LA SVEZIA: DAL MARESCIALLO BERNADOTTE A IKEA

di Massimo Iacopi -

Più di due secoli anni fa il maresciallo napoleonico Bernadotte diventa principe ereditario di Svezia. Il suo regno apre un’era di pace favorevole a un’eccezionale sviluppo economico e sociale del Paese scandinavo. Giunto fino ai giorni nostri.

 

Il modello scandinavo affascina ancora l’Europa. Norvegia, Finlandia, Danimarca e Svezia occupano i primi posti nelle classifiche economiche e sociali, al punto da costituire un significativo punto di riferimento per l’Occidente. L’inizio di questo circolo virtuoso resta però un mistero. Recenti ricerche suggeriscono un punto di partenza molto più precoce rispetto allo sviluppo della seconda metà del XIX secolo, periodo riconosciuto dalla storiografia tradizionale. Tutto è avvenuto negli anni 1810-40, allorché la Svezia passò dallo statuto di vecchia potenza bellicosa e decaduta a quello del modello sociale ideale fondato sulla pace. A partire dal 1810, alle dinastie di sovrani guerrieri che avevano spossato le forze vive del loro Paese in pericolose avventure militari, successe una dinastia dedita allo sviluppo economico del regno: i Bernadotte.

Carlo XII di Svezia

Carlo XII di Svezia

La Svezia, a partire dalla sconfitta di Carlo XII nel 1709 con la Russia, inizia un lento declino sulla scena internazionale. Cento anni più tardi, nel 1809, perde la Finlandia. Il sogno svedese di dominio del Baltico, iniziato sotto il regno di Gustavo II Adolfo Vasa nel 1611, si trasforma in un incubo. Il Paese risulta spossato da circa duecento anni di conflitti. Fra il 1630 e il 1720 erano morti 300 mila soldati, un salasso considerevole per un popolazione che contava allora circa 1,5 milioni di abitanti. E nonostante tutto la nobiltà svedese non aveva alcuna intenzione di abbandonare i ricchi feudi dell’est.
Dopo aver destituito nel 1809 il re Gustavo IV, giudicato responsabile delle ultime sconfitte, i nobili, tornati ad avere un’influenza sulle cose dello stato, mettono sul trono lo zio del sovrano, il vecchio Carlo XII, secondo le regole della monarchia elettiva e costituzionale in vigore dal 1718. Questa soluzione viene considerata da tutti di transizione, proprio perché il venerabile sovrano, di salute cagionevole, non aveva eredi diretti. Un giovane principe danese, Cristiano Augusto d’Augustenburg, diventa a quel punto il successore designato. Ma il principe muore improvvisamente nel 1810 per una caduta da cavallo, evento che porta alla ricerca di un nuovo condottiero per vendicare l’umiliante Trattato di Fredrikshamm, imposto alla Svezia dalla Russia.

Ha inizio a questo punto l’incredibile destino nordico di Jean Baptiste Bernadotte, originario di Pau, nel sud della Francia. Fra i diplomatici inviati in Francia per sentire il parere di Napoleone sulla successione di Carlo XIII, figura il barone Mörner, che sostiene la candidatura di Bernadotte, del quale era diventato amico a Lubecca nel 1806. In effetti il maresciallo napoleonico, oltre ad essere un rispettato comandante militare, aveva trattato con molto riguardo i prigionieri svedesi in occasione della campagna del 1806, invitando Mörner alla sua tavola per parlare della Scandinavia e restituendo i cavalli ed i bagagli a tutti gli altri ufficiali.
Questi uomini, in effetti, saranno poi quelli che contribuiranno alla fama di Bernadotte a Stoccolma, preparando in tal modo il terreno per la sua candidatura. Tuttavia, gli Svedesi ignoravano che il loro candidato avesse dei difficili rapporti con Napoleone, il quale, nei riguardi del Bernadotte, manteneva sin dal 18 Brumaio complesse relazioni fatte di diffidenza e di gelosia. Bernadotte, in ogni caso, accetta questa inattesa proposta e riesce a convincere Napoleone sui vantaggi di questa soluzione: fino a quel momento la Svezia era stata sempre alleata con i nemici della Francia rivoluzionaria ed imperiale.

Carlo XIV Giovanni

Carlo XIV Giovanni

Il 21 agosto 1810, Bernadotte viene eletto principe ereditario dal Parlamento svedese. Da cattolico, egli si converte immediatamente alla religione ufficiale del regno, il luteranesimo; sceglie come nome Carlo Giovanni, in omaggio al sovrano in carica, giurando di difendere gli interessi della sua nuova patria, anche davanti a Napoleone.
Bernadotte, fine diplomatico, capisce immediatamente i nuovi rapporti di forza che reggono il mondo nordico. Sceglie di riavvicinarsi allo zar Alessandro I e stipula con il monarca russo un’alleanza segreta nell’aprile 1812, a seguito dell’occupazione della Pomerania da parte delle truppe francesi. Dopo aver prudentemente osservato la ritirata di Russia, egli prende parte alla campagna del 1813 contro la Francia alla testa dell’esercito del Nord (composto da contingenti svedesi, russi e prussiani). Ottimo conoscitore della tattica napoleonica, il sovrano svedese partecipa nell’ottobre alla battaglia di Lipsia, contribuendo in tal modo alla sconfitta dell’imperatore francese.
Forte del successo ottenuto egli annette la Norvegia sottratta alla Danimarca, rimasta fedele all’alleanza francese. Di fronte alla resistenza norvegese, Bernadotte conduce una breve campagna militare nel 1814 evitando di distruggere le modeste forze di questo secondo regno che gli è stato promesso. Egli riesce persino a farsi eleggere re di Norvegia dai delegati del popolo ed accetta di rispettare la Costituzione di Eidsvold, proclamata dagli indipendentisti. Nel 1815, durante il Congresso di Vienna, grazie all’amicizia di Alessandro I e l’appoggio dell’Inghilterra e nonostante le reticenze di Prussia e Austria che diffidano di questo plebeo dal passato repubblicano, il principe Carlo Giovanni, ovvero Bernadotte, riesce a conservare il suo titolo. Tre anni più tardi, nel 1818, alla morte di Carlo XIII, egli diventa Carlo XIV Giovanni di Svezia e Norvegia.

Una chiusa lungo il canale di Göta

Una chiusa lungo il canale di Göta

L’opera di questo sovrano supera largamente la stabilizzazione geopolitica immediata dell’Europa del nord. Con il suo regno si apre un’epoca di pace di due secoli. Carlo XIV Giovanni conosce il costo delle guerre e i suoi orrori e preferisce quindi puntare sulla neutralità della Svezia e assicurare il suo sviluppo economico e sociale. Tutto ciò non senza secondi fini. In effetti, l’avvenire della sua dinastia viene senza sosta contestato dalle grandi famiglie della vecchia aristocrazia europea. Bernadotte incontra notevoli difficoltà a far sposare suo figlio Oscar, nato in Francia nel 1799, a una principessa degna del suo rango. Alla fine, il suo principale sostegno, dopo la morte dello zar Alessandro I nel 1825, rimarrà la fedeltà dei suoi popoli: svedesi e norvegesi. Il sovrano dà inizio a una azione di risanamento delle finanze dello stato, fortemente indebitato dalle ripetute guerre. Riesce ad economizzare notevoli somme, circondandosi di una corte decisamente non fastosa, preferendo delle residenze secondarie – come quella di Rosendal, nell’isola di Djugarden a est di Stoccolma – al vasto palazzo centrale di Kungliga Slottet. Egli si dedica soprattutto a valorizzare le notevoli risorse dei suoi vasti territori, incoraggiando l’agronomia, lo sfruttamento razionale delle foreste, la produzione di utensili di ferro e lo sviluppo dei trasporti. La grande opera del suo regno resta lo scavo del Canale di Göta, che consente di passare dal Baltico al Mare del Nord, aggirando il canale del Sund, sotto controllo danese.

Bernadotte, impregnato di idee fisiocratiche e santsimoniane, conta sullo stimolo dei trasporti e degli scambi per dare inizio allo sviluppo economico dei suoi stati. Dagli anni 1820-30, la Svezia, e quindi la Norvegia, esportano prodotti dal valore aggiunto sempre crescente, passando dai tronchi d’albero alle navi in legno e dal minerale di ferro agli utensili e alle macchine. In tal modo la Svezia e la Norvegia rurali si convertono progressivamente all’industrializzazione.
Alla proto-industria tessile classica si aggiunge una moltitudine di piccole forge sempre più specializzate, che si affiancano alla tradizionale industria del legno. La bilancia commerciale diventa eccedente e nel 1832 la moneta svedese, la corona, diventa nuovamente convertibile in argento. La Svezia si dota a quel punto di un sistema bancario efficace, apportando frequentemente il suo sostegno all’industria sul modello della prima banca d’affari fondata nel 1856 da Andrea Oscar Wallenberg, la Stockholm Enskilda Bank.

Panorama di Stoccolma nel 1868

Panorama di Stoccolma nel 1868

La Svezia e la Norvegia vengono risparmiate dalle violente crisi sociali e politiche legate all’industrializzazione ed alle rivendicazioni nazionali e liberali degli inizi del XIX secolo. Questo si spiega indubbiamente con l’assenza di grandi concentrazioni operaie, ma anche per le forti solidarietà connesse alle tradizioni rurali di mutuo soccorso, in questi paesi dai lunghi inverni e dalla popolazione dispersa in un vasto territorio. Il luteranesimo, religione ufficiale in pieno rinnovamento, grazie all’influenza dei movimenti popolari esercita ugualmente una forte influenza sulle comunità, invitandole alla frugalità e alla temperanza, come lo dimostra con grande senso umoristico la novella di Karen Blixen Il pranzo di Babette (1934).
Non bisogna però sottovalutare il ruolo del sovrano in questa epoca di pace sociale. Carlo XIV Giovanni non cessa di percorrere i suoi regni, di ascoltare i suoi sudditi in udienza e di venire in aiuto delle vittime di luttuosi eventi, come nel caso dell’incendio di Stoccolma del 1838, sui cui luoghi il sovrano si reca immediatamente nella stessa notte, nonostante l’età avanzata. Egli finanzia con risorse personali diverse opere di beneficenza. Nel 1843, a 80 anni, festeggia in pubblico il 25esimo anniversario di regno.

Oscar I di Svezia

Oscar I di Svezia

Nonostante qualche misura liberale nei confronti della Norvegia (accorda alle navi norvegesi il diritto di battere una loro bandiera), la fine del suo regno è segnata da un conservatorismo crescente e saranno soprattutto le riforme del figlio Oscar, che gli succede nel 1844, che faranno di Stoccolma una delle rare capitali che non saranno toccate dalla rivoluzione europea della primavera del 1848. La sua educazione svedese gli permette non solo una perfetta padronanza della lingua (suo padre non aveva potuto mai fare a meno di un interprete), ma anche una base di modestia e di discrezione tali da piacere alla società scandinava. Le riforme di Oscar gettano allora le prime basi per un armonioso sviluppo economico e sociale.
Dal 1842 l’insegnamento primario diviene obbligatorio e la Svezia entra rapidamente a far parte del gruppo dei paesi più alfabetizzati d’Europa. I diritti politici progrediscono meno rapidamente ma saldamente e nel 1860 viene sancita la libertà religiosa. La libertà d’impresa e il libero scambio trionfano a partire dal 1864 e l’anno seguente un abbassamento considerevole del censo offre il diritto di voto a un terzo della popolazione maschile, mentre le donne beneficiano del diritto di voto a livello comunale.
Ma il sogno scandinavo di Oscar – un’alleanza fra Svedesi, Danesi e Norvegesi – non resiste al cosiddetto “affare dei Ducati”. Quando nel 1863 suo figlio Carlo XV ipotizza un intervento a sostegno della Danimarca di fronte alla Prussia, che aspira ai ducati di Schleswig e Holstein, egli viene abbandonato dai suoi ministri. La Svezia abbandona i Danesi, determinando in tal modo la fine di un progetto di unione dei popoli scandinavi.
Durante il lungo regno di Oscar II (1872-1907), fratello cadetto di Carlo XV, la Svezia si concentra pertanto sullo sviluppo economico interno. La popolazione passa da 4 a 5 milioni di abitanti, nonostante l’emigrazione di un milione di persone, essenzialmente verso gli Stati Uniti. Questo movimento migratorio si spiega con l’aumento del numero di mezzadri e operai agricoli (gli stretti legami fra gli USA e la Svezia derivano in gran parte da questo esodo massiccio). Questa valvola di sicurezza evita una crisi agraria in un paese ancora popolato nel 1900 dal 75% di agricoltori.
Alla fine del XIX secolo iniziano a comparire i grandi stabilimenti, in particolare a Stoccolma, che conta 300.000 abitanti nel 1900. La rivoluzione industriale svedese si rivela pertanto duale, determinando uno sviluppo precoce delle piccole imprese rurali quindi il rapido sviluppo del sistema industriale urbano.

Il leader socialdemocratico Albin Hansson

Il leader socialdemocratico Albin Hansson

La comparsa di una classe operaia, stimata a circa 300.000 persone nel 1911, e quella dei primi sindacati facilitano la nascita nel 1889 del Partito Socialdemocratico Svedese (SAP), quindi della potente confederazione dei sindacati (LO) nel 1898. Questi primi sindacati hanno origine presso le miniere di ferro, nella siderurgia e nelle industrie del legname, in pieno sviluppo in quel momento. La socialdemocrazia svedese, come in Germania, viene fondata sull’alleanza stretta fra il partito e il sindacalismo, attraverso l’esistenza di numerose organizzazioni parallele, inquadranti, in particolar modo, le donne e la gioventù ma anche attraverso l’attività parlamentare.
La Svezia si dota in tal modo del più potente partito socialdemocratico d’Europa: più del 90% degli operai sono iscritti alla LO, che fornisce i due terzi del reclutamento del partito socialdemocratico (SAP). Questo ottiene il suo primo successo elettorale nel 1911, dopo l’introduzione del voto a suffragio universale maschile, quasi completo. Dopo diversi violenti conflitti, fra i quali il tentativo di uno sciopero generale nel 1909, che fallisce dopo tre mesi di mobilitazione e di resistenza dei lavoratori, ha inizio l’era dei grandi negoziati consensuali. E’ sempre attraverso il negoziato che la Norvegia ottiene nel 1905 la sua indipendenza.
La Svezia approfitta anche della propria condizione di neutralità durante la Prima Guerra mondiale per arricchirsi e modernizzarsi. Nel 1920 la riforma elettorale allarga il diritto di voto alle donne. Nello stesso anno il leader socialdemocratico Hjalmar Branting entra nel governo; sotto il suo impulso il partito socialista svedese conosce i maggiori successi.
La crisi di riconversione dell’economia mondiale viene superata attraverso una politica di grandi lavori pubblici che porta i suoi frutti nel 1922. Nel 1928, l’idea di “casa comune” (folkhemmet), senza privilegiati né esclusi, prende corpo sotto la direzione di Albin Hansson. Tale politica si appoggia sia sulla tradizione rurale di solidarietà che sul pensiero socialista. Il partito socialdemocratico, con i suoi alleati, conquista la maggioranza alla Camera bassa nel 1932; da quel momento governerà praticamente senza interruzioni fino ai nostri giorni, instaurando uno welfare di stato che si prende carico dei cittadini dalla culla alla tomba.

Gunnar Myrdal con la moglie nel 1934

Gunnar Myrdal con la moglie nel 1934

Uno dei principali teorici del welfare state svedese è l’economista Karl Gunnar Myrdal, senatore socialdemocratico negli anni 1930, quindi ministro del Commercio e dell’Industria dal 1945 al 1947. Egli sviluppa il concetto di una “armonia creata” o “costruita”, per opposizione all’armonia spontanea che deriva dalla “mano invisibile”, definita da Adam Smith. Mescolando l’eredità della ragione dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese del 1789, le esigenze di condivisione del socialismo e la tradizione scandinava, Myrdal e gli altri pensatori del partito socialdemocratico inventano allora un modello che struttura la storia svedese.
Nel 1950, viene messo in opera l’essenziale di una protezione sociale generalizzata: pensioni che consentono una reale autonomia, assegni familiari, un sistema sanitario per tutti, aiuto agli handicappati… Le imposte finanziano queste riforme e l’insieme dell’operazione supera ben presto la metà del PIL nazionale.
Lo stato “provvidenza” svedese funziona molto meglio che in Inghilterra, basandosi su un senso civico molto elevato e sui profitti crescenti delle imprese. La Svezia, come tutti i paesi ad economia di mercato, conosce durante i “Trenta Gloriosi” un periodo di crescita eccezionale, fondata essenzialmente sulle nuove tecnologie: in tal modo la produttività dell’industria progredisce dell’8% all’anno fra il 1960 e il 1965.
Il modello svedese deve molto all’accettazione precoce del dinamismo capitalista da parte dei socialdemocratici: dalla sua fondazione, nel 1889, il partito aveva respinto la via rivoluzionaria. Senza la creazione di SKF, ABB, Volvo, Saab, Ikea o Eriksson, il welfare state svedese non avrebbe mai potuto finanziare i suoi progetti.

Ingvar Kamprad, fondatore di Ikea

Ingvar Kamprad, fondatore di Ikea

In effetti, l’equilibrio generale si basa sui forti prelevamenti effettuati su tutte le entrate e sul lavoro, ma anche sui profitti delle imprese, senza peraltro far loro perdere la vitalità. Dietro il grande mercato svedese, esiste anche un vivaio di capitani di industria in costante rinnovamento e sempre tenuto in considerazione dal governo: da Bernadotte a oggi.
L’idea è che tutti questi impresari lavorano per il “bene comune”, permeando di sé una buona parte della società scandinava, sensibile alle influenze liberali anglo-sassoni. Al punto tale che negli anni 1960-80, l’ala sinistra del partito democratico accusa i suoi ministri di incontrare troppo spesso il patronato prima di proporre nuove leggi. Sul piano contabile, i gruppi industriali devono imperativamente rispettare i grandi principi della ridistribuzione delle ricchezze attraverso le tasse. Tuttavia, il tasso di prelevamento sulle più alte aliquote fiscali diventa difficilmente accettabile quando raggiunge l’80%; ma, nonostante le contestazioni, il sistema non è stato rimesso in discussione dalla maggioranza degli abitanti.
Il caso Ikea è a suo modo esemplare. Ingvar Kamprad, il patron della grande azienda di mobili si insedia in Svizzera nel 1976 per sfuggire al fisco. Pur tuttavia il suo percorso personale costituisce un modello ideale: figlio di contadini poveri, egli aveva fondato la sua impresa dal 1943 creando un acronimo a partire dalle sue iniziali (IK), dal nome della sua fattoria di famiglia (Almtaryd) e di quel del suo villaggio natale (Agunnaryd). Il suo esilio costituisce un elettroshock che favorisce le riforme fiscale degli anni ‘80 che limitano l’aliquota massima di imposta al 50% delle entrate.

Il miracolo svedese si radica lontano nel passato: esso è in primo luogo il frutto di due secoli di pace e di una politica economica pragmatica. Gli investimenti accumulati a partire dal 1810 nella grande infrastrutture e nell’educazione, associato allo sviluppo delle libertà politiche e di impresa, spiegano la capacità di rinnovamento del modello.
Il movimento lanciato da Jean Baptiste Bernadotte ha portato la Svezia e i suoi vicini a dominare tutte le classifiche che riguardano il livello di sviluppo da una cinquantina d’anni. Nel 1960 la Svevia possedeva il PIL per abitante più elevato dell’Europa. Fra il 1975 ed il 2007, il suo indice di sviluppo umano risulta sempre fra i primi a livello mondiale. Il sistema scolastico svedese, come quello degli altri paesi scandinavi, occupa le migliori posizioni nelle classifiche internazionali, senza il quale il miracolo economico e sociale sarebbe stato difficile da comprendere.
Tuttavia il consenso svedese si tinge a volta di nazionalismo, come, ad esempio, nei discorsi di Bernadotte, che metteva in grande risalto i valori vichinghi del coraggio e della solidarietà. Questa relativa auto-celebrazione e il risorgere periodico del vecchio sogno panscandinavo spiegano in parte la tardiva adesione della Svezia all’Unione Europea nel 1994.
Ma la coesione sociale, associata a una buona cultura generale economica degli abitanti, si rivela particolarmente efficace per fare fronte alle nuove sfide che questa società avanzata deve affrontare prima di tutte le altre. Ad esempio, la riforma delle pensioni. Iniziata da 20 anni si sta rivelando meno dolorosa di quella che viene oggi ipotizzata negli altri stati dell’Unione e costituisce un riferimento per molti governi europei. Essa si basa sulla semplicità, l’uniformità, la logica di crescita della speranza di vita, l’equità e la solidarietà che garantisce un’entrata minima per ciascuno. Soprattutto, questa riforma è stata intelligentemente discussa e la popolazione svedese l’ha fatta sua come la maggior parte degli sviluppi nazionali anteriori.
In ogni caso gli effetti della crisi economica mondiale non hanno risparmiato neanche la Svezia, che deve rivedere i conti delle sue spese sociali. Con le sue 40 ore settimanali di lavoro, cinque settimane di vacanze, il welfare state svedese non riscuote più l’unanimità dei consensi e per quanto concerne l’accesso limitato alle cure esso risulta ormai decisamente meno generoso che in altre parti d’Europa.

Per saperne di più
Franck Favier, Bernadotte, un maréchal d’Empire sur le trône de Suède – Ellipses, 2010
Michael Roberts, The Age of Liberty: Sweden 1719-1772 – Cambridge University Press, 2003.
Sergio Finardi, La trasformazione in Svezia – Editori Riuniti, 1982.
Jörgen Weibull, Storia della Svezia – Svenska Institutet, Stockholm, 1996.
Paolo Borioni, Svezia – Edizioni Unicopli, Milano, 2005.
Walter Korpi, Il compromesso svedese, 1932-1976. Classe operaia sindacato e Stato nel capitalismo del Welfare – De Donato, Bari, 1982.