LE ELEZIONI DEL 1948 E IL RUOLO DELLA MAFIA IN SICILIA

di Michele Strazza -

 

L’intento di Cosa nostra era di mettere suoi uomini tra i quadri dirigenti del potere, per acquisire un “credito” da esigere poi sul piano politico ed economico.

Le elezioni del 18 aprile 1948 in Italia si svolsero all’insegna della lotta tra la Democrazia Cristiana e il “Fronte democratico popolare” che raccoglieva PCI e PSI, in una situazione aggravata dallo scoppio della Guerra fredda e con la progressiva divisione del mondo in due blocchi.
Anche la Sicilia fu coinvolta nel clima generale di contrapposizione epocale nel quale si buttarono a capofitto le forze cattoliche per impedire la vittoria di quelli che giudicavano partiti anticristiani.
La mobilitazione diretta dei parroci che nelle chiese predicavano e facevano distribuire all’uscita volantini contro i comunisti, l’azione dei comitati civici di Gedda, l’appiattimento del PCI sulle posizioni sovietiche, la simpatia delle masse popolari per la promessa degli aiuti americani, tutto ciò convinse sempre più i siciliani a far pendere il piatto della bilancia verso i candidati democristiani. Proprio sul fronte degli aiuti americani, lo stesso George Marshall aveva minacciato che, in caso di vittoria comunista, sarebbero stati sospesi gli invii all’Italia.

L’anno prima vi era stata l’estromissione dal governo nazionale delle forze di sinistra, ma in Sicilia il 1947 era stato caratterizzato da avvenimenti altrettanto importanti.
Terminato completamente l’appoggio americano al movimento separatista dell’isola, che pure vi era stato sia al momento dello sbarco che nei sei mesi successivi dell’Amministrazione Militare, gli stessi poteri occulti si stavano guardando intorno, alla ricerca di più importanti alleati.
E quando parliamo di poteri occulti ci riferiamo, innanzitutto, alla mafia la quale, per nulla debellata durante il fascismo, pur sopita, aveva continuato a vivere e prosperare, seppur in forme non fastidiose per il regime.
La mafia si rese subito conto che qualcosa stava cambiando in Italia e in Sicilia, cosciente della fase discendete del movimento separatista. Del resto, l’iniziativa della DC di un’Assemblea Regionale, invece dell’indipendenza, aveva indebolito ulteriormente il fronte separatista. La mafia, dunque, e soprattutto uno dei suoi uomini più in vista, don Calogero Vizzini, cominciarono a guardare alla Democrazia Cristiana come l’alleato naturale, non solo perché principale partito di governo, ma anche per i suoi appoggi nella Chiesa e per la collocazione internazionale anticomunista con l’appoggio americano. C’erano, insomma, tutte le condizioni per sostituire, sul fronte politico, la DC al movimento separatista.

La tornata elettorale si concluse con la vittoria assoluta del partito dello scudo crociato che, alla Camera, ottenne 12.740.042 voti (48,51%) e 305 seggi, contro gli 8.136.637 voti (30,98%) e 183 seggi del Fronte Popolare. Al Senato la DC conseguì 10.899.640 voti (48,11%) e 131 seggi, contro i 6.969.122 voti (30,76%) e i 72 seggi delle sinistre unite.
Anche in Sicilia la vittoria del partito cattolico fu schiacciante: ottenne il 47,87% dei voti, mentre alle precedenti elezioni regionali per l’Assemblea Siciliana aveva conseguito il 21%. Nella sola provincia di Catania la Democrazia Cristiana raggiunse il 56,28% dei voti.
Ma la contesa elettorale segnò anche il ridimensionamento del Partito Monarchico, sceso all’8,89%, e la scomparsa del movimento separatista che non partecipò alle elezioni.
Sicuramente in questo risultato giocò anche la presenza dei moltissimi italo-americani di provenienza siciliana tornati sull’isola dopo lo sbarco alleato del luglio 1943. Gli stessi parenti rimasti oltreoceano condizionavano, con una fitta corrispondenza, le famiglie per un voto anticomunista.

Ma la DC ebbe anche l’appoggio della mafia siciliana la quale, facendo leva sulla sua capacità di adeguarsi alle mutate condizioni storiche, aveva capito, come già detto, che il movimento separatista era destinato a ecclissarsi. Di qui l’operazione di fare confluire il proprio cospicuo pacchetto di voti verso il nuovo vittorioso partito di governo che annoverava tra le sue fila siciliani importanti come il ministro dell’Interno Mario Scelba.
Quest’ultimo, peraltro, mentre dimostrò un comportamento deciso nei confronti del banditismo non lo fu altrettanto nell’indagare i veri meandri del potere mafioso. Famoso il suo intervento al Senato il 25 giugno 1949, quando disse: “Se passa una ragazza formosa, un siciliano vi dice che è mafiosa, se un ragazzo è precoce vi dirà che è mafioso. Si parla di mafia in tutte le salse, ma, onorevoli colleghi, mi pare che si esageri”. Per Scelba, in definitiva, la mafia non rappresentava un’associazione criminale pericolosa ma esprimeva un modo di essere della società siciliana.
Certo, anche nella DC vi fu inizialmente chi, come Giuseppe Alessi, futuro presidente della Regione, avversò l’infiltrazione mafiosa, minacciando addirittura le dimissioni da segretario della DC di Agrigento, ma furono delle eccezioni. In genere, i quadri dirigenti siciliani dello scudo crociato furono ben felici di accettare gli appoggi della mafia e di accogliere il vecchio notabilato, senza alcuna distinzione. Tra il 1947 e il 1948 erano, ad esempio, passati nella DC mafiosi come Calogero Vizzini, Genco Russo e Francesco Di Cristina.
La decisione di intervenire nella competizione elettorale del 18 aprile 1948 e di schierarsi a favore della Democrazia Cristiana pare venne presa dalla mafia in un vero e proprio “summit”, tenutosi il 10 aprile vicino Palermo, in una villa di Boccadifalco (Villa Marasà). In quell’occasione, infatti, i maggiorenti mafiosi diedero ordine di convogliare tutti i propri voti nella fascia costiera da Palermo a Trapani verso il partito cattolico, abbandonando, in tal modo, tutti i precedenti appoggi ai separatisti e ai liberali siciliani.
Si ha notizia anche della partecipazione diretta di Calogero Vizzini e Genco Russo a un sontuoso pranzo elettorale tenutosi a Villa Igea, un elegante albergo di Palermo, nel quale i due esponenti di “cosa nostra” sedettero alla stessa tavola di importanti personaggi democristiani. Non si dimentichi, poi, che, quando nel 1950 si sposò il primogenito di Russo, i testimoni furono Calogero Vizzini e il presidente democristiano dell’Assemblea Regionale Siciliana.

L’intento di “cosa nostra” era di mettere uomini vicini alla mafia all’interno dei quadri dirigenti del potere politico e, nello stesso tempo, di acquisire un “credito” da esigere in seguito, non solo sul piano politico, ma soprattutto su quello economico, con l’intervento negli appalti delle future opere pubbliche degli anni Cinquanta.
Questi progetti, peraltro, erano facilitati dalla divisione della DC in correnti che avrebbe consentito, in seguito, di avvicinare singoli personaggi politici, offrendo loro potere clientelare e finanziario per rafforzare i propri gruppi.
Anche se non vi furono accordi diretti con i notabili democristiani, quest’ultimi non si opposero agli appoggi forniti dalla “onorata società”. Del resto, sia molti proprietari agrari che la borghesia delle professioni e della burocrazia, entrati in massa nel partito di governo, avevano rapporti strettissimi con ambienti mafiosi. Insomma, accettare i voti della mafia significava, in fondo, accettare l’appoggio della società che contava.
Del resto, la dirigenza nazionale DC improntò sempre i propri rapporti con i quadri siciliani delegando a essi ogni questione locale, chiedendo in cambio soltanto il risultato elettorale e gli appoggi politici. Per questo la mafia ebbe gioco facile nel legare a sé prima amministratori locali e poi anche politici nazionali.

Per saperne di più
Atti Parlamentari, Discussioni Senato della Repubblica, Seduta CCXXXI del 25 giugno 1949.
Camilleri A., Vecchie storie di Mafia e DC, in “la Repubblica” del 23 novembre 1999.
Dickie J., Cosa Nostra. Storia della Mafia siciliana, Roma-Bari, Laterza, 2008.
Ginsborg P., Storia dell’Italia dal dopoguerra ad oggi, Torino, Einaudi, 2006.
Marino G.C., Storia della Mafia, Newton & Compton, 1998.
Ministero Interno, Archivio Storico delle Elezioni, Elezioni del 18 aprile 1948.
Novelli E., Le elezioni del Quarantotto. Storia, strategie e immagini della prima campagna elettorale repubblicana, Roma, Donzelli, 2008.
Pantaleone M., Mafia e politica. All’origine di “cosa nostra”, Milano, Res Gestae, 2013.