LUCI E OMBRE DEL VENTENNIO FASCISTA

di Max Trimurti -

Nella sua parabola ventennale il fascismo giunse a compromessi con i suoi principi e con l’anima cattolica del Paese. La “nazione al di sopra delle classi”, imposta anche attraverso la violenza, fu realizzata solo parzialmente attraverso il sistema corporativo. Ma non mancarono slanci per importanti rìforme in campo sociale ed economico.   

30 ottobre 1922. All’indomani della spettacolare messinscena della Marcia su Roma e in un Paese in pieno caos, Benito Mussolini riceve dal re Vittorio Emanuele III il compito di costituire un governo. La monarchia parlamentare si è rivelata incapace di salvare l’Italia dalla crisi profonda nella quale è caduta dopo la Grande Guerra. Traumatizzata dall’ampiezza delle perdite umane subite (circa seicentomila morti, senza contare i feriti e gli invalidi permanenti), rovinata dalla crisi finanziaria provocata dal conflitto e dalla situazione pre-rivoluzionaria che si è prodotta nel corso degli anni del dopoguerra, il Paese è stato persino umiliato dai suoi alleati, che – in occasione della Conferenza di Pace di Parigi – l’hanno ampiamente trascurato.
In questo contesto il giovane partito fascista – che vuole unire il sentimento nazionale alle aspirazioni sociali – si pone come forza d’ordine davanti alla nazione e a un regime esangue. Forte della sua organizzazione di tipo paramilitare e del sostegno delle classi medie preoccupate per la situazione generale, il nuovo governo uscito da una coalizione di partiti (con eccezione di socialisti e  comunisti) inizia a bloccare gli scioperi e cerca di ristabilire l’ordine in un Paese profondamente diviso.
Il compito, apparentemente arduo, viene risolto rapidamente e per numerosi osservatori europei l’Italia di Mussolini diventa quella del ben noto luogo comune: “i treni arrivano nuovamente in orario”. La riduzione delle spese dello Stato e l’introduzione di una fiscalità migliorata consente il ritorno della fiducia e la ripresa degli investimenti interni ed esteri. L’attività economica si ristabilisce e le elezioni del 1924 vedono la vittoria di una larga coalizione riunita intorno al Partito Fascista.

La firma dei Patti Lateranensi

La firma dei Patti Lateranensi

Mussolini è consapevole del fatto che l’unanimismo nazionale da lui inseguito passa necessariamente attraverso un compromesso con la Chiesa, ostile allo Stato italiano dal momento dell’annessione dello Stato Pontificio e di Roma nel 1870. Un accordo appare tanto più necessario proprio perché il Partito Popolare italiano, antesignano della Democrazia Cristiana, dispone di un peso elettorale importante. L’interdizione nel 1925 della Massoneria, il ritorno del crocefisso nelle scuole e nei tribunali, l’esenzione dal servizio militare accordato ai membri del clero, l’istruzione religiosa introdotta nell’insegnamento pubblico fanno sì che la dissoluzione del Partito Popolare, avvenuta nel 1926, non comprometta il riavvicinamento in corso. La firma del Trattato Lateranense, l’11 febbraio 1929, conferma i vantaggi accordati alla Chiesa e le assicura un aiuto finanziario sostanziale da parte dello Stato. L’antico militante anticlericale, diventato uomo pragmatico, mette fine in tal modo alla lunga disputa che aveva opposto il Vaticano al nuovo Stato italiano.

Sul terreno economico il programma iniziale del movimento fascista sembrava, almeno nel 1919, molto orientato a sinistra. Esso esigeva la dissoluzione delle società anonime, l’interdizione delle speculazioni in borsa e bancarie, un’imposta sul capitale, l’introduzione della giornata lavorativa di otto ore e del salario minimo, una riforma agraria e la partecipazione dei salariati alla gestione dell’industria pesante. Mussolini, una volta insediato al potere, è invece costretto a rassicurare gli ambienti padronali, schieratisi con un governo che aveva promesso di porre fine all’agitazione sociale.
Il programma del Partito Nazionale Fascista nel 1921 afferma effettivamente che “la nazione è al di sopra delle classi” e prevede la creazione di corporazioni. Ma nei suoi primi anni il regime deve fare ricorso a ricette di tipo liberale. Il ministro delle Finanze Alberto de Stefani elimina il controllo dei prezzi e degli affitti e rimanda l’introduzione di una riforma agraria. Egli rinuncia ugualmente a nazionalizzare le assicurazioni e cede al settore privato la rete telefonica. La ripresa del dopoguerra e la relativa buona salute della lira sembrano, a quel punto, confermare la giustezza delle decisioni adottate dall’ambiente padronale. La politica deflazionista, però, impegnata  per sostenere la “battaglia per la difesa della lira”, comporta un inizio di recessione. Antonio Mosconi, rappresentante dell’area dirigista del fascismo, viene a quel punto nominato ministro delle Finanze.
Nel 1926 la legge Rocco mette in opera un sistema che organizza secondo un ordine gerarchizzato sindacati, federazioni, confederazioni e corporazioni, incaricate di elaborare contratti collettivi per ciascuna branca professionale. La riforma, confermata poi nella Carta del Lavoro, viene promulgata nell’aprile 1927. L’iniziativa privata risulta ormai subordinata all’interesse nazionale. Lo Stato corporativo mostra la vocazione a regolare e a controllare tutta l’attività economica e ad arbitrare, nel contesto delle ventidue corporazioni  (che verranno istituite nel 1934) gli eventuali conflitti fra impiegati e salariati. In questo modo il regime intende far scomparire la “lotta di classe”, giudicata incompatibile con l’interesse nazionale.

Grano

La battaglia del grano

Lo Stato fascista, preoccupato di controllare e riformare l’economia, favorisce le concentrazioni industriali, ingaggia la battaglia del grano e la bonifica delle Paludi Pontine e mette in opera, per far fronte alla crisi mondiale degli inizi degli anni Trenta, una politica di autarchia rigorosa. Ma il governo fascista intende essere anche il promotore di una politica sociale avanzata. La giornata di lavoro di otto ore e la settimana di quaranta ore vengono adottate nel corso del 1923. Viene interdetto il lavoro di notte alle donne e ai minori. Nel corso del 1927 vengono imposte alle imprese strette misure di igiene. Un sistema di assicurazioni, non rientrante nel campo privato, come l’Istituto Nazionale fascista per gli incidenti sul lavoro (INFIL) – incaricato della previdenza e dell’assistenza sociale – consente l’introduzione di una ambiziosa politica nel campo della sanità pubblica. La creazione di colonie di vacanze e l’attenzione allo sport – in un’epoca in cui i campioni italiani brillano nel calcio e nel ciclismo – si inserisce nella volontà di adottare una politica della gioventù, sulla quale il regime conta molto per consolidarsi nel tempo.
Nel campo del divertimento l’Italia fascista anticipa quello che scopriranno poi, solo più tardi, i Francesi nell’epoca del Fronte Popolare. La creazione degli Studios di Cinecittà evidenzia anche, con molta chiarezza, le ambizioni del regime in ambito culturale.

Tutti questi progressi corrispondono, da un lato, alla volontà del regime di inquadrare le masse popolari per mezzo dei movimenti della gioventù, dei sindacati fascisti o delle organizzazioni di svago. Ma contribuiscono, anche, soprattutto per gli strati sociali urbani, a un indiscutibile miglioramento della vita quotidiana. Mussolini, desideroso di dare all’Italia imperiale lavoratori e  combattenti, sollecita una politica delle nascite che passa attraverso la tassazione degli scapoli e la concessione di generosi assegni famigliari. Tutti provvedimenti che vengono apprezzati dalla Chiesa che ha ottenuto, in occasione dei Patti Lateranensi, il divieto del divorzio. Il regime fascista, forte del principio secondo il quale la ricchezza è rappresentata dagli uomini, vuole moltiplicare le nascite ma anche lottare contro l’emigrazione, già in parte ridotta per la chiusura delle frontiere di numerosi Paesi d’accoglienza. Ma la “battaglia demografica” va incontro a uno scacco relativo poiché il tasso di natalità scende dal 27,5 per mille del 1927 al 23,4 per mille del 1934, in linea, se vogliamo, con la tendenza di fondo di tutte le società industrializzate.
Per far fronte alla crisi economica il regime intraprende anche una serie di grandi lavori, dotando il Paese di una rete autostradale e di nuove terre coltivabili. La valorizzazione delle antiche vestigia romane, dal Colosseo al Foro di Traiano, va di pari passo con le grandi realizzazioni in materia di urbanistica e di architettura. L’Italia deve presentare l’immagine di un Paese giovane e dinamico, impegnato in una modernità capace di combinarsi con il proprio genio. È proprio questa immagine positiva che viene percepita dagli osservatori stranieri nel corso degli anni Venti.  Winston Churchill dirà a Mussolini: “Se fossi stato italiano sono certo che sarei stato interamente con voi, dall’inizio alla fine della vostra lotta”.
L’evoluzione della situazione internazionale a partire dal 1935, la priorità data  dall’Internazionale comunista alla lotta “antifascista”, l’invasione italiana dell’Etiopia, la formazione dell’Asse Roma-Berlino e la guerra di Spagna, contribuiscono a creare nuovi scenari geopolitici. L’immagine dell’Italia fascista inizia a sbiadire, tanto più che la sorte degli oppositori politici contribuisce a sensibilizzare una parte dell’opinione pubblica anche all’estero.

Squadristi

Squadristi durante la marcia su Roma

Il movimento fascista ha giustificato, per insediarsi al potere, il ricorso alla violenza: la sua prima manifestazione pubblica è stata la dispersione per mezzo della forza di un raggruppamento di scioperanti, seguita dall’assalto alla redazione del quotidiano socialista l’Avanti. Una violenza che esprime, all’indomani della prima guerra mondiale, quella “brutalizzazione” generalizzata dell’azione politica analizzata dallo storico americano George Mosse. Organizzato secondo un modello militare, il Partito fascista, in occasione della Marcia su Roma, intimidisce il re e la classe politica (che, peraltro, considera il Fascismo come un male minore nel contesto politico di allora), per poter insediare il suo capo al potere. Il sistema parlamentare viene temporaneamente rispettato, anche se Mussolini e i suoi fedeli imporranno progressivamente un regime autoritario fondato sul culto del capo provvidenziale e poggiato su un partito unico divenuto ben presto onnipotente.
Per tutto questo occorreva, inevitabilmente, intimidire e reprimere gli oppositori. La maggior parte di essi, molestati e aggrediti dagli squadristi, si sono visti ridotti al silenzio. Il rapido miglioramento delle condizioni del Paese però farà si che gli appelli degli avversari del regime, rifugiati all’estero, rimarrà praticamente inascoltato. Nel giugno 1924 il sequestro e l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti  sono il risultato dell’azione di militanti fascisti troppo zelanti. Mussolini risulta non responsabile, né direttamente implicato, ma la stima di cui godeva la vittima in Italia e all’estero fa sì che la sua morte provochi una viva emozione. Il padronato italiano, re Vittorio Emanuele III e la Chiesa Cattolica non nascondono la loro riprovazione. L’indignazione è, tuttavia, di breve durata e due settimane più tardi il Senato conferma la sua fiducia a Mussolini.

Nel corso dei due anni successivi Mussolini sarà in condizioni di sciogliere i partiti politici senza ostacoli significativi e di insediare un Tribunale Speciale incaricato di applicare le “leggi per la Sicurezza dello Stato”. Nel 1926 si ha l’arresto e la condanna a vent’anni di prigione del comunista Antonio Gramsci, che morirà nel 1937 qualche giorno dopo la sua rimessa in libertà. A differenza dei suoi compagni, Gramsci intravvedeva nel fascismo una cosa ben diversa da una semplice forma di dominazione borghese, mettendo in evidenza l’importanza dell’egemonia culturale imposta alle masse popolari dalle classi dominanti. La diffidenza di Gramsci nei confronti di Stalin, però, farà si che l’URSS, riconosciuta dall’Italia fascista nel febbraio 1924 (nove anni prima della Francia) non si preoccuperà minimamente di intervenire in suo favore.
Mentre numerosi militanti antifascisti emigrano – se ne ritroveranno diversi in Spagna nelle file delle brigate internazionali – il regime non esita a colpire anche all’estero. È il caso dei fratelli Rosselli, assassinati in Francia a Bagnoles-de-l’Orne nel 1937. Tuttavia, l’ampiezza della repressione necessaria per consolidare durevolmente il regime appare sostanzialmente limitata (alcune centinaia di prigionieri politici e numerosi emigrati antifascisti), ove si compari il caso dell’Italia a quello della Germania, della Spagna, caduta in una sanguinosa guerra civile, o dell’Unione Sovietica, impegnata fin dall’inizio della rivoluzione bolscevica in un terrore di massa istituzionalizzato. Volendo fare un paragone con la vicina Francia, dove il regime repubblicano appariva fortemente radicato da tre generazioni, il sistema parlamentare italiano prefascista si reggeva su una base sociale troppo ridotta e impotente nel raccogliere le sfide nate dalla Grande Guerra.
Si comprende così come in queste condizioni il vecchio regime politico non abbia suscitato alcun rimpianto in una gioventù che lo identificava con l’indebolimento e le umiliazioni subite dal Paese agli inizi degli anni Venti. Quasi per contrappasso, l’Italia fascista cadde poi in seguito alle tentazioni belliciste mussoliniane e a un’altra umiliazione, quella seguita all’insana alleanza con Hitler e alla sconfitta nella seconda guerra mondiale.

Per saperne di più

Renzo De Felice, Le interpretazioni del fascismo – Laterza, Bari, 1969
Emilio Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione – Laterza, Bari, 2002
Marco Tarchi, Il fascismo. Teorie, interpretazioni, modelli – Bari, Laterza, 2003
George Mosse, La nazionalizzazione delle masse – Il Mulino, Bologna, 2004