LA SITUAZIONE SANITARIA A ROMA NEL 1943-1944

di Daniela Carnovale -

Già gravate dall’assistenza ai feriti militari, le strutture sanitarie della capitale dovettero far fronte anche all’emergenza causata dai bombardamenti. Tra carenze di posti letto e di medicinali, un aiuto importante arrivò dai volontari.  

Oltre ai drammi della guerra e alle durissime persecuzioni antiebraiche, Roma fu segnata anche da ore molto critiche sul versante dell’assistenza sanitaria. Si arrivò a un momento nel quale non si riuscì più a ricoverare all’interno degli ospedali i feriti che provenivano dai diversi fronti (nord-Africa, Russia, Grecia, Albania…), e i cittadini rimasti gravemente colpiti dagli effetti dei bombardamenti. Si dovettero così adottare delle decisioni straordinarie, e fu chiesto ai cittadini un aiuto volontario per garantire i primi soccorsi e la successiva assistenza.

La Sanità militare

L'ospedale Regina Elena colpito dalle bombe, luglio 1943.

L’ospedale Regina Elena colpito dalle bombe, luglio 1943.

Nell’Urbe la Sanità militare, in particolare, aveva come struttura base l’ospedale militare ‘Celio’. Tale complesso era stato inaugurato nel 1891. Nei giorni successivi all’armistizio dell’8 settembre 1943, venne a trovarsi nella zona dei combattimenti. Il personale si attivò nella cura, e nella ricerca e trasporto dei feriti e delle salme che si trovavano nei luoghi degli scontri. Durante le incursioni aeree alleate, e le fasi dello sbarco anglo-americano e canadese avvenuto ad Anzio[1], ambulanze del ‘Celio’ trasportarono feriti nel nosocomio malgrado le criticità esistenti in quelle ore. Unitamente a ciò, la Sanità militare poté contare anche sull’apporto offerto dal Sovrano Militare Ordine di Malta. Quest’ultimo, tramite il proprio Corpo speciale volontario ausiliario dell’Esercito, operò anche a Roma attivandosi con un ospedale[2] e con sei posti di soccorso[3] (oltre a due centri dislocati ad Anzio e presso il santuario del ‘Divino Amore’ in zona Castel di Leva).

Alcune vicende

Piccoli pazienti ricoverati al Bambino Gesu,1943.

Piccoli pazienti ricoverati al Bambino Gesu,1943.

Sul piano ospedaliero l’Urbe poteva contare sul Pio Istituto di Santo Spirito ed Ospedali riuniti di Roma (inizio attività nel 1896). Le esigenze della popolazione però aumentavano. Così, il 28 ottobre del 1929 venne inaugurato da Mussolini l’ospedale del ‘Littorio’ (attuale ‘San Camillo’). L’evento costituì un fatto significativo perché l’assistenza ospedaliera nell’Urbe necessitava di un rafforzamento. In quel momento il complesso poteva disporre di circa mille posti letto. Da considerare che non erano ancora ultimati il ‘Marchiafava’, la Maternità (1935) e il padiglione cardiologico (1957). L’organico era costituito da 86 medici, quattro farmacisti, 194 Infermieri, sessanta suore, due cappellani e 105 ausiliari.
Nel 1936 venne inaugurato nella vasta zona ove già sorgeva il nosocomio del Littorio un nuovo complesso sanitario. Fu intitolato al biologo Lazzaro Spallanzani.[4] I posti letto erano 296, distribuiti in quindici padiglioni. La struttura copriva un’area di 134mila m2. Al personale che vi operava furono affidati i compiti della prevenzione, diagnosi e cura delle malattie infettive. Si dedicò poi una sezione dell’ospedale alla cura e riabilitazione della poliomielite.
Nel 1939, all’inizio del secondo conflitto mondiale, fu diramato l’ordine di mobilitazione per tutti i Corpi Sanitari, incluso quello militare della Croce Rossa Italiana, e quello delle Infermiere Volontarie. Nel 1940, mentre si mobilitava ogni risorsa afferente all’assistenza sanitaria, il Corpo della C.R.I. si trovò ad affrontare molteplici esigenze che ne richiedevano il supporto: ospedali militari, ospedali da campo, treni e navi ospedale, ospedali extra territoriali. Unitamente a ciò venne attivata la struttura per la protezione sanitaria antiaerea ed antigas.[5]
In seguito, con il trascorrere del tempo, come conseguenza degli scontri bellici avvenuti in molteplici territori, cominciò ad affluire in Italia, e nella stessa Urbe, un considerevole numero di feriti.
A Roma, i posti letto nei nosocomi erano ormai tutti occupati. Per tale motivo fu necessario adibire delle scuole pubbliche a centri ospedalieri provvisori. Un presidio si trovava, ad esempio, presso il Convitto Nazionale ‘Vittorio Emanuele II’. Un altro era collocato nei locali del liceo ‘Virgilio’ (via Giulia). Proprio in tale struttura svolse attività di infermiera volontaria (crocerossina) la mamma dello storico della Chiesa prof. Pier Luigi Guiducci (Valentina Nardoni).
A tale realtà critica si aggiunse il fatto che cominciarono a diminuire le scorte di medicinali e di plasma. Gli stessi interventi chirurgici non disponevano dei mezzi oggi largamente in uso. L’assistenza protesica rimaneva deficitaria. La penicillina[6] (utilizzata contro le infezioni batteriche) e la streptomicina (fu uno dei primi antibiotici ad essere usati contro la tubercolosi) furono impiegate solo con l’arrivo degli Alleati. Inoltre, le azioni di pronto soccorso erano ostacolate dagli effetti dei bombardamenti e dalla scarsità di benzina. Nel 1943 furono costituite dalla C.R.I. squadre mobili di soccorso. Quest’ultime, ebbero il loro battesimo del fuoco quando il 19 luglio 1943 Roma subì il primo bombardamento aereo. L’attacco, avvenuto in mattinata, fu condotto da quasi trecento aerei, e proseguì nel pomeriggio ad opera di altri duecento bombardieri. Incontrò solo una debole resistenza. Le quattromila bombe (circa 1.060 tonnellate) sganciate sulla città provocarono circa tremila morti e undicimila feriti, di cui 1.500 morti e quattromila feriti nel solo quartiere di San Lorenzo.
Un ‘cordone sanitario’ venne organizzato a Porta Tiburtina. Fu anche colpita la Città Universitaria. Subirono gravi danni la Clinica Medica, l’Istituto di Sanità Pubblica, le Cliniche Ortopedica, Psichiatrica e Pediatrica, l’Istituto dei Tumori ‘Regina Elena’, il Centro Rieducazione Mutilati. Il Policlinico ‘Umberto I’ venne nuovamente colpito in tempi successivi. Molti volontari accorsero per tentare di salvare quanti erano rimasti bloccati nelle macerie. Tra i soccorritori morirono ventiquattro vigili del fuoco. I documenti del tempo rivelano le difficoltà incontrate per il riconoscimento dei caduti, l’incertezza circa il conteggio esatto, e chiariscono le circostanze in cui si tentò una prima identificazione. Cessato l’allarme aereo cominciarono ad affluire negli ospedali i morti e i feriti. Gli agenti in servizio nei posti di guardia comunicarono alla questura centrale il numero delle vittime che aumentava di ora in ora.
Le salme vennero riconosciute nei nosocomi grazie ai documenti ritrovati o ai parenti e ai conoscenti che accorsero nelle corsie alla ricerca dei loro cari. Furono poi trasportate al Verano, sistemate nel piazzale interno, divise tra riconosciute e sconosciute (fotografate), e poi sepolte in fosse comuni per motivi igienici. Il tempo trascorso tra il decesso e il trasporto al cimitero non consentiva, infatti, il protrarsi delle operazioni di identificazione. L’incursione verificatosi il successivo 13 agosto si rivelò ancor più drammatica: 1500 morti, seimila feriti, diecimila case in macerie o lesionate, quarantamila romani senza casa. Nell’Urbe cessò l’erogazione della corrente elettrica, del gas e dell’acqua.
Roma venne colpita dai bombardieri alleati 51 volte. Il 12 febbraio 1944, alle 21, fu colpito anche il villino della clinica ‘Polidori’ in via Mecenate. Solo 48 ore dopo, il 14 febbraio 1944, alle 19.30, le bombe caddero sulla clinica ‘Villa Bianca’, nel quartiere Trieste. In tale occasione morirono due illustri professori: Cesare Polidori e Giorgio De Maria.

 

 

 

 

Note

[1] 22 gennaio-26 maggio 1944.
[2] A Roma nel 1941 fu installato, in soli 25 giorni, in via Monserrato l’ospedale ‘Principe di Piemonte’. 225 letti dei quali trenta riservati agli ufficiali.
[3] Piazza Monte Grappa, Tuscolano, Parioli, Nomentano, Sant’Agnese, Garbatella (Villa Pozzi). La scorta di medicinali e di latte per i bambini e gli infermi si trovava nei locali dell’Istituto delle Figlie della Carità, in via dei Bresciani n. 33.
[4] 1729-1799.
[5] Con riferimento all’assistenza ospedaliera in area metropolitana ai feriti ed ai malati in guerra, si intervenne a smistare chi doveva essere ricoverato utilizzando più sedi, e tenendo conto dei fronti di provenienza. L’assegnazione avvenne secondo questo schema: fronte greco albanese, ospedali di Foggia, Modugno, Brindisi, Lecce, Taranto; fronte africano, ospedali di Palermo, Messina, Catania, Siracusa, Agrigento; fronti vari, ospedali di Roma e di altre circoscrizioni della C.R.I., tra cui sono da ricordare gli ospedali di Bologna (VI Centro), Apuania, Massa, Arezzo, Lucca, Grosseto, Pisa, Firenze (VIII Centro).
[6] La scoperta della penicillina di Alexander Fleming nel 1928 fu inizialmente ignorata. Venne preparato un farmaco efficace solo durante la Seconda guerra mondiale, quando i ricercatori medici erano alla ricerca di un metodo di controllo delle infezioni nelle truppe.

Per saperne di più
G. Cosmacini, Medicina e sanità in Italia nel ventesimo secolo. Dalla ‘Spagnola’ alla Seconda guerra mondiale, Laterza, Bari-Roma 1989.
C. De Simone, Venti angeli sopra Roma. I bombardamenti aerei sulla Città Eterna (19 luglio 1943 e 13 agosto 1943), Mursia, Milano 1993.
A. Frezza, Storia della Croce Rossa Italiana, Poligrafico Fiorentino, Firenze 1956.
L. Piccioni (a cura), Roma in guerra, 1940-1943, in: ‘Roma moderna e contemporanea’, anno XI, 3, Università degli Studi Roma 3, settembre-dicembre 2003.
V. A. Sironi-C. Napoli, I piccoli malati del Gianicolo. Storia dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù, Laterza, Bari-Roma 2000.
‘Rivista Illustrata del SMO di Malta’, anni 1940-1945.