LE PROPOSTE REGIONALISTE AGLI ALBORI DEL REGNO D’ITALIA

di Michele Strazza -

 

Agli albori del Regno d’Italia le aule parlamentari si occuparono di alcune proposte per la istituzione di “Regioni” come ulteriori circoscrizioni amministrative.

Già prima della proclamazione del nuovo Regno, Luigi Carlo Farini, Ministro degli Interni del I Governo Cavour (21 gennaio 1860-21 marzo 1861), aveva presentato alla Camera un disegno di legge, approvato il 24 giugno 1860, per l’istituzione presso il Consiglio di Stato di una Commissione legislativa per lo studio e la compilazione di progetti di legge sulla riforma dell’ordinamento amministrativo dello Stato.
La Commissione si orientò nel considerare la Regione come un “ente morale”, con propri diritti e una propria fisionomia, amministrata da un “Governatore” con l’ausilio di una “Commissione” composta da rappresentanti dei Consigli Provinciali.
Così scriveva il Farini nel suo progetto: «Se vogliamo compiere un’efficace opera di decentramento e dare alla nostra Patria gl’istituti che più le si convengono bisogna, a parer mio, rispettare le membrature naturali dell’Italia. Se volessimo creato l’artificioso dipartimento francese riusciremmo a spegnere le vive forze locali, spostando e distruggendo i centri locali e turbando l’antico organismo pel quale esse si mantengono e si manifestano».
Marco Minghetti, succeduto al Farini nel Dicastero degli Interni, presentò il 13 marzo 1861 alla Camera dei Deputati un piano governativo di riorganizzazione amministrativa dello Stato composto di quattro progetti dei quali uno era dedicato alla ripartizione del Regno e un altro si occupava dell’amministrazione regionale.
Con il primo progetto il Regno veniva diviso in Regioni, Province, Circondari e Comuni. La Regione era inquadrata come “circoscrizione amministrativa” dello Stato, retta da un “governatore” con funzioni di direzione dei servizi politici di sicurezza che facevano capo al Ministero dell’Interno, oltre che con competenze su vari altri atti.
Mentre con tale progetto veniva articolato un “decentramento amministrativo gerarchico”, nel secondo progetto veniva delineato un vero e proprio “decentramento amministrativo autarchico” in quanto gli organi locali risultavano svincolati gerarchicamente dall’amministrazione centrale. In quest’ultima dimensione le Regioni venivano costituite sotto forma di “consorzi obbligatori tra Province” e riconosciute come persone giuridiche per un numero limitato di finalità: da alcune tipologie di lavori pubblici alla tenuta degli archivi storici, dalla sorveglianza degli istituti di istruzione superiore alla sovraintendenza sulle accademie di belle arti.
Minghetti, nella relazione illustrativa ai progetti, evidenziava che l’unità politica non doveva comportare per forza l’unità amministrativa e che gli interessi e le tradizioni delle diverse comunità regionali non potevano essere distrutte o livellate in un’unica indifferenziata forma di disciplina. Il decentramento, invece, avrebbe rappresentato lo strumento per la realizzazione di una più adeguata giustizia distributiva tra le diverse parti della nazione e per una più idonea corrispondenza dell’ordinamento giuridico generale alle esigenze locali, il necessario ponte di passaggio dal pluralismo delle legislazioni dei sette Stati unificati alla conseguita unitarietà del sistema giuridico.

Questa visione, però, era troppo avanti per i tempi e sarebbe stata bloccata da una mentalità timorosa e conservatrice. L’introduzione delle Regioni, infatti, destò larghe preoccupazioni che vennero in luce in numerose pubblicazioni comparse durante l’elaborazione dei quattro progetti di legge e durante la discussione di essi in Parlamento.
Soprattutto, sulla questione si appuntarono le opposizioni degli uffici ministeriali. Quattro uffici (il II, il III, il V e l’VIII) si dichiararono pregiudizialmente contrari all’istituzione della Regione. Tre uffici (il I, il VI e il IX) si pronunziarono contro la Regione come ente autarchico. Due uffici (il I e il IV), infine, votarono contro la Regione come circoscrizione statale, “sicché il progetto di legge, nella sua parte essenziale, poteva considerarsi bocciato in partenza”.
Di fronte alle critiche ed allo sbandamento della stessa opinione pubblica il Minghetti cercò di correre ai ripari, aggiungendo al disegno di legge originario un articolo nel quale si prevedeva che le circoscrizioni regionali sarebbero state decise con decreto reale, previo parere di una commissione designata dal Parlamento.
Le critiche e le perplessità, però, continuarono fino a quando la Commissione parlamentare eletta per riferire sui disegni di riforma (aumentata a 27 deputati) respinse, all’unanimità dei suoi componenti, la Regione come ente amministrativo, mentre solo sei di essi si dichiararono a favore della Regione come ente governativo.
Si giunse così, anche per le avversioni interne allo stesso governo, alla sospensione della discussione sui progetti e all’adozione soltanto di alcune disposizioni che estendevano le leggi amministrative piemontesi del 1859, pur se “provvisoriamente”, a tutto il Regno.
Prima ancora di essere formalmente ritirati il 22 dicembre 1861, i progetti di Minghetti vennero, dunque, “affossati” dal governo del Ricasoli ad ottobre. Le motivazioni fornite erano collegate all’abolizione delle luogotenenze di Firenze e Napoli e all’annuncio dell’imminente soppressione di quella di Palermo.
Come ha puntualizzato Ragionieri, oltre ad estendere a tutta l’Italia la legge comunale e provinciale Rattazzi, i decreti ricasoliani del 9 ottobre sancivano la nascita di un nuovo istituto, destinato a segnare profondamente la struttura dello Stato italiano in tutta la sua Storia successiva: l’istituto prefettizio.
Marco Minghetti si sarebbe dimesso e la successiva unificazione amministrativa del 1865 avrebbe messo la parola fine ad ogni tentativo di decentramento.

Per saperne di più
Agazzi A., La formazione dello Stato unitario, Brescia, La Scuola, 1963.
Atti del Parlamento italiano, Sessione del 1861. Documenti, 1° periodo, dal 18 febbraio al 23 luglio 1861 (raccolti e corredati di note e documenti inediti da Giuseppe Galletti e Paolo Trompeo), Vol. I, Torino, Eredi Botta, 1861.
AA.VV., Storia del Parlamento italiano, Vol. V, Palermo, Flaccovio Editore, 1968.
Meale G., Principi di Diritto Regionale, Bari, Cacucci Ed., 1983.
Ragionieri E., La storia politica e sociale, in “Storia d’Italia. Annali”, vol. XI, Torino, Einaudi, 1976.
Strazza M, Lezioni di Diritto Pubblico, Melfi, Tarsia, 2007.