LA TRATTA DELLE BIANCHE A FINE OTTOCENTO

di Michele Strazza -

 

Fenomeno inizialmente sottovalutato, prese piede insieme ai grandi flussi migratori verso le Americhe. Proprio il trasferimento della vittima, il “traffico”, quasi fosse una merce da trasporto, era la peculiarità della fattispecie, differenziandola dal semplice sfruttamento della prostituzione.

La cornice storica del fenomeno era rappresentata da quella che fu definita “la prima globalizzazione”, quando, cioè, si realizzò un vasto avvicinamento degli Stati dovuto, principalmente, allo sviluppo dei mezzi di comunicazione, dalle ferrovie alla navigazione. Lo stesso nuovo mercato del lavoro, con la pressante richiesta di manodopera a basso costo, finiva col favorire lo spostamento di grandi masse di persone alla ricerca di un’occupazione.
Di qui la partenza di migliaia di ragazze per lavori come domestiche, cameriere od operaie. Ma, spesso, arrivate a destinazione queste giovani donne erano risucchiate, in un modo e nell’altro, nel giro della prostituzione. Senza più alcun legame familiare e in condizioni economiche precarie, esse facilmente venivano adescate dai trafficanti di carne umana per destinarle ai mercati del sesso, non solo europei ma anche americani e africani.
A tale riguardo, si ricorda la testimonianza del diplomatico italiano Raniero Paulucci di Calboli che, in un saggio sulla Nuova Antologia, denunciò sedicenti «uffici d’emigrazione» i quali avevano impiantato una vera e propria «tratta regolare di ragazze per l’Egitto», mentre «alcuni speculatori appartenenti alla numerosa classe dei lenoni e degli sfruttatori di
donne», approfittando del terremoto calabrese del 1894, inducevano giovani donne a emigrare in Egitto come domestiche per poi finire nelle mani della malavita.
Purtroppo, anche un fenomeno così drammatico presto venne sfruttato dalla stampa dell’epoca, producendo mitizzazioni e ricostruzioni fantastiche le quali, intrecciando realtà e fantasia, ebbero, tuttavia, il benefico effetto di sensibilizzare l’opinione pubblica agli aspetti drammatici di questo crimine.

Fu la Gran Bretagna la prima a intraprendere significative iniziative per combattere “la Tratta”. Gruppi di filantropi diedero vita, nel 1885, a una campagna abolizionista con la creazione della National Vigilance Association, premendo sul governo di Sua Maestà per un intervento normativo.
Ma questa associazione non si limitò alle azioni interne al Regno Unito. Avendo ben compreso la dimensione “internazionale” dell’orrendo crimine, i filantropi d’oltremanica chiesero un coordinamento tra gli Stati. Una serie di incontri internazionali, poi, portò alla fondazione, nel 1899, dell’Ufficio Internazionale contro il traffico di schiave, strutturato in singoli comitati nazionali.
Contemporaneamente anche diversi governi inserirono nelle legislazioni nazionali norme dirette al contrasto della Tratta. Così in Germania, nel 1897, grazie all’iniziativa di alcuni deputati, fu introdotta nella legge sull’emigrazione la pena della reclusione da 2 a 5 anni, oltre la sanzione pecuniaria da 150 a 6.000 marchi, per chi induceva una donna, dissimulando fraudolentemente la propria reale intenzione, a emigrare con lo scopo di condurla alla prostituzione.
E tuttavia, si dovette attendere la conferenza di Parigi del 1904, alla presenza di delegati ufficiali dei governi e di rappresentanti delle diverse associazioni, per una prima normativa internazionale contro la tratta di donne e minori.
Il 18 maggio 1904 venne, infatti, firmato l’Accordo internazionale inteso a garantire una protezione efficace contro il traffico criminale conosciuto sotto il nome di tratta delle bianche. L’obiettivo, come si legge nel Preambolo, era quello di assicurare protezione contro i trafficanti «alle donne maggiorenni, indotte al mal costume coll’inganno e colla forza, nonché alle donne o fanciulle minorenni».
Dal testo normativo emergeva una netta differenza tra donne maggiorenni e ragazze minorenni. Per le prime la protezione era accordata solo se indotte alla prostituzione con l’inganno o con la violenza. Per le seconde, invece, ciò avveniva in ogni caso, ritenendo irrilevanti le circostanze di un qualsiasi consenso di esse.

Uno degli aspetti importanti dell’Accordo era costituito sicuramente dal conseguente impegno dei singoli Stati. Precisava, infatti, l’art. 2: «Ciascuno dei governi si obbliga a far esercitare vigilanza, allo scopo di ricercare, specialmente nelle stazioni, nei porti di imbarco e durante il viaggio, i conduttori di donne e fanciulle destinate alla prostituzione».
Nella Seconda Conferenza di Parigi del 4 maggio 1910 venne firmata una seconda convenzione internazionale. L’art. 1 recitava: «Chiunque, allo scopo di favorire l’altrui libidine, arrola, sottrae o rapisce una donna o una fanciulla minorenne sia pure col loro consenso, deve essere punito anche se i vari atti che sono elementi costitutivi del reato siano commessi in diversi Stati».
Il successivo art. 2 specificava ulteriormente: «Chiunque, con inganno, violenza, minaccia, abuso di autorità o altro mezzo di costrizione, arrola, sottrae o rapisce, per favorire l’altrui libidine, una donna o una maggiorenne deve essere punito anche se i diversi atti che sono elementi costitutivi del reato siano commessi in diversi Stati».
Come si vede, la configurazione del reato era rappresentata da tre diverse fasi (adescamento, traffico, sfruttamento nel paese di destinazione), ma apparì subito chiaro che questa impostazione non poteva essere esaustiva, escludendo chi, pur non essendo inizialmente destinata alla prostituzione, poi ne cadesse vittima soprattutto per la propria situazione di indigenza. Senza dimenticare le numerose donne sedotte per poi essere abbandonate spesso in piena gravidanza.
Pur con la sua complessità “la tratta delle bianche” costituiva sicuramente un nuovo reato, composto di fasi diverse e caratterizzato dall’allontanamento della vittima dal suo luogo di origine. Proprio il trasferimento della vittima, il “traffico”, quasi fosse una merce da trasporto, era la peculiarità della fattispecie, differenziandola dal semplice sfruttamento della prostituzione. Secondo la definizione di Paulucci di Calboli del 1902 si trattava di «un nuovo reato a fisionomia particolare» senza gli elementi del ratto o del lenocinio, ma con lo stesso scopo.

Anche il movimento femminista si interessò al problema. Una delle esponenti francesi di punta, Ghénia Avril de Sainte-Croix, nel suo La Traite des Blanches denunciò lo sfruttamento di donne provenienti soprattutto dall’Est europeo per alimentare i mercati del sesso a Parigi.
Tra le organizzatrici del “Conseil National des Femmes Francaises”, fu fortemente impegnata, negli anni Venti e  Trenta, nel comitato consultivo della Società delle Nazioni che si occupò proprio della tratta di donne e minori. Così ne sottolineava la dimensione internazionale: «La tratta delle bianche con i suoi innumerevoli intermediari e i suoi “banchi” previsti ovunque, è un commercio molto difficile da reprimere. Ha la particolarità che inizia in un paese, prosegue in un altro per finire generalmente in un terzo. Estremamente internazionale nel suo modo di procedere, la tratta richiede delle misure internazionali per essere repressa».
In definitiva, l’aumento costante dei flussi migratori, dalla seconda metà dell’Ottocento ai primi due decenni del nuovo secolo, contribuì sicuramente all’espansione della tratta. Lo spostamento di ingenti masse di proletariato per la richiesta di manodopera non qualificata favorì anche l’espandersi dei fenomeni criminali concentrati sui mercati della prostituzione. E furono proprio gli scali marittimi i punti di partenza per le ragazze adescate con false promesse e indirizzate ai bordelli di oltre oceano.

Con la nascita della Società delle Nazioni il 28 aprile 1919, anche la lotta alla “Tratta” avrebbe assunto una impostazione giuridica più incisiva.
La Prima Conferenza Internazionale contro la Tratta, organizzata proprio dal Consiglio della Società delle Nazioni, tenutasi a Ginevra dal 30 giugno al 5 luglio 1921, con la partecipazione di 35 Stati, segnò una ripresa delle tematiche sul traffico delle donne dopo la parentesi del primo conflitto mondiale. Venne, infatti, ribadita la necessità di un sistema omogeneo nelle diverse Nazioni fondato sulla ratifica dei due accordi precedenti di Parigi del 1904 e del 1910, come base per una più proficua collaborazione internazionale indirizzata alla repressione del fenomeno criminale. I governi vennero, infine, invitati a introdurre nella propria legislazione penale normative in linea con le Convenzioni citate.
La consapevolezza di una azione comune era stata finalmente raggiunta. Forse non sarebbe bastata ma costituiva un importante punto di partenza per il futuro. E la successiva redazione, il 30 settembre dello stesso 1921, della Convenzione internazionale per la repressione della tratta delle donne e dei fanciulli, ne fu la prova.

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Per saperne di più

Accordo internazionale inteso a garantire una protezione efficace contro il traffico criminale conosciuto sotto il nome di tratta delle bianche, Parigi, 18 maggio 1904.

Convenzione internazionale per la repressione della tratta delle bianche, conclusa a Parigi il 4 maggio 1910.

Ghénia Avril de Sainte-Croix, La Traite des Blanches, Parigi, 1901. Riportato in “DEP. Deportate, esuli, profughe”, n. 40, 2019.

Raniero Paulucci di Calboli, La tratta delle ragazze italiane, in “Nuova Antologia di scienze, lettere ed arti”, n. 98 (1902).

Raniero Paulucci di Calboli, Lacrime e sorrisi della emigrazione italiana, Milano, Mondadori, 1996.

Kevin H. O’Rourke – Jeffrey G. Williamson, Globalizzazione e storia. L’evoluzione dell’economia atlantica nell’Ottocento, Bologna, Il Mulino, 2005.

Rachael Attwood, Stopping the Traffic. The National Vigilance Association and International Fight against the “White Slave” Trade (1899-c.1909), in “Women’s History Review”, n. 24 (2015).