L’EUROPA DI FRONTE AL GIGANTE RUSSO: 28 DIVERSE RAPPRESENTAZIONI
di Massimo Iacopi -
L’Unione Europea sviluppa una sua politica nei riguardi di Mosca. Ma, di fatto, questa politica è un caleidoscopio nel quale ogni Paese conserva una propria visione della Russia, con interessi e strategie specifiche.
Europa, Russia: due grammatiche di potenza
Durante l’ultimo quarto di secolo la Russia, come l’UE, ha conosciuto importanti evoluzioni. La Russia del 2017 non è più quella del 1991: oggi non è più temuta solo per la potenza nucleare, la capacità di blocco nelle assise internazionali (ONU, OSCE) o il rischio di un’implosione su sé stessa. La Russia è capace di iniziative strategiche come in Siria o in Europa, dove cerca di ottenere sostegni politici tra gli euroscettici di destra o di sinistra. La stessa cosa è avvenuta per l’UE: la Comunità economica europea era composta nel 1991 da 12 Stati membri; oggi disporre di frontiere con la Russia, con l’allargamento del 1995 alla Finlandia, quindi nel 2004 all’Estonia, la Lettonia, la Lituania e la Polonia (confine con l’enclave di Kaliningrad, ex Konigsberg). Il centro di gravità geopolitico dell’EU è, di fatto, migrato verso est.
Le grammatiche di potenza russa ed europea differiscono largamente. La Russia è una immensa massa continentale il cui controllo passa attraverso un potere forte e accentrato e una speciale attenzione alla geografia, mentre l’UE è una costruzione che cerca di superare la sua stessa storia al fine di assemblare un insieme integrato. La Russia afferma la sua concezione della ”democrazia sovrana”, mentre l’UE cerca di promuovere i suoi valori in mezzo ai suoi vicini. In altri termini la Russia si ispira a Gaia, dea greca della Terra, mentre la visione dell’UE appare ispirata da Cronos, il dio del Tempo. I dirigenti europei vedono nella Russia un regime politico e una potenza del XIX secolo, mentre i dirigenti russi considerano l’UE come una esperienza politica artificiale, fuori dalla realtà del territorio, destinata a sfaldarsi come l’URSS.
Francia e Germania: una soluzione alternativa all’atlantismo
Per Francia e Germania, dietro la relazione con la Russia si profila uno spettro. Quello formulato dal Mackinder nel 1904, e cioè la prospettiva di un’alleanza continentale fra la tecnica tedesca e le risorse russe, capace di generare la sola forza in condizioni di mettere in discussione la supremazia di quella che era la “potenza del mare” del tempo, il Regno Unito. Impedire questa eventualità è stato il fondamento dell’azione politica di Londra.
Per gli strateghi della nuova “potenza del mare” emersa alla fine del secondo conflitto mondiale, gli Stati Uniti, questo rischio è sempre attuale e sarebbe “esiziale per la permanenza degli USA sul continente europeo” (Brzezinski, 1996). Secondo PhilipBobbit (2004), “Le intenzioni finali della Germania sono fonte di preoccupazione” per Washington. Brzezinski evoca anche una possibile intesa franco-russa, che però giudica decisamente meno pericolosa e che qualifica come possibile “flirt tattico” (1996). Comunque sia, in entrambi i casi esiste un’opzione continentale a fianco dei quella atlantica.
Le due nazioni risultano importanti partner commerciali per la Russia. Nel 2013 (prima della recente crisi con la Russia), la Germania era il suo secondo fornitore dopo la Cina (38 miliardi di dollari) e la Francia era il settimo, con 13 miliardi di dollari. Tuttavia, per il commercio estero dei due Paesi questi volumi di scambio non contano molto. Nel 2015 essi si sono ridotti rispettivamente a 20 e 6 miliardi di dollari. Per la Germania si tratta di una diminuzione del 46%, equivalente al calo del volume delle importazioni russe a causa delle recessione. Per la Francia, la riduzione è stata del 55%.
Occorre, in ogni caso, considerare anche gli investimenti delle imprese in Russia. I dati forniti dalla Russia per il periodo 2008-2013 evidenziano che l’essenziale degli investimenti nel Paese provengono da piazze a partire dalle quali oligarchi e imprese russe reinvestono i capitali dopo la loro domiciliazione all’estero. Questo tipo di investimenti è un indicatore della cooperazione economica fra Paesi. I volumi sono nettamente al di sotto del potenziale del partenariato fra il “saper fare” tedesco e francese e le esigenze dell’economia russa.
Gli idrocarburi costituiscono la maggior parte delle importazioni della Francia e della Germania dalla Russia. Ma nessuna delle due nazioni è dipendente dal petrolio russo, in quanto il mercato di questo prodotto è mondiale: risulta abbastanza facile cambiare fornitore. Il mercato del gas è organizzato per continenti e gran parte del commercio mondiale circola attraverso gasdotti continentali, ma l’aumentata distribuzione via mare del gas liquefatto (GNL) rivedrà la distribuzione dei flussi. La Germania importa gas russo in quantitativi crescenti: 47 miliardi di m3 nel 2015, ovvero il 36% delle sue importazioni. La Francia dipende appena del 16% dal gas russo (10 miliardi di m3 nel 2015).
Storicamente, il gas russo destinato alla Germania arrivava attraverso l’Ucraina. Il gasdotto che passa per la Bielorussia e la Polonia, entrato in servizio nel 2001, non ha ridotto la sua possibile esposizione a un conflitto fra Mosca e Kiev che tagli la rotta ucraina. Per questo motivo la Germania ha sostenuto la costruzione del North Stream di Gazprom. Dal 2011 questo gasdotto posato sul fondo del mar Baltico può portare direttamente 55 miliardi di m3 dalla Russia alla Germania.
Ma per Mosca, esso non regola il problema del transito attraverso l’Ucraina del gas che la Russia vende all’Europa occidentale. Nella primavera del 2015, a seguito del blocco del progetto South Stream, quindi della sua variante Turkish Stream (che potrà riprendere grazie al recente ristabilimento delle relazioni fra Mosca e Ankara), Gazprom ha proposto il raddoppio del North Stream. Gli investitori si sono precipitati. Nel settembre 2016 Gazprom aveva già reperito partners per il 49% del gasdotto (Royal Dutch Shell, i tedeschi di EoN e BASF-Wintershall, l’austriaca di OMV, i francesi di Engie).
North Stream 2, che porterebbe la capacità della rotta baltica a 110 milioni di m3, coprirebbe quasi tutto il volume delle vendite russe in Europa occidentale e sconvolgerebbe i dati relativi al commercio del gas nel continente. Esso copre le necessità della Germania e trasforma questo Paese in un hub del gas russo per tutta l’Europa occidentale e centrale (suscitando nel contempo l’irritazione dell’Italia).
Nonostante le assicurazioni fornita da Merkel e da Hollande, i geopolitici americani temono sempre un riavvicinamento fra Mosca e Parigi e/o Berlino. I due Paesi hanno anche cercato di trovare soluzioni di compromesso in Ucraina, ma senza risultati significativi. Essi intendono mantenere relazioni economiche vantaggiose per l’agricoltura francese e per l’industria tedesca. Le tendenze della geopolitica e dell’economia finiranno per avere la meglio?
L’Italia, una pioniera oggi messa da parte
Se non è mai stata in discussione la questione di un’alleanza continentale fra la Russia e l’Italia, le loro relazioni economiche sono importanti come lo sono state le relazioni personali fra Putin e Berlusconi. L’Italia era il quinto fornitore della Russia, con 14,5 miliardi di dollari nel 2013. Questo flusso è diminuito parallelamente alla diminuzione delle importazioni russe (8,3 milioni di dollari nel 2015) con una riduzione complessiva del 42%. L’industria italiana era stata una pioniera in Russia, poiché FIAT era stata scelta da Mosca nel 1966 per costruire il primo grande stabilimento di automobili, oggi sotto il controllo della Renault. Successivamente l’Italia ha poco investito in Russia: dal 2008 al 2013 gli investimenti esteri italiani in Russia sono stati di appena 1,3 miliardi di dollari (dieci volte meno della Francia).
Per Roma, che ha rinunciato al nucleare, il gas russo è un prodotto strategico: la Russia fornisce circa un quarto del suo gas. Roma teneva molto al progetto South Stream attraverso il Mar Nero, che aveva lo scopo di portare il gas verso l’Europa meridionale. Di fatto la commissione Barroso ha fatto di tutto per far fallire il progetto, impedendo a Gazprom di aggirare l’Ucraina. La commissione ha elaborato una regola generale, spesso designata come “terzo pacchetto”, che vieta a un produttore di gas di costruire e sfruttare un gasdotto nello spazio UE. Con questo provvedimento la commissione affermava di voler difendere il consumatore europeo salvaguardando la concorrenza. Gazprom, di contro, ha replicato che se finanziava un gasdotto era al solo scopo di trasportare il suo prodotto. Di fatto la commissione Barroso non ha mai accettato di derogare al “terzo pacchetto” per Gazprom, che alla fine ha dovuto rinunciare al progetto. Tuttavia, nel 2014, la stessa Commissione ha esentato il progetto TANAP-TAP (transanatolica-transadriatica). Il turco Botas (30%) e il produttore di gas azero SOCAR (58%) potranno costruire un gasdotto che collega la Turchia all’Italia, sfruttandolo senza essere sottoposti alle restrizioni del “terzo pacchetto”.
Roma ha mal digerito l’azione della commissione. Di fatto l’ENI risultava azionario del 30% di South Stream e non è presente in TAP, che fornirà un volume di gas molto inferiore. Inoltre, l’impresa italiana SAIPEM, una dei leader mondiali del settore, che aveva ottenuto il contratto di costruzione della parte sottomarina di South Stream, ha perso un contratto di 2,2 miliardi di dollari e ha sofferto gravi difficoltà finanziarie. In questa situazione, l’Italia riceverà il suo gas attraverso North Stream, attraverso cioè, il Baltico e la Germania, a spese dei consumatori italiani. Per rappresaglia, l’Italia, alla fine del 2015 ha bloccato per diversi mesi la liberazione di fondi per l’accordo Turchia-EU.
Il denaro russo non ha odore…
Il Regno Unito e i Paesi Bassi sono considerati fra i Paesi più ostili a Mosca, ma le cose risultano ben più ambigue di quanto non appaiano. Londra è la città prediletta da numerosi oligarchi russi. Vi hanno domiciliato le loro fortune, in holding che finanziano progetti in Russia a partire da una base fuori dalla portata del Cremlino. Un ruolo che fuori dall’UE risulta essere giocato anche dalla Svizzera. Ginevra è il principale centro di commercio del petrolio russo in Europa e Rotterdam il suo principale hub fisico. Il denaro, contabilizzato da strutture locali, ufficialmente straniere, viene reinvestito in Russia. Più della metà degli investimenti effettuati in Russia fra il 2008 e il 2013, proviene da questi tre Paesi. Tuttavia, negli idrocarburi, la britannica BP e l’anglo-olandese Royal Dutch Shell sono grandi investitori in Russia.
Solidarietà ortodossa a geometria variabile
Grecia e Cipro sono importanti mete turistiche per i Russi. Nel 2013 vi si sono recati più di 2 milioni di turisti russi (rispettivamente 1,4 milioni e 0,7). Con la recessione in Russia questa cifra è scesa drasticamente a 1,1 milioni nel 2015, di cui la metà in Grecia. Cipro risulta, peraltro, un’importante piattaforma off-shore per i capitali russi: è il quarto investitore straniero in Russia. Questi Paesi ortodossi, vicini al gigante turco, hanno buone ragioni politiche per mantenere salde relazioni con Mosca.
La Bulgaria, alleato tradizionale di Mosca dal XIX secolo, è nondimeno entrata nella NATO nel 2007. Per questo Paese, il progetto South Stream sarebbe stato di grande importanza. Il gasdotto avrebbe dovuto trasportare 63 milioni di m3 di gas russo attraverso il suo territorio, verso l’Austria e l’Italia, con notevoli ricadute economiche in termini di royalties. Sotto la pressione di Bruxelles, la Bulgaria ha dovuto rinunciare al progetto. Dal 2016 Sofia ha continuato a richiedere la realizzazione di un gasdotto russo sotto il Mar Nero di dimensioni ridotte; alla fine di giugno dello scorso anno Gazprom ha dichiarato come prioritaria la posa di un gasdotto capace di 16 miliardi di m3 sul fondo del Mar Nero entro il 2019, ma secondo il tracciato del Turkish Stream, ovvero dalla Russia ad Istanbul. Si tratta, in tal modo, di deviare il gas destinato alla Turchia, attualmente circolante attraverso l’Ucraina: la strada per un secondo gasdotto sarebbe, a quel punto, aperta.
La Russia assicura il 100% delle importazioni bulgare di gas (3 miliardi di m3). La sua dipendenza è tuttavia relativa, in quanto il gas conta poco nel suo mix energetico. La questione risulta tuttavia politicamente sensibile, in quanto tale gas serve per il consumo delle abitazioni.
Le relazioni fra la Romania e la Russia, economicamente limitate, sono politicamente molto deteriorate. Bucarest non dimentica i territori sottratti da Stalin nel 1945 e che oggi fanno parte dell’Ucraina e della Moldavia. La Romania sta ricevendo elementi del sistema antimissili americano, tanto temuto e deplorato da Mosca, ma voluto, secondo la versione ufficiale, da Washington per proteggere l’Europa contro i missili iraniani. La Romania non importa più gas russo praticamente dal 2014.
L’Europa centrale sotto influenza
La Repubblica ceca, la Slovacchia, l’Austria e l’Ungheria sono poco favorevoli, se non ostili, alle sanzioni contro la Russia, anche se i ricordi della Cortina di Ferro e dell’occupazione sovietica sono ancora molto forti. Le loro esportazioni verso la Russia sono modeste come volume (dai 3 miliardi di dollari dell’Ungheria ai 5,3 miliardi della Cechia) e nel corso del 2014 e 2015 hanno subito una diminuzione media del 40-50%. Queste esportazioni rappresentano appena una minima parte delle loro esportazioni (ed eccezione della Slovacchia, per cui valgono il 10%). Tuttavia questi Paesi sarebbero ben piazzati nel caso il commercio fra Russia e l’Occidente riprendesse vigore.
Essi sono, comunque, tutti dipendenti dal gas russo (dal 100% della Slovacchia al 70% dell’Austria al 50% dell’Ungheria) e la questione del transito verso l’Europa occidentale è di grande rilevanza. Il gasdotto che viene dall’Ucraina ha una capacità annuale superiore a 100 miliardi di m3, ma Gazprom vuole evitare totalmente l’Ucraina a partire dal 2019. Di fatto, per la Slovacchia i diritti di transito producono 800 milioni di dollari l’anno. Il contratto, che termina nel 2028, è di tipo prendi o paghi (take or pay), vale a dire che Gazprom deve pagare i diritti per la quantità prevista, che questa passi o meno. A tal fine sono stati avviati negoziati complessi. Dal 2015 la Slovacchia rappresenta l’asse principale attraverso il quale l’UE finanzia l’invio di gas in Europa attraverso l’Ucraina per consentire a questa di non comprarne più dalla Russia. Di fatto, si tratta di gas russo arrivato attraverso il Baltico e la Germania, che può arrivare fino a Kiev e Kharkov. La Slovacchia percepisce già le entrate in senso inverso. Riprendendo questo schema, Gazprom propone di fare della Slovacchia il suo hub di North Stream 2 per il gas destinato all’Europa centrale (Ungheria, Austria e Serbia), fatto che consentirebbe di compensarla.
L’Ungheria sviluppa con la Russia relazioni economiche e politiche più importanti: ha ottenuto dalla Russia buoni prezzi per il gas e vi ha acquistato una centrale nucleare.
Le paure dei Baltici
I Paesi Baltici si considerano come la linea del fronte con la Russia. Per loro, l’economia è un fatto secondario. Integrati alla Russia dal 1721 e, in precedenza, sotto dominio tedesco e quindi svedese, Estonia (1,3 milioni di abitanti) e Lettonia (2,2 milioni) hanno ottenuto l’indipendenza nel 1919. Riannessi all’URSS nel 1944 da Stalin, hanno dovuto assistere a un’importante immigrazione che ha portato la popolazione russofona rispettivamente al 35% e al 42% nel 1991, al momento del crollo dell’URSS. L’attribuzione della nazionalità ha costituito un problema molto sensibile e una parte della popolazione ha ancora oggi uno statuto di “non cittadino”, senza diritti di voto. Il ritorno in patria di numerosi baltico-americani, figli dei Baltici fuggiti all’arrivo dell’Armata Rossa nel 1944, per occupare ruoli chiave nell’amministrazione, e il contemporaneo rientro in Russia di una parte della popolazione, non ha contribuito a sanare le relazioni con Mosca (l’attuale presidente dell’Estonia é stato il vecchio ambasciatore degli Stati Uniti nel Paese).
Dal Medioevo la lega anseatica ha dominato l’economia di queste regioni povere di risorse. I loro porti sono stati il passaggio naturale del commercio fra il Mare del Nord e l’Eurasia. Dopo il 1991 la Russia, indebolita, è stata obbligata a passare attraverso i loro porti. Ma con la crescente degradazione delle relazioni, Mosca ha deciso, a partire dal 2001, di costruire nuovi porti nel suo territorio: il traffico dei porti russi del Golfo di Finlandia è così passato dai 12 milioni di tonnellate del 1990 a 218 milioni nel 2015. Dal 1990 al 2015 il traffico dei porti estoni è passato da 8 milioni a 28 milioni di tonnellate, quello dei porti lettoni da 37 a 68. Nel 2013 il transito euroasiatico rappresentava ancora l’8% del PIL dei due Paesi. La scomparsa di certe tradizioni anseatiche millenarie costruirebbe una significativa rottura storica.
La Lituania, sotto controllo polacco e convertita al cattolicesimo dal XIV secolo, è stata annessa alla Russia solo nel 1795 e la sua minoranza russa è rimasta sempre debole. La sua posizione geografica le consente ancora oggi una funzione di transito. Nel 1999 la Lituania ha costruito un porto petrolifero per voltare le spalle a Mosca. Nel 2014 è stato inaugurato un terminal portuale di rigassificazione del GNL, per approvvigionare l’insieme dei paesi baltici. L’UE finanzia, peraltro, un gasdotto russo proveniente dalla Germania. I Paesi Baltici, che nel 2013 dipendevano al 100% dal gas russo, a prezzi elevati, fra qualche tempo non ne acquisteranno più (almeno direttamente).
L’ingresso dei Paesi Baltici nella NATO nel 2004 ha costituito una rottura. Da quel momento le manovre militari russe mostrano in maniere chiara la volontà di opporsi alle mire occidentali. La NATO, d’altronde vi rinforza a poco a poco la sua presenza. La tensione tende pertanto ad accrescersi con il corollario di una situazione non certo favorevole all’attività economica dei stessi Paesi coinvolti. L’idea di fare dei Paesi Baltici una piattaforma avanzata di esportazione verso la Russia, a suo tempo avanzata, è al momento esclusa. Le deboli esportazioni verso la Russia tendono a diminuire: dal 2013 al 2015 sono passate dai 4,9 miliardi di dollari ai 3,1 per la Lituania, da 2,6 a 1,6 per la Lettonia e l’Estonia riunite.
L’Atlantico arriva fino al Baltico
Le esportazioni dei Paesi scandinavi verso la Russia erano modeste: 5,4 milioni di dollari per la Finlandia e 4 miliardi per la Svezia nel 2013. Nel 2015 si sono ridotte alla metà. In proporzione, l’economia finlandese è la più colpita, tanto più che nello stesso periodo la presenza di turisti russi è calata da 5,5 milioni a 3,1 milioni di persone.
La dimensione militare della relazione sembra al momento prendere il sopravvento. La progressione della NATO nel Baltico rappresenta un’azione periferica per Washington, Londra, Parigi e Berlino, ma minaccia, comunque, il cuore della stessa Russia. L’importanza della minaccia sulla sicurezza della Russia potrebbe portare Mosca a una reazione estrema per interdire una testa di ponte americana in Scandinavia. La Finlandia sarebbe più ai margini, ma la Svezia si sente particolarmente minacciata da un’eventuale offensiva russa verso l’Atlantico del Nord e in caso di conflitto Est-Ovest. Essa ha dunque accentuato l’ostilità nei confronti di Mosca e nel Paese si diffonde l’idea di entrare nella NATO o di ospitare truppe americane.
Varsavia prova le stesse paure. Membro della NATO, reclama la presenza di truppe americane. La Polonia è il paese europeo più ostile alla Russia. Le radici dell’antagonismo fra Varsavia e Mosca sono molto profonde e risalgono al XIV secolo, epoca nella quale il potere cattolico polacco fece dell’espansione sulle terre ortodosse una “missione civilizzatrice” per cristianizzare quelli che venivano designati come “eretici” o “pagani”. Nel XVII secolo la Grande Polonia si estendeva fino a Kiev, ma la “cristianizzazione” risultò molto parziale. In ogni caso, le divisioni oggi esistenti in Ucraina sono anche il frutto dell’azione polacca nel territorio. Dopo un secolo di occupazione russa della Polonia (1815-1919), gli scontri fra Mosca e Varsavia hanno determinato le più grosse modificazioni sulle carte dell’Europa del XX secolo.
Da parte polacca, l’odio per Mosca, cancella qualsiasi visione economica, mentre da parte russa si assiste a un altezzoso disprezzo. E quello che avviene in Ucraina dal 2013 non è altro che un ulteriore lascito di una lotta secolare.
L’ingresso della Polonia nella UE costituisce un evento decisamente più importante e carico di conseguenze di quanto non sia stato effettivamente valutato: la costruzione europea non rappresenta più uno strumento di pacificazione di vecchi rancori, ma, al contrario, può trasformarsi in un mezzo per strumentalizzarne di ben più profondi.
L’UE, strattonata dai suoi Stati membri fra rappresentazioni così diverse della Russia, sarà in grado di individuare una linea direttrice comune? Vladimir Putin ne dubita e tutto questo non può che confortarlo nella scarsa considerazione che prova nei riguardi di Bruxelles, in quanto strumento degli USA e della loro volontà di dividere l’Europa e i continente eurasiatico. La confusione europea costituisce, nel medio termine, una carta favorevole ai disegni della Russia.