L’INTERNAMENTO DEGLI “ALIEN ENEMIES” IN USA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

di Renzo Paternoster -

 

 

Durante una guerra le “necessità militari” permettono anche alle democrazie di calpestare i diritti costituzionali. È il caso degli Stati Uniti d’America che durante la Seconda Guerra mondiale, attraverso un procedimento legale, sottoposero i cittadini di origine e di nazionalità giap­ponese, italiana e tedesca presenti sul suo territorio a una serie di “manovre” restrittive, tra cui l’internamento in campi.

 

In assenza di una precisa convenzione internazionale o di accordi multilaterali, che riguardano il trattamento delle popolazioni civili di nazionalità nemica residenti sul territorio di uno Stato in guerra, tra il 1941 e il 1944 anche il governo degli Stati Uniti d’Ame­rica internò i cittadini di origine e di nazionalità giap­ponese, italiana e tedesca che si trovavano sul suo territorio, con­siderandoli la “quinta colonna” del nemico. Pur trattandosi di civili, queste categorie di persone furono equiparate alla condizione di prigionieri di guerra.
Già due anni prima dell’ingresso formale degli USA in guerra, per prevenire azioni di spionaggio e sabotaggio da parte di agenti stranieri presenti sul territorio statunitense, iniziarono misure restrittive sui cittadini tedeschi e italiani presenti sul suolo statunitense. Infatti, in seguito all’attacco della Wermacht alla Polonia nel settembre 1939, a Washington fu deciso di internare i marinai di alcune navi tedesche presenti nei porti americani. Identica sorte colpì un migliaio di italiani, ancora presenti temporaneamente negli Usa in quanto marinai o lavoratori impiegati nei padiglioni italiani all’Esposizione mondiale tenutasi a New York nel 1939-1940.
Contemporaneamente il presidente Roosevelt incaricò l’Ufficio Federale di Investi­ga­zione (FBI) di stilare delle liste sia di individui–cittadini sospetti stanziati negli USA e nati in uno dei Paesi dell’Asse sia di associazioni e organizzazioni nippo­–americane, tedesco–americane e italo–americane presenti in USA. Con la mi­nac­ciosa avan­­zata tedesca in Francia, l’FBI e altre agenzie di intelli­gence furono autorizzate a procedere anche a intercettazioni telefoniche di persone sospettate di attività sovversive. Così furono stilate nuove liste di potenziali nemici stanziati sul suolo statunitense.
In seguito all’invasione della Francia, il governo americano approvò il 29 giugno 1940 l’Alien Registration Act, un provvedimento che obbligò i residenti di naziona­lità straniera a recarsi presso gli uffici dell’Immigration and Naturalization Service per adempiere alle pratiche di registra­zione, schedatura e rilascio delle impronte digitali.
In quello stesso mese l’Immigration and Naturalization Service, dal Department of Labor passò a far parte del Department of Justice, smettendo così i compiti di vigilanza e assumendo una connotazione fortemente investigativa e persecutoria nei con­­fronti degli immigrati.
Attraverso tre proclami pubblici, firmati dal presidente Roosevelt tra il 7 e l’8 dicembre 1941, i cittadini di origine straniera di Giappone, Germania e Italia diventano “alien enemies”. I residenti coreani e austriaci, le cui nazionalità originarie cambiamo per gli eventi bellici, non sono dichiarati alien enemies, poiché la loro appartenenza a uno Stato nemico sopraggiunge dagli esiti della guerra e, quindi, dipendente da situazioni delle quali non sono responsabili.

japanese-internment-postersIl 7 dicembre 1941, il Pre­sidential pro­­clamation No. 2525 dichiara tutti i cittadini giapponesi dai quattordici anni in su stanziati negli USA alien enemies e posti in una condizione di libertà vigilata. Con altri due proclami presidenziali, il n. 2526 e il n. 2527, anche i cittadini tedeschi e italiani dai quattordici anni in su stan­ziati negli USA sono considerati alien enemies e anch’essi posti sotto la libertà vigilata. Successivamente, la direttiva n. 2563 del 17 luglio 1942, pone nelle stesse condizioni anche i cittadini ungheresi, bulgari e rumeni.
Oltre a queste misure restrittive, le agenzie federali per la sicurezza, sia militari sia civili, furono incaricate di redigere liste per una eventuale detenzione cautelare dei soggetti potenzialmente più pericolosi. Sono le cosiddette “liste ABC”: una serie di elenchi in cui figuravano i cittadini statunitensi di origine di uno dei Paesi dell’Asse in base alla loro presunta pericolosità: nella lista “A” c’erano gli stranieri identificati come “sicuramente pericolosi”; nella lista “B” quelli “potenzialmente pericolosi”; nella lista “C” c’erano persone soggette a sorveglianza per aver svolto propaganda sovversiva o aver semplicemente dimostrato “troppa simpatia” per i governi dei Paesi dell’Asse.
La seconda parte delle proclamations era costituita da indicazioni relative alla condotta alla quale gli alien enemies avrebbero dovuto attenersi, qualora avessero deciso di continuare a vivere negli Stati Uniti. Una serie di prescrizioni in tredici punti stabiliva i doveri da rispettare meticolosamente pena l’internamento per la durata della guerra: divieto assoluto di disponibilità di ra­dio a onde corte e di qualunque altro apparecchio idoneo alla comunicazione (trasmittenti, segnalatori, ma anche piccioni viag­giatori), macchine fotografiche, codici e sistemi cifrati, libri e documenti che contengono riproduzioni di installazioni, map­pe ed equipaggiamenti militari; proibizione incondizionata alla detenzione di armi da fuoco, munizioni e materiali utilizza­bili per fabbricare esplosivi; coprifuoco dalle 20 alle 6 del mattino successivo; obbligo di dimora nella propria comunità e imposizione di un permesso da parte dell’US Attorney del proprio distretto federale per spostamenti motivati e richiesti almeno sette giorni prima.
I dipartimenti di Giustizia e di Guerra avrebbero potuto proibire, qualora se ne presentasse la necessità, la presenza di alien enemies nelle vicinanze di porti, canali, coste, stazioni ferroviarie, magazzini e altri luoghi dichiarati di interesse militare.

Fort Missoula Relocation Camp

Fort Missoula Relocation Camp

Il 19 febbraio 1942 il presidente Roosevelt firma l’Executive Order No. 9066, in cui, considerando che il perseguire dello stato di guerra richiedeva «ogni possibile protezione contro lo spionaggio e contro il sabotaggio» per la difesa degli Stati Uniti d’America, autorizzava «il Segretario di Guerra a prescrivere aree militari dalle quali alcune o tutte le persone possono essere escluse». L’ordine non menziona nessun gruppo etnico, né specifica quali siano le aree interessate. Dal 2 marzo 1942 diventa operativo l’ordine del Presidente statunitense con una serie di Public Proclamation che dichiarano alcune aree degli Stati Uniti d’America zone militari (specialmente quelle costiere) e, quindi, da “bonificare” da tutti gli alien enemies, principalmente quelli di origine nipponica.
L’attacco giapponese di Pearl Harbor peggiora la situazione per i giapponesi, di origine o naturalizzati, residenti negli USA. È proprio la comunità nipponica quella che senza dubbio subì la diffidenza peggiore. Nonostante questa discriminazione, tra i giovani giapponesi è vivo lo spirito di devozione verso la nuova Patria. Per questo molti di loro si arruolano volontariamente combattendo sotto la bandiera a stella e strisce.
Già nella notte del 7 dicembre furono presi in custodia dall’FBI millecinquecento persone appartenenti alla prima generazione di giapponesi emigrati, tra cui leader di associazioni che avevano il supporto del governo giapponese, insegnanti di scuole in lingua giapponese, alcuni preti buddisti.
Suddivisi in Issei, Nisei e Sansei, ossia rispettivamente la prima generazione di giapponesi emigrati, la seconda generazione (figli degli Issei) nata fuori dal Giappone e con cittadinanza del luogo di nascita e la terza (nipoti degli Issei), i giapponesi sono così subito considerati “il pericolo in casa” e per questo andavano isolati.
In un primo momento si decide di ordinare un trasferimento volontario, ma per logica il piano è subito escluso, poiché se ritenute spie, queste persone avrebbero continuano ad esserlo ovunque negli States. Così si decide per il loro trasferimento obbligatorio in zone di custodia predisposte ad hoc.
Il 18 marzo 1942, il presidente Roosevelt, con un nuovo ordine esecutivo, crea la War Relocation Authority (WRA), un’agenzia federale a cui fu affidata la custodia dei giapponesi negli assembly centers e nei relocation camps. Contemporaneamente è istituito l’Office of Alien Property Custodian, un’agenzia con il compito di occuparsi della gestione dei beni e delle proprietà confiscate ai deportati.
Le prime famiglie a essere “ricollocate” in campi sono quelle di origine giapponese che vivono a Bainbridge Island (Stato di Washington) con un ordine del 24 marzo da parte del tenente generale John Lesesne DeWitt, coman­dante del Western Defense Command. Seguì l’internamento di oltre 100.000 persone di origine giapponese, di cui più di 70.000 erano cittadini americani. Lo stesso si verifica per gli italiani e i tedeschi residenti in USA.
Dapprima condotti verso receiving points, centri di raccolta, gli alien enemies passano negli assembly centers, i primi campi temporanei, e da qui smistati verso i permanent war relocation camps, situati nelle regioni desolate dell’entro­terra del­l’Ovest degli USA. La tendenza è quella di raggruppare i detenuti in un unico campo secondo la nazionalità.

Stringtown Relocation Camp

Stringtown Relocation Camp

Gli internati avevano comunque possibilità di presentare ricorsi alle Enemy Alien Hearing Boards, delle commissioni di riesame composte da tre cittadini privati, provenienti dalla stessa comunità del richiedente. Nel gennaio del 1942, si contavano 93 boards, almeno uno in ognuno degli 86 distretti giurisdizionali. La commissione sottoponeva il richiedente a un questionario standard per certificare il suo grado di lealtà agli Stati Uniti. Il richiedente non aveva la possibilità di assistenza legale da parte di un avvocato, tuttavia poteva portare quanti testimoni a suo favore volesse.
La commissione redigeva dei verbali che poi erano vagliati dall’Alien Enemy Control Unit che a loro volta esprimeva un giudizio all’Attorney General, al quale spettava la parola definitiva sul caso. Alla fine del procedimento, il richiedente poteva essere internato, rilasciato sulla parola oppure rilasciato incondizionatamente.
I rilasciati potevano tornare alla vita “normale”, ma erano obbligati a rispettare tutte le restrizioni determinate dai proclami del dicembre 1941. Chi era rilasciato sulla parola aveva l’obbligo di presentarsi, ogni tre giorni circa, al cospetto del Hearing Boards, dietro la garanzia del quale era stato liberato, e ogni settimana all’ufficio dell’Immigration and Naturalization Service del distretto. I richiedenti giudicati enemy aliens erano internati senza conoscere la motivazione della sentenza.
Purtroppo non si conosce il numero di casi presi in esame o il grado di considerazione che le loro proposte ricevevano da parte del Ministro della Giustizia.

MxCoy Relocation Camp

MxCoy Relocation Camp

I war relocation camps sono veri e propri campi di internamento, per funzione (concentrare in un luogo isolato degli individui), per il tipo degli internati (persone che non hanno com­messo alcun reato e non sono state giudicate, ma segregate solo per l’appartenenza), per tipologia (luoghi recin­tati da filo spinato e controllati da ronde armate), per le condizioni di vita (limitazioni della libertà personale, sovrappopolamento, assenza di privacy, qualità igienica scarsa, condizioni climatiche sfavorevoli). Tuttavia si è molto lontani dall’assimilare questi campi a quelli nazisti o sovietici.
Il war relocation camps di Manzanar è il primo campo a essere allestito, ed è rivolto agli alien enemies di origine giapponese. Situato ai piedi della Sierra Nevada, nella Owens Valley della California, soggetto quindi a frequenti tem­peste di sabbia e a temperature estreme, il campo è inizialmente un assembly center, diventando il 1° giugno del 1942 il Manzanar War Relocation Center. Grande duemilacin­que­cento ettari, il campo di Manzanar è recintato da filo spinato e sorvegliato da otto torri di guardia. All’interno ha trentasei blocchi di poco più di sei metri per trenta. In ogni blocco sono alloggiate più famiglie che hanno a dispo­sizione uno spazio di circa sei metri per sette, suddiviso dagli altri da una semplice tenda. I bagni sono in comune, come anche la mensa, la lavanderia e la sala ricreazione. Oltre ai blocchi residenziali ci sono altri utilizzati come alloggi per il personale militare, uffici amministrativi, magaz­­zini, ospedale, garage, scuola, luoghi di culto, ufficio postale. Con il tempo gli internati si dotano anche di un giornale del campo, piccoli negozi, sala da barba, calzolaio, una piccola fattoria per allevare maiali e polli, una fabbrica di rete mimetica per l’esercito statunitense, una piantagione di gomma naturale e altri vivai. All’interno anche un orfanotrofio, chiamato “Villaggio dei bambini”, che ospita centouno orfani nippo–americani. I bambini frequentano la scuola del campo, mentre agli adulti sono offerti posti di lavoro retribuiti (da 8 a 19 dollari al mese, secondo la specializzazione). Gli internati s’impegnano anche per rendere autosufficiente il campo, riuscendo ad abbellirlo con ela­borati giardini.
Nonostante gli internati si attivano per rendere più vivibile la loro prigione, il senso di smarrimento e d’in­giustizia subita, la per­dita della libertà, della proprietà, delle pro­­fessioni, la monotonia, portano a una percezione di sconfitta totale. Manzanar è chiuso il 21 novembre 1945.
Quando la minaccia nazista si fece più seria, il primato degli alien enemies più pericolosi passò ai cittadini di origine tedesca, ironia della sorte molti dei quali era rifugiati dalla Germania nazionalsocialista. Questi furono internati nei relocation centers di Fort Lincoln (North Dakota), nel Kenedy Alien Detention Camp (Texas), a Fort Sill (sottocampo punitivo di Fort Stanton in New Mexico), a Seagoville e a Crystal City (Texas).
Diversa è la sorte degli italo–americani, dapprima conside­rati alien enemies e poi, nel 1942, alla vigilia delle elezioni congressuali, prosciolti da questa calunnia. Grazie alle pressioni di influenti leader italoamericani, al peso elettorale degli italiani d’America nelle scelte elettorali, che formano uno dei maggiori blocchi di voti in USA, all’atteggiamento meno ostile della po­polazione statunitense nei confronti degli italiani, l’attorney general Francis Biddle annunciò, nel giorno del Columbus Day di quell’anno l’approvazione del provvedimento che aboliva la designazione automatica di alien enemies per tutti gli italiani residenti negli Stati Uniti.
Quelli che restavano nel limbo del sospetto rimasero gli italiani che militano nei “Fasci italiani” degli Stati Uniti, quelli che facevano parte di una delle associazioni italo–americane fascistizzate, quelli che svolgevano attività di propaganda per il regime di Mussolini.
I più grandi relocation center dedicati ai cittadini di origine italiana furono quelli di Stringtown e McAlester (Oklahoma), Camp McCoy (Wisconsin), Fort Missoula (Montana), Camp Forrest (Tennes­see) e i forti militari Sam Houston, Bliss, Seagoville e Kenedy (Texas).
Se con la resa dell’Italia dell’8 settembre 1943 i cittadini di origine italiana sono gradualmente liberati, per gli altri occorre aspettare la fine della guerra.

Manzanar War Relocation Camp

Manzanar War Relocation Camp

Nel 1980 il Congresso degli Stati Uniti d’America istituì la Presidential Commission on the Wartime Relocation and Internment of Civilians, per stabilire se l’internamento degli alien enemies di origine giapponese, in particolare per quelli con la cittadi­nanza americana, avesse seguito un percorso legale. La Com­mis­­sione stabilì che la promulgazione dell’Ordine Esecu­tivo presidenziale n. 9066 non era giustificata dalle necessità militari e, soprattutto, che i provvedimenti che seguirono furono guidati da «pregiudizi razziali, isteria di guerra e fallimento della leader­ship», che determinarono una linea di condotta fretto­losa e ingiusta, influenzata da un clima di risentimento nei confronti soprattutto dei giapponesi. Nel 1988 il governo degli Stati Uniti si scusa ufficialmente per l’internamento, impegnandosi a erogare ventimila dollari a ogni sopravvissuto.
Diversa sorte subiscono i tedeschi–americani, che non hanno mai visto riconosciuta ufficialmente la loro ingiusta detenzione, né mai hanno ottenuto risarcimenti. Per gli italo–americani, invece, solo una solenne dichiarazione d’ammenda per averli «marchiati come “stranieri nemici”», ma nessun risarcimento.

Per saperne di più
R. Daniels, American Concentration Camps. A documentary History of the Relocation and Incarceration of Japanese Americans, 1941–1945, 9 voll., Garland, New York 1989.
H.D. Gerald, ‘Oglesdorf’. A World War I Internment Camp in America, «Yearbook of German–American Studies», 26, 1991, pp. 249–265.
R. Daniels, L’internamento di “Alien Enemies” negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, «Àcoma – Rivista Internazionale di Studi Nordamericani», 11, 1997, pp. 42–43.
L. DiStasi, Una Storia Segreta. The Secret History of Italian American Evacuation and Internment During World War II, Heyday Book, Berkeley 2001.
M.L. Cooper, Remembering Man­za­nar. Life in a Japanese Relocation Camp, Clarion, New York 2002.
T. Kashima, Judgment Without Trial. Japanese American Imprisonment during World War II, University of Washington Press, Seattle and London 2004.
A. Giannasi, I Nisei in guerra. I soldati nippoamericani in Italia 1944-1945, Tralerighe, Lucca 2016.
R. Paternoster, La politica dell’esclusione. Deportazione e campi di concentramento, Tralerighe, Lucca 2020.