L’EGITTO, UNA MEDIA POTENZA POVERA

di Massimo Iacopi -

 

L’Egitto contemporaneo è l’archetipo della media potenza geopolitica. Sintesi della cultura faraonica, cristiana e mussulmana, l’Egitto era la terra benedetta dagli dei. Ma per i contadini del Nilo l’Egitto è sempre la “madre dell’umanità”.

Il Cairo, “la Vittoriosa”, fondata dalla dinastia sciita dei Fatimidi, è diventata la più grande megalopoli del Medio Oriente. Oggi la città affoga nel frastuono e nell’inquinamento e i suoi quartieri tentacolari si allontanano a diverse decine di chilometri dal centro città, spesso in pieno deserto.
Da un punto di vista geografico Il Cairo gode di una posizione molto vantaggiosa, a cavallo fra il Mediterraneo e il mar Rosso. Una città che è il baricentro del mondo arabo.
Con l’Arabia Saudita, l’Iran, la Turchia e Israele, l’Egitto è una delle cinque grandi nazioni del Medio Oriente. Il canale di Suez offre al mondo il miglior passaggio marittimo dall’Europa all’Asia: l’opera di Ferdinando de Lesseps rappresenta la chiave del Mediterraneo orientale; a ogni passaggio attraverso l’istmo un ufficiale prende la barra della nave e segna con la sua presenza la sovranità dell’Egitto su un canale che è stato a lungo il simbolo della tutela occidentale. Accessoriamente, esso fa entrare nelle casse dello Stato diversi miliardi di dollari di diritti di pedaggio (cinque miliardi nel 2015), somma che dovrebbe salire a 23 miliardi nel 2023 grazie alla nuova via inaugurata nel 2015. Per un Paese con poche risorse petrolifere si tratta di una quota sostanziale delle sue entrate annuali.

Il Nilo un fiume-paese

Il Nilo, altra via di accesso navigabile, collega l’Africa dei Grandi Laghi al Medio Oriente. Erodoto diceva che “l’Egitto è un dono del Nilo”. Il fiume, controllato da una serie di dighe, presenta nella sua parte tropicale un potenziale idrico ancora largamente poco sfruttato. Questa striscia fertile di circa 10-20 chilometri di larghezza, irriga, per contro, tutta la società egiziana. Tra l’altro, l’aumento della superficie agricola è una necessità sempre più impellente in un Paese in piena esplosione demografica e urbana. A tal fine sono stati approntati numerosi progetti di estensione della Valle del Nilo, nella zona di Fayum e verso Ismailia, sotto forma di immensi cerchi di verde in mezzo alla sabbia, come lungo la “nuova valle” nel sud-est.
Il Nilo è anche simbolo di unità nazionale e religiosa. Il pellegrinaggio della Sacra Famiglia, cacciata da Israele da Erode, costituisce l’oggetto di molteplici luoghi di culto fino a Asyut. La madre di Gesù viene riverita dai Musulmani e dai Cristiani per la sua presenza nel Corano e nei Vangeli. Alcuni sociologi, amanti del sincretismo, vi hanno voluto vedere la continuità del culto popolare della dea madre dell’antichità: Iside.
Khartum e il Cairo possono ugualmente dimenticare le loro divisioni e ritrovarsi uniti contro gli Stati del sud, in particolare l’Etiopia, che è la sorgente dell’85% del flusso del Nilo (Nilo Azzurro e Atbara). Fiume internazionale per l’Egitto o fiume nazionale per l’Etiopia, i giuristi non hanno detto ancora la parola definitiva sulla questione. In attesa, l’Etiopia è uscita nel 1959 dalla gestione comune del Nilo e ha favorito l’emancipazione della chiesa copta etiopica, a suo tempo dipendente dal Patriarcato di Alessandria.
I mille chilometri del fiume dividono l’Egitto in differenti strati nilotici e culturali: il Delta, il Cairo, il medio Egitto, dove si raggruppa la maggioranza dei copti, e infine l’Alto Egitto. Con il procedere verso la sorgente del fiume si afferma l’identità africana di questo popolo di lingua araba. La Nubia è la porta dell’Africa nera.
Fino alla decolonizzazione, il Sudan (ovvero “Paese dei neri” in lingua araba) era un protettorato egiziano. I due Paesi, separati dai Britannici, non hanno ancora regolato i loro problemi di frontiera e la guerra civile nel Sudan del sud non ha certo semplificato la situazione. Israele viene percepito come l’istigatore di queste incessanti divisioni. L’Uganda e l’Etiopia, da parte loro si prestano a questo gioco.

Una nazione in armi

Dai Mamelucchi al maresciallo Al Sisi, passando per Bonaparte, Mehemet Alì e Nasser, l’Egitto ha beneficiato delle influenze militari ottomane, francesi e britanniche. La centralizzazione militare si è perfettamente adattata in un Paese allo stesso tempo religioso e legato a una forma di monarchia. La Francia napoleonica ha lasciato il “gusto” del diritto e della procedura amministrativa. L’Inghilterra, da parte sua, l’amore per le grandi parate e per il fasto dell’Impero.
Vero e proprio stato nello Stato, l’esercito egiziano è la prima potenza economica del paese. Lo stato maggiore, grande proprietario terriero, è anche il primo datore di lavoro, con circa 2 milioni di soldati e di arruolati. Ed è l’esercito che, in piena rivoluzione, ha assunto nel 2011 l’interim, sotto la spinta e l’entusiasmo della folla.
Il padre della nazione moderna, il fondatore della Repubblica d’Egitto, Gamal Abdel Nasser l’aveva capito meglio di ogni altro. Ma le carte vincenti dell’Egitto sono pari alle sue debolezze. In piena guerra fredda, Nasser fece dell’Egitto lo Stato guida del Terzo mondo.
Prima potenza demografica araba e del Mediterraneo con circa 100 milioni di abitanti, l’Egitto figura anche fra i paesi più poveri, in termine di ricchezza per abitante, di tutta l’area.

Chi perde vince

SAadat, Carter e Begin dopo la firma degli accordi di Camp David, 1978

Sadat, Carter e Begin dopo la firma degli accordi di Camp David, 1978

Adulato dal suo popolo, Nasser, all’indomani della cocente sconfitta del 1967 offrì le sue dimissioni, che furono rifiutate. La guerra dei sei giorni aveva consegnato allo Tsahal (l’esercito israeliano) la via per il Cairo. L’Egitto sembrava perduto, il vecchio sogno dell’unità araba sciolto come neve al sole.
Alla morte di Nasser nel 1970 sale al potere Anuar el Sadat. Tre anni più tardi cerca di prendersi la rivincita. Attraversa il Canale di sorpresa nella giornata della festa israeliana dello Yom Kippur e sta quasi per riuscire nell’impresa quando un giovane e audace generale ebreo, Ariel Sharon, assume l’iniziativa, in extremis, sfondando le linee egiziane e rovesciando la situazione. La guerra del Kippur viene ancora oggi celebrata in Egitto, quando si commemora la grande vittoria del 6 ottobre 1973, una vittoria che, in effetti, non c’è stata. Questo fallimento militare si trasformerà però in una vittoria strategica quando Sadat si renderà a Gerusalemme davanti alla Knesset. Le truppe israeliane si ritirano dal Sinai e viene finalmente conclusa la pace. In contropartita, la Palestina viene lasciata a sé stessa.
Per l’Egitto, l’onore è salvo, almeno in apparenza. Ancora oggi, alcune restrizioni impediscono all’esercito egiziano di manovrare a suo piacimento nella penisola del Sinai. La regione assume uno statuto speciale e rassicurante per Israele. La Repubblica egiziana era stata largamente fondata sull’opposizione a Israele e sul panarabismo di Nasser, per questo la pseudo vittoria del 1973 conserva ancora un retrogusto amaro per gli Egiziani.

L’altalena russo-americana

Nella realtà, l’Egitto evitò la catastrofe grazie all’intervento di Mosca e soprattutto di Washington. Gli Americani avevano minacciato di rompere la cooperazione militare con il loro alleato tradizionale nel Medio Oriente, Israele. La Casa Bianca giocò un ruolo centrale nei negoziati di pace israelo-egiziani sotto la mano ferma di Henry Kissinger, guadagnandosi anche un nuovo alleato.
Di fatto, da quel momento, gli Stati Uniti inizieranno a esercitare una tutela militare-finanziaria sul Cairo. Solo di fronte alle recenti esitazioni statunitensi, come dopo la deposizione del presidente Morsi, il Cairo sceglierà di rilanciare segni di amicizia in direzione della Russia. Già in passato l’Egitto aveva giocato sulle rivalità franco-britanniche per cercare mantenere una certa indipendenza e libertà d’azione.
Oggi con Al Sisi il paese tende la mano alla Russia per meglio avvertire gli Stati Uniti sulle potenziali conseguenze delle loro infedeltà. L’acquisto di navi da guerra Mistral dalla Francia e di elicotteri dalla Russia è avvenuto proprio in un momento di incomprensione fra Egitto e America.
L’opposizione risoluta dei Fratelli Musulmani e di gruppi armati islamisti dissidenti, già attiva al tempo del regime di Nasser, si è accentuata con il processo di pace israelo-egiziano, tenuto conto che la guerra contro il nemico sionista non aveva solamente una valenza di guerra araba ma anche quella di una jihad. I Fratelli Musulmani assassinarono Anuar el Sadat il 6 ottobre 1981, in occasione dell’ottavo anniversario della sua “vittoria”, al grido di “Morte al Faraone”. La fine di Sadat ha segnato l’inizio del trentennale regno di Hosni Mubarak, che non dimenticherà mai questo episodio sanguinoso.
Tutti sanno che il Cairo è la sede della Lega araba, ma anche dell’Università Al Azhar, la più prestigiosa del mondo islamico sunnita. Qui si sono formate generazioni di imam di tutto il mondo. Nonostante la collusione con la presidenza egiziana, che nomina il suo rettore, gli insegnamenti del Grande Imam risultano altrettanti veicoli della sua influenza. Da parte loro, i Fratelli Musulmani sono accusati non solo di praticare il proselitismo e l’infiltrazione fra gli studenti, ma anche di insinuarsi fra i professori di Al Azhar.
Hassan al Banna aveva fondato i Fratelli Musulmani nel 1928 a Ismailia. Dal movimento sono usciti i teorici più radicali della jihad: Sayyed Qutb, ma anche Ayman al Zawahiri (nato nel 1951), attuale capo di Al Qaeda e successore di Osama Bin Laden. Nella regione del canale e sulla costa mediterranea, specialmente ad Alessandria, la fratellanza musulmana influenza tutta la società con il suo “islamismo sociale”. Dal 2006, Hamas, che costituisce la sua filiale militare, regna quasi incontrastata nella vicina striscia palestinese di Gaza.
Impegnato a spezzare l’ondata islamista, l’Egitto è una potenza geopolitica tornata sulla scena mondiale. Il Nilo, Suez e il Sinai sono le tre regioni che determinano la politica estera di questa nazione carica di storia e di fedi religiose. Paese al centro dell’arco di crisi che va dalla Mauritania al Pakistan, l’Egitto approfitta della sua importante posizione per operare da moderatore a Gaza, a Bengasi e a Khartum. Ma la potenza egiziana esercita il suo prezioso ruolo di intermediazione anche a Damasco, Aden e Riyad.
Dopo aver normalizzato le relazioni con l’Europa e l’America, l’Egitto è pronto per riprendere il suo posto nella diplomazia medio orientale e africana.

Per saperne di più
Acconcia Giuseppe, Egitto, democrazia militare, Exorma, 2017.
Camparini Massimo, Storia dell’Egitto dalla conquista araba ad oggi, Il Mulino, 2017.
Campanini Massimo e Mezran Karim, I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, UTET, Torino 2010.