ALL’ORIGINE DEL COGNOME BORBONE

di Ciro Pelliccio -

Gli studiosi hanno proposto innumerevoli interpretazioni sull’origine della parola – e poi del cognome – Bourbon, elaborando due grandi linee di pensiero. La prima si basa su ritrovamenti di alcune epigrafe di età gallo-romana, la seconda si è focalizzata sull’aspetto etimologico.  

Veduta di Bourbon-l'Archambault

Veduta di Bourbon-l’Archambault

  In una località della Francia centrale, nell’attuale dipartimento dell’Allier, un piccolo paese, ancora oggi di soli 2.631 abitanti, nel X secolo divenne una baronia la cui Signoria apparteneva ad una famiglia originaria di Chatel de Neuvre, trasferitasi lì, probabilmente, per matrimonio, e che dal XI secolo in poi assunse il patronimico di Bourbon dal suo possedimento. Il primo barone di nome Archambault aggiunse il suo nome al patronimico per formare quello definitivo ed attuale: Bourbon-l’Archambault. Da questo paese mosse i suoi primi passi una dinastia che nel volgere di meno di cinque secoli si trovò ad essere quasi padrona del mondo.
Il primo documento in cui appare il cognome Bourbon è del 1048. Archambault II (o III, secondo un’altra numerazione apocrifa), dopo aver usurpato il titolo di conte, nell’ «anno ab incarnazione domini MXLVIII, ego, Erchebaldus Borbonensium comes» donò alcuni beni alla Chiesa di Sant’Ursino [BREVE DONATIONUM ECCLASIAE SANCTI URSINI DE MONTE CENOBII FACTURAM]. Con la morte nel 1169 di Archambault le jeune, si estinse la linea originale per via maschile dei Bourbon e il cognome scomparirà, per una prima volta, dalla storia. I beni passarono alla sua unica figlia Mahaut che sposando con Guy de Dampierre, in seconde nozze, darà inizio alla seconda Maison des Sires de Bourbon, detta appunto Bourbon-Dampierre che durerà solo due generazioni. Mahaut e Guy de Dampierre ebbero sei figli che portarono, ovviamente, il cognome Dampierre, compreso il secondogenito Archambault le grand al quale spetteranno alla morte del padre la baronia e il titolo di Sire di Bourbon, e ciò avvenne solo nel 1216, abbandonando il cognome Dampierre per assumere definitivamente quello di Bourbon dopo quarantasette anni dall’ultimo che lo aveva portato in linea maschile. Nel 1242 alla morte di Archambault le grand gli successe il figlio Archambault le jeune che da Yôlande de Châtillon-Saint-Pol ebbe sole due figlie femmine: Mahaut e Agnès. Nel 1248, prima di partire al seguito di Louis IX per la settima crociata, testò dividendo i beni tra le due figlie: ad Agnés spettò la baronia di Bourbon mentre a Mahaut andarono le contee di Never e Auxerre. Per la seconda volta il cognome sparì dalla storia.
Agnés sposò Jean II de Bourgogne e diede origine alla terza Maison des Sires de Bourbon detta Bourbon-Bourgogne, ma il cognome utilizzato fu sempre e solo de Bourgogne. Ebbero una sola figlia Bèatrix de Bourgogne, dama di Charolais ed ereditiera di Bourbon, che estinguerà questa terza casata con la sua morte nel 1310. Nel 1272 però aveva sposato Robert de Clermont, sesto figlio di Louis IX, portandogli in dote la baronia e della quale fu riconosciuto Sire nel 1282 dopo una lunga disputa legale. Da lui nacque la quarta Maison des Sires de Bourbon detta Bourbon-Clermont o anche Bourbon-Capeting. Nel 1327 il loro primogenito Louis de Clermont cedette la contea di Clermont-en-Beauvasis in cambio dell’erezione a ducato del Bourbonnais e assunse il cognome e il titolo di duca di Bourbon, pur conservando le armi di Francia. Solo allora, dopo settantotto anni dalla morte dell’ultimo Archambault de Bourbon, il cognome della Famiglia riapparve per non scomparire mai più.
Un suo discendente, appartenente al ramo collaterale e superstite dei Vendôme, Henri de Bourbon già re di Navarra nel 1589 ascese al trono di Francia e diede origine alla linea reale dei Bourbon che in primogenitura si estinse nel 1883 con la morte di Henri V conte di Chambord. Nel 1700 un nipote di Louis XIV Philippe duca d’Anjou, salì al trono di Spagna creando il ramo dei Borbone-Spagna e il cognome divenne così Borbòn. Il terzogenito di quest’ultimo Carlos avuto da Elisabetta Farnese nel 1735 conquistò il regno di Napoli e Sicilia diventandone re, e il cognome fu italianizzato in Borbone[1].
Ma da dove trae origine il cognome Bourbon?
Nel corso dei secoli gli studiosi hanno proposto innumerevoli interpretazioni sull’origine della parola (e poi del cognome) Bourbon elaborando due grandi linee di pensiero: la prima si basa su ritrovamenti di alcune epigrafe di età gallo-romana, e dotata di una certa attendibilità “storica”; nella seconda la ricerca si è focalizzata esclusivamente sull’aspetto etimologico, e non è del tutto priva di una sua coerenza. Si tratta, a mio parere, di due diversi modi di argomentare su di una origine comune, come vedremo. Vi è infine una terza linea di pensiero priva però di base storiche, da relegarsi nel novero della leggenda, e della quale tuttavia ne darò conto.

Il culto del dio Borvo o Bormo

Borvo o Bormo, secondo la lenizione celtica [m] > [v], era la divinità celtica che proteggeva le fonti di acque termali ritenute dai poteri taumaturgici. Già diffuso in epoca pre-romanica, in una fascia centrale della Gallia occupata dalle tribù degli Averni, Ædui, Linoni e Tréviri, conosciuto anche nelle varianti di Bormanvs[2], Bormanos, Borbanius, Bormanicus, il suo culto si svolgeva in templi tutti in prossimità di una fonte di acque termali, dove i fedeli si raccoglievano per chiedere alla divinità gli ex voto e dopo aver fatto la loro offerta, ornati di un nymphæum, facevano il bagno in suo onore per preservare la loro salute, o per chiedere la guarigione.
Esistevano ben 25 divinità di questo genere, ma molto diverse tra loro per importanza. Si trattava di un gruppo minoritario se si considera che le Ninfe erano molto più adorate; tant’è che sono state rinvenute oltre un centinaio di iscrizione a loro favore solo tra quelle formulate da un certo (o più) Edovius.  La conquista romana portò all’assimilazione di Borvo, insieme a molti altri dèi[3], al dio latino Apollo quale dio della guarigione, e forse, con il tempo ne divenne uno dei tanti epitaffi rinvenibili su alcune iscrizioni. Secondo Cesare, una divinità da lui assimilata ad Apollo, era, dopo Mercurio, la più adorata dai Galli: «Deum maxime mercurium colunt […] pos hunc Apollinem»[4], anche se il maggior rinvenimento di epigrafi lascia supporre che il culto di Apollo fosse più diffuso presso le popolazioni locali e segnalò che i Galli lo adoravano come dio della guarigione. Era usanza diffusa del politeismo far assumere i nomi degli dèi in relazione al luogo in cui erano adorati, come in parte avvenne anche per i romani quando mutuarono gli dèi greci; cosa che sopravvisse anche nel cristianesimo, come ben fa notare Erasmo da Rotterdam nella sua storia dei naufraghi, i quali durante il naufragio ognuno invocava il Santo di origine[5]. Anche i Galli, dunque, pur ricevendo l’impronta romana, conservarono i lori dèi topici e le innumerevoli iscrizioni ritrovate lo testimoniano.
In realtà non sembra che la tesi dell’utilizzo della parola Borvo quale epiteto del dio Apollo sia sufficientemente suffragata dai ritrovamenti. Infatti abbiamo in tal senso solo due iscrizioni. La prima a Bourbon-les-Bains, dove a seguito di un incendio scoppiato nella notte del 28 dicembre 1832, fu rinvenuta la seguente iscrizione: [CIL XIII 5911]

DEO APOL
LI BORVONI
ET DAMONAE
C DAMINIUS
FEROX CIVIS
LINGONUS EX VOTO

Deo Apolloni
Borvoni et Damonae
C(aius) Daminius
Ferox civis
Lingonus ex voto

Probabile parte di un altare eretto ex voto dal devoto menzionato nell’iscrizione, se ne propose subito l’invio a Parigi per sottoporla all’attenzione degli studiosi, ma un noto accademico di Francia e filosofo Jules de Berger de Xivry riuscì a farsi mandare l’incisione per il tramite del fratello che viveva proprio a Bourbonne. Basandosi sulla uniformità dei caratteri, caratteristica che la scrittura latina cominciò a perdere dal terzo secolo, la datò non oltre il secondo secolo[6]. Secondo l’uso del tempo, la separazione tra le singole parole avveniva con il punto e inoltre lo stato complessivo dell’incisione era tale da non lasciar alcun dubbio sulla sua trascrizione (l’interpretazione poi era una cosa diversa), poiché l’incendio aveva danneggiato solo l’angolo inferiore tagliando una parte di una lettera [L] e di una [V] ma il resto era perfettamente leggibile. È da segnalare che la lettera [I] di Borvoni è ricavata da un innalzamento del marmo a destra della lettera [N] e che la [O] che la precede è di un corpo più piccolo delle altre lettere come frequentemente si trova nelle iscrizioni più recenti. La parola Borvoni, che si è portati a considerare come un altro epiteto di Apollo, si trova anche nelle iscrizioni di Bourbon-Lancy e indicano un nome proprio di una divinità topica. Delle quattro iscrizioni disponibili, una reca Borvo quale epiteto, le altre tre invece come sostantivo, cosa che induce a chiedersi se poche iscrizioni siano di per sé sufficienti a considerare Borvo come un semplice epiteto, giacché per Apollo risulta altrettanto diffuso anche quello di Bèlenus. Riguardo quest’ultimo ad esempio Julius Capitolini racconta l’episodio verificatosi durante l’assedio di Aquileia. Massimo inviò dei parlamentari per negoziare la resa. I rappresentanti della città affermarono che il dio Bèlenus stava parlando per il loro tramite, e che giurava la sconfitta dei romani; tanto che poi gli stessi soldati romani ebbero a vantarsi che «poi Apollo aveva combattuto contro di loro»[7]. Hèrodiem spiega chiaramente questa doppia denominazione per la stessa divinità dei galli: «béliuou caloùsi, toùtoù sèousì te ùperfuwz, apòllwua eìuai éqeloutez»[8]. Martin assume che anche Abellion, Penninus, Mithras e Dolichénius erano nomi che altrettanto indicavano Apollo, oltre quelli già elencati in nota ma non fornisce alcuna fonte al riguardo. Alle iscrizioni di Bourbon-Lancy, nell’attuale Dipartimento della Saone et Loira, si può ritenere ancora valido quanto affermò Eumene nella sua lettera indirizzata a Costantino in visita alle terme di Apollo nell’Autun, il cui tempio era situato non lontano da quello di Minerva nel pays degli Ædui: «jam omnia te vocare ad se templa videantur præcipueque Apollo noster cujus ferventibus acquis penjuria puniuntur». Anche secondo Henzen, epigrafista tedesco dell’ottocento, Borvo non sarebbe stato altro che un diverso modo per indicare Apollo, tesi in qualche modo sostenuta anche dallo svizzero Johannes Kaspar von Orelli, cosicché le prime iscrizioni di Bourbonne-les-Bains [DEO APOLLINI BORVONI ET DAMONAE], non sono quindi da intendersi come «Al Dio Apollo agli dèi Borvo e Damona» ma bensì «Al dio Apollo Borvo e alla dea Damonae».
Borvo non era l’unica divinità protettrice delle acque termali. Le iscrizioni di Bourbon-Lancy sono interessanti proprio perché ci fanno conoscere il nome della dea DAMONAE venerata anch’ella quale protettrice delle acque termali ed associata alle due versioni di Borvo o Bormo. È considerata una dea consorte di cui Mary Jones[9] interpreta il nome come «Mucca Divina» per l’assonanza con demos (mucca). Più interessante è la tesi di W. Van Andringa[10] che considera Borvo come un dio consorte di Damonae basandosi sul fatto che le iscrizioni a quest’ultima, circa 70, sono nettamente superiori a quelle rinvenute per Borvo.
Altre iscrizioni accreditano l’idea di Borvo quale dio consorte. A Buorbonne-les-Bains fu rinvenuta una iscrizione databile al II secolo d.c.  [CIL XIII 5917]

BORVONI
ET DAMON
IVL TIBERIA
CORISILLA
CLAVD CATON. S.
LING.
V.S.L.M

Borvoni et Damon(ae) /
Iul(ia) Tiberia /
Corisilla / Claud(i)
Catonis Ling (onis uxor) /
V(otum) S(olvit) L(ibens) M(erito)

Un’altra iscrizione sempre rinvenuta a Bourbonne-les-Bains [CIL XIII 5920]

DEO BORVO
ET DAMON. E
VERREA VERILLA LINGO
V.S.L.M.

 Deo Borvo(ni)/
et Damon(a)e
/ Verrea / Veri/lla Lingo(onis) /
V(otum) S(olvit) L(ibens) M(erito)

Una ulteriore [CIL XIII 5914]

BORVONI ET DEMONA
AEMILA SEX. FIL.
M…S

 Borvoni / et Damon(ae)
/ Aemilia / Sex(ti) fil(ia) /
M[3]S

Ve ne sono altre sei iscrizione che confermano questo legame che riporteremo più oltre.
Non v’è chi non sostenga la tesi opposta. Jean Baptiste Stanislas, Martial Mignoret e Thèodore Postollete de Saint–Ferjeux in un loro lavoro edito nel 1836[11] ritennero che l’espressione «ferventibus acquis» utilizzata da Eumene, sia in realtà da mettere in rapporto con delle semplici sorgenti di acque minerale in prossimità di un tempio di Apollo che esisteva nella zona dell’Autun; acque considerate senza alcun potere curativo, solo una semplice indicazione di un luogo: una mutuazione locale della divinità romana Apollo, alcun legame dunque tra divinità e acque termali.

Le epigrafi gallo-romane

Possiamo organizzare le epigrafi disponibili sulla base del teònimo utilizzati dagli incisori.

1)   Bormanus-Bormana

Abbiamo tre epigrafe in cui la divinità è chiamata Bormano, tutte in relazione con località termali.
La prima fu ritrovata ad Ainx-en-Provence [CIL XII 949]

DEXTER BORMAN
ITER L M

Dexter Borman(o)
Iter(um) L(ibens) m(erito)

La seconda fu rivenuta a Aix-en-Diois [CIL XII 1561]

BORMAN
ET BORMA
P APRIN
EUSEBES VSLM

Borman(o)
et Borman(æ)
P(ublius) Saprin(ius)
Eusebes v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito)

La terza fu rivenuta nella chiesa di Saint-Vulbas, nel dipartimento di Ain, sul lato destro della porta maggiore. È un’incisione su di una pietra impiegata per costruire un contrafforte. Era, in origine, la parte superiore di un altare che fu in parte danneggiato per il nuovo uso cui fu destinato e riporta la seguente iscrizione [ CIL XIII 2452]

BORMANAE
AVG SACR
CAPRI
A..RATINVS

È evidente che la mancanza della doppia [I] finale al nome Capri, pur in presenza di più soggetti con questo nome, denuncia l’incompletezza del testo, che però sembra poter essere messo in relazione con una seconda incisione, rinvenuta nelle mura di un mulino, che contiene queste due righe:

SABINIANVS
D S D

riunendo le due parti, fu così interpretata:

Bormanæ
Aug(ustæ) Sacr(um).
Caprii
A(t)ratinvs…
Sabinianvs
D(e) S(uo) D(onaverunt).

Tre persone della stessa famiglia, Caprius Atranitus, un altro Caprius, il cui soprannome è illeggibile per la frattura che la pietra presenta, e che lascia qualche traccia sul bordo superiore dell’incisione, e un terzo Caprius, detto Sabinianvs, avevano elevato un altare in onore della dea Bormana Auguste. Non si può tuttavia, sulla semplice similitudine del nome, ritenere che Bormana sia lo stesso personaggio mitologico Borvo. Quest’ultimo, infatti, si rinviene solo nei luoghi ove sono presenti delle acque termali, e Saint-Vulbus, pur essendo ricca d’acqua, non presenta vocazione termale.

2)       Borbanus

Borbanus è indicato in una sola epigrafe rinvenuta ad Aix-en-Provence

POMPEIA
ANTIOPA
BORBANO
V S

Pompeia
Antiopa
Borbano
V(otum) S(olvit)

 3)       Bormo

 La prima iscrizione è anch’essa un ex voto rinvenuta ad Aix-les-Bains probabilmente coeva alla precedente atteso i molti profili di somiglianza, soprattutto la disposizione e la forma delle lettere. In questo caso il nome delle divinità è espresso nella forma BORM, una sigla più ampia e completa che consente di ricondurla più sicuramente a quella di Bormoni. Come l’altra iscrizione votiva, la formula comincia con due “V”: [CIL XIII 2443]

M. LICIN RUSO BORM VVSLM
Vti Voverat.

 M(arcus) Licin(ius) Ruso Borm(oni)
V(ti) V(overat) S(olvit) L(ibens) M(erito)

 L’incisione è su di una pietra di 190 centimetri di larghezza e 20 centimetri di altezza, che aveva a parte, come zoccolo, un architrave a fregio a mo’ di decorazione architettonica. Indica che un Marco Ruso era venuto a chiedere protezione per la salute alle acque di Aix-en-Bains e pagato il tributo di riconoscenza al dio Bormo, ornato di un nymphæum, faceva il bagno in suo onore.
Una seconda fu rinvenuta a Bourbon-Lancy nel 1792 e andata persa ma riprodotta giusto in tempo dal Millin nella sua Monumens antiques inédits. La qualità dell’incisione era molto elevata ed era perfettamente leggibile: [CIL XIII 2805]

C. IVLIVS EPOREDIRIGIS F. MAGNVS
PRO. L. IVLIO. CALENO. FILIO
BORMONI EE DDAMONÆ
VOT.SOI.

 C(aius) Iulius Eporedrigis f(ilius) Magnus
Pro L(ucio) Iulio Caleno filio
Bormoni et Damonae
Vot(um) sol(vit)

dove [EE] sta certamente per [ET].
Questa iscrizione è interessante perché ha una sua particolarità. Mentre i figli hanno un nome latino, il padre è citato con suo nome celtico: EPOREDIRIX, composto da Eporedo (cavaliere) e Rix (re) e significa appunto re dei cavalieri. Allerman ritiene che questo soggetto sia in realtà un capo degli Edui all’epoca della guerra gallica.

4) Borvo o Borvoni

Anche le terme romane di Aix-en-Savoie sembra fossero consacrate al dio Bormo o Borvo, in virtù di due iscrizioni rinvenuti in quella città: una scoperta nel 1863 nella parte più antica del giardino di casa di tale Perier; l’altra trovata secoli prima in un muro romano. Rimasta sostanzialmente indecifrata per molti anni, almeno fino alla metà del XVIII secolo, Albinis de Beaumont[12], illustre epigrafista, la studiò e la riprodusse ma ne diede un’interpretazione confusa e poco convincente. Honoré Greppo la riportò nel suo Études sur les eaux thermal et minérales de la Gaule commettendo un errore di trascrizione che forviò per molto tempo lui stesso e altri studiosi. L’epigrafe è incisa su una pietra oblunga dalla misura di 38 centimetri di lunghezza e 20 di altezza, dall’aspetto del tutto anonimo, senza alcuna decorazione. Le lettere sono di difficile lettura e per l’età dell’incisione e per i danneggiamenti accidentali che ha subito: [CIL XII 2444]

Q VETTIUS
CVTICVS
BOR VVSLM

 Q(uintus) Vettius (9)
Capicus (9), Bor(moni)
V(ti) V(overat) S(olvit) L(ibens) M(erito)

tradotta non senza qualche perplessità.
Il nome del devoto, quello dopo il numero e lo spazio tra le lettere, si ritiene possa essere Vetrius, anche se con ampi margini d’incertezza; come anche il soprannome che resta incerto tra Capicus, giustificato da un’iscrizione del Muratori, e Guticus o Gothicus, come si rilevava dal testo di una pietra miliare nel periodo Aureliano. Il cognome del devoto, può consentire anche la datazione dell’iscrizione come non oltre la metà del III secolo, quando per la prima volta appare nelle province dell’Impero nel periodo di Troiano Decio il nome Gothicus. L’acronimo BOR, che è stato tradotto da Bormoni, essendo separato dalla prima delle due [V] seguito da uno spazio leggermente più grande di quello tra le altre lettere, sembra potersi leggere:

Bormoni vti voverat solvit libens merito

piuttosto che:

Bormoni votum solvit libens merito

 Una versione o l’altra, del resto, ha poco senso, poiché su altri monumenti la divinità è chiamata indistintamente Borvo o Bormo ma ancora più frequentemente Bormoni.
Una iscrizione rinvenuta a Bourbonne-les-Bains [CIL XIII 5912]

AUG
BORVONI
C VALENT
CENSORI
MULLI F
EX VOTO

 Aug(usto)
Borvoni
C(aius) Valent(ius)
Censori(nus)
Mulli f(ilius)
Ex voto

Una epigrafe conosciuta fin dal XV secolo, era posta sull’ingresso di una stalla del castello di Bourbonne-les-Bains. Nel 1763 fu rimossa per essere murata in un edificio a forma di tempio situato nella centrale piazza di Bourbonne che conteneva una sorgente di acqua termale. É stata nel tempo riportata e pubblicata da un gran numero di autori che, quasi tutti, l’hanno tradotta in modo diverso. (CIL XIII 5916)

.ORVONI.T..MONAE.
C. IA
INIUS.
ROMANVS.IN.G.PRO.
SALV E.CONCILIAE
FIL.EX.VOTO

 (B)orvoni et (Da)monae
C(aius) Ia
(t)inius Romanus
(l)ing(onus) pro
Salu(t)e  Cocillae
Fil(iae) 6 9 ex voto

La “C” era evidente che significasse Caius così come IATINVS ROMANVS; molti autori hanno sostenuto che ROMANVS significasse romano, indicasse cioè l’origine di Caius Iatinus e non il cognome di Cajus. Romanus, inteso invece come cognome, si ritrova oltre 42 volte in Gruter e questa tesi si basa su quella a sua volta formulata da Lemperer quando commentò che IN.G. fosse una sorta di acronimo di IN GALLIIS [consistens], che dimora cioè in Gallia; allora era conseguente dover tradurre «C.IATINVS ROMANVS IN.G. PRO SALUTE COCILIÆ EX VOTO». Ma essendo [IN] unito a [G], lo stesso può essere letto come [INGENVVS] che è un nome proprio di persona citato oltre 35 volte sempre dal Gruter, cosa che autorizza a ritenerlo come agnomen. Nella quinta e sesta linea si trova in chiusura:

PRO. SALV
E. CONCILLÆ

 Gilbert ritenne che la mancanza della [T] dopo SALV dipendesse da un errore dell’incisore perché la forma della pietra e la disposizione della linea precedente non consentivano di inserire alcuna lettere, né a destra né a sinistra, tantomeno all’inizio della linea successiva. Il Tournaime corresse CONCILLÆ, senza alcuna motivazione in COCILIÆ (cecilia), forse perché era un nome molto più comune di Concilla o Cocilia, ma il Camelt provò che il nome Cocilia si trovava in molte altre iscrizioni. L’iscrizione di Bourbonne termina con FIL [?] 6 9 EX VOIO. [sic] Le prime tre lettere sono di lettura molto incerta. Alcuni hanno ritenuto fossero le iniziali della parola FILIÆ o FILIE. Certamente lo stato attuale dell’iscrizione non consente una soluzione definitiva, ma la forma della pietra può essere di un qualche aiuto. Infatti, osservandola attentamente, ci si rende conto che non può trovarsi nulla alla fine della sesta riga; ciò dovrebbe essere sufficiente per intuire che lo studio di un’epigrafe non può prescindere da quello della pietra sulla quale è incisa. Quanto all’ipotesi che tende a leggere Filius al posto di Filiæ, è da rilevare che la parola filius riferita a Caivs Jatinvs è priva di ogni fondamento. Innanzitutto, la parola filius, così posta, darebbe luogo a una costruzione errata della frase latina, e poi l’epigrafia non fornisce esempi di termini posti tra parentesi anziché separate dal soggetto al quale sono riferite. Dopo queste tre lettere si trova un simbolo che è il carattere meglio conservato di tutta l’iscrizione: un “6”. N. Juy l’aveva trascritto come una [O], Gruter, Gudius e Muratori invece come una [C] alla quale il Camelt associò il significato di carissimæ. Cayus e Gibert lo ritennero invece un “9”, cosa che lo indusse a interpretarlo come l’abbreviazione di “us” e il Gibert aggiunse «Gli storici credono aver incontrato questo segno “9” solo nelle iscrizione dei primi secoli. Al più dopo Costantino ». Tuttavia, l’epigrafia suggerisce che il simbolo “6” altro non era che un segno d’interpunzione, che serviva a separare le parole, al pari di quelli che si rinvengono su un’urna ceneraria di Julivs Cornelivs Fortunatvs, sul cippo del sepolcro di Flavivs Satvrninvs, sull’Ælius Pastor di una statua a Pompei etc. EX VOTO. La parola ex voto è quella scritta in modo più chiaro. La mancanza della barra superiore della “T” sembrava fosse da ritenersi mai apposta, piuttosto che come usurata dal tempo. Gautier ritenne di interpretarla in due modi diversi: un voto per ringraziare qualcosa da ottenere o per qualcosa già ottenuto. È probabile questa seconda ipotesi, considerando l’uso che si è fatto del termine poi in epoca cristiana. L’espressione è dunque sinonimo di Votum Solvit che si rinviene a Bourbon-Lancy. Tuttavia, occorre dire che su tale ultima riga esistono molte perplessità; essa non è un corpo unico con l’iscrizione, né sembrano collimare le forme delle due pietre, pertanto è probabile che si tratti di un’iscrizione proveniente da un altare diverso e solo successivamente aggiunto, cosa che inficerebbe l’interpretazione del de Xivrey, almeno sotto quest’ultimo aspetto. Anche la parola FOREX della quinta riga della prima iscrizione di Bourbonne-les-Bains «CAIVS DAMINVIS FEROX» si riferisce a un nome romano; è indicato come tale a Roma con riferimento ad un console, si rinviene per un ufficiale delle legioni romane sotto il consolato di Atticus; in Toscana si ha [Ferocis]; su una base marmorea a Roma in memoria di un giovane patrizio si legge [Feroci]; a Verona [Fèrox] e in molte altre località italiane:

CIVIS LINGONVS

La parola Lingonvs si rinviene nel De bello lingono di Marziale ed è sicuramente riferibile alla città di Lingon. Nell’iscrizione di Bourbon-Lancy, per Millin, sono presenti i nomi dei devoti che eressero l’altare e di quelli per cui il voto fu formulato. I fedeli sono CAIVS JVLIVS MAGNVS, figlio di EPOREDIRIX e LUCIVS JVLIVS CALENVS, suo figlio.

C – IVLIVS EPOREDIRIGIS. F. MAGNVS
PRO. L. IVLIO –CALENO. FILIO

 Segnalata per la prima volta nel 1774, era collocata su di una porta accanto all’ingresso della chiesa di Saint-Nazare a Bourbon-Lancy e fu riportata dall’abate de Courtépée nella sua Description historique du duché de Bourgogne[13]. Millin, che sostenne l’eccessiva leggerezza del frate nel riprodurla, ritenne di dover esaminare l’originale prima di formulare ogni ipotesi al riguardo, purtroppo però la particolare allocazione dell’incisione aveva prodotto un notevole deterioramento rispetto al secolo precedente, e ogni verifica si rilevò impossibile. Siccome le parole più importanti si trovavano all’inizio del testo, che era forse la parte meglio conservata, il Berger nella sua corrispondenza si riservò di analizzarla approfonditamente, ma non vi è traccia del risultato di quest’attività. [CIL XIII 2807]

… A. EST. SAC…
…SILICA. V….
…RVONI..ET

 Il Greppo tentò un’interpretazione dell’incisione, non azzardando nulla sulla prima riga, mentre ritenne di poter leggere nella seconda [BA]silica. Nella terza affermò senza dubbio si potesse leggere [BO]rvoni e che dopo la congiunzione [ET] si potesse aggiungere DAMONAE[14].
La traduzione più accreditata appare

[Num(inibus) Pr] aest (antissimis) sac[rum…
[…B]asilica v[etustate..]
[…B]orvoni et [Damonae…]

Un’ulteriore iscrizione (CIL XIII 2808)

…SSIMIS NU
DEO BO

è stata così tradotta:

(Praestanti)ssimis Nu(minibus)
[….] Deo Bo(rvoni)

È conosciuta da tempi immemorabili a Bourbonne-les-Bains ed è stata nel tempo oggetto di approfonditi studi da parti di molti autori che però la tradussero quasi tutti in modo diverso, tratti anche in inganno da numerosi errori di trascrizioni e inesattezze che diedero origine a diverse versioni della stessa iscrizione. Inoltre, questa presentava numerose lettere d’incerta lettura e una serie di lesioni che la rendevano nel complesso di difficile interpretazione.

BORVONI.ET.DAMONAE
T.SEVERIS.MO
DESTVS. MNIB
H N .ET.
OFFI
APUD.AEDVUOS, FUNCTUS
V.S.L.M.

 Borvoni et Damonae
T(itus) Severius Mo
Destus [o]mnib(us)
H(o)n[ori(bus)]
et offi(ciis…)


dopo la parola BORVONI ET DAMONÆ, si legge oggi solo T. SEVERIVS MO e qualche frammento di lettera nella riga successiva. Ma il de Courtépée[15] la lesse:

T. SEVERIVS. [MO] DESTVS
OMNIBUS HONORIBVS ET OFFICIIS

 e siccome il resto dell’iscrizione era rotto, poté supplire solo con delle congetture ad: APVD ÆDUOS FUNCTVS traducendola così come portavano alcune iscrizioni simili nella chiesa dei Cordilieri di Sainte-Reine. D’altronde ciò si accordava molto bene con il resto dell’iscrizione. Tuttavia, vi è uno spazio troppo grande tra MO e DESTVS e OMNIBVS così come tra HONORIBVS e OFFICII. Il de Xivrey pose tra MO e DESTVS e tra OM e NIBVS un’iniziale che avrebbe dovuto indicare il nome del padre di questo SEVERIUVS e la lettera “F” per filius, poi aggiunse ATQUE al posto di ET tra le parole HONORIBVS e OFFICIS.
L’estrema chiarezza della parola BORVONI che si ritrova su tutte e quattro le iscrizioni prova la sagacità di giudizio del Millin, che affermò, non a torto, la dubbia riproduzione della copia dell’abate de Courtépée. Su quella rinvenuta a Bourbonne si legge [ORVONI] ma l’iscrizione ha in alto una frattura che “rompe” l’iniziale [B]. Chavalier, ritenne che non era un lettera [B] ma semplicemente un tratto della frattura derivante dall’enucleazione dell’incisione dal pilastro nel quale era racchiusa e quindi andava letta [ORVONI][16]. Ma nel lavoro di Gautier, stampato appena un anno prima dell’incendio di Bourbonne, l’iscrizione si trova riprodotta in modo esatto e inizia con la lettera [B], e la pietra presentava gli stessi caratteri anche dopo l’incendio, poiché nel 1728 Nicolas Juy la trascrisse allo stesso modo nel suo Traité des eaux, boues et bains de Bourbonne. Era, inoltre, così trascritta anche in una copia di un manoscritto conservato negli archivi della Maison de Livron andato perso, e la conferma dell’esistenza della lettera [B] arrivò anche da eccelsi studiosi quali Gruter, Reinésius, Guidius, Calmet, Lempereur, Tournemine, Muratori, Schopsslin, Millin e Orelli. Secondo il Camelt, l’incisore scrisse poi BORVONI anziché BORBONI, per un errore allora molto diffuso di confondere spesso la [B] con la [V] e il Gauter, a sostegno di questa tesi, produsse circa 50 esempi[17]. Questo “errore” era, in effetti, comune all’epoca, ma non è rinvenibile nelle iscrizioni di Bourbonne e Bourbon-Lancy, poiché esse furono trascritte tutte nello stesso modo. È forse, in realtà, il nome moderno di Bourbon che indusse gli studiosi, in un processo inverso, a tentare di giustificare la presenza della [V] al posto della [B]. Lempereur andò oltre: affermò che quelle iscrizioni andavano lette pronunciando la “V” come una “B” e viceversa. L’iscrizione di Bourbon-Lancy studiata dal Millin porta BORMONIE ET DAMONÆ che lo stesso Millin affermò occorreva leggere come BORMONIE ET DAMONÆ. La parola Bormo sarebbe dunque la stessa di Borvo per un leggero difetto di pronuncia e dal quale sarebbe probabilmente nato il nome della cittadina Bourmont situata nel Bassigny e più anticamente, in epoca romana, quella di Aquæ Bormonis che la Charte Théodosienne attribuisce a Bourbon-l’Archambault.
Mentre l’iscrizione di Bourbon-Lancy non lascia dubbi sulla parola DAMONÆ, quella di Bourbonne, dopo la parola Borvoni si trova una [T] seguita da uno spazio che esiste da molto tempo, poiché il Gautier ebbe modo di osservarla nel 1716 e che a suo avviso era una lettera resa illeggibile da una palla di fucile. Quasi tutti i suoi contemporanei, e non solo, accettarono questa fatale circostanza, ma prima della sua affermazione molti avevano creduto di leggervi una [H]. Per le ultime due lettere della prima riga e le sue sillabe MANOÆ con cui inizia la seconda, Jean le bon, ad esempio, la lesse come THERMORUM DEO MAMMONÆ, supposizione che sarebbe indubbiamente esatta se lo fosse stata però anche la trascrizione. Un altro studio di un certo rilievo che lesse una [H] fu quello svolto dal Roussat che inviò a Gautier una copia dell’iscrizione che pubblicò nel suo Corpus Inscriptionum del 1616, che è poi la stessa che fu citata nel 1731 da Viglier nella raccolta Guadus, di conseguenza molto successiva alle osservazioni formulate dal Gautier sullo spazio vuoto che segue la [T]. È verosimile che questi autori, influenzati dal fatto che si era in presenza di acque termali, vi si dovesse leggere necessariamente una [H], ma che, a memoria d’uomo, nessuno aveva mai visto. Inoltre, gli autori che adottarono la copia per i loro studi, ammisero senza alcuna remora l’esistenza della [H] senza mai preoccuparsi di verificarne l’esistenza. Lempereur, solo in questa sua tesi, ritenne addirittura di aver visto un punto tra la [T] e la [H]. Calmet, diede una spiegazione alquanto confusa. Un’interpretazione poco consistente fu data anche dallo Schoepssin. Ma se prima sarebbe stato sufficiente guardare la copia fornita per vedere che non vi è alcuno spazio prima delle lettere ER, dopo la scalfittura fu collocata una [H] creando il nome «Thermonæ» che sarebbe evidentemente un latinismo e non un nome gallo che, peraltro, non si ritrova in nessun’altra iscrizione o monumento. Le lettere [TH] furono per Reinésius un’occasione per formulare una tesi che rasentava lo scherzo. Suppose che queste due lettere che si immaginano di vedere alla fine della prima riga, dovevano leggersi con le prime due sillabe della seconda formando la sola parola Thmonae e propose di veder questa parola come unita a quella Borvoni, cosa che ricordava al suono, in greco, il turpiloquio Dordon, evidenziando di come una parola in apparenza latina nel suono potesse ricordare una greca, come d’altronde era possibile fare in molte altre lingue. Era dunque il Millin che sbagliava per aver letto troppo velocemente senza ponderarlo a fondo questo passaggio di Reinésius: «Quid nisi circa nugas satager enefas, si ista Roussati BORVONI THMONE est Græcis Do rdoui daì moui expressa sunt Dordon autem dæmo quidam ex obsecenis, cui mulierum lascivæ munera offerre juberentur ex Platonis Phone apud Athen. I. X; sed restabit tamen quæstio quid autem spectarit ille, qui Dorâonem ad Borbonium quidquam pertinere putavit. Nimirum quifallere volebat homo felopài parhcez et simili sunt vocabulorum id satis commode ad simpliciores faceie posse sibi persuasit; totumque ideo negotium erit joculare ludicrum indignumque cura ulteriore cài touto pesì toutou tò zmòu fròuhma. Quod spe venioe à doctioribus, si quibus de obscuris hisce aliter dinarc et sentire placuerit, sine cujusquain præjudicio, a exponere volui»[18].
François Ignace Dunod[19] diede una prima versione di THERMARUM DEO, rinvenibile in una copia che inviò a Bouhier; ma in seguito si corresse e dette la versione ET MONÆ. Questa interpretazione non era del tutto priva di fondamento. Vi è, infatti, a metà della [T], sul lato sinistro, un prolungamento orizzontale che poteva in effetti indicare l’intenzione di incidere una [T] con a ridosso una [E], che non era certo una rarità nelle iscrizioni dell’epoca; ma allora avrebbe dovuto supporre che non vi era alcuna lettera sulla parte mancante perché il prolungamento a sinistra della barra superiore della [T] non permetteva di poter leggere questa combinazione come una sola [E], e collocare una [D] sulla parte mancante in base a una semplice congettura. Questo è forse il ragionamento fatto anche dal d’Anville che nella sua Charte Theodosienne conservò per Bourbon-l’Archambault il nome di Aquæ Bormonis: «Ho creduto» scrisse «di dover mantenere la denominazione di Bormonis, così come si legge nella tabella, anche se è opportuno leggere Borvonis. Un’iscrizione, che è a Bourbonne-les-Bains, riportata da M. Dunod, come è stata detenuta da M. Bouhier, porta, Borvoni e Monoe Deo; e se si potrebbe sospettare che il nome di Bormonis fosse come Borvo e Mono, perché la stessa divinità sarebbe stata peculiare a Bourbon e a Bourbonne, bisogna rimproverarsi per aver azzardato di scrivere diversamente da quanto indicato in tavola»[20].
Una iscrizione di Bourbonne-les-Bains ( CIL XIII 5919) reca

 BORVONI ET DAMO
NAE
XTILIA
SEXTI
FIL
MED

 Borvoni et Damo
Nae
(Se)xtilia fil(ia)
Med(iomatrica)

Ancora una iscrizione di Bourbon-les-Bains  CIL XIII 5918)

DEO BORVONI
ET DAMON
MATURIA RUS
TICA
VSLM

 Deo Borvoni
Et Damon(ae)
Maturia Rus
tica
v(otum)  s(olvit) l(ibens) m(erito)

Sempre a Bourbonne-les-Bains

BORVONI
ET DAM
FROT LV

 essendo molto deteriorata dall’acqua è possibile leggere solo

Borvoni
et Damon(ae)
Frot LV

 5) Bormanicus

A Cladas de Vizella, un comune di poco più di diecimila abitanti in Portogallo, è attestato, con due epigrafi, il culto di un dio con questo nome. La prima fu scoperta nel 1841 al «baño del medico»: (CIL II 2402)

MEDAM
US CAMALI
BORMANI
CO VSLM

 Il devoto era sicuramente autoctono. Il nome Medamus appare in altri epigrafi, tutte rinvenute nella zona gaelico-lusitana. Anche il nome del padre Camelius era molto diffuso nell’area (si conoscono almeno un centinaio di iscrizioni) di cui almeno una decina nelle vicinanze di Caldas de Vizella).
La seconda fu scoperta in una data tra il 1787 e il 1792 nella laguna di Zaniera e si presenta molto deteriorata ed è molto lunga (CIL II 2403)

C. POMPEIVS
GAL CATVRO
NIS F. MEID
UNGENVS VX
SAMENSIS
DEO BORMA
NICO VSM
QVISQVIS HO
NOREM ACIT
AS ITA TE TUA
GLORIA SERVET
PRAECIPIAS
PUERO NE
LINAT HUNC
LAPIDEM

 tradotta con certezza solo nelle prime righe in

C(aius) POMPEIUS
GAL(eria tribu) CATURO
NIS F(ilius)

 L’iscrizione porta un “REO” al posto di “DEO” per errore dell’incisore. Il devoto porta un cognome di difficile lettura. Agli inizi del novecento de Vasconcellos ritenne poterlo leggere in Montugenius o al più in Meidugenius. Questo cognome, comunque unico, potrebbe derivare tanto da Meiduenus che da Medugenus. Si tratta comunque di un cittadino romano di prima generazione considerando che suo padre portava ancora un cognome autoctono, originario di Uxama a circa 450 km da Caldas, e l’ottima conoscenza della lingua latina lo fa supporre appartenente ad un censo di rispetto. Nel temo alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che potesse essere la base per una statua, ma le finalità dell’incisione e la forma della pietra portano ad escludere tale eventualità.

Tesi etimologiche

I primi autori che citarono Bourbonne, Aimoin e Viglien, la chiamarono Veronona e Vorvos[21] dall’unione di due parole celtiche, ipotesi condivisa da Renaud[22]. Ad avviso di quest’ultimo inoltre, l’antico Boïe che fu parte del payus degli Edui, era stato chiamato Boë o Bouë dal fango che si trovava nei bagni caldi della Loira e dell’Allier. Questi bagni erano conosciuti non solamente dai Romani, ma erano già rinomati ai tempi della loro conquista e apprendiamo da Eumene che furono in seguito consacrati ad Apollo. Ora, come la parola Bouë nel linguaggio gallico indicava un “fango spesso”, i celti chiamarono Boïe le località che li possedevano, da cui poi Bourbon, Bourbonne ed altri. Pur non essendo certi di tale origine, comunque essa doveva esprime qualcosa di simile, visto che tutte le città della Gallia, e non solo, che possedevano delle sorgenti termali ne hanno mutuato il nome: Bains, situata poco lontana da Bourbonne, nei Vosgi, prende il suo nome dai “Bagni” di acque termali; in Germania, dove tutte le città che si chiamano Baden, che in tedesco significa appunto “bagno”, hanno la stessa vocazione termale; in Inghilterra, dove le città Bath, che significa sempre “bagno” in inglese, hanno la presenza di acque o stabilimenti termali; Bormio, in Valtellina, in Italia, dove pure vi sono delle acque termali. La presenza di questa radice Borvo anche in località non di stretta cultura celtica ne esclude la provenienza e porta gli autori a concludere che Borvo non è una divinità celtica, ma semplicemente un epitaffio aggiunto al dio Apollo romano. Vi sarebbe stato quindi un processo di mutazione inversa: non è Borvo che ha dato nome alle città, ma sarebbero queste ad aver aggiunto successivamente l’epitaffio Borvo. Tuttavia, le molteplici iscrizioni rinvenuti in luoghi molto diversi, e il loro forte senso votivo, tendono a ritenere questa tesi poco sostenibile. Iscrizioni alla dea Damonæ sono state invece rinvenute a Séquanes e a Eduens e il suo culto era diffuso anche di là delle Alpi, a Bormio, in Valtellina, dove una sorgente ritenuta curativa era chiamata da Cassiodoro Acquas Bormias ed era ritenuta un toccasana per la cura della gotta, almeno come s’indica in una lettera del re Théodat (theoduhaldus) a un conte di nome Uvinusiadus (o Vinsivado). Da Bormo o Borvo venne a formarsi il nome di Bourbon e di Bourbonne e la transizione si rinviene nel nome di un castello costruito intorno al 612 d.C. chiamato «Vorvonense castrum».
Anche Jean Berger de Xivrey, un erudito francese, si occupò nella stessa lettre[23] dell’etimologia della parola Bourbonne, che fece derivare da Borvo. Dall’altro lato, la somiglianza dei nomi tra le città di Bourbonne-les-Bains, Bourbon-Lancy e Bourbon-l’Archambault, ha fatto pensare a qualche autore che queste città prendevano il loro nome proprio dalle sorgenti termali presenti sul loro territorio. Altri hanno esteso questo nome alla provincia del Bourbonnais e alla stessa famiglia reale Bourbon. «Vi dico» scrisse il de Xivrey a Hase «che in questo Dio topico adorato dai nostri antenati sotto il nome di Borvo, trovo l’origine del nome Bourbonne e dell’illustre nome di Bourbon. Aggiungerei che Borvo viene molto probabilmente dalla parola bourbe». Allmer non fu meno esplicito: «Da Bormo o Borvo, si sono formati i nomi di Bourbon e di Bourbonne» e Greppo gli fece eco: «È il caso di rimarcare una osservazione sempre giusta che per questo luogo (Bourbonn-Lancy), come per Bourbonnne-les-Bains, l’etimologia dei nomi si trova evidentemente nel nome della divinità termale Bormo e Borvo. Sarebbe ridicolo cercarne un’altra». Leggiamo ancora negli Annales de la Société antiquaires du Rheinlande, in un dibattito sulla parola Borma: «A questa parola si riconducono i nomi delle città di Borma, Bormanum, Bormani, Lucus Bormani, Bormitomagus e il nome moderno di Bormes, infine i nomi di due divinità galle che derivano evidentemente dalla stessa origine, la dea Bormana e il dio Bormo o Borvo, che è spesso confuso con Apollo romano». Lo stesso de Xivrey aggiunse poi che dal nome Borvo molto probabilmente deriva anche quello di Bourbe, cioè fango, in riferimento ai fanghi delle acque termali ai quali erano riconosciute proprietà curative fin dall’antichità. Per sostenere ciò occorrerebbe però dimostrare che le due parole hanno lo stesso etimo. La spiegazione data da Adrien de Valois si accorda con quella data dal de Xivrey: «Ex Borvone Burbonem Borbonmvr postea factum esse existimen. Quanquam non displecit mihi opinio, utriusque Burbonis nome a Burbis, id est ad aquis lutosis, quas burbe vocitant nostri, deduci jubrntium. Nam Oliveris de la Marchia insanit qui Bourbon non a veteri nomine quod est Burbo, sed a Burgo bono deducit, tamquam bourbon dicatur pro bourgbon»[24].
Secondo Magnin con il cristianesimo, che fortemente la osteggiò, incompatibile con i rigidi costumi del nuovo credo, iniziò un lento declino dell’attività termale, e fu solo in quel periodo che Bourbonne acquisì il suo nome dalle due parole greche βορδοζ e ουειοζ che unite hanno dato βορδοζουειοζ cioè “fango buono” con riferimento comunque al potere curativo di quelle acque. Camelt dette come radice di Bourbonne Borba derivante sempre dalla parola greca βορδοζ, Juvet aggiunse l’aggettivo francese Bonne e ne derivò Bourbe-Bonne o Boue-bonne. Magnin, infine, per dare un certo valore scientifico alla sua interpretazione, sostituì l’aggettivo francese bonne con quello greco ουέιοζ, utile, e fece così βορδοζ ουέιοζ, da dove fu ripreso da Camelt in βορδοροζ.
L’abate J.J. Expilly autore del Dict. geogr. hist. et pol. des Galuas et de la France affermò: «ritengo giustamente che la città in questione (Bourbon-l’Archambaud) derivi il suo nome dal fango che è fondamentalmente alle sue acque», in relazione ai fanghi che la circondavano. Anche Du Cange e Ménage esprimono una medesima posizione: il primo, nel citato Dict. geogr. sostiene che «a voce Burba quindam dicta volunt Borbonium Archambaldi et Borbonium Anselmium quod ea urbes præ aquarum abundantiam lutofæ sint ac carnosa»; il secondo nel suo Dict. Etymologique ritiene che Bourbon derivi dalla presenza dei fanghi: «crediamo che questi luoghi sono stati così chiamati a causa dei fanghi di cui sono pieni». Tournime derivò Borvo da due presunte parola basso-bretone. In questa lingua, a suo avviso, von-vonan significava «fontana»; von lo significava in gaelico provandolo con questo verso del poeta Ausone: Divona, Celtarum lingua, fons addite Divis. «Divis» in bretone, a suo avviso, significava Dio . Niente di più erroneo. La parola Div esiste solo in un dialetto di Vennes e significa il numero due e non Dio, che in bretone si diceva Doue . Quanto al verso di Ausone, citato con una certa leggerezza dal Tournime, è stato ripreso dal Cayles e dal Gibert, senza che nessuno di essi andasse a verificare dove fosse inserito e il senso . Renard Athanese, come già detto, nel suo libro intitolato Bourbonne dà alla parola celtica von il significato di fontana, mentre il Ballard nel suo Precis dà lo stesso significato alla parola one, al quale fa eco il Chevalier. Questi tre autori compongono l’etimo VERVONA, che hanno ritenuto fosse l’antico nome di Bourbonne, con le parole one o von e vervu alla quale attribuiscono il nome di “caldo” o bollente in celtico. È il caso però che questa parola non esiste nella lingua basso-bretone, dove “caldo” si diceva “tom”. Il Renard aveva attinto le sue fonti dal Memorie sur la langue celtique di Bullet, un lavoro davvero superficiale, privo di ogni fondamento storico, nel quale si sforzò di attribuire a ogni località della Francia tra le quali Bourbon-l’Archambault un etnomino celtico che, a suo avviso, proveniva dalla composizione delle parole Ber (caldo) e Bon (fontana).
Dal punto di vista più strettamente etimologico, le varianti Borus-Borvo-Bormo-Bormanus, sembrano derivare dalla radice “Bor”, a sua volta derivata da una variante proto-celtica di “BERU” (bollire), o dal gallese BERW (bollente) o forse dal gaelico BRUICH (bollire, cucinare). Queste radici però appartengono anche alle lingue proto-indo-europee: BHREUE (bolle, effervescente), BHUMIH (violento, passionale), FEVERE (bollire).

Altre tesi

Vi sono alcune tesi che pur partendo dalla radice Bor giungono a conclusioni del tutto prive di riscontri, da relegare nel novero della legenda sul piano storico e della inconsistenza concettuale sul piano etimologico.
Per Oliver de la Marche deriverebbe un bonbourg, trasformato poi in bourg bon. Nell’introduzione alle sue Memoires, infatti, fa derivare il nome di Bourbon da Bourg-Bon, partendo dall’assunto che i siti di acque ritenute taumaturgiche erano considerati dalle popolazioni ..Bon ….(Buone) e presso le quali, nel volgere di pochi anni, si svilupparono grandi centri abitati …Bourg (Borghi). Con il tempo, due di questi borghi, Bourbon nel Bourbonnais e Bourbon in Bourgogne, divennero due potenti baronie che si allearono in virtù di vincoli matrimoniali; anzi, sostiene il de la Marche, entrambe derivano da un Geoffroy de Bourbon (storicamente mai esistito) il quale ebbe due figli: Archambaud e Anseau. Per divisione ereditaria, il primo ebbe la città di Bourbon nel Bourbonnois, che in seguito verrà chiamata Bourbon-L’Archambaud; al secondo pervenne invece la Bourbon in Bourgogne, che poi sarà chiamata Bourbon-Lancy. Mènage aggiunse a questa citazione: «M.Dubuisson, uomo molto istruito nella antica geografia, deriva questa parola Bourbon dal latino Bormo. Perchè è così che quel luogo si trova indicato nella carta di Peutinger. Tuttavia, su questa stessa carta, è nominata Aquae Nisineii e si distingue per l’edificio quadrangolare che normalmente indica le acque minerali. Non sembra pertanto che Borvo o Bormo era in passato il nome di questo luogo. Ma l’avrebbe preso dopo, quando lasciò Aquae Nisinieii per derivarlo da quello della divinità dei bagni». Questa spiegazione che il Millin dà del nome moderno di Bourbon Lancy ci sembra molto realistica.
Per quasi due secoli si è invece seguito l’indirizzo di Nicholas Catherinot[28] il quale sostenne che Bourbon derivi dal nome del suo fondatore: Urbanus trasformato poi per corruzione linguistica in Burbanus e poi Bourbon. Il Bullet affermò che il castello di Bourbonne era chiamato CASTRUM Vorvoniense mentre la città VERVONA. Ma in realtà lo storico Aimoin, al quale il Bullet fa riferimento, citò una sola volta quel castello e non lo chiamò né Vorvonense Borboniensis Vorvona, in quanto un manoscritto pubblicato a Parigi nel 1603 che riportava le Chronique di Aimoin si legge esclusivamente VERNONA[29] …Theodoricus anno XVII regni sui mense maio, universos ditioni suae ad bella promptissimos Lingonis coadunari praecipiens, ac per Vernonam castrum (tum temporis ædificari coeptum) iter facies Tullum devenit. … Il de Xivrey, scrisse oltre venti pagine nel tentativo di smentire questa interpretazione, o meglio, a sostenere che le due parole appartenessero linguaggio della bassa bretonia. «Sarei portato a credere che» scrisse «l’etimologia delle parole Bourbon e Bourbonne si devono trovare in uno dei linguaggi galli parlati verso il centro della Francia dai Linongi, Sequani, Edui, Boii che corrisponde pressappoco ai nostri giorni ai dipartimenti dell’Alta Marna, della Costa d’Oro, del Nievre, dell’Allier e della Saone e Loira. In effetti, in queste aree troviamo più nomi di località che presentano la radice Bourbo, Borb o Vorv.».
A Bourbon-L’Archambault, non sono mai state rinvenute iscrizioni votive, ma è indubbio che il suo etimo avesse la stessa origine. Infatti, nelle Carte di Peutinger del V secolo essa già era indicata con il nome di Aquæ Borminis. Così il nome Bourbon, uno dei più illustri della storia europea, non viene, come ha scritto Valois[30] da: «a burbis id est ab aquis lutofis quas BOURBES nostri vocitant», tantomeno da quanto indicato dagli autori del Dict. geogr. hist. et pol. des Galuas et de la France che affermano « Credo con ragione che la città in questione (Bourbon l’Archambaud) derivi il suo nome dai fanghi che creano le sue acque», in relazione ai “fanghi” che la circondavano; né come affermano il Du Cange e il Ménage: il primo, nel citato Dict. geogr. ritiene che «a voce Burba quindam dicta volunt Borbonium Archambaldi et Borbonium Anselmium quod ea urbes præ aquarum abundantiam lutofæ sint ac carnosa» e il secondo nel suo Dict. Etymologique afferma che Bourbon derivi dalla presenza dei fanghi: «crediamo che questo luogo è stato così chiamato a causa dei fanghi di cui è pieno».

Conclusioni

A mio avviso le due interpretazioni non possono e devono essere riviste in modo diacronico, ma quanto piuttosto come parte di un processo di sviluppo linguistico-culturale unilineare che partendo dal genii loci arriva all’italiano Borbone. Mi sembra abbastanza evidente che la teologia termale sviluppatasi già in età preromana nella Francia centrale e in tutta l’area di cultura celtica, che si estende dal Portogallo (i Celtiberi) fino ad alcune aree della Turchia moderna (i Galati), abbia mutuato il nome della divinità protettrice dalle caratteristiche dell’acqua o dei fanghi presenti e che poi attraverso un processo di lenizione e latinizzazione si è arrivato all’odierno Borbone secondo il seguente schema:

BERU                      BORVO                     BORVONIS                        BORMONIS                      BORBONIS
Proto-celtico        celtico                                    latino                                latino                             tardo latino

BOURBON                              BORBÒN                BORBONE
Francese                              spagnolo                              italiano

Diversa, ma non esiziale ai nostri fini, l’analisi sulla natura di divinità topica di Borvo o di epitaffio rispetto al dio romano Apollo.

 

Note

[1] Pelliccio C. I Bourbon di Francia- mille anni di una dinastia tra storia e cronaca- Vol.I, E.S.I., Napoli, 2014.
[2] Corpus Inscriptionum latinarum Vol. XII nr. 2444
[3] Amarcolitanus [CIL XIII 2600], Anextiomaros [CIL XIII 3190], Atepomaros [CIL XIII 3318], Belenos [CIL III 4774,732,755,8212,8250], Cobledulitavus [CIL XIII 939], Cunomoglos, Grannos, Uvicus [CIL XIX 800], Maponos, Mogaunus [CIL XIII 5315], Siannus [CIL XIII 1669], Toutiotix [CIL XIII 7564], Vindonnus [CIL XIII 5644-5646], Vitoruriius [CIL XII 2525] e Moritasus.
[4] De Bello Gallico, I.VI.C.17.
[5] Desd. Erasmi Roterod. Colloqui Naufragium, p. 182.
[6] Lettre à Haise , 1833
[7] Julii Capitolini, Historiæ Augustæ Scriptores VI, cap. 22: «Quum igitur frusta obsideret Aquileiam Maximunus, legatos in eandem urbem misit. Quibus populus pone consenserat, nisi Menphilus cum collega restitisset, dicens, etiam deum Belenum per aruspices spopebdisse Maximinus esse vincendum».
[8] Histoire, Lib. VIII, c. 3.
[9] Celitc Encyclopedy
[10] La religion en Gallie-romaine: piètè et politique,
[11] Recherches Historiques et statistiques sur le principales communes de l’arrondissement de Langres, Langres , 1836.
[12] Descritione des Alpes Greques et Cottiennes, Parigi, 1806.
[13] Tomo IV, p. 380.
[14] Études sur les eaux thermal de la gaule, p. 58 e seguenti.
[15] Description historique du duché de bourgogne, tomo IV, p. 380.
[16] Memorie set observa, p. 214.
[17] Traité Historique des eaux du Plombières, p. 149.
[18] Syntagm, in script. Vetreum, p. 177, insc CXLIX
[19] Histoire de Sequanois, Digione, 1735
[20] Notice de l’ancienne Gaule tirèe des monumens romains, Paris, 1760.
[21] Chronic. Ling. et Societ., p. 43: «Borboniense castrum, in finibus Lingonum conditum astruimus, eo in colle ubi Vorvon æ seu Borbonæ thermrum deæ templum olim steterat».
[22] Riportato in Bibliotheca Borbonensi, Essai di Bibliographie et d’Histoire, 1865
[23] Lettre a M. Hase sur une inscription latin du secondo siécl trovué a Bourbonne-les-Bains, Parigi,1833.
[24] Notitia Galliarum, p. 280.
[25] Mémoire de Trévoux, p. 852.
[26] C. Le Gonidec, Dictionnaire celto-Breton ou Breton-française, Angoulême, 1821
[27] Claræ Urbes, verso 29.
[28] Les fondateurs du Berry.
[29] Histori Francorum Aimoini Monachi Floriacensis Urbis-Libris IV.
[30] Notitia Gallia, p. 104.