LA RIFORMA FASCISTA DEI COMUNI: DUE CASI ESEMPLARI

di Alfredo Incollingo -

 

Nell’ottica di una riforma delle istituzioni, il regime provvide a ridimensionare i comuni anche dal punto di vista del bacino territoriale di competenza. Le comunità più piccole vennero accorpate in entità comunali di grandi dimensioni.

Benito Mussolini iniziò a costruire il nuovo Stato fascista con un’impostazione centralista e autoritaria. Di conseguenza, le provincie e i comuni (e tutti gli enti pubblici dipendenti) erano stati man mano depauperati di buona parte delle loro funzioni per limitarne l’autonomia. Ogni decisione amministrativa dei municipi era presa dai podestà dopo aver consultato regolarmente il governo centrale.
Nell’ottica di una riforma generale delle istituzioni statali, il regime mussoliniano provvide a ridimensionare i comuni anche dal punto di vista del bacino territoriale di competenza. Le comunità più piccole, le cui amministrazioni erano di fatto di modeste dimensioni, pur essendo alle volte molto dispendiose per lo Stato, vennero accorpate in entità comunali di grandi dimensioni.
È il destino che toccò a tre comuni molisani confinanti, Rocchetta a Volturno (IS), Scapoli (IS) e Colli a Volturno (IS), all’epoca in provincia di Campobasso, e a due municipi limitrofi sulla costa laziale, Anzio e Nettuno, già in provincia di Roma.
Le aggregazioni comunali sopravvissero fino alla fine della seconda guerra mondiale e furono sciolte in seguito alla nascita della nuova repubblica italiana nel 1946. Infatti, nella nostra Costituzione (1948) si è promosso tra i primi dieci articoli il decentramento statale: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento» (art. 5).
Anche i comuni e le provincie sono stati riconosciuti come enti autonomi nella nostra Costituzione: «Le Province e i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da legge generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni»  (art. 128).

Nei primi anni del regime fascista erano stati promulgati centinaia di regi decreti per l’aggregazione dei comuni italiani più piccoli al fine di ridurre le autonomie locali e le amministrazioni comunali più dispendiose.
Con il regio decreto n° 158 del 26 gennaio 1928 (Gazzetta Ufficiale n° 42 del 20 febbraio 1928) i municipi di Rocchetta a Volturno e Scapoli erano stati aggregati al comune di Colli a Volturno. Stesso destino era spettato alle comunità di Anzio e Nettuno, unite in una nuova entità comunale «con  denominazione “Nettunia”», dopo la promulgazione del regio decreto n° 1958 del 27 novembre 1939 (Gazzetta Ufficiale n° 6 del 9 gennaio 1940).
Le aggregazioni menzionate furono sciolte dopo l’entrata in vigore della nostra Costituzione, con una eccezione. In seguito alla firma del decreto luogotenenziale n° 265 del 3 maggio 1945 (Gazzetta Ufficiale n.67 del 5 giugno 1945), infatti, i «comuni di Anzio e Nettuno sono ricostituiti con il territorio ad essi pertinente prima dell’emanazione del citato Regio decreto [n° 1958/1939]» (art. 1).
I comuni di Colli a Volturno e Rocchetta a Volturno, invece, erano stati divisi già in età fascista, con la legge n° 160 del 29 gennaio 1934 (Gazzetta Ufficiale n° 42 del 20 febbraio 1934), mentre il municipio collese e quello di Scapoli con il decreto legislativo n. 124 del 26 febbraio 1946 (Gazzetta Ufficiale n. 77 del 2 aprile 1946.).