MATTIA CORVINO, CACCIATORE DI CORONE
di Max Trimurti –
Eletto re d’Ungheria nel 1458 senza una vera legittimità, Mattia Corvino dispiegò una fenomenale energia nella ricerca di troni e corone. Rivale degli Asburgo, fino alla morte avvenuta nel 1490 ha ambito a conquistare il titolo imperiale.
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Il regno del re d’Ungheria Mattia I (1458-1490) viene spesso ridotto allo sfavillio della sua corte rinascimentale, un lampo di luce nel cielo reso scuro dalla pressione ottomana. L’uomo e la sua opera meritano nondimeno una certa attenzione. Ci consentono, infatti, di illustrare le vicende politiche che attraversano l’Europa centrale nell’autunno del Medioevo: legittimità nell’esercizio del potere monarchico, condivisione delle decisioni politiche con la nobiltà, competizione per il titolo imperiale germanico.
Mattia nasce a Clujen in Transilvania (oggi in Romania) il 23 febbraio 1443. Nulla lasciava presagire che egli sarebbe diventato un giorno re d’Ungheria: del resto, non aveva una goccia di sangue reale nelle vene (contrariamente ai suoi predecessori angioini del XIV secolo); nessun accordo prevedeva di fargli sposare la figlia di un precedente re d’Ungheria – condizione che presentavano invece Sigismondo (sposato con Maria, la figlia dell’angioino Luigi I) e suo genero Alberto I di Asburgo (re d’Ungheria dal 1437 al 1439).
Mattia soffriva di un vulnus supplementare: gli antenati paterni erano originari della Valacchia (la parte meridionale dell’attuale Romania). Essi si erano insediati in Ungheria solamente nel 1409, quando re Sigismondo del Lussemburgo aveva ceduto al nonno di Mattia, il boiardo Voic e ai suoi parenti di Hunedoara (in ungherese Hunyad), l’ovest della Transilvania, per ringraziarli del loro aiuto militare. La dinastia assume così il nome di Hunyadi e nonostante i difetti di legittimità che cumulava, la maggioranza dei baroni e dei nobili ungheresi, riuniti in assemblea a Buda nel gennaio 1458, sceglierà comunque di portare Mattia Hunyadi sul trono di Santo Stefano.
Nel XV secolo, ogni candidato al trono d’Ungheria doveva promettere pubblicamente di consultare regolarmente le diete e di concentrare i suoi sforzi nella difesa del regno contro i Turchi. I membri della Dieta [1] non si erano dimenticati di ricordare le loro prerogative quando, nel 1440, Elisabetta, vedova di Alberto I d’Asburgo (re dei Romani, di Boemia, di Ungheria e di Croazia), aveva deciso di far incoronare suo figlio postumo Ladislao V. La Dieta aveva eletto al suo posto Ladislao (Wladislaw) I Jagellone, già re di Polonia, ma sprovvisto di qualsiasi legame di parentela con i precedenti re d’Ungheria.
La Dieta all’epoca risultava tanto più gelosa delle sue prerogative quanto più la monarchia era vacillante. Il breve passaggio sul trono di Ladislao Jagellone (morto in combattimento a Varna contro i Turchi nel 1444), si inscrive, in effetti in una serie di regni cosiddetti “abortiti”: quello di Alberto I d’Asburgo (1347-1439) e la minorità e il regno di Ladislao V (1445-1452 e 1452-1457). Questo periodo dà fuoco alle polveri e attiva una serie di lotte di fazione fra le dinastie aristocratiche, che approfittano dei disordini per estendere la loro influenza, dividendo il Paese proprio nel momento in cui gli ottomani facevano sentire la loro pressione sui confini.
Fra queste dinastie o lignaggi si trovavano anche gli Hunyadi. Giovanni Hunyadi, voivoda (Governatore) della Transilvania, poi Reggente e quindi capitano generale del regno sotto Ladislao V, non si era mai sognato di lottare e intrigare per la conquista della corona. Ciò nondimeno, la fortuna materiale che egli aveva accumulato in una quindicina di anni e la reputazione di vincitore dei Turchi, culminata con la vittoriosa difesa della fortezza di Belgrado contro gli Ottomani (1456) lo avevano posto tra i favoriti. Giovanni, muore, tuttavia, a seguito delle ferite riportate in battaglia e i rivali degli Hunyadi ne approfittano per allontanare dalle prospettive del trono i suoi due figli: Ladislao viene giustiziato per tradimento nel 1437 e Mattia, imprigionato, è consegnato all’imperatore Federico III d’Asburgo, che, da quel momento, inizia a coltivare pretese sul governo dell’Ungheria.
È a questo punto che Michel de Szilagy di Horogszeg (1400 circa-1460 in prigionia a Constantinopoli), zio materno di Mattia, inizia a riprendere in mano gli affari degli Hunyadi. Essendosi reso conto delle pretese di Federico III d’Austria, egli trova un accordo con i delegati della nobiltà per ottenere la liberazione di Mattia da parte dell’imperatore: che avviene agli inizi del 1458, dietro il pagamento di 60 mila fiorini. Successivamente, sotto la minaccia delle truppe ammassate da Michel de Szilagy, la Dieta, riunita in assemblea a Pest il 24 gennaio dello stesso anno acclama Mattia re d’Ungheria.
80 mila fiorini per una corona
Cosciente di essere stato posto sul trono dalle circostanze, Mattia Corvino [2] – secondo lo storiografo ufficiale della corte reale ungherese, Antonio Bonfini – aveva in testa, agli inizi del suo regno, una sola idea: organizzare una cerimonia di incoronazione secondo il rito nazionale, rituale associato a dignitari, a luoghi e oggetti precisi. Gli occorreva recuperare le insegne reali, che avevano la più forte carica simbolica agli occhi degli Ungheresi: la Sacra corona [3], collegata alla tradizione del re Stefano I (969-1038) e sempre rivestita di un eccezionale carisma.
Problema: essa si trovava da 20 anni a Vienna, nelle mani del più temibile rivale di Mattia, Federico III. In effetti, nel novembre 1440, quando la regina Elisabetta aveva capito che avrebbe avuto enormi difficoltà a far nominare suo figlio Ladislao a re d’Ungheria, di fronte ai fautori del polacco Ladislao Jagellone, la donna era fuggita a Vienna, presso il cugino del suo defunto marito, con la Sacra corona e il figlio. Era stata la sua serva, Elena Kottanner, a sottrarre il sacro simbolo della monarchia ungherese alla vigilanza armata del dongione di Visegrad.
Indubbiamente la Sacra corona era un simbolo importante, ma non era tutto. Nel 1440 i nobili ungheresi avevano invalidato, con un decreto, l’incoronazione di Ladislao il Postumo, affermando che “il potere e la forza della Corona dipendeva da loro assenso”. Per coronare Ladislao I Jagellone essi avevano utilizzato il diadema che sormontava il capo reliquiario di Santo Stefano. Ma Mattia, da parte sua, non voleva sostituti.
All’indomani della sua elezione, egli era stato solamente intronizzato, ma non incoronato. Bonfini aggiunge che, il 14 febbraio 1458, egli entra solennemente a Buda e prende posto sul trono, organizzato nella chiesa di Nostra Signora (poi chiesa Mattia); egli si impegna a confermare le “libertà” dei rappresentanti del clero, dei borghesi e degli ebrei della città e promette di servire la Chiesa; egli si reca, infine, a Palazzo Reale, dove inizia a “dedicarsi agli affari del regno”. Qualcosa di mai visto prima.
Il margine di manovra di Mattia era abbastanza limitato, tanto più che aveva solo 15 anni, ma è Michel de Szilagy, in quanto Reggente, che esercita l’autorità in nome del “re eletto”. In meno di sei mesi, Mattia allontana suo zio dagli affari. Resta il fatto che egli non poteva dare alle sue decisioni un carattere perpetuo, attraverso un sigillo di maestà, poiché non era stato ancora incoronato. Egli riesce ad aggirare questo ostacolo istituzionale ricorrendo al sigillo segreto, riservato agli affari urgenti e di minore portata.
La sua posizione diventa insostenibile quando Federico III tenta di destituire “l’adolescente non ancora incoronato” con il sostegno di qualche barone ungherese ostile agli Hunyadi. Essi eleggono l’imperatore di Vienna re d’Ungheria nel luglio 1459. Mattia dovrà la sua sopravvivenza politica solo alla defezione in extremis di diversi fautori di Federico III.
Non disponendo ancora di forze militari sufficienti, a Mattia per ottenere la Sacra corona non rimaneva altra scelta che negoziare con l’imperatore. Quest’ultimo, forte della sua elezione da parte dei baroni ungheresi, dà il via ad un’asta. Richiede 100 mila fiorini nel 1460, ovvero la metà delle entrate annuali del tesoro del regno d’Ungheria. Il 3 aprile 1462 viene infine trovato un accordo che sarò ratificato dalle due parti il 19 luglio 1463: l’imperatore riconsegnava la Sacra corona insieme alla città frontaliera di Sopron, pur mantenendo una serie di fortezze e borgate prossime alle sue terre austriache e riceveva in cambio 80 mila fiorini d’oro. Ma questo non era tutto: Federico III poteva continuare a portare fino alla sua morte il titolo onorifico di re d’Ungheria. Infine, nell’ipotesi in cui Mattia fosse morto senza eredi legittimi, il trono ungherese sarebbe toccato a Federico II o al suo erede, in una condizione di reciprocità.
Forse un accordo pagato troppo, che ha agitato molti storici del periodo. Per alcuni, la somma vertiginosa che l’Ungheria ha dovuto versare ha pesato notevolmente sulle finanze del regno e avrebbe costretto Mattia ad allentare la pressione sul fronte turco. Vale, tuttavia, la pena di ricordare che la liberazione del giovane Mattia era costata 60 mila fiorini. Per quanto riguarda le clausole di successione esse apparivano poco vincolanti alla data della loro validazione: Mattia aveva 20 anni e si era appena sposato. La Sacra corona viene consegnata agli emissari ungheresi il 24 luglio 1463 a Wiener Neustadt. Un vecchio ufficiale giudiziario conferma la sua autenticità, dopo di che la corona viene esposta al pubblico per tre giorni. L’incoronazione avrà luogo il 29 marzo 1464, nel più rigido rispetto della tradizione (secondo Bonfini). Sotto la presidenza dell’arcivescovo di Esztergom (primate d’Ungheria) nella basilica mariana fondata da Santo Stefano a Székesfehérvár, ha luogo l’incoronazione reale in quattro tempi: l’acclamazione pubblica (la folla in giubilo avrebbe evocato Mattia “nuovo Alessandro Magno”, “nuovo Cesare” e “difensore invincibile della Pannonia”); il giuramento; l’unzione con olio consacrato; la consegna dei simboli della regalità, cioè la Sacra corona e il Globo crocifero.
Il seguito del regno di Mattia Corvino è marcato dalla incessante ricerca di nuove corone. Una di queste, in particolare, albergava nella sua mente: la corona imperiale germanica, diventata la più prestigiosa del mondo cristiano a partire dalla caduta di Constantinopoli nel 1453. Occorre soggiungere che il re era imbevuto di cultura umanista sin dalla sua infanzia (il suo precettore, Gregorio di Sanok, era fra i principali umanisti del Rinascimento in Europa centrale). Mattia traeva dunque i suoi modelli di riferimento dall’antica Roma. Il contenuto della sua celebre biblioteca – ricca di più di 2 mila volumi e qualificata come “santuario della saggezza” dal poeta fiorentino Naldo Naldi – e le conversazioni riportate dai suoi interlocutori italiani ne sono la testimonianza. Bartolimeo Ponzio scriveva che al tempo di Mattia, la sua biblioteca “superava di gran lunga quelle degli altri principi”. Mattia si faceva volentieri ritrarre “all’antica”, di profilo e con la fronte cinta da una corona d’alloro e di quercia.
Il miraggio imperiale
Mattia, da parte sua, forse cercava di superare la gloria paterna e far dimenticare, allo stesso tempo, le sue origini non principesche. Oppure, come avanzato dalla storiografia nazionale ungherese del XIX secolo, egli sperava di costruire, riunendo diversi reami sotto il suo scettro, di costruire nel cuore del continente europeo, una superpotenza capace di fare da contrappeso all’Impero Ottomano. A tale riguardo, le occasioni offerte dalla situazione geopolitica hanno giocato un ruolo decisivo. Il papa incarica Mattia di guidare le operazioni militari contro il re di Boemia, Giorgio de Podebrady (dichiarato eretico, in quanto favorevole agli Hussiti moderati). Al termine della vittoriosa campagna del 1468-1469 e una volta riconosciuto dalle assemblee cattoliche di Moravia e Slesia, Mattia assume il titolo di “Re di Boemia”, che avrà grandi difficoltà a conservare. A tal fine, avrà bisogno di vincere numerosi oppositori, sia interni, che organizzeranno diverse cospirazioni, sia esterni. Alla morte di Podebrady, nel 1471, i nobili della Cechia gli daranno come successore il principe Ladislao Jagellone. Ben presto, si organizza contro Mattia una coalizione fra quest’ultimo, il re di Polonia e l’imperatore germanico (1474). Il re d’Ungheria riesce a cavarsela grazie alle vittorie dell’Armata Nera, un contingente di mercenari che lo ha reso celebre in tutta l’Europa. Nel 1479, sulla base di un accordo bilaterale, egli rimane re di Boemia, ma viene costretto a condividere il titolo con Ladislao Jagellone e riuscirà a regnare in maniera effettiva solo sulla Moravia, la Slesia e la Lusazia.
In teoria, il trono di Boemia apriva l’accesso alla dignità imperiale: i re di Boemia, principi elettori, risultavano eleggibili al trono di Carlo Magno e potevano così cumulare le due corone. Unire la corona d’Ungheria a quella del Sacro Romano Impero Germanico non aveva, peraltro, nulla di incongruo dopo i precedenti di Sigismondo del Lussemburgo e di Alberto d’Asburgo. Infine, l’implicazione dei re d’Ungheria nella lotta contro gli Ottomani gli conferiva uno statuto e una dimensione imperiali.
Due ostacoli disturbavano i progetti di Mattia Corvino. Il primo, era rappresentato da Federico III, che aveva altre idee per l’Impero. Se la sua diplomazia bellicosa – sarebbe l’autore del motto A.E.I.O.U. (Austria Est Imperare Orbi Universo, Spetta all’Austria governare il mondo) – gli attirava numerose critiche, egli disponeva dal 1459 di un erede, il figlio Massimiliano d’Asburgo. Federico non faceva mistero della sua ostilità nei confronti di Mattia Corvino (da quale era cortesemente ricambiato): libelli, corrispondenze e rapporti mostrano come egli veicolasse contro di lui qualsiasi tipo di calunnia (dipingendo Mattia come spergiuro, come un traditore venduto ai Turchi e un tiranno che opprime il popolo), per screditarlo agli occhi delle monarchie occidentali.
Seconda difficoltà: la diffidenza dei principi elettori tedeschi. Le origini non principesche di Mattia lo squalificavano ai loro occhi nella corsa al titolo imperiale. Soprattutto, dispiaceva la prospettiva di vedere l’Ungheria acquisire una posizione egemonica in Europa.
Questa volta, però, Mattia non cercò il negoziato. Attaccò l’imperatore sulle sue terre austriache nel giugno 1477 obbligandolo a capitolare in sei mesi. Ottiene così da Federico III il riconoscimento come re di Boemia e come principe elettore dell’Impero.
Si trattava di un primo passo, necessario ma insufficiente. Nel 1482, per obbligare l’imperatore a sostenerlo pubblicamente, Mattia invade l’Austria e la Stiria. Egli prende la precauzione di firmare una tregua con gli Ottomani l’anno seguente e nel 1485 si insedia con la sua corte nell’Hofburg (palazzo imperiale) di Vienna. Prosegue quindi la sua espansione territoriale fino al 1487 (conquista di Wiener Neustadt). A questa data, tuttavia, i giochi erano ormai fatti: nel 1486, i principi elettori avevano eletto Massimiliano di Asburgo “Re dei Romani”, altrimenti detto, futuro imperatore. Mattia, con i suoi metodi aggressivi si era messo contro le aristocrazie austriache e tedesche. La sua immagine di difensore della Cristianità dai Turchi era sensibilmente offuscata.
Nella stessa Ungheria si moltiplicano le defezioni. Mattia, il cui stato di salute inizia a deteriorarsi, cerca di preparare la successione a vantaggio del figlio illegittimo, Giovanni, diventato la sua unica speranza per fondare una dinastia reale. Mattia affida a Giovanni Hunyadi il governo di un terzo del paese e ipotizza persino di cedere, attraverso un accordo segreto, l’Ungheria a Federico III, che avrebbe riservato a Giovanni il regno congiunto di Croazia. Fatica sprecata: all’annuncio della morte di Mattia, avvenuta a Vienna agli inizi del mese di aprile del 1490 (aveva solo 47 anni), i nobili ungheresi, riuniti nella Dieta a Pest non eleggeranno Giovanni, ma il re di Boemia, Ladislao Jagellone.
Questi rovesci peseranno notevolmente sulla reputazione postuma di Mattia Corvino. Gli autori ecclesiastici dell’epoca gli rimproverano a lungo di essersi allontanato dalla crociata contro i Turchi. Per le cronache tedesche, della Cechia e polacche del tempo, come quelle delle generazioni seguenti, egli non è stato altro che un despota furbo e megalomane. La sua invincibilità in combattimento, vantata dal biografo Bonfini e dai pensatori italiani invitati alla sua corte, ne faceva un re-cavaliere, conformemente al modello medievale del buon sovrano o al mito dell’eroe antico. Ma per altri, come Filippo Bonaccorsi, egli si avvicinava di più al modello di un “secondo Attila”. È solamente nel momento di crisi del XVI secolo, in una Ungheria lacerata fra Ottomani e Asburgo che il personaggio viene riscoperto con nostalgia. Per essere trasformato a poco a poco in un sovrano esemplare.
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Note
[1] Dieta, termine che designa le assemblee del regno apparse in Europa nella seconda metà del XII secolo. In Ungheria, essa riuniva, alla fine del Medioevo, tre “ordini”: i prelati, i baroni, i nobili e, a volte, i borghesi. Essa approvava le leggi, votava le imposte straordinarie ed eleggeva il re; essa interveniva, a volte, in questioni diplomatiche. La sua convocazione, lasciata all’iniziativa del re, non aveva una periodicità fissa né un luogo preciso di riunione. Essa poteva anche autoconvocarsi.
[2] Corvino, da Corvo, è il soprannome correntemente utilizzato dagli storici occidentali ed è stato utilizzato dal biografo del re Antonio Bonfini. Questi voleva fornire al suo maestro una origine romana al fine di rinforzarne il prestigio in Europa. Egli ha associato il corvo (corvus in latino), che impiegava il padre nel blasone a quello della prestigiosa famiglia romana dei Valerii. Il suo fondatore Marcus Valerius si faceva chiamare “Corvinus”, dopo essere stato soccorso da un corvide. Orbene alcuni membri di questa famiglia si erano stabiliti come coloni nella provincia romana della Dacia. In fin dei conti: Mattia poteva pertanto anche essere uno dei loro discendenti!!! Ma risulta che già all’epoca nessuno credeva alla genealogia inventata dal Bonfini.
[3] Uno dei simboli dell’identità nazionale ungherese. È stata utilizzata per incoronare i re d’Ungheria sin dal XIII secolo. Sembrerebbe che la corona sia il risultato dell’assiematura di due oggetti distinti: il diadema nuziale del re d’Ungheria, Geza I, e una calotta proveniente da un oggetto liturgico, risalente all’XI secolo. L’oggetto ha avuto una vita densa di avvenimenti, rubata, nascosta, perduta, portata all’estero. L’ultima volta è tornata in Ungheria dagli Stati Uniti nel 1978, dove era stata portata dopo la Seconda guerra mondiale per motivi di sicurezza. La corona è oggi conservata a Budapest nel Parlamento.
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Per saperne di più
Tibor Klaniczay, Mattia Corvino e l’Umanesimo Italiano, Accademia Naz. dei Lincei, 1974
Manuela Martellini, Antonio Bonfini: un umanista alla corte di Mattia Corvino, Sette città, 2007
Adriano Papo, Gizella Nemeth Papo, Storia e cultura dell’Ungheria: dalla preistoria del bacino carpato-danubiano all’Ungheria dei giorni nostri, Rubbettino, 2000