LE MISSIONI APOSTOLICHE DI PIETRO E PAOLO
di Pier Luigi Guiducci -
La diffusione del Cristianesimo è legata principalmente all’azione Pietro e Paolo. Dopo il martirio a Roma di quello che è considerato il primo pontefice, fu Paolo, con i suoi tre viaggi di evangelizzazione in Asia Minore e nel bacino mediterraneo, a segnare la nascita e lo sviluppo delle prime comunità cristiane.
Il distacco progressivo e irreversibile della Chiesa primitiva dal suo ambiente originario, l’Ebraismo, è raffigurato in modo emblematico dalle figure principali degli apostoli: Pietro e Paolo.[1] Il primo si va «convertendo» alla missione tra i pagani sotto la spinta degli avvenimenti e delle lezioni della storia. Il secondo, in misura maggiore, è scelto direttamente da Dio per proclamare nel mondo il messaggio dell’universalismo cristiano e diventa, per eccellenza, l’apostolo dei Gentili.[2]
L’ATTIVITÀ DI PIETRO
Nell’apostolo Pietro sono radicate fin dall’infanzia le più profonde convinzioni giudaiche e il conseguente stile di vita. Tra le osservanze rituali c’ è la proibizione di avere contatti con i pagani, e soprattutto il divieto di sedersi a mensa con loro.
La visione che Pietro ha a Ioppe[3] fa cadere queste barriere del suo spirito. Inoltre la sua partenza per Cesarea con i messaggeri del centurione Cornelio[4] è come l’inizio della sua conversione: «Dio mi ha mostrato che non si deve dire profano o immondo nessun uomo» (At 10,28); segna l’inizio della salvezza per tutta la casa: «Lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo» (At 10,44-45).
La reazione negativa dei fratelli di Gerusalemme al coraggioso comportamento dell’apostolo è l’ultimo baluardo che i giudeo-cristiani oppongono all’universalismo evangelico. Grazie alla parola e all’esempio missionario di Pietro, anche la comunità-madre si converte e glorifica il Signore: «Dunque anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbiano la vita!» (At 11,18).
Luca narra quindi la cattura e la prodigiosa liberazione di Pietro (At 12,3-18) nel 42, durante il regno di Erode Agrippa[5], chiudendo così la prima grande pagina della storia della Chiesa. Dopo l’accenno piuttosto vago alla partenza da Gerusalemme (At12,17), l’agiografo tace sulle vicende del capo degli apostoli.
Non è probabile che si sia recato subito a Roma, anche se lo storico Eusebio di Cesarea scrive che Pietro vi andò all’inizio dell’impero di Claudio, cioè verso il 44.[6] Nel 49 era a Gerusalemme per la controversia sui Gentili. Poco dopo si trova ad Antiochia (Gal 2,11), ove mantiene una posizione di preminenza. Secondo una tradizione, vi avrebbe esercitato per qualche tempo l’episcopato.
Ulteriori evidenze
È noto anche il fatto che a Corinto si era formato un partito di Cefa (1 Cor 1,12), forse in seguito a una permanenza dell’apostolo in quella Chiesa, come attesterà nella seconda metà del secolo II il vescovo Dionigi.[7] Un altro indizio dei viaggi e dell’ evangelizzazione di Pietro può essere individuato nell’indirizzo della sua I lettera, inviata ai cristiani delle regioni dell’Asia Minore, «dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia…» (1 Pt 1,1).
La stessa lettera offre un altro elemento che consente di affermare la venuta dell’ apostolo a Roma e la sua eminente posizione in quella comunità. Si legge infatti alla fine: «Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia» (5,13). La Babilonia, dove è stata scritta questa lettera, non è la città della Mesopotamia e neppure quella d’Egitto, ma è un nome simbolico che indica Roma. Dunque Pietro è presente poco prima delle persecuzioni di Nerone[8], ne dirige la Chiesa e si occupa delle altre comunità sparse nelle diverse regioni dell’impero.
La diffusione della nuova fede a Roma[9]
Tuttavia, la nascita del Cristianesimo a Roma non è legata alla predicazione dell’ apostolo, ma alla libera e spontanea diffusione della nuova fede. Fin dalla Pentecoste, al primo discorso di Pietro, a Gerusalemme si trovano anche gli «stranieri di Roma» (At 2,10). Non è possibile stabilire se siano stati proprio loro ad evangelizzare per primi la Città Eterna. Probabilmente ciò si deve allo zelo dei cristiani anonimi che, da varie parti, affluivano nella capitale, che era allora il maggiore centro commerciale oltre che politico, portando anche la Buona Novella.
Ulteriore notizia sulla penetrazione del Vangelo a Roma è data da Svetonio, quando ricorda l’espulsione dei Giudei dalla città nel 49: non conoscendo bene la nuova religione, lo scrittore ha creduto che vivesse a Roma un certo «Chresto» con dei seguaci giudei che tumultuavano, perché convertiti, in lotta con i loro correligionari; i contrasti furono così gravi che l’imperatore Claudio emanò un decreto di espulsione. Ne furono vittime pure due cristiani – Aquila e la moglie Priscilla – che si rifugiarono a Corinto, dove offrirono ospitalità a Paolo (At 18,2).
Altre testimonianze sullo sviluppo della Chiesa a Roma si trovano nella lettera ai Romani, dove Paolo loda «la fama della loro fede che si espande in tutto il mondo» (1,8) e manda saluti a molti cristiani viventi in comunità domestiche, forse ricchi convertiti che offrivano le loro case per il culto. Perfino nel palazzo imperiale sembra attiva una comunità cristiana, come si deduce dalla lettera ai Filippesi: «Vi salutano tutti i santi, soprattutto quelli della casa di Cesare» (4,22), cioè quanti sono al servizio dell’imperatore: dignitari, soldati, liberi e schiavi.
Una conferma indiretta di questo sviluppo potrebbe essere il racconto dello storico romano Tacito[10], che accenna a una signora dell’aristocrazia, di nome Pomponia Grecina, accusata di superstizione straniera (superstitionis externae rea) dal marito Aulo Plauzio.[11] Se veramente questa donna aveva aderito alla religione cristiana, sia pure in forma nascosta, bisogna ammettere che già nell’anno 58 d.C., a Roma, il Vangelo era accolto anche nelle classi alte della società, e che le autorità non avevano ancora proibito la nuova fede.
Martirio di Pietro e sepoltura
Sul martirio e la sepoltura di Pietro a Roma si è raggiunta ormai la certezza storica. Ciò è stato possibile dopo le esplorazioni archeologiche del 1939-1949. Tali lavori hanno consentito di individuare il luogo di sepoltura in un ambiente sottostante l’altare della Confessione della basilica vaticana.
Con riferimento al martirio di Pietro, la tradizione della morte per crocifissione è esplicita nel Martyrium Petri del III sec., ed è stata diffusa da Tertulliano[12] e da Origene.[13] Quest’ultimo, aggiunge il particolare della posizione con la testa in giù.
L’apostolo Pietro venne sepolto in una fossa scavata sulle pendici meridionali del colle Vaticano, nelle vicinanze di luoghi ove vennero fatti uccidere diversi cristiani dall’imperatore Nerone.[14] Su questa modesta sepoltura, un secolo dopo il martirio dell’apostolo, si decise di costruire una piccola edicola funeraria. Tale “trofeo” (monumento celebrativo) fu ricordato dal presbitero Gaio alla fine del II sec., come riferisce lo storico Eusebio di Cesarea: “Io ti posso mostrare i trofei degli apostoli. Se infatti vorrai uscire verso il Vaticano o sulla via di Ostia, vi troverai i trofei di coloro che fondarono questa Chiesa”.[15] Quell’edicola, generalmente chiamata “trofeo di Gaio”, indicò ai primi cristiani la tomba di Pietro, che già prima di Costantino fu meta di pellegrinaggi, testimoniati dai numerosi graffiti latini, con il nome di Cristo e Pietro, tracciati su una parete intonacata (“muro G”) in prossimità dell’edicola petrina.
In particolare, su un piccolo frammento di intonaco (cm 3,2×5,8), proveniente dal cosiddetto “muro rosso” sul quale si addossò l’edicola, vennero incise le seguenti lettere greche: PETR[...] ENI[...]. Il graffito è stato interpretato con la frase “Pétr[os] enì” (= Pietro è qui), oppure, sempre nella prospettiva della presenza di Pietro, con un’invocazione a lui rivolta: “Pétr[os] en i[réne]” (= Pietro in pace). In tale contesto, si ricorda che in questo luogo il ricordo di Pietro era già venerato verso l’ anno 120.
La presenza di questa sepoltura determinò la costruzione della prima basilica, edificata sulla tomba dell’apostolo nel IV sec. dal Papa Silvestro[16] e dall’imperatore Costantino[17] e, in seguito, la costruzione del nuovo edificio di culto che sostituì il precedente.
Il “trofeo di Gaio”, che ancora esiste nella “nicchia dei palli” (all’interno della Confessione Vaticana), fu racchiuso da Costantino in una teca marmorea ricordata da Eusebio di Cesarea come “uno splendido sepolcro davanti alla città, un sepolcro al quale accorrono, come ad un grande santuario e tempio di Dio, innumerevoli schiere da ogni parte dell’impero romano”.[18] Sul monumento-sepolcro di Costantino si edificarono in seguito, in modo progressivo, l’altare di Gregorio Magno (590-604), l’altare di Callisto II (1123) e, nel 1594, l’altare di Clemente VIII, coperto in seguito dal baldacchino del Bernini sotto la cupola michelangiolesca.
Mentre la scoperta della tomba rimane oggi un tema privo di dibattito, un articolato confronto si è sviluppato invece in ambito scientifico sul presunto ritrovamento delle «reliquie» di san Pietro nella necropoli vaticana.
I VIAGGI MISSIONARI DI PAOLO
La diffusione del Cristianesimo è legata principalmente all’azione di Paolo e a quella dei suoi collaboratori. Egli è il più noto personaggio della Chiesa nascente, grazie al racconto degli Atti degli Apostoli e alle sue Lettere.
Persecutore dei cristiani-ellenisti, è in seguito convertito in modo prodigioso nell’ anno 36 d.C. sulla via di Damasco. Trascorre quasi tre anni in Arabia[19] nella meditazione e nella solitudine del deserto. Non è tuttavia da escludere un’attività missionaria per l’annuncio del Vangelo nelle località vicine. Nel 39 d.C. si reca a Gerusalemme per incontrare Pietro e Giacomo (Gal 1,18), ma si mette in contrasto con gli ebrei-ellenisti e ritorna a Tarso, sua città natale (At 9,27-30). Qui nel 42 viene a cercarlo Barnaba che lo conduce ad Antiochia, ove dimorano insieme per circa un anno.
Nel 45 parte una missione per l’Asia: è l’inizio del ministero di Paolo, che l’autore degli Atti descrive in modo circostanziato. Del resto, i tre grandi viaggi missionari di Paolo hanno costantemente la città di Antiochia come punto di partenza e di ritorno: una specie di centro operativo per l’ evangelizzazione del mondo pagano.
Ma ogni viaggio è caratterizzato da una visita alla città-madre di Gerusalemme: la prima al tempo del cosiddetto «Concilio» di Gerusalemme (At 15,4); la seconda quando «salì… per salutare la Chiesa» (At 18,3); la terza, allorché venne arrestato durante il terzo viaggio (At 21,12-17).
La prima missione (AT 13,1-14,28; anni 45-48)
È preceduta da una designazione da parte dello Spirito Santo, alla quale corrisponde una specie di conferma da parte della comunità antiochena, mediante l’imposizione delle mani. Ha come protagonisti Barnaba e Paolo, accompagnati fino a Perge da Marco. Fin quasi al termine del viaggio nell’isola di Cipro, Barnaba è nominato per primo; in seguito, passerà in seconda linea e Paolo figurerà come il capo della spedizione.[20]
Territori, comunità, tempo impiegato
I territori evangelizzati sono situati nel sud-est dell’Asia Minore (Panfilia, Pisidia, Licaonia) oltre all’isola di Cipro. In questa, il Vangelo era già stato certamente annunciato (At 11,19); forse era penetrato anche nelle altre regioni nominate, per esempio la Panfilia, che è ricordata tra le località rappresentate a Gerusalemme in occasione della Pentecoste (At 2,9ss).
Le comunità fondate sono quelle di Antiochia di Pisidia, di Iconio, di Listra e Derbe in Licaonia, di Perge in Panfilia.
Il periodo di tempo impiegato in questa prima missione fu di circa tre anni, e precisamente dalla primavera del 45 alla primavera del 48.
Lo zelante convertito era uno dei predicatori di Antiochia, già distintosi in occasione dell’invio di aiuti a Gerusalemme (At 11,30). Dio lo sceglie per una missione ben più vasta, e lo invia a predicare nelle regioni del Mediterraneo orientale.
Si imbarca così con Barnaba e Marco, dirigendosi verso la vicina isola di Cipro, che viene evangelizzata. La predicazione degli apostoli si svolge all’inizio nelle sinagoghe, usando del diritto di tutti gli Ebrei di prendere la parola nelle riunioni del sabato. Naturalmente non vennero trascurati i Gentili, tanto che il maggior risultato di questo apostolato fu la conversione del proconsole Sergio Paolo.
Ma Cipro offriva un campo ristretto di attività. Alla fine dell’autunno, i missionari lasciano l’isola e si dirigono verso l’Asia Minore, sbarcando a Perge in Panfilia.
Ormai Paolo è chiamato sempre con questo nome (al posto di Saulo, meno accetto forse al mondo greco-romano). È il vero capo della missione e rimane solo con Barnaba, giacché Marco li abbandona. I due si inoltrano nel cuore dell’Asia, cioè nella vasta regione di cultura ellenistica disseminata di numerose colonie giudaiche. Attraversato il Tauro, raggiungono Antiochia di Pisidia.
La predicazione degli apostoli incontra grande favore sia presso gli Ebrei che presso i proseliti. Ma suscita anche l’avversione fra i Giudei più fanatici, che sollevano contro i due missionari le donne proselite e i capi del Giudaismo, provocando l’espulsione di Paolo e di Barnaba dalla città.
I due si recano nella vicina Licaonia, fermandosi prima a Iconio dove si ripete la persecuzione dei Giudei. Di nuovo espulsi, riparano a Listra, dove sono lasciati in pace. Ma un’altra minaccia li costringe ad abbandonare anche questa città. A causa di un miracolo compiuto da Paolo (la guarigione di uno zoppo), il popolo crede che gli apostoli siano degli dèi e li identifica uno con Giove (Barnaba, perché più anziano) e l’altro con Mercurio (Paolo, «perché era lui il più eloquente», At 14,12). Per sottrarsi all’ entusiasmo popolare, riparano nella città di Derbe, dove pare siano rimasti tranquilli; ne approfittano per consolidare le comunità cristiane da loro fondate a Listra e Antiochia.
Il modo di evangelizzare
Dal racconto degli Atti, preciso nella documentazione, si conosce il modo con il quale si svolgeva l’ evangelizzazione. Seguendo il comando di Cristo, i missionari si recavano nella sinagoga del luogo e il sabato vi predicavano ai Giudei, raggiungendo così i proseliti del Giudaismo, molto numerosi in quelle zone dell’Asia e, attraverso loro, gli ambienti della città.
All’inizio, il successo di tale predicazione fu notevole tra gli Ebrei. In seguito diminuì per l’ ostilità dei capi. Più durature furono le conversioni tra i proseliti, che non avevano veri e propri legami con i capi della comunità giudaica, e tra i Gentili, che divennero il gruppo più numeroso. Costoro venivano subito incorporati alla nuova religione attraverso il battesimo, e organizzati nelle Chiese nascenti. Gli apostoli ritornavano a visitare i loro fedeli, e stabilivano nelle comunità locali un collegio di presbìteri (o anziani) per dirigerne l’ attività, sul modello della Chiesa-madre di Gerusalemme. Compiuto questo lavoro pastorale, Paolo e Barnaba rientrarono ad Antiochia.
Il decreto di Gerusalemme nel 49 d.C. (At 15,1-35)
Il racconto delle imprese e delle conquiste operate dai due missionari mise in luce come ormai la Chiesa fosse costituita principalmente da non-giudei, entrati nelle nuove comunità cristiane dell’Asia, «e come Dio aveva aperto ai pagani la porta della fede» (At 14,27).
Tale sviluppo mutò la primitiva composizione della Chiesa, provocando allarme tra alcuni cristiani arrivati da Gerusalemme ad Antiochia, i quali insegnavano ai nuovi fratelli la necessità della circoncisione per essere salvi. La questione preoccupò vivamente Paolo, perché evidentemente una tale imposizione avrebbe frenato lo sviluppo della Chiesa. Dopo animate discussioni, fu stabilito che un gruppo, tra cui Paolo e Barnaba, partisse per Gerusalemme per risolvere la controversia con gli apostoli e i rappresentanti di quella Chiesa, che aveva a capo Giacomo.
Probabilmente nell’ estate del 49 d.C. ebbe luogo la riunione detta «Concilio di Gerusalemme». La delegazione antiochena espose davanti all’intera comunità, e in privato alla gerarchia formata dagli apostoli e dagli anziani, i positivi risultati della loro predicazione.
La lunga discussione ebbe termine con la sentenza di Pietro che annunciò chiaramente il principio della parità dei Gentili di fronte ai Giudei e definì la dottrina secondo la quale la condizione per salvarsi non è la circoncisione ma la fede in Cristo, necessaria per gli uni e per gli altri.
Dietro suggerimento di Giacomo, che confermò le parole di Pietro, l’assemblea decise che i pagani dovessero «astenersi dalle sozzure degli idoli, dalla impudicizia, dagli animali soffocati e dal sangue» (At 15,20).
Il decreto degli apostoli e degli anziani, come venne chiamato, costituì senza dubbio una vittoria di Paolo che più tardi, scrivendo ai Galati, ricordò che a lui era stato affidato in quell’occasione «il vangelo per i non circoncisi», cioè gli venne riconosciuta dagli apostoli, come campo suo proprio, l’evangelizzazione dei pagani (Gal 2,1-10).
L’incidente di Antiochia
Risolta la controversia in linea di principio, rimanevano casi particolari e problemi di coscienza tra i vecchi giudei. Un «caso» di questo genere si verificò ad Antiochia, ed è riferito da Paolo per l’importanza emblematica che assunse («l’incidente di Antiochia»). Venuto Pietro ad Antiochia, all’inizio conversava liberamente con i pagani convertiti, ma in un secondo tempo, per non turbare altri cristiani giunti da Gerusalemme, «cominciò ad evitarli e a tenersi in disparte… E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare dalla loro ipocrisia».[21] Si ristabilivano in tal modo quelle barriere tra Gentili e Giudei che il decreto di Gerusalemme aveva praticamente abolito.
Tale prudenza eccessiva, dovuta forse al timore di scandalizzare, spinge Paolo a rimproverare in modo pubblico Pietro per la sua condotta contraddittoria. Il contrasto, definito da Tertulliano un errore di atteggiamento, non di dottrina, da parte del capo degli apostoli, non ebbe quel rilievo che alcuni protestanti vollero scorgervi; fu subito sanato da Pietro con il riconoscimento di quei princìpi che egli stesso aveva formulato e seguito.
La seconda missione (At 15,36-18,22; anni 49-52)
Si svolse dall’ autunno del 49 alla primavera del 52 e fu caratterizzata dal passaggio del Cristianesimo dall’ Asia all’Europa.
Superata la crisi sollevata dai cristiani giudaizzanti, e rassicurato dai capi della Chiesa sulla legittimità del suo apostolato, Paolo volle continuare la visita alle sue comunità. Questo progetto si trasformò nel «secondo viaggio missionario», durante il quale il Vangelo entrò nelle relazioni quotidiane e nella cultura del mondo greco-romano, sollevando domande, opposizioni, ma anche gioia e speranza in molteplici interlocutori.
Data l’esperienza precedente, l’ apostolo si rifiuta di prendere con sé Marco; allora anche Barnaba si separa e, con Marco, si reca a Cipro, scomparendo per sempre dalla scena degli Atti (At 15,36-39). La scelta dei compagni di viaggio determina la formazione di due gruppi con programmi differenti.
Paolo dunque prende come compagno Sila e si muove da Antiochia verso il nord, approfittando del viaggio per terra per visitare le Chiese della Siria e della Cilicia. Giunto a Listra, si associa un nuovo discepolo, Timoteo, che gli rimarrà sempre fedelissimo.
Durante il viaggio, l’ apostolo si dedica principalmente all’ organizzazione delle singole Chiese, confermando nella fede i fratelli, ordinando l’applicazione del decreto di Gerusalemme, e fondando nuove comunità nelle regioni della Frigia e della Galazia (At 16,1-6).
Grazie all’impulso della sua predicazione, il numero dei cristiani cresceva. Il suo piano era di estendere l’evangelizzazione a ogni area dell’Asia Minore. Ma lo Spirito interviene misteriosamente e lo spinge in un’ altra direzione, cioè fino al cuore della Grecia, il Paese più colto di tutto l’impero, strettamente legato a Roma e all’ Occidente.
Tutto il libro degli Atti è scritto in questa prospettiva: l’ espansione del Vangelo è guidata dallo Spirito Santo. «Durante la notte Paolo ebbe una visione: gli stava davanti un Macedone e lo supplicava: “Passa in Macedonia e aiutaci!”».[22]
L’arrivo a Filippi
Raggiunto il porto di Troade, l’ apostolo si imbarcò per l’Europa giungendo a Filippi, città che aveva i diritti di colonia romana. Tale abitato era il termine della via Egnatia, che giungeva da Durazzo (perciò da Roma) all’ estremità della Grecia. Da questo momento, al gruppo si aggiunge Luca, l’ autore del libro, che scrive ormai in prima persona plurale, «noi».[23]
A Filippi la situazione è diversa da quella delle città asiatiche. Gli Ebrei erano pochi, non avevano neppure una sinagoga, e il sabato si riunivano lungo il fiume per le abluzioni rituali. Invece, il numero dei proseliti era cospicuo; diverse erano le donne. Queste accolsero subito la predicazione di Paolo e lo aiutarono alacremente nella sua missione. Una donna, di nome Lidia, chiese il battesimo per sé e per la sua famiglia, e offrì la sua casa ai missionari e per le riunioni dei nuovi cristiani.
Come nel primo viaggio, Paolo è costretto a peregrinare da una città all’altra per le persecuzioni mosse contro di lui.
A Filippi, dove l’ambiente è influenzato dall’Ellenismo e dedito al commercio, la lotta non è suscitata dai Giudei, ma dai padroni di una schiava che faceva l’indovina e che Paolo aveva guarito. Costoro accusano i missionari di proselitismo, e sollevano un moto popolare. Le autorità non gradiscono che la religione ebraica, e quindi il Cristianesimo, esca dalla discrezione che la fa tollerare nelle città dell’impero. I magistrati fanno catturare e punire i missionari, usando del potere della coercitio, ma poi li lasciano liberi, appena vengono a sapere che essi godevano della cittadinanza romana.[24]
Partiti da Filippi, Paolo e Sila giungono al grande centro commerciale di Tessalonica. La predicazione cristiana converte «alcuni» giudei, mentre ha grande seguito tra i proseliti, i Gentili e «non poche» donne delle classi più elevate (At 17,14.12).
I gruppi giudaici si ingelosiscono dei loro rivali e, forti del loro numero, sobillano la popolazione, accusando gli apostoli davanti all’autorità romana di insubordinazione politica. Ma i capi della città si accontentano di una cauzione versata dal loro amico Giasone.
Un episodio simile accade a Berea, dove Paolo si rifugia. Anche qui, mentre evangelizza con impegno i pagani, i capi del Giudaismo lo costringono di nuovo a cambiare sede (At 17,10-15). Atene sarà la nuova meta.
Il discorso di Paolo nell’Areopago[25] di Atene
Luca ricostruisce con abilità un episodio, che è il quadro dell’incontro del Vangelo con l’alta cultura dell’ epoca. Gli interlocutori ateniesi sono stoici[26] ed epicurei[27], rappresentanti delle grandi correnti filosofico-religiose dell’Ellenismo. Paolo mostra di conoscere le loro idee, ha l’accorgimento di prendere lo spunto da esse, fa leva sul timore del popolo per gli dèi sconosciuti ai quali vengono eretti degli altari, come anche ha il gusto di citare il poeta Arato del secolo III a.C.
Paolo dunque sceglie Atene per annunciare la Buona Novella nel massimo centro culturale del mondo antico. La città, con i suoi notevoli templi e con la presenza dei culti più svariati (Petronio[28] diceva che era più facile incontrare un dio che un uomo[29]), dovette fare impressione sul suo animo e stimolò il suo desiderio di predicare. Come al solito, si rivolse agli Ebrei e ai proseliti nelle sinagoghe, ai Gentili nelle piazze (agorà).
Invitato da un gruppo di epicurei e di stoici, salì all’ Areopago e tenne un discorso «impegnato», partendo dai motivi più profondi della religiosità contemporanea per dimostrare la nuova dottrina di Cristo, salvatore del mondo (At 17,22-31). Ma il pubblico che frequentava quell’ ambiente raffinato era formato da curiosi e da scettici che, al sentire l’annuncio della risurrezione dei morti, schernirono l’ oratore e lo congedarono freddamente. Alcuni però si convertirono e Paolo partì da Atene non perché cacciato, ma per lo scarso frutto ottenuto, e senza lasciare una comunità.
San Paolo a Corinto
L’ apostolo si dirige a Corinto, la metropoli commerciale, cosmopolita e malfamata per il culto ad Afrodite.[30] Il racconto ci fornisce un dato cronologico sicuro: il proconsolato di Gallione, fratello di Seneca, che aiuterà Paolo, risale agli anni 51-52 o 52-53. La predicazione ha inizio e si svolge, come di consueto, nelle sinagoghe, dove con gli Ebrei erano presenti anche i pagani simpatizzanti per il Giudaismo. Poi, la solita ostilità lo costringe a vivere nella casa di un proselito convertito: così è più libero e la sua parola giunge direttamente ai Gentili, che aderiscono al Vangelo in folto numero (At 18,4-11), mentre il culto cristiano ha un luogo proprio.
Per istruire i fedeli di Corinto, Paolo rimase in città per un anno e mezzo, aiutato da Sila e Timoteo, che nel frattempo lo avevano raggiunto. Da Corinto dirige le altre Chiese da lui fondate, in particolare quella di Tessalonica, a cui manda le due lettere canoniche, il più antico scritto del Nuovo Testamento. La persecuzione dei Giudei questa volta non ottiene effetto, giacché il proconsole dell’ Acaia, Gallione, si rifiuta nettamente di accogliere le loro accuse, dichiarando che i missionari non avevano commesso alcuna colpa. Tale atteggiamento coincide con la direttiva data da Tiberio nel 35 d.C., di non accogliere le accuse contro i cristiani, e ne può essere una conferma. Paolo continuò liberamente la sua attività, mentre gli Ebrei non riuscirono a sollevare la folla contro di lui, anzi furono oggetto essi stessi del furore popolare, non ostacolato dal proconsole romano.
Alla fine egli lascia Corinto per rientrare alla sua base di Antiochia. Vi giunge dopo breve sosta a Efeso, e dopo una visita a Gerusalemme per celebrarvi la Pasqua, e per rendere omaggio alla Chiesa-madre. La narrazione qui è schematica: in cinque versetti (At 18,18-22). Luca ci fa passare da Corinto a Efeso, quindi a Cesarea, a Gerusalemme e, infine, ad Antiochia.
La terza missione (At 18,23-21,16; anni 53-58)
L’autore ha così preparato il terzo viaggio missionario. Efeso sarà il centro del prossimo itinerario, che si estende dalla primavera del 53 d.C. alla primavera del 58; i coniugi Aquila e Priscilla rimangono in città e diventeranno il nucleo della futura comunità.
Il mondo ellenico entrava nella Chiesa e bisognava evangelizzarlo in modo profondo. Paolo si rimette perciò in cammino per le regioni della Galazia e della Frigia, con un programma di lavoro metodico e accurato. Eccolo, dunque, ad Efeso, la città più ricca dell’ Asia, centro di scambi commerciali, ove affluivano le correnti culturali e religiose del mondo greco-romano e dell’Oriente.
L’ apostolo vi rimane più di due anni e scrive le lettere ai Corinzi, ai Filippesi e ai Galati. Più tardi, dalla prigionia, invierà una lettera agli Efesini. Per tre mesi predica nella sinagoga, poi nella scuola di un certo Tiranno (At 19,1-9), in un locale proprio dei cristiani. All’inizio sono una dozzina di «discepoli» che non conoscono ancora il dono della Pentecoste. In seguito formeranno un’estesa comunità.
Nello stesso periodo vengono fondate le Chiese vicine di Colosse, Laodicea e Gerapoli. Paolo incarica Tito dell’esecuzione dei suoi ordini; invia Timoteo in Macedonia e concepisce l’idea di andare a Roma.
La diffusione della nuova fede fu così evidente che i fabbricanti di idoli temettero la fine del paganesimo in Efeso, dominato dal culto della «grande Artemide degli Efesini». Uno di costoro, Demetrio, provocò la sollevazione degli orefici (At 19,23–20,1). Ciò indusse Paolo a rifugiarsi a Filippi. Ma la nuova dimora non è sicura, e l’apostolo è agitato da molteplici preoccupazioni.
Dopo essere fuggito in Macedonia, Paolo ritorna a Corinto, dove passa l’inverno e scrive la lettera ai Romani.[31] Desidera tornare a Gerusalemme, ma sapendo di essere insidiato dai Giudei, non affronta la via del mare; a piedi risale fino a Filippi, poi passa a Troade e raggiunge Mileto. Qui convoca gli anziani della Chiesa di Efeso per istruirli. Ad essi tiene il celebre discorso-testamento, con un commovente addio (At 20,17-38). Quindi si imbarca e giunge alle coste della Fenicia: Tiro, Tolemaide e Cesarea sono le sue tappe.
Il periodo della cattività
Da voci e presentimenti è avvertito di non andare a Gerusalemme, perché i Giudei tramano ancora di ucciderlo. Egli, però, non recede dal suo proposito. Nella Città Santa è accolto fraternamente dalla Chiesa. Tuttavia, i giudeo-cristiani manifestano una certa inquietudine, e cercano di contrapporre alle sue conquiste tra i pagani il successo del Vangelo tra i loro connazionali (At 21,18-20).
Più forte ancora è l’ ostilità dei Giudei non cristiani provenienti dall’ Asia. Costoro provocano un tumulto contro di lui, accusandolo di aver profanato il tempio per avervi introdotto dei pagani. La folla inferocita si impadronisce di Paolo e tenta di trascinarlo fuori per lapidarlo. Egli si sottrae al linciaggio per il pronto intervento dei soldati romani che, per sicurezza, lo custodiscono in prigione. Da questo momento ha inizio il periodo della cattività.
Condotto davanti al tribuno Claudio Lisia, Paolo rischia di essere flagellato, ma, rivendicando la cittadinanza romana, si fa portare a Cesarea per essere sottratto all’ odio dei Giudei (At 23,24-29). Il procuratore Felice lo trattiene in prigione nel palazzo-fortezza di Erode, con la speranza di avere del danaro o per far piacere ai Giudei.
La cronologia di questo periodo è molto discussa. Paolo rimane prigioniero a Cesarea per circa due anni, tra varie udienze pubbliche e private che non approdano ad alcun risultato. Il nuovo procuratore, Porzio Festo, viene invano circuito dagli implacabili Giudei, che tentano di trascinare Paolo a Gerusalemme, con il piano segreto di ucciderlo a tradimento durante il viaggio.
Ma l’ Apostolo si avvale del suo diritto di cittadino romano e si appella a Cesare: «Mi appello a Cesare»… «E a Cesare andrai!» (At 25,11-12).
Davanti al re Agrippa II, a Cesarea, Paolo subisce il quarto processo (il primo presso il Sinedrio: At 23,l; il secondo davanti al governatore Felice: At 24,1ss; il terzo con il procuratore Festo: At 25,1ss), che si conclude con la conferma del suo invio a Roma (At 26,1ss).
Si realizza così il sogno di Paolo di recarsi nella capitale dell’impero per predicarvi il Vangelo (Rm 1,10-15). Il viaggio è pieno di peripezie. Dopo una sosta all’isola di Malta, teatro di alcune guarigioni (At 28,1-10), la nave fa tre tappe successive a Siracusa, a Reggio Calabria e a Pozzuoli. In quest’ultima località l’apostolo rimane sette giorni, accolto con gioia da un gruppo di cristiani. Prosegue a piedi, e sulla via Appia è ricevuto da una rappresentanza di fedeli, già abbastanza numerosi in città. Luca ha scritto un minuzioso e interessante diario di bordo su questo viaggio avventuroso.
L’arrivo a Roma
Paolo giunge a Roma presumibilmente nella primavera del 61 d.C. Vi rimane prigioniero circa due anni, in un alloggio vicino al Tevere. Era libero di predicare (At 28,30-31) e, secondo il suo metodo, si rivolge agli Ebrei e ai pagani, scrivendo pure le lettere dette della cattività.
A questo punto termina il libro degli Atti. Sulla prima fase processuale affrontata dall’apostolo non si possiedono dati. Tenendo conto di una lettera scritta a Timoteo (2 Tm 4,16-17) si ricava il fatto che Paolo:
- è rimasto senza assistenza (c’è solo Luca),
- è stato avversato da un certo Alessandro (il ramaio),
- e alla fine si è potuto sottrarre alla “bocca del leone”. Quest’ultima espressione potrebbe essere interpretata come l’aver evitato una condanna a morte. In concreto, ciò può significare una sentenza di assoluzione (con conseguente libertà), o una disposizione che sospende il processo in attesa di testimoni di accusa da Gerusalemme (con conseguente libertà vigilata).
I fatti successivi, fino al martirio di Paolo, non sono noti con certezza. Esistono al riguardo più ipotesi. Comunque l’apostolo dovrà affrontare a Roma una seconda fase processuale[32] (fine del 66), che si conclude con la condanna a morte (anno 67).
Luca sa che Paolo è morto martire a Roma, ma non ne parla, come non ha parlato dell’ attività di Pietro dopo la sua liberazione dai soldati di Erode. Il suo scopo è quello di delineare lo sviluppo del Vangelo fino al suo affermarsi presso le popolazioni del tempo. Il breve panorama sulla presenza di Paolo nella Città eterna vuole significare che il Vangelo sarà la buona novella per tutte le nazioni e le generazioni.
La strategia paolina
Nel contesto descritto, può essere utile far riferimento anche al metodo e all’ originalità dell’apostolato paolino, all’attività dei suoi collaboratori e alla costituzione delle prime comunità cristiane.
San Paolo appare animato da un’ansia apostolica che non gli dà tregua nei suoi spostamenti e che gli fa percorrere migliaia di chilometri per terra e per mare. Preferisce in genere le grandi città e i centri di cultura, le cittadelle del paganesimo e le stazioni della diaspora giudea, perché il Cristianesimo possa svilupparsi nelle regioni circostanti.
Già nel primo viaggio missionario è delineata chiaramente la strategia paolina. Inizialmente Paolo e Barnaba puntano sui centri urbani più importanti: Salamina e Pafo, rispettivamente porto e capitale di Cipro. Tentano poi l’approccio con gli ex-fratelli di fede giudaica, presenti in tutte le grandi città dell’impero; dialogano con loro e con i pagani simpatizzanti (proseliti e timorati di Dio che frequentano le sinagoghe), partendo dalla comune rivelazione biblica. Si confrontano, infine, con i pagani e annunciano il messaggio di Cristo al mondo, all’interno delle varie culture: politeismo, superstizione, pensiero filosofico.
Paolo predica nelle piazze e per le strade, nelle case private e nelle sinagoghe, «opportune et importune»[33], fedele al suo motto: «Guai a me se non evangelizzassi».[34] La sua strategia missionaria tiene conto però dei luoghi, del momento e delle persone, con un senso di adattamento alle circostanze. Parlando nelle sinagoghe ai Giudei, inizia dalle profezie dell’ Antico Testamento e ne dimostra il compimento in Cristo. Parlando invece all’Areopago[35] ai Gentili, fa riferimento alla rivelazione naturale e al pensiero dei filosofi pagani.[36]
In genere si ferma in qualche casa di ebrei e di proseliti. Il sabato si reca nella sinagoga per spiegare che la Legge si è ormai compiuta e, quindi, è abolita. Le conversioni non si fanno attendere: chi accetta il Vangelo di Cristo si fa battezzare. Unica condizione richiesta è la fede: più tardi Paolo farà seguire la catechesi dogmatica e morale.
Per lo più sono i Gentili a entrare nella comunità cristiana, così da costituire la maggioranza nelle Chiese nascenti. Gli Ebrei, invece, oppongono non di rado un netto rifiuto, che sfocia sovente in atti persecutori.
I collaboratori
Paolo ha al fianco numerosi e validi collaboratori nelle sue missioni, capaci di completare e continuare la sua opera. Tra loro ricordiamo Luca, autore degli Atti, un greco particolarmente istruito proveniente dall’ambiente ellenistico di Antiochia, compagno di viaggio e di prigionia, fedele cooperatore di Paolo e interprete del suo pensiero.
Marco, soprannome di Giovanni (At 12,5), che in fase iniziale accompagna Paolo e suo cugino Barnaba nel primo viaggio missionario. Lo si ritrova poi come aiutante prezioso dell’Apostolo (Fm 24; Col 4,10; 2Tm 4,11); più tardi seguace e discepolo di Pietro, fondatore della Chiesa di Alessandria in Egitto.
Timoteo, il principale collaboratore, figlio di una giudeo-cristiana e di un pagano, spesso accanto a Paolo anche nella stesura delle lettere, fedele e fervente compagno nei viaggi[37] e nell’azione a Efeso e a Roma. Compie difficili missioni in Macedonia (At 19,22) e a Corinto (1Cor 4,17;16,10); l’ Apostolo gli scrive due lettere pastorali, chiamandolo «mio caro figlio nella fede» (1 Tm 1,2).
Tito, anche lui di origine pagana, delegato personale di Paolo nell’isola di Creta, lo accompagna a Gerusalemme (Gal 2,3), opera abilmente nel momento più acuto della crisi nella comunità di Corinto (2 Cor 7,6-16), lui pure «mio vero fratello nella fede» (Tt 1,4).
Sila o Silvano, scelto al posto di Barnaba nel secondo viaggio missionario (At 15,40), contribuisce alla formazione delle comunità cristiane in varie città della Grecia.
I coniugi Aquila e Priscilla, fabbricanti di tende come Paolo, incontrati a Corinto dove erano appena giunti dall’Italia, aiutano l’Apostolo a Efeso, dialogano e correggono le idee del brillante oratore alessandrino Apollo (At 18,26), «miei collaboratori in Cristo Gesù, che per salvare la mia vita, hanno rischiato la loro» (Rm 16,3) forse a Efeso, benemeriti presso tutte le Chiese dei pagani (Rm16,4).
Molti altri collaboratori si trovano citati negli Atti o nelle lettere paoline.[38]
Le comunità cristiane
Risultato significativo della predicazione apostolica[39] sono senza dubbio le comunità di cristiani, in genere non molto numerose, ma assai diffuse e composte di solito dai ceti più umili della popolazione. Si conosce la vita interna di queste Chiese primitive[40]: l’assiduità dei fedeli nell’ascoltare la parola degli apostoli; la carità che unisce i cuori e spinge a mettere in comune i beni materiali; la fedeltà nel partecipare alla «frazione del pane» nelle case; la costanza nella preghiera comunitaria…[41]
Non manca una specie di organizzazione gerarchica, perché Paolo si premura di costituire dei presbiteri e degli episcopi, come per esempio a Creta (Tt 1,5) e ad Efeso[42], dove i suoi due discepoli prediletti esercitano un fecondo ministero.[43]
Qualche considerazione di sintesi
Nei quattro Vangeli sono raccontati la vita e gli insegnamenti di Gesù, ma solo il libro degli Atti degli Apostoli narra la storia di che cosa avvenne dopo l’Ascensione di Cristo in cielo. Nella seconda delle sue due opere, Luca scrive iniziando dal momento nel quale il Signore conferma la missione della Chiesa e rende la Sua Presenza non più visibile. In seguito l’A. racconta la storia della nascita e della espansione della Chiesa delle origini. Questa narrazione si legge come l’annuncio di una grande notizia, segnata dall’azione dello Spirito Santo. Nel testo rimangono evidenti alcuni punti chiave: la sequela Christi, l’oblazione, la fraternità rafforzata dall’Eucaristia e dalla memoria.
[1] Cf anche: AA.VV., Pietro e Paolo. La storia, il culto, la memoria nei primi secoli, a cura di A. Donati, Electa, Milano 2000.
[2] Gentili: dal latino biblico gentes, gentiles. Sono le genti non giudaiche partecipi dei costumi e della cultura greca nel mondo romano.
[3] At 10,9-16.
[4] At 10,24.
[5] Erode Agrippa I (10 a.C. – 44). Re di Giudea. Nipote di Erode il Grande.
[6] Eusebio, Historia Ecclesiastica, II, 14, 6.
[7] Ivi, II, 25,8.
[8] Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico, nato come Lucio Domizio Enobarbo (37 d.C. – 68 d.C.). Quinto e ultimo imperatore della dinastia giulio-claudia. Successe al padre adottivo Claudio nell’anno 54 d.C.. Governò per circa quattordici anni, fino al suo suicidio (aveva 30 anni).
[9] Aa.Vv., Aurea Roma. Dalla città pagana alla città cristiana, L’Erma di Bretschneider, Roma 2000.
[10] Publio Cornelio Tacito (55-58ca - 117-120 ca). Storico, oratore, senatore romano. Autore di più opere: l’Agricola (De vita Iulii Agricolae), biografia sulla vita del suocero Gneo Giulio Agricola e in particolare sulle sue imprese militari in Britannia; la Germania (De origine et situ Germanorum), monografia etnografica sulla origine, i costumi, le istituzioni, le pratiche religiose e il territorio delle popolazioni germaniche tra il Reno e il Danubio; le Storie (Historiae), opera a che tratta la storia di Roma dall’anno dei quattro imperatori (69 d.C.) all’assassinio di Domiziano (96 d.C.); gli Annali (Ab excessu Divi Augusti libri), seconda opera che tratta la storia di Roma dalla morte di Ottaviano Augusto (14 d.C.) a quella di Nerone (68 d.C.).
[11] Tacito (Annales 1, XIII, 32).
[12] Quinto Settimio Fiorente Tertulliano è stato un importante scrittore e apologeta cristiano. Nacque nel 160 d.C. a Cartagine (nell’attuale Tunisia) e nella stessa città morì nel 220.
[13] Origene, detto Adamanzio (Origenes Adamantius, «resistente come l’acciaio») nacque ad Alessandria d’Egitto nel 185 e morì Tiro nel 254. Teologo e filosofo. Fu uno dei maggiori scrittori e teologi cristiani dei primi tre secoli. Di famiglia greca. Direttore della «scuola catechetica» di Alessandria (Didaskaleion). Interpretò la transizione dalla filosofia pagana al Cristianesimo. Fu l’ideatore del primo significativo sistema di filosofia cristiana.
[14] Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico (37 d.C. – 68 d.C.). Regnò dal 54 d.C. fino alla morte.
[15] Eusebio, Storia Ecclesiastica, 2, 25, 6-7.
[16] Papa Silvestro I (III sec. – 335). Il suo pontificato durò dal 314 alla morte.
[17] Flavio Valerio Aurelio Costantino (274-337). Regnò dal 306 fino alla morte.
[18] Eusebio di Cesarea, Teofania, 47.
[19] Cf Lettera ai Galati 1,15-18. A quel tempo si chiamava «Arabia» un territorio molto vasto, difficile da definire: una regione a sud della fortezza di Macheronte, abitata dai nabatei, e con capitale Petra.
[20] At 13,7.13; 14,14; 15,12.
[21] Gal 2, 11-15.
[22] At 16,6-10.
[23] At 16,11-15; 20,5-15; 21,1-18; 27,1ss.
[24] At 16,16-40.
[25] Areopago: è una delle colline di Atene (Grecia) situata tra l’agorà (nell’antichità fu la piazza principale di Atene), e l’acropoli (antica cittadella arroccata in cima alla città di Atene, sede del Partenone).
[26] Lo stoicismo ha questo nome perché deriva dalla Stoà Pecìle di Atene (“portico dipinto”) dove il filosofo Zenone impartiva le sue lezioni. Tale corrente di pensiero sosteneva le virtù dell’autocontrollo e del distacco dalle cose terrene, come mezzi per raggiungere l’integrità morale e intellettuale. Nell’ideale stoico il dominio suille passioni consente allo spirito di raggiungere la saggezza. Tale impegno è un compito individuale. Deriva dalla capacità del saggio di lasciare le idee e i condizionamenti della società in cui vive. Lo stoico tuttavia non disprezza la compagnia degli altri esseri umani. Inoltre, l’aiuto ai più bisognosi è una pratica raccomandata.
[27] Epicurei: seguivano l’insegnamento del filosofo Epicuro. 1. La sensazione è il criterio della verità e il criterio del bene (che si identifica con il piacere). 2. Le cose si formano e mutano mediante l’unirsi e il disunirsi degli atomi. 3. Gli dèi esistono ma non hanno alcuna parte nella formazione e nel governo del mondo.
[28] Gaio Petronio Arbitro (27-66) è stato uno scrittore e politico romano del I secolo.
[29] Cf Petronio, Satyricon, 17.
[30] A Corinto era noto il tempio di Afrodite. Intorno a questo edificio si svolgeva una “prostituzione sacra” (coinvolgeva uomini, donne, minori).
[31] 1 Cor 16,5; 2 Cor 2,12.
[32] Secondo processo o proseguimento del primo.
[33] Cf 2 Tm 4,2.
[34] 1 Cor 9,16.
[35] Areòpago (“colle di Ares”): una delle colline di Atene (Grecia). Posta tra l’agorà (la piazza principale della polis), e l’acropoli (è una rocca, spianata nella parte superiore, che si eleva di 156 metri sul livello del mare sopra la città di Atene).
[36] Redazione Online, Il Papa: Paolo, modello di inculturazione della fede, in:RomaSette.it, 6 novembre 2019.
[37] At 17,14-15; 18,5; 24,4; 2 Cor 1,19.
[38] G. Laghezza, Parare Christi vias. Tutti i collaboratori di San Paolo, Edizioni Viverein, Monopoli (BA) 2021.
[39] Su questo punto, oltre i testi del Nuovo Testamento, cf anche Didachè. Insegnamento degli apostoli, a cura di G. Visonà, Paoline, Milano 2000.
[40] At 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16.
[41] E. Dal Covolo – I. Giannetto (a cura), Cultura e promozione umana. La cura del corpo e dello spirito nell’antichità classica e nei primi secoli cristiani. Un magistero ancora attuale?, Troina 1998. R. Iori, La solidarietà nelle prime comunità cristiane, Città Nuova, Roma 1989.
[42] 1Tm 3,1-7; 5,17-22.
[43] Cf anche: A. Pincherle, Introduzione al cristianesimo antico, Laterza, Roma-Bari 2006.
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Per saperne di più
AA.VV., Atti degli Apostoli. Introduzione, traduzione e commento, a cura di G. Rossé, San Paolo, Cinisello Balsamo 2010. E. Borghi, Verso la verità della Chiesa. Leggere gli Atti degli Apostoli oggi, Terra Santa Edizioni, Milano 2024. R. Penna, voce “Paolo”, in: Il Grande libro dei Santi, San Paolo, Cinisello Balsamo 1998, v. 3, p. 1567-1578. G. Ravasi, Gli atti degli Apostoli. All’origine del Cristianesimo. Ciclo di conferenze (Milano, Centro culturale S. Fedele), EDB, Bologna 2000.