Sovietica di stanza in Gran Bretagna, Kim Philby, inviava a Mosca: il sistema Ultra aveva infatti decifrato dalla macchina Enigma, il dispositivo cifrante in uso ai tedeschi, anche le istruzioni inviate alla Wehrmacht, sulla scorta delle indicazioni fornite da Max. Inoltre i servizi segreti britannici, accortisi dell’insolito volume di traffico radio proveniente da Mosca e diretto a Berlino, avevano avvertito la Russia della possibilità che una spia tedesca stesse informando in tempo reale la Germania[9].
Non c’è dubbio che Gehlen rimase in qualche modo affascinato dall’operato di Max: nelle sue memorie, nel 1971, riteneva che il confidente fosse assolutamente credibile, tanto da essere stato ricompensato con la Croce di ferro per i suoi servizi.
Demianov verrà in seguito insignito di un’altra onorificenza, quella dell’Ordine della Stella Rossa…
È anche vero però che il responsabile del FHO non basava le sue relazioni soltanto sulle confidenze ricevute da Max, bensì su una pluralità di fonti, riuscendo così a descrivere ogni volta in maniera piuttosto plausibile, il movimento e la consistenza delle armate russe sul fronte.
Gehlen, dopo aver riorganizzato completamente il servizio, poteva, infatti, contare su molteplici opzioni per redigere i rapporti contenenti le informazioni di cui l’esercito aveva bisogno: ricognizione aerea, esplorazione terrestre, controspionaggio, radio intercettazione e deposizioni dei prigionieri di guerra.
Le informazioni sul nemico così recuperate, pur scarne, furono quindi precise e attendibili e le previsioni sulle intenzioni operative sovietiche si sarebbero rivelate giuste con sempre maggiore frequenza. I resoconti di Gehlen anticiparono quasi sempre per tempo le operazioni del nemico, anche con molti giorni di anticipo, poiché il metodo adottato e le conoscenze acquisite dal FHO permettevano di conoscere perfettamente le intenzioni dei comandanti avversari e il movimento delle loro truppe sul campo[10].
Sulla scorta delle numerose testimonianze raccolte nel dopoguerra tra gli ufficiali dello Stato Maggiore dell’Esercito tedesco, le maggiori responsabilità della disfatta sono invece da attribuire a Hitler, che quasi sempre impose senza contraddittorio il suo volere ai generali.
La vicenda di Max è venuta pienamente in luce con la pubblicazione delle memorie di Pavel Sudoplatov, Special Tasks: The Memoirs of an Unwanted Witness (trad. it. Incarichi speciali. Le memorie di una spia del KGB, Rizzoli, 1994), scritto dal generale insieme al figlio Anatoli.
Peccato che i ricordi di Sudoplatov, come scrive il giornalista Bernard Lecomte, secondo il parere degli esperti, vadano presi con le pinze perché «avrebbe avuto infatti la tendenza ad “accomodare” certi episodi di questo racconto non sempre edificante [...]»[11].
In quel libro, fra l’altro, Sudoplatov accusava apertamente alcuni noti scienziati di aver passato al KGB (Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti, “Comitato per la sicurezza dello Stato”), nel dopoguerra, preziose informazioni sulla bomba atomica: tra questi Robert Oppenheimer del Progetto Manhattan, Enrico Fermi e Leo Szilard.
In verità a fornire all’Unione Sovietica un corposo dossier, contenente le informazioni necessarie per sviluppare la bomba atomica, fu un rifugiato tedesco, il fisico Klaus Fuchs, che dopo aver ottenuto la cittadinanza britannica, aveva raggiunto nel 1943 Los Alamos per unirsi alla squadra di scienziati anglo-americani impegnata nel programma. Fuchs era già all’epoca, infatti, un informatore dei servizi segreti sovietici e nel febbraio 1944 passò all’NKVD buona parte dei progetti per la realizzazione dell’atomica. Oltre a lui, c’erano a Los Alamos, fra il 1942 e il 1945, almeno altri cinque agenti infiltrati[12].
[1] Reinhard Gehlen, Le memorie del generale Reinhard Gehlen, Mondadori, 1971.
[2] Domenico Vecchioni, Spie della Seconda Guerra Mondiale, Youcanprint Self-Publishing, 2015.
[3] John Keegan, La seconda guerra mondiale. 1939-1945. Una storia militare, Il Saggiatore, 2018.
[4] Martin Gilbert, La grande storia della seconda guerra mondiale, Mondadori, 2018.
[5] Reinhard Gehlen, op. cit.
[6] Giuseppe Rasolo, Le grandi battaglie della seconda guerra mondiale, Newton Compton Editori, 2019.
[7] Victor Davis Hanson, La seconda guerra mondiale. Come è stato combattuto e vinto il primo conflitto globale, Mondadori, 2019.
[8] Max Hastings, op. cit.
[9] Domenico Vecchioni, op. cit.
[10] Hermann Zolling e Heinz Hohne, Il Generale Gehlen, la spia del secolo, Sperling & Kupfer Editori, 1973.
[11] Bernard Lecomte, KGB. La vera storia dei servizi segreti sovietici, Giunti, 2023.
[12] Bernard Lecomte, op. cit.
Per saperne di più
Simone Barcelli, Le spie naziste degli Stati Uniti. I criminali di guerra tedeschi nell’intelligence Usa, Idrovolante Edizioni, 2023.