L’ESERCITO RIVOLUZIONARIO FRANCESE

di Giancarlo Ferraris -

Cambiò la concezione dell’uomo soldato: non più un suddito chiamato alle armi per difendere il monarca assoluto, ma un cittadino, del tutto simile al milite greco e romano, che combatteva per il proprio Paese.

 

Una nuova ragione per combattere.

Nell’ultimo decennio del Settecento la Rivoluzione francese cambiò il volto della Francia scardinando l’Ancien Régime. I mutamenti furono veramente tanti e riguardarono non soltanto la politica, la società, l’economia, il diritto e la cultura, ma anche l’arte della guerra. Nel 1789 in Francia l’esercito al servizio del re Luigi XVI di Borbone, composto da militari di professione e da mercenari e comandato da ufficiali di origine aristocratica, dimostrò tutta la sua inadeguatezza a contenere la spinta rivoluzionaria e si rinnovò profondamente diventando uno dei protagonisti della Rivoluzione. Cambiò anche la concezione dell’uomo soldato: non più un suddito chiamato alle armi per difendere il monarca assoluto, ma un cittadino, del tutto simile al milite greco e romano e al miliziano statunitense che combatteva per il proprio paese. Con la Rivoluzione francese, insomma, l’esercito non fu più un organismo a disposizione del sovrano, ma un potente strumento al servizio della nazione.

La nascita dell’Esercito Rivoluzionario francese e le sue novità

La nascita dell’Esercito Rivoluzionario francese avvenne nella primavera-estate 1792 quando la Francia dichiarò guerra alla Prussia e all’Austria: dinanzi alle prime, pesanti sconfitte i rivoluzionari proclamarono “la patria in pericolo” e attraverso la coscrizione obbligatoria dettero vita a un nuovo esercito che presentò subito due grosse novità rispetto a quello monarchico: dal punto di vista organizzativo non più militari di professione e mercenari comandati da ufficiali di estrazione sociale aristocratica spesso scarsamente preparati (oltretutto molti di essi fuggirono all’estero, altri vennero eliminati, altri ancora abbracciarono la causa rivoluzionaria), ma cittadini soldati perlopiù di estrazione popolare, guidati da ufficiali provenienti dalla borghesia e formatisi nelle accademie o direttamente sul campo di battaglia; dal punto di vista psicologico-emotivo non più l’interesse economico esclusivamente personale e la fedeltà assoluta da parte degli ufficiali alla monarchia, ma un legame strettissimo con la nazione insieme a un forte patriottismo e a una notevole componente ideologica in virtù dei quali la difesa armata della Rivoluzione andò configurandosi anche come difesa dei valori universali di libertà, indipendenza e autodeterminazione dei popoli. Altre due importanti novità dell’Esercito Rivoluzionario francese furono l’amalgama e il principio di elezione dal basso degli ufficiali. In base all’amalgama ci fu una vera e propria fusione tra i cittadini soldati e i vecchi militari dell’ormai dissolto esercito monarchico che erano passati dalla parte della Rivoluzione; in base al principio di elezione dal basso degli ufficiali venne stabilito che i graduati semplici e i sottufficiali fossero scelti dalle truppe mentre per gli ufficiali inferiori e superiori si ricorse a un sistema misto fondato sull’anzianità e sul valore dimostrato nei combattimenti. Quest’ultimo criterio anticipò la formula della promozione per solo merito che tanta parte ebbe nel successivo esercito napoleonico. La nomina dei generali rimase invece di competenza governativa.
Strutturalmente nell’Esercito Rivoluzionario francese finirono per confluire più corpi: i cittadini soldati che indossavano la nuova uniforme blu; i soldati del vecchio esercito monarchico che portavano ancora l’uniforme bianca; i volontari di estrazione popolare che vestivano in parte abiti militari e in parte abiti civili; la Guardia Nazionale di estrazione borghese anch’essa dotata di uniformi blu. Quest’ultima era un corpo militare sui generis composto da miliziani le cui funzioni erano quelle di difendere i confini e di mantenere l’ordine pubblico al fine di prevenire sia reazioni realiste e nobiliari che sopraffazioni popolari. Elemento distintivo comune a tutti i componenti del nuovo esercito era la coccarda tricolore rossa, bianca e blu emblema della Rivoluzione. E fu proprio in questo rinnovato ambiente militare che nell’estate 1792 nacque La Marsigliese, il futuro inno nazionale della Francia, scritto dal compositore e poeta Claude Joseph Rouget de Lisle come canto di guerra e così chiamato poiché venne intonato per strada dai volontari provenienti da Marsiglia.

La guerra contro l’Europa e la riorganizzazione dell’Esercito Rivoluzionario

Il 20 settembre 1792 l’Esercito Rivoluzionario francese che dopo le sconfitte subite era stato riorganizzato dalla Convenzione Nazionale, l’assemblea legislativa ed esecutiva preposta al governo della Francia, ottenne un’importantissima vittoria nella battaglia di Valmy sconfiggendo un’armata prussiana ed austriaca e scongiurando così il pericolo dell’invasione. Nel gennaio 1793, dopo l’esecuzione del re Luigi XVI, la Convenzione Nazionale dichiarò di voler “esportare la rivoluzione” al di là dei confini nazionali suscitando così la reazione della Gran Bretagna, dell’Olanda, della Spagna, del Portogallo e di alcuni Stati della penisola italiana che si unirono alla Prussia e all’Austria nella guerra contro la Francia la quale, poco dopo, dovette fronteggiare anche una grave rivolta scoppiata nella regione della Vandea. Il 24 febbraio 1793 il deputato della Convenzione Nazionale Lazare Carnot, che aveva assunto il compito di riorganizzare ulteriormente l’Esercito Rivoluzionario, stabilì che ogni dipartimento della Francia avrebbe dovuto fornire un determinato contingente di soldati per la causa della Rivoluzione. Nel marzo dello stesso anno la Convenzione, appoggiandosi all’iniziativa di Carnot, decretò la leva di ben 300.000 uomini da inviare al fronte. Questi due provvedimenti sortirono gli effetti desiderati tanto che alcuni mesi dopo ben 600.000 uomini si trovavano sotto le armi rispetto ai 100.000 dell’anno precedente. Il successivo 23 agosto la Convenzione Nazionale, dietro le insistenze di Carnot, diramò un proclama con cui ordinava la leva di massa: «Da questo momento fino a quando i nemici non saranno cacciati dal suolo della Repubblica, tutti i cittadini francesi sono richiamati al servizio militare. I giovani combatteranno; gli sposati costruiranno armi e trasporteranno provviste; le donne cuciranno tende e vestiti e serviranno negli ospedali; i bambini ricaveranno garze dal lino; gli anziani si recheranno nelle piazze al fine di suscitare il coraggio dei guerrieri predicando l’odio verso il re e l’unità della Repubblica».
Nella primavera del 1794 l’Esercito Rivoluzionario francese contava ormai, suddivisi in diverse armate, ben 1.000.000 di uomini, un numero per l’epoca veramente impressionante. Una di queste armate, quella del Nord, al comando di alcuni giovani e valenti generali il 26 giugno riportò una brillante vittoria nella battaglia di Fleurus sconfiggendo le truppe coalizzate austro-olandesi e dando così alla Rivoluzione un nuovo vigore e un nuovo slancio.

Le armi e le specialità

Com’è noto la Rivoluzione francese volle fare piazza pulita di tutto quello che apparteneva all’Ancien Régime. Ciò accadde anche nella terminologia militare. La parola régiment (reggimento), con cui si indicava l’unità tattica di base della fanteria del vecchio esercito monarchico, fu sostituita con la nuova parola demi-brigade (semibrigata) che comprendeva due o tre battaglioni ciascuno dei quali venne articolato inizialmente in nove compagnie: due di fanteria leggera (cacciatori) e sette di fanteria di linea (fucilieri e granatieri). Successivamente il numero delle compagnie scese a sei: una di fanteria leggera (cacciatori) e cinque di fanteria di linea (fucilieri e granatieri). Ogni compagnia aveva una forza compresa tra i 150 e i 200 uomini. L’armamento era costituito dal fucile Charleville modello 1777 funzionante con meccanismo a pietra focaia, caricamento ad avancarica e munito di baionetta; in teoria un fante poteva sparare anche due colpi al minuto.
I fanti francesi si dimostrarono capaci soprattutto nei combattimenti offensivi, in ordine chiuso e in ordine sparso, che prevedevano fuoco di fucileria e assalti alla baionetta. Nella fattispecie la fanteria francese adottò l’innovativa formazione della colonna al posto della consueta formazione lineare che le permetteva, dispiegandosi, di falciare il nemico disposto linearmente e, rincolonnandosi, di attaccarlo e di sfondarne lo schieramento.
La cavalleria era organizzata in reggimenti leggeri (cacciatori a cavallo e ussari), di linea (dragoni) e pesante (corazzieri) composti ciascuno da quattro squadroni. Ogni squadrone aveva la forza di 100 uomini. L’armamento era costituito da sciabola curva o diritta, pistola e moschetto anch’essi funzionanti con meccanismo a pietra focaia e caricamento ad avancarica. Come si è visto nella cavalleria, la vecchia denominazione di reggimento venne conservata per motivi di praticità.
Cacciatori e ussari svolgevano compiti di esplorazione e di disturbo, proteggevano le truppe in marcia, prendevano contatto con il nemico, lo inseguivano in caso di vittoria o lo arginavano in caso di ritirata. I dragoni, invece, proteggevano le linee di comunicazione delle truppe e raggiungevano a cavallo il luogo dello scontro dove poi combattevano appiedati come soldati di fanteria. I corazzieri, infine, attaccavano il nemico con poderose cariche all’arma bianca per sfondarne lo schieramento. Al di là delle funzioni specifiche ricoperte dalle varie specialità che la componevano, la cavalleria francese nel suo complesso esercitava una potenza d’urto travolgente sul nemico che caricava non solo frontalmente, ma anche sui fianchi e talvolta alle spalle con movimenti scoperti od occulti.
L’arma migliore dell’Esercito Rivoluzionario francese fu però l’artiglieria. Profondamente rinnovata grazie alle cure del generale e ingegnere Jean-Baptiste De Gribeauval, essa venne organizzata in batterie composte ciascuna da otto pezzi fusi in bronzo, ad anima liscia, con caricamento ad avancarica. Il munizionamento a disposizione era di tre tipi: palle piene, proiettili a mitraglia, granate. La cadenza di tiro di ogni pezzo era da uno a tre colpi al minuto. Generalmente in servizio vi erano quattro modelli di bocche da fuoco, tre cannoni e un obice:

- cannone da 12 libbre: gittata utile rettilinea con palle piene 500/900 mt; gittata utile rettilinea con proiettili a mitraglia 100/500 mt;
- cannone da 8 libbre: gittata utile rettilinea con palle piene 500/800 mt; gittata utile rettilinea con proiettili a mitraglia 100/500 mt;
- cannone da 4 libbre: gittata utile rettilinea con palle piene 400/700 mt; gittata utile rettilinea con proiettili a mitraglia 100/400 mt;
- obice da 6 pollici: gittata utile rettilinea con palle piene 200/400 mt; gittata utile rettilinea con proiettili a mitraglia 100/200 mt; gittata massima curvilinea con granate 1.200 mt.

Tutti i pezzi erano dotati di un ampio angolo di tiro, montati su affusti provvisti di ruote, dotati di traini per il trasporto delle munizioni e rimorchiati da diverse pariglie di cavalli cosa che li rendeva estremamente mobili sul campo di battaglia.
I cannoni Gribeauval giocarono un ruolo fondamentale per le vittorie che l’Esercito Rivoluzionario francese riportò contro le armate europee, in virtù del fatto che essi vennero utilizzati non soltanto in funzione di appoggio alla fanteria in movimento, ma anche e soprattutto come arma autonoma, capace di generare sul nemico, attraverso l’impiego contemporaneo di decine e decine di pezzi, una potenza di fuoco devastante.
Il genio, infine, sebbene ridotto, comprendeva reparti di zappatori e di pontieri i cui compiti erano quelli di riassestare strade, scavare trincee, creare postazioni per le artiglierie, costruire ripari, gettare ponti sia abbattendo ostacoli naturali che utilizzandoli. Quasi del tutto inesistenti furono invece i servizi sanitari.

Le innovazioni nell’arte militare

La Rivoluzione francese mutò profondamente l’arte militare nelle quattro branche dell’organica, della strategia, della tattica e della logistica come appare ben evidente nelle guerre che sostenne contro le due coalizioni che l’Europa monarchica mise in campo contro la Francia tra il 1792 e il 1802.
Dal punto di vista dell’organica e anche in senso psicologico-emotivo l’esercito della Francia rivoluzionaria, come abbiamo già detto, era molto differente dalle armate delle monarchie europee essendo costituito da cittadini soldati intrisi di patriottismo, fedeli alla nazione e comandati da ufficiali molto pragmatici oltre al fatto di fondarsi sull’amalgama tra questi nuovi soldati e quelli del vecchio esercito che avevano aderito alla Rivoluzione. Di contro questi aspetti innovativi il governo rivoluzionario dovette far fronte alla mancanza di una disciplina e di un addestramento capaci di formare secondo criteri comuni tutti i soldati appartenenti all’Esercito Rivoluzionario. Per quanto attiene alla disciplina le autorità francesi puntarono molto sull’autodisciplina delle truppe fondata sulla fusione tra ideali politici, passione patriottica e spirito militare mentre per quanto concerne l’addestramento esse dettero molta importanza al valore individuale dimostrato nei combattimenti e all’ardore combattivo che induceva i soldati francesi a obbedire volentieri agli ordini sulla linea del fuoco e li spingeva a cercare lo scontro immediato con il nemico. Molto curata era poi l’istruzione politica dei soldati tra i quali circolavano i giornali rivoluzionari mentre le discussioni e la frequentazione dei club erano fortemente incoraggiate. Un ruolo importante presso l’Esercito Rivoluzionario francese venne poi svolto dai cosiddetti rappresentanti in missione, inviati straordinari della Convenzione Nazionale che avevano il compito di supervisionare l’operato dei comandanti, esaltare il patriottismo, reprimere insubordinazioni nonché punire tradimenti e codardie.
Dal punto di vista della strategia la Rivoluzione francese introdusse con il suo esercito un nuovo modo di fare la guerra non più basato su combattimenti regolati da schemi rigidi e meccanici a cui si attenevano rigorosamente le armate coalizzate, ma su operazioni fondate sul movimento e sulla manovra combinata delle truppe che venivano fatte dislocare e marciare su un determinato territorio in modo tale da essere autonome nei loro movimenti, ma al tempo stesso sempre pronte a dare battaglia tutte insieme e in particolare a compiere operazioni di accerchiamento del nemico.
Dal punto di vista della tattica gli ufficiali rivoluzionari all’impiego di unità singole disposte linearmente tipico degli eserciti coalizzati preferirono l’integrazione serrata tra fanteria, cavalleria e artiglieria capaci di produrre sul nemico una distruggente potenza di fuoco e di esercitare su di esso, attraverso la già citata formazione della colonna, una forte penetrazione a cuneo.
Dal punto di vista della logistica le truppe rivoluzionarie non dipendevano più dai rifornimenti interni come gli eserciti avversari, ma dall’approvvigionamento di tutto ciò che serviva loro per mantenersi attraverso l’occupazione dei territori e dei centri abitati appartenenti al nemico.
Tutte queste innovazioni determinarono un profondo stravolgimento nel modo di fare la guerra le cui finalità mutarono del tutto: non più la conquista di qualche zona o di qualche fortezza come voleva l’arte della guerra del XVIII secolo influenzata dallo spirito razionalistico-illuministico del tempo, ma la sconfitta completa del nemico, l’annientamento della sua volontà di combattere, l’occupazione delle sue terre e delle sue città, il dominio della sua compagine sociale ed economica. Con la Rivoluzione francese e la nascita del suo esercito si andò quindi delineando un nuovo, assoluto e micidiale modo di combattere anticipatore della guerra totale che insanguinò l’Europa e il mondo nel corso dell’Ottocento e soprattutto nel Novecento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per saperne di più
David G. Chandler, Le campagne di Napoleone, vol. I, Milano, 2006
F. Furet – D. Richet, La Rivoluzione francese, trad. it., Bari, 1974
G. Lefebvre, Napoleone, trad. it., Bari, 1969
M. Zingales, Valmy e il tramonto di un’epoca. La prima prova di forza della Rivoluzione in armi (20 settembre 1792), Roma, 1990