LE MIGRAZIONI DEI JŌMON E DEGLI AINU DI HOKKAIDŌ IN AMERICA

di Simone Barcelli -

Diversi studi scientifici suggeriscono che a raggiungere per primi l’America furono  i discendenti dei Jōmon, la cultura madre del Giappone. L’arrivo nelle isole giapponesi del gruppo Yayoi proveniente dalla Corea, avrebbe causato, quattromila anni fa, un’ultima ondata migratoria degli Ainu di Hokkaidō e dei loro predecessori Jōmon, che preferirono raggiungere nuove terre piuttosto che soccombere ai nuovi giunti.

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Gli studi di craniologia facciale dell’antropologo Charles Loring Brace suggeriscono che le prime popolazioni a raggiungere il continente americano dall’Alaska nel 13000 a.C. circa, arrivando nel giro di un migliaio di anni anche nella parte estrema meridionale, sarebbero stati discendenti di antichi gruppi Jōmon e Ainu. In particolare, gli antichi migranti secondo Brace mostrano legami con gli Ainu di Hokkaidō e i loro predecessori Jōmon del Giappone preistorico e con i polinesiani della remota Oceania[i].
L’archeologo Jon McVey Erlandson ha osservato che le punte di lancia di pietra ritrovate nelle Channel Islands, associate a ossa di animali marini e acquatici, appartengono a un popolo di navigatori che arrivò sulle coste della California almeno dodicimila anni fa, anche grazie al livello del mare che verso la fine dell’ultima era glaciale era molto più basso rispetto a oggi. Quelle punte di lancia sono sostanzialmente simili ai punti con stelo trovati nei primi siti intorno al Pacifico, dal Giappone al Sud America, quindi culturalmente connesse a oggetti di pietra molto simili trovati in Giappone, in un sito di quindicimila anni fa documentato sull’isola di Kozushima al largo di Honshū, e lungo le sponde di un fiume sulla penisola russa del Kamchatka, risalenti in questo caso a tredicimila anni fa. Per questa ragione si suppone che i migranti provenissero dalle isole del Giappone e dall’estremo oriente della Russia, attraverso il Mar di Bering, navigando sotto costa e utilizzando i ponti di terra allora esistenti[ii]. Kozushima è denominata fra l’altro “l’isola dell’ossidiana”, poiché da qui proveniva quella trovata nella pianura di Kantō a Honshū, databile a trentamila anni fa, e quella che da Hokkaidō fu trasportata per trecento chilometri a Sakhalin nel 21000 a.C.[iii]

Erlandson si rifà in buona sostanza a uno studio dell’antropologo William R. Powers, che analizzando le lame bifacciali a forma di foglia e con punte a coda di pesce con gambo, ritrovate nel sito Ushki Lake 7, lungo il fiume Kamchatka, ha suggerito che l’assemblaggio potrebbe condividere collegamenti marittimi con quelle rinvenute sull’isola Sakhalin in Giappone, realizzate nel periodo Incipiente Jōmon (tardo Paleolitico superiore, 13500 a.C.-11800 a.C.). Per Powers l’assemblaggio rinvenuto nel lago Ushki è un’anomalia per il Paleolitico superiore siberiano, poiché denota, appunto, un collegamento marittimo diretto attraverso le Isole Curili[iv]. Ma lame bifacciali a forma di foglia sono state ritrovate anche sulla costa del Pacifico di Ecuador, Perù e Cile, così come in gran parte del resto del continente, compreso il sito di Monte Verde. Anche le lame con punte a coda di pesce con gambo, ampiamente distribuite in Centro e Sud America, risalgono a quattordicimila anni fa[v].
La ricerca archeologica ha dimostrato, inoltre, che varie tecnologie di microlama che utilizzano ossidiana e scisto (una roccia metamorfica che si sfalda facilmente in lastre sottili), furono sviluppate dall’ultimo massimo glaciale al Pleistocene terminale a Hokkaidō, nel nord del Giappone, correlate alle esigenze di elevata mobilità dei cacciatori-raccoglitori[vi].
Yaroslav V. Kuzmin, che studia la geoarcheologia dell’Estremo Oriente russo, della Siberia e del vicino nord-est asiatico, ha osservato che gli studi sulle fonti chimiche dell’ossidiana, un vetro vulcanico ampiamente utilizzato dalle popolazioni preistoriche per fabbricare strumenti di pietra, possono fornire le prove necessarie per documentare migrazioni antiche tra regioni, comprese quelle del Nord America. Per questo ha studiato con analisi strumentale di attivazione dei neutroni (INAA) sessantadue manufatti di ossidiana rinvenuti nei siti del lago Ushki della penisola di Kamchatka, in cui la presenza umana è attestata almeno al 12000 a.C. L’impronta digitale restituita dalla geochimica ha permesso di documentare i movimenti a lunga distanza durante il tardo Pleistocene e l’Olocene. L’ossidiana della Kamchatka è stata trasportata nei siti archeologici in Alaska transitando per la regione Chukotka della Siberia nord-orientale. L’alto grado di mobilità delle popolazioni della Kamchatka durante il Pleistocene terminale, può supportare una migrazione dal Nord-est asiatico al Nord America lungo la costa del Mare di Bering, probabilmente anche navigando sotto costa: infatti, il ritrovamento di lische di pesce anadrome, dimostra l’adattamento di queste persone allo sfruttamento delle risorse marine[vii].

Archeologi e antropologi hanno evidenziato, in studi separati, come le caratteristiche fisiche dei resti dell’Uomo di Kennewick di novemila anni fa, rinvenuti nei pressi del fiume Columbia a Washington nel 1996, denotino maggiori affinità con i polinesiani e soprattutto con gli Ainu[viii] di Hokkaidō[ix]. Nessuno di essi mette in dubbio che quei resti scheletrici appartengano, evidentemente, a un’antica popolazione di marinai della costa settentrionale del Pacifico e che tra loro c’erano gli antichi Jōmon, gli abitanti originari delle isole giapponesi, da cui l’attuale popolo Ainu[x] discende[xi]. Anche se volessimo escludere le conclusioni raggiunte all’unanimità dagli specialisti sullo scheletro di Kennewick, sulla scorta dello studio genetico comunque controverso di Morten Rasmussen che ritiene quel genoma più vicino ai moderni nativi americani[xii], rimarrebbero, tuttavia, evidenze notevoli di una possibile migrazione in America nell’antichità di un gruppo Ainu di Hokkaidō e dei loro predecessori Jōmon.
Oggi quel che rimane della popolazione degli Ainu, vive ancora nell’isola di Hokkaidō, mentre un centinaio dei loro discendenti è stanziato nella porzione meridionale della penisola della Kamciatka, nell’Estremo Oriente Russo. Naruya Saitou del National Institute of Genetics di Mishima, ha determinato che i dati genetici dei giapponesi di oggi derivano da due popolazioni di origine totalmente est-asiatica divergenti da secoli, una imparentata con gli attuali coreani e una con gli Ainu, relegati nell’isola più settentrionale del Giappone, il cui DNA è simile a quello dei cacciatori-raccoglitori[xiii]. Per gli Ainu di Hokkaidō siamo in presenza, indubbiamente, di una “deriva genetica”, poiché la loro evoluzione è stata determinata dall’isolamento ambientale, come testimonia l’unicità del linguaggio. In tempi più recenti, gli Ainu, che sono in via d’estinzione, sono stati continuamente discriminati dai governi di Giappone e Russia, che non hanno mai riconosciuto i diritti di questa minoranza, negando loro persino di coltivare tradizioni etniche. A Hokkaidō, come annota Tsuyoshi Fujimoto, si rinvengono i tratti caratteristici della cultura Jōmon, del tutto coerenti con quelli riscontrati nella parte settentrionale di Honshū, nonostante la presenza di elementi culturali provenienti dall’area nord-orientale del continente asiatico[xiv]. Marco Meccarelli, docente di Lingue e letterature della Cina e dell’Asia sud-orientale all’Università di Catania, annota che le tradizioni Jōmon continuarono addirittura fino al VII secolo d.C., almeno nelle regioni più settentrionali del Giappone, nell’isola di Hokkaidō e nella parte settentrionale di Honshū[xv].

La lingua ainu o ainuic, rimasta in uso soprattutto agli Ainu nell’Hokkaidō fino al XIX secolo, potrebbe essere una delle numerose lingue estinte Jōmon. Questa lingua isolata, che non ha nessuna relazione genealogica con altre famiglie, potrebbe anche appartenere alla famiglia linguistica paleo siberiana, che raggruppa genericamente altre lingue isolate dell’Asia settentrionale, per esempio quelle ciukotko-kamciatke[xvi]. Questa lingua è stata sovente inserita nella superfamiglia linguistica delle lingue austriche, che raggruppa lingue parlate nel sud-est asiatico, in Oceania e nel sub-continente indiano. Il raggruppamento si divide in due, austronesiana e austroasiatica, che dovrebbero avere fra loro una relazione genetica, comunque contestata dagli specialisti. I linguisti storici John D. Bengtson e Václav Blažek preferiscono, per esempio, inserire a pieno diritto la lingua ainu nel gruppo delle lingue austriche, poiché ritengono di aver individuato ottantotto etimologie considerate forti prove della presunta affinità[xvii].
Yuri Tambovtsev della Novosibirsk Pedagogical University, in uno studio del 2008, utilizzando il metodo di fonostatistica che consente di trovare le distanze tipologiche con altre lingue di diverse famiglie linguistiche genetiche, ha proposto per l’ainu una grande similitudine, per minima distanza tipologica, con la famiglia quechua e inga, cioè le lingue dei nativi americani: l’autore, prudentemente, ha suggerito comunque che occorrano ulteriori approfondimenti per determinare una relazione genetica tra queste lingue[xviii]. La lingua quechua è diffusa in larghe zone del Sud America: poiché era la lingua ufficiale degli Inca, al tempo del loro impero si espanse rapidamente dal Perù alla Colombia, Ecuador e Bolivia, in parte anche in Argentina e Cile, anche perché già utilizzata da altri popoli dell’America Meridionale[xix]. La lingua inga è invece in uso presso la modesta popolazione degli Inga, che vive in alcune zone della Colombia e del Venezuela. Per Jared Diamond è probabile che le genti Jōmon stanziate nell’antichità a Hokkaidō avessero in uso una lingua correlata all’ainu moderno, mentre a Kyūshū se ne utilizzasse un’altra: «Ci sono quasi 2500 chilometri tra gli estremi settentrionali e meridionali di queste due isole, e sappiamo dall’esame degli stili della ceramica che all’epoca esistevano grandi diversità culturali tra le varie regioni, che non furono mai unificate politicamente. Forse le lingue settentrionali e meridionali erano già differenti 12000 anni fa, visto che la prima immigrazione Jōmon avvenne in due ondate separate, dal nord attraverso la Russia e dal sud attraverso la Corea»[xx]. Gli Ainu potrebbero aver raggiunto il Giappone dalla Siberia già nel XII millennio a.C., transitando di isola in isola, soprattutto Sachalin e Curili. Essi si sarebbero poi integrati con la cultura Jōmon, già presente da qualche millennio, contribuendo al suo sviluppo.

Un’indagine sull’albero filogenico del virus T-linfotropico umano di tipo I (HTLV-I), scoperto in Giappone nel 1977, che provoca leucemie e linfomi, ha individuato che il sottotipo A, uno dei tre, è comune ad alcuni isolati caraibici, due sudamericani (Colombia e Cile), uno indiano e alcuni isolati giapponesi, compresi gli Ainu, questi ultimi «considerati come discendenti relativamente puri della popolazione nativa che abitò principalmente il nord del Giappone durante il periodo Jōmon più di 2300 anni fa». Ciò implica per Tomoyuki Miura dell’Institute for Virus Research della Kyoto University, l’autore principale dello studio, «una stretta connessione dei nativi caraibici e sudamericani con i giapponesi e quindi una possibile migrazione del lignaggio nel continente americano attraverso la Beringia nell’era paleolitica. […] Anche l’analisi del tipo HLA [molecole di classe II, N.d.A.] suggerisce la relazione tra Giapponesi e paleo-indiani in Sud America».
Insomma, è come dire che gli antenati del popolo Ainu migrarono attraverso la Beringia trasportando questo virus nel continente americano. Quel lignaggio, quindi, si trasferì in Giappone nel periodo paleolitico, come attestato dall’attuale esistenza di almeno due ceppi di HTLV-I, dove il virus è particolarmente endemico nel sud-ovest e nelle popolazioni remote delle aree di frontiera come i “Ryūkyūans” della gente di Okinawa e gli Ainu sull’isola di Hokkaidō. È stato proposto che tra i portatori di HTLV-I ci siano i Jōmon, con migrazioni nell’arcipelago giapponese avvenute più di diecimila anni fa, all’incirca lo stesso periodo di tempo in cui avvennero quelle dall’Asia settentrionale al continente americano, attraverso la Beringia[xxi].

lenigma-dei-jomon-coverCome risulta dall’analisi genetica effettuata da Mitsuru Sakitani nel 2009 sui resti scheletrici, entrambi i gruppi erano accomunati, con frequenze molto alte, dai cromosomi di uno dei due rami dell’aplogruppo D, D-M55, che oggi annovera portatori in Tibet, Giappone e Isole Andamane (Jarawa e Onge); questo aplogruppo, presente solo in Asia, identifica i discendenti dei cacciatori-raccoglitori che arrivarono in Giappone dal continente asiatico quando nell’ultimo massimo glaciale quei territori erano ancora collegati tra loro, tra ventimila e dodicimila anni fa. Dati archeologici hanno però suggerito che la colonizzazione iniziale degli esseri umani moderni in Giappone sia avvenuta circa trentamila anni fa. Il ramo diversificato di questo aplogruppo in Giappone, presuppone per i genetisti un modello di isolamento genetico delle popolazioni, dovuto a un lungo periodo di separazione da altri gruppi. L’arrivo nelle isole giapponesi del gruppo Yayoi, proveniente dalla Corea, presumibilmente quattromila anni fa, potrebbe aver causato un’ondata migratoria degli Ainu: a quel punto i diretti discendenti degli Jōmon avrebbero preferito raggiungere nuove terre, compresa l’America, piuttosto che soccombere ai nuovi giunti.
Ricerche effettuate comparando tratti cranici, hanno suggerito per la cultura Ainu un’origine dalla fusione delle culture di cacciatori-pescatori-raccoglitori Okhotsk e Satsumon, avvenuta tra l’VIII e il XIV secolo. D’altronde, si ritiene che queste due culture discendano direttamente dal popolo Jōmon nell’Hokkaidō[xxii]. La cultura di Okhotsk, vicina e contemporanea a quella Satsumon (anche se la cronologia di quest’ultima è tuttora imprecisa)[xxiii], si sviluppò alla metà del I millennio della nostra era attorno alle regioni costiere meridionali del Mare di Okhotsk, compresa l’isola di Sakhalin (dov’erano insediati anche i Nivkhi, che hanno credenze spirituali simili a quelle degli indiani della costa nordoccidentale del Nord America, i cui antenati migrarono da questa zona)[xxiv], quelle di Curili e nella porzione settentrionale di Hokkaidō; basava la sua sussistenza essenzialmente sulla caccia e la pesca, come tutti gli altri popoli dell’area di riferimento. I caratteri genici degli Okhotsk sono simili a quelli delle popolazioni che oggi vivono nell’Asia nord-orientale, attorno alle regioni del fiume Amur (Ulchi e Nivkhi), e agli ultimi Ainu di Hokkaidō.

Conferme in tal senso giungono anche dalle stesse tradizioni culturali (per esempio, la cerimonia dell’orso) e da alcuni prestiti linguistici. Anche l’industria litica pare collegata, poiché in molti siti di Hokkaidō sono state rinvenute microliti (piccole lame ottenute mediante scheggiatura), simili a quelle delle regioni del fiume Amur, tanto che si ritiene abbiano avuto origine proprio lì, quindicimila anni fa. In fondo, è bene ricordarlo, nel tardo Pleistocene Hokkaidō era collegata a Sahalin e quest’ultima a sua volta al continente asiatico da un istmo[xxv]. Sato Takehiro, della Hokkaidō University, entrando più nel dettaglio, ha concluso che «le relazioni filogenetiche dedotte dalle sequenze del mtDNA hanno mostrato che il popolo Okhotsk era più strettamente imparentato con il popolo Nivkhi e Ulchi tra le popolazioni dell’Asia nord-orientale. Inoltre, il popolo di Okhotsk aveva un’affinità genetica relativamente più stretta con il popolo Ainu dell’Hokkaidō ed era probabilmente un intermediario del flusso genico dal popolo dell’Asia nord-orientale al popolo Ainu. Questi risultati supportano l’ipotesi che la cultura Okhotsk si sia unita alla cultura Satsumon (diretti discendenti del popolo Jōmon, da cui hanno assimilato tratti della cultura) dando vita alla cultura Ainu, come suggerito da precedenti studi archeologici e antropologici»[xxvi]. Per questo Kikuchi Toshihiko, che pure ha suggerito per il popolo Okhotsk una linea ancestrale degli attuali Ainu, ha anche affermato che «secoli prima che il Mare di Okhotsk entrasse nella consapevolezza collettiva del Giappone, gli Ainu ne attraversavano le acque dall’Hokkaidō alla Kamchatka, svolgendo un ruolo fondamentale nella vivace interazione culturale e commerciale della regione. Rotte commerciali che collegavano l’Hokkaidō, le Isole Curili e la Kamchatka nel XVII e XVIII secolo. Gli Ainu viaggiavano regolarmente fino alla penisola di Kamchatka attraverso le Curili per ottenere merci che successivamente vendevano a Matsumae, sulla punta meridionale di Hokkaidō»[xxvii].

Minoru Oshima, della Miyazaki University, ha sviluppato uno studio comparativo tra Ainu, Itelmen e Chukchee-Koryak, queste ultime popolazioni indigene della Kamchatka, concentrandosi sulla tecnologia utilizzata nella pesca: arponi a levetta a doppia asta anteriore, lance per pesci di tipo marek, sbarramenti e trappole per pesci e rete da pesca. Lo studioso ha concluso che la cosiddetta “cultura marittima del Pacifico settentrionale”, che include anche la regione di Amur, Alaska e costa nord-occidentale del continente americano, presenta molti elementi culturali propri degli Ainu, che si rinvengono identici nelle culture dei popoli indigeni della Kamchatka[xxviii]. È anche vero, come dimostra uno studio pubblicato nel 2018, che gli Ainu di Hakkaido devono il maggior patrimonio genetico agli Jōmon, con una percentuale meno significativa proveniente dagli Okhotsk da parte dei popoli Chukotko-Kamchatkan e dagli Yamato, confermando, in buona sostanza, che si è verificata una notevole mescolanza anche con le popolazioni siberiane[xxix].
Lorena Beltrame, dopo aver ricordato che gli Ainu abitarono fin dal 7000 a.C. l’intero arcipelago giapponese da Okinawa alla Sakhalin, mentre oggi sono relegati nell’Hokkaidō, l’isola più settentrionale del Giappone, ha sottolineato che gli appartenenti a questa popolazione assomigliano al tipo umano che l’antropologia fisica definisce “caucasoidi”, caratterizzati da pelle bianca, capelli ondulati, crani arrotondati, mesocefali. La studiosa, per quanto riguarda la regione dell’Hokkaidō, fa menzione di un paio di antichi testi giapponesi, il “Kojiki” di Ō no Yasumaro del 712 d.C. e il “Nihon Shoki”di Nihon Shoki del 720 d.C., «che riportano l’uso di barche ricoperte di pelli animali, delle quali, peraltro, non risultano tracce rinvenute. Studiando, però, lo stile di vita degli abitanti dell’Alaska, alcuni etno-archeologi hanno dedotto che un tipo simile di imbarcazioni venisse usato anche in Giappone, specie nelle zone più settentrionali, in quanto la collocazione geografica e ambientale risulta legata alla presenza dei suddetti materiali. I cacciatori-raccoglitori tardo paleolitici giapponesi erano anche abili pescatori, inoltre in alcuni siti forestali della prefettura di Shizuoka sono state trovate tracce di “trappole a fossa” che attestano metodi di caccia ai grandi mammiferi come l’orso bruno (Ursus arctos) o l’elefante Naumann (Palaeoloxodon naumanni) oggi estinto»[xxx]. E qui si torna, inevitabilmente, alla possibilità che antichi popoli, partiti dall’arcipelago del Giappone, abbiano potuto affrontare una traversata per mare aperto, o navigando sotto costa, ipotesi entrambe pregne di insidie, che li avrebbe condotti dritti in America.

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Note

[i] Charles Loring Brace e altri, Old World sources of the first New World human inhabitants: A comparative craniofacial view, Proceedings of the National Academy of Sciences vol. 98, n. 17, 31 luglio 2001.
[ii] Jon M. Erlandson, Torben C. Rick e altri, Paleoindian Seafaring, Maritime Technologies, and Coastal Foraging on California’s Channel Islands, Science, n. 331, 4 marzo 2011.
[iii] Aileen Kawagoe, Suggested field trip: Visit Jōmon obsidian island – Kozushima Island, Heritage of Japan, 2014.
[iv] William R. Powers, Siberia in the late glacial and early postglacial, in Humans at the End of the Ice Age: The Archaeology of the Pleistocenee Holocene Transition, Plenum Press, 1996.
[v] Jon M. Erlandson e Todd J. Braje, From Asia to the Americas by boat? Paleogeography, paleoecology, and stemmed points of the northwest Pacific, Quaternary International, Vol. 239, N. 1-2, 2011.
[vi] Jun Takakura, Rethinking the Disappearance of Microblade Technology in the Terminal Pleistocene of Hokkaidō, Northern Japan: Looking at Archaeological and Palaeoenvironmental Evidence, Quaternary, Vol. 3, N. 21, 2020.
[vii] Yaroslav V. Kuzmin e altri, Obsidian use at the Ushki Lake complex, Kamchatka Peninsula (Northeastern Siberia): implications for terminal Pleistocene and early Holocene human migrations in Beringia, Journal of Archaeological Science, Vol. 35, N. 8, 2008.
[viii] James C. Chatters, The recovery and first analysis of an Early Holocene human skeleton from Kennewick, American Antiquity, n. 65, 2000.
[ix] Joseph Powell, The First Americans, Cambridge Univ. Press, 2005.
[x] Douglas W. Owsley e altri, Kennewick Man: The Scientific Investigation of an Ancient American Skeleton, Texas A&M University Press, 2014.
[xi] Douglas Preston, The Kennewick Man Finally Freed to Share His Secrets, Smithsonian Magazine, 2014.
[xii] Morten Rasmussen, Eske Willerslev e altri, The ancestry and affiliations of Kennewick Man, Nature, n. 523, 2015.
[xiii] David Reich, Chi siamo e come siamo arrivati fin qui, Raffaello Cortina Editore, 2019.
[xiv] Tsuyoshi Fujimoto, L’archeologia dell’Estremo Oriente, Hokkaidō, Enciclopedia Treccani.
[xv] Marco Meccarelli, Yamato, dove ha origine il sole, Archeo, n. 345, dicembre 2013.
[xvi] James Tyrone Patrie, The Genetic Relationship of the Ainu Language, Oceanic Linguistics Special Publications, N. 17, 1982.
[xvii] John D. Bengtson e Václav Blažek, Ainu and Austric: Evidence of Genetic Relationship, Journal of Language Relationship, Vol. 2, 2009.
[xviii] Yuri Tambovtsev, The phono-typological distances between Ainu and the other world languages as a clue for closeness of languages, Asian and African Studies, N. 17, 2008.
[xix] Quechua, Enciclopedia Treccani.
[xx] Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie, Einaudi, 1998.
[xxi] Tomoyuki Miura e altri, Phylogenetic subtypes of human T-lymphotropic virus type I and their relations to the anthropological background, PNAS, Vol. 91, N. 3, 1994.
[xxii] Aileen Kawagoe, Out of Africa to East Asia: Gleaning the genetic tale of origins and migration from our mitochondria, Heritage of Japan, 2011.
[xxiii] Oscar Nalesini, Satsumon, cultura, Enciclopedia Treccani.
[xxiv] Valerie Chaussonnet, Native Cultures of Alaska and Siberia. Arctic Studies Center, ‎ Smithsonian, 1995.
[xxv] Tsuyoshi Fujimoto, Hokkaidō, Enciclopedia Treccani.
[xxvi] Takehiro Sato e Tetsuya Amano, Origins and genetic features of the Okhotsk people, revealed by ancient mitochondrial DNA analysis, Journal of Human Genetics, Vol. 52, N. 7, 2007.
[xxvii] Kikuchi Toshihiko, The Ainu and Early Commerce in the Sea of Okhotsk, nippon.com, 28 febbraio 2012.
[xxviii] Minoru Oshima, Ainu Cultural Elements Found in the Cultures of Indigenous Peoples in Kamchatka, Center for Language Studies, Otaru University of Commerce.
[xxix] Noboru Adachi e altri, Ethnic derivation of the Ainu inferred from ancient mitochondrial DNA data, American Journal of Physical Anthropology, Vol. 165, N. 1, 2018.
[xxx] Lorena Beltrame, La facies culturale Jōmon: origini, specificità e sviluppo pre-neolitico dell’arcipelago giapponese, Tesi di Laurea Anno Accademico 2014/15, Università degli Studi di Verona.

 

Per saperne di più
Simone Barcelli, L’enigma dei Jōmon. La misteriosa cultura madre del Giappone alla scoperta delle Americhe seimila anni fa, Storie e dintorni, 2024.