LA RICONCILIAZIONE TRA CHIESA D’OCCIDENTE E CHIESA D’ORIENTE

di Pier Luigi Guiducci -

Nel 1964 Paolo VI incontra il patriarca di Costantinopoli Athénagoras I. Sarà l’inizio di un intenso dialogo che segnerà l’avvio delle intese per ristabilire l’unità tra le due Chiese dopo lo scisma del 1054. A fare da tramite anche una donna, Chiara Lubich, del movimento dei Focolari.

 

Dal 4 al 6 gennaio del 1964 Paolo VI (1963-1978)[1] si recò pellegrino in Terrasanta. In tale occasione avvenne a Gerusalemme un fatto storico. Alle 21,30 del 5 gennaio, presso la Delegazione apostolica di Gerusalemme, il Papa incontrò per la prima volta il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Athénagoras (al secolo Aristokles Spyrou; 1948-1972)[2]. Il colloquio tra il Pontefice e Athénagoras doveva rimanere riservato. Fu invece registrato. I microfoni della Rai non furono spenti per un imprevisto. Si conosce, quindi, quello che si dissero i due interlocutori[3]

5 gennaio 1964 – In presenza di Dio

“Le esprimo tutta la mia gioia, tutta la mia emozione. Veramente penso che questo è un momento che viviamo in presenza di Dio”, sono le prime parole del Papa al Patriarca. E Athénagoras: “In presenza di Dio. Lo ripeto in presenza di Dio”. Il Patriarca rivela al Pontefice di essere “profondamente commosso, Santità. Mi vengono le lacrime agli occhi”. E allora il Vescovo di Roma gli dice “Siccome questo è un vero momento di Dio, dobbiamo viverlo con tutta l’intensità, tutta la rettitudine e tutto il desiderio…”, “di andare avanti” interviene Athénagoras, e Paolo VI aggiunge “di fare avanzare le vie di Dio”.

Abbiamo lo stesso desiderio
E poi Athénagoras dice: “Abbiamo lo stesso desiderio. Quando appresi dai giornali che Lei aveva deciso di visitare questo Paese, mi venne immediatamente l’idea di esprimere il desiderio d’incontrarLa qui ed ero sicuro che avrei avuto la risposta di Vostra Santità positiva, perché ho fiducia in Vostra Santità. Io vedo Lei, La vedo, senza adularLa, negli Atti degli Apostoli. La vedo nelle lettere di san Paolo di cui porta il nome”.
Paolo VI: “Le parlo da fratello: sappia ch’io ho la stessa fiducia in Lei. La Provvidenza ci ha scelto per intenderci. Sono così ricolmo di impressioni che avrò bisogno di molto tempo per far emergere ed interpretare tutta la ricchezza di emozioni che ho nell’animo. Voglio, tuttavia, approfittare di questo momento per assicurarla dell’assoluta lealtà con la quale tratterò sempre con Lei”. “La stessa cosa da parte mia”, assicura Athénagoras.
Paolo VI: “Non ho alcuna intenzione di deluderla, di approfittare della sua buona volontà. Altro non desidero che percorrere il cammino di Dio”. Athénagoras: “Ho in vostra Santità una fiducia assoluta. Sarò sempre al suo fianco”. Paolo VI gli promette: “Che vostra Santità sappia, fin da questo momento, ch’io non cesserò mai di pregare, tutti i giorni, per Vostra Santità e per le comuni intenzioni che abbiamo per il bene della Chiesa”.

Cammineremo insieme
Athénagoras allora sottolinea: “Ci è stato fatto il dono di questo grande momento; noi perciò resteremo insieme. Cammineremo insieme. Che Dio… Vostra Santità, Vostra Santità inviato da Dio… il Papa dal grande cuore. Sa come la chiamo? ‘O megalòcardos’, il Papa dal grande cuore!”. Ma Paolo VI gli dice: “Siamo solo degli umili strumenti. Più siamo piccoli e più siamo strumenti; questo significa che deve prevalere l’azione di Dio, che deve prevalere la norma di tutte le nostre azioni. Da parte mia rimango docile e desidero essere il più obbediente possibile alla volontà di Dio e di essere il più comprensivo possibile verso di Lei, Santità, verso i suoi fratelli e verso il suo ambiente”.
“So che questo è difficile; so che ci sono delle suscettibilità, una mentalità – continua il Pontefice – che c’è una psicologia – “da tutte e due le parti”, ammette Athénagoras – Ma so anche – prosegue Montini – che c’è una grande rettitudine e il desiderio di amare Dio, di servire la causa di Gesù Cristo. È su questo che ripongo la mia fiducia”. E anche il Patriarca su questo ripone “la mia fiducia. Insieme, insieme”.

Senza alcuna umana ambizione di prevalere
Poi Paolo VI entra nel merito delle questioni: “Io non so se questo è il momento. Ma vedo quello che si dovrebbe fare, cioè studiare insieme o delegare qualcuno che…”, “da tutte e due le parti”, aggiunge Athénagoras.
E il Papa vorrebbe “sapere qual è il pensiero di Vostra Santità, della Vostra Chiesa, circa la costituzione della Chiesa. È il primo passo…”. Athénagoras risponde: “Seguiremo le sue opinioni”.
“Si discuterà – prevede il Papa – cercheremo di trovare la verità”. Athénagoras: “La stessa cosa da parte nostra e io sono sicuro che noi saremo sempre insieme”.
Paolo VI: “Spero che questo sarà probabilmente più facile di quanto pensiamo”. Athénagoras: “Faremo tutto il possibile”.
Paolo VI continua: “Ci sono due o tre punti dottrinali sui quali c’è stata, da parte nostra, un’evoluzione, dovuta all’avanzamento degli studi. Esporremo il perché di questa evoluzione e lo sottoporremo alla considerazione Sua e dei vostri teologi. Non vogliamo inserire nulla di artificiale, di accidentale in quello che riteniamo essere il pensiero autentico. Un’altra cosa che potrebbe sembrare secondaria, ma che ha invece la sua importanza: per tutto ciò che concerne la disciplina, gli onori, le prerogative, sono talmente disposto ad ascoltare quello che Vostra Santità crede sia meglio”. Athénagoras garantisce: “La stessa cosa da parte mia”.
In conclusione, il Papa mette in evidenza: “Nessuna questione di prestigio, di primato, che non sia quello… stabilito da Cristo. Ma assolutamente nulla che tratti di onori, di privilegi. Vediamo quello che Cristo ci chiede e ciascuno prende la sua posizione; ma senza alcuna umana ambizione di prevalere, d’aver gloria, vantaggi. Ma di servire”.

6 gennaio 1964 – Paolo VI visita Athénagoras

L'incontro tra Athénagoras e Paolo VI nel 1964 - P6orthodox

L’incontro tra Athénagoras e Paolo VI nel 1964 - P6orthodox

Il 6 gennaio 1964, solennità dell’Epifania del Signore, Paolo VI rese la visita ad Athénagoras nella sede del Patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme, sul Monte degli Ulivi. La lettura in greco e in latino del capitolo 17 del Vangelo di Giovanni, fece toccare con mano il profondo significato di quelle parole: “Padre, …abbiano in sé stessi la pienezza della mia gioia… consacrali nella verità. La tua parola è verità…”, e fece comprendere fisicamente l’incongruenza della separazione, l’offesa che essa infligge alla Parola di verità proclamata. Tra la commozione generale, con affettuosa cortesia e profonda consapevolezza, alla conclusione della visita Paolo VI chiese al Patriarca: “Santità, vogliamo benedire insieme il popolo?”. Malgrado ogni impedimento, benedissero e si tennero per mano con reciproca fiducia: un gesto che ha cambiato i protocolli e che è diventato atteggiamento corrente e scontato. La forza del simbolo d’amore si fa teologia e realizza ciò che l’uomo è in grado di fare: benedire insieme, prendere atto e vivere le parole rivolte da Cristo al mondo, perché il mondo abbia in sé e pienamente la gioia che Gesù ha nel Padre.
Alla benedizione data insieme, si aggiunse un altro segno di amore fraterno. Athénagoras donò al Papa un prezioso engolpion, medaglione sospeso ad una catena, raffigurante Cristo Maestro. I greci presenti chiesero al Papa di indossarlo: la benedizione aveva prodotto il suo primo effetto. Paolo VI si levò la stola e si rivestì del simbolo della dignità episcopale in Oriente.

7 dicembre 1965 – La Dichiarazione Comune

Nel contesto fin qui descritto, a seguito di reciproche comunicazioni, Paolo VI e Athénagoras arrivarono a una decisione. Vollero diffondere a tutti i fedeli cristiani una Dichiarazione Comune. L’intenzione fu quella di comunicare la decisione di togliere dalla memoria e dal mezzo della Chiesa le sentenze di scomunica dell’anno 1054. Il documento ecumenico fu letto nella sessione solenne del Concilio Ecumenico Vaticano II dal vescovo olandese mons. Jean Willebrands (1909-2006)[4]. Contemporaneamente, vene letto dal segretario del Santo Sinodo, nella cattedrale del Fanar, a Istanbul. Ecco il testo della dichiarazione.

“1. Pieni di riconoscenza verso Dio per la grazia che, nella sua misericordia, ha loro dato di incontrarsi fraternamente nei luoghi sacri in cui, attraverso la morte e la risurrezione del Signore Gesù, è stato consumato il mistero della nostra salvezza e, con l’effusione dello Spirito Santo, è nata la Chiesa, il papa Paolo VI e il Patriarca Athénagoras I non hanno perso di vista il progetto da loro ivi concepito, ognuno per quanto lo riguarda, di non trascurare alcun atto ispirato dalla carità e che possa facilitare lo sviluppo dei rapporti fraterni così avviati tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa di Costantinopoli. Essi sono così convinti di rispondere alla chiamata della grazia divina che oggi porta la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa, come pure tutti i Cristiani a superare le loro divergenze per essere di nuovo ‘uno’ come il Signore Gesù ha chiesto per essi al padre suo.
2. Tra gli ostacoli che si incontrano nel cammino di sviluppo di questi rapporti fraterni di fiducia e di stima, figura il ricordo della decisioni, atti e spiacevoli inconvenienti, che sono sfociati nel 1054 nella sentenza di scomunica portata da legati della sede romana guidati dal cardinal Humbert, contro il Patriarca Michele Cerulario ed altre due personalità, legati che furono essi stessi oggetto di analoga sentenza da parte del Patriarca e del sinodo costantinopolitano.
3. Non si può far a meno di riconoscere ciò che questi eventi hanno comportato in questo periodo particolarmente turbolento della storia. Ma oggi che si è operato su di essi un giudizio più sereno e più equilibrato, sta a cuore riconoscere gli eccessi di cui si sono macchiati e che hanno ulteriormente prodotto conseguenze più gravi, nello stesso modo in cui possiamo giudicarne, le intenzioni e le previsioni dei loro autori le cui censure portavano sulle persone prese di mira e non sulle Chiese e non intendevano rompere la comunione ecclesiale tra le sedi di Roma e di Costantinopoli.
4. È per questo che il papa Paolo VI e il Patriarca Athénagoras I nel suo sinodo, certi di esprimere il comune desiderio di giustizia ed il sentimento unanime di carità dei loro fedeli e ricordando il precetto del Signore: ‘Quando presenti la tua offerta all’altare, se là ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta davanti all’altare e va prima a riconciliarti con il tuo fratello’ (Mt 5, 23-24), dichiarano di comune accordo:
a) dolersi delle parole offensive, dei rimproveri senza fondamento, e dei gesti reprimevoli che, da una parte e dall’altra, hanno segnato o accompagnato i tristi eventi di quell’epoca;
b) dolersi ugualmente e togliere dalla memoria e dal mezzo della Chiesa le sentenze di scomunica che ne sono conseguiti, e il cui ricordo costituisce fino ai nostri giorni di ostacolo al riavvicinamento nella carità, e votarle all’oblio;
c) deplorare, infine, gli incresciosi precedenti degli ulteriori avvenimenti che, sotto l’influenza di fattori diversi, tra i quali la incomprensione e la diffidenza reciproche, hanno infine condotta alla rottura effettiva della comunione ecclesiale.
5. Il papa Paolo VI e il Patriarca Athénagoras I con il suo sinodo sono consapevoli che questo atto di giustizia e di perdono reciproco, sono consapevoli che non possa bastare a metter fine alle divergenze, antiche o più recenti, che sussistono tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa e che, per mezzo dell’azione dello Spirito Santo, saranno superate grazie alla purificazione dei cuori, al pentimento per i torti storici insieme alla fattiva volontà di giungere ad una intelligenza e ad una espressione comune della fede apostolica e delle sue esigenze.
Nel compiere questo gesto, tuttavia, essi sperano che sarà gradito a Dio, pronti a perdonare mentre ci perdoniamo gli uni gli altri, ed apprezzato dal mondo cristiano tutto intero, ma soprattutto dall’insieme della Chiesa cattolica romana e della Chiesa ortodossa come l’espressione di una reciproca sincera volontà di riconciliazione e come un invito a perseguire, in uno spirito di fiducia, di stima e di carità reciproche, il dialogo che li condurrà, con l’aiuto di Dio, a vivere nuovamente, per il maggior bene delle anime e la venuta del Regno di Dio, nella piena comunione di fede, di concordia fraterna e di vita sacramentale che esisteva tra loro nel corso del primo millennio della vita della Chiesa.”

13 giugno 1967 – Chiara Lubich incontra Athénagoras I

Chiara Lubich - Wikipedia

Chiara Lubich – Wikipedia

Dopo l’incontro tra Paolo VI e il Patriarca di Costantinopoli del 5 gennaio del 1964, e la Dichiarazione Comune del 7 dicembre 1965, nuove realtà ecumeniche germogliarono. Il 13 giugno del 1967 la fondatrice dell’Opera di Maria (Movimento dei Focolari), Chiara Lubich (1920-2008), incontrò a Istanbul Athénagoras. Fu subito colpita dalla figura del Patriarca. Ecco la sua testimonianza:

“Athénagoras può dirsi il prototipo della Chiesa d’Oriente; ma, ravvisando in lui una delle più eccelse personalità cristiane attuali, vi si può scorgere un simbolo della Cristianità intera, sofferente per le secolari divisioni che l’hanno trafitta e anelante alla perfetta unificazione.
È una delle figure dell’epoca presente che appartengono ormai alla storia e alla Chiesa. Ma giacché la sua statura spirituale è divenuta cosi grande per il suo sterminato amore a Cristo, egli appartiene anche ad ogni creatura che si chia­mi uomo e soprattutto cristiano. Ed è vicino di casa – vorrei dire – in modo particolare con chi soffre e con quelle persone nelle quali ha scoperto una scintilla della sua manifesta, chiarissima voca­zione all’unità, che ha fatto di lui un profeta.
È stato questo interesse comune che l’ha spin­to un giorno a chiamarmi ad Istanbul, avendo sa­puto che lavoravo con il Movimento dei Focolari per l’ecumenismo. Era il 13 giugno 1967. Mi ha accolto come se mi avesse sempre conosciuta: ‘L’aspettavo!’, ha esclamato, e ha voluto che gli narrassi i contatti avuti dal Movimento con Lute­rani e Anglicani. ‘È una gran cosa conoscersi – ha commentato -; siamo vissuti isolati, senza avere fratelli, senza aver sorelle, per molti secoli, come orfani!… I primi dieci secoli del cristianesimo sono stati per i dogmi e per l’organizzazione della Chie­sa. Nei dieci secoli seguenti abbiamo avuto gli sci­smi, la divisione. La terza epoca, questa, è quella dell’amore’.
Mi ha chiesto di mantenere il contatto. Ricordo che non tanto le parole dettemi in quella prima udienza mi avevano impressionato, quanto la sua figura, l’atmosfera soprannaturale che l’avvolgeva e che in genere notano tutti coloro che l’avvicinano. E soprattutto il suo cuore: un cuore così grande, cosi profondamente umano da suscitare in me la domanda quanti altri nella vita ne avessi conosciu­ti così”[5].

Da questo incontro nascerà un’amicizia. Athénagoras e Chiara si rivedranno altre venticinque volte.

26 luglio 1967 – Paolo VI è a Istanbul

Dal 25 al 26 luglio del 1967 Paolo VI volle affrontare un nuovo viaggio apostolico che lo condusse ad Istanbul, Efeso e Smirne. In tale occasione, il giorno 25, a Istanbul, il Pontefice poté rivedere “il fratello” Athénagoras nella chiesa patriarcale ortodossa dedicata a San Giorgio. Tale evento permise a Papa Montini di consegnare al Patriarca una Lettera sui motivi per promuovere il ristabilimento dell’unità tra la Chiesa di Occidente e quella d’Oriente. Si riporta di seguito il testo di quel documento.

“All’inizio dell’anno della fede che abbiamo stabilito di celebrare in memoria del diciannovesimo centenario del martirio dei santi Apostoli Pietro e Paolo, Noi, Paolo, Vescovo della Chiesa di Roma e Capo della Chiesa Cattolica, pensando che sia Nostro dovere intraprendere tutto ciò che può servire all’universale e santa Chiesa di Cristo, incontriamo nuovamente il Nostro amatissimo Fratello Athenagora, Arcivescovo ortodosso di Costantinopoli e Patriarca ecumenico, e siamo animati dall’ardente desiderio di vedere realizzarsi la preghiera del Signore: ‘Che essi siano uno come lo siamo noi. Io in essi e tu in me: perché siano consumati nell’unità: e il mondo conosca che tu mi hai mandato’[6].
Questo desiderio anima una risoluta volontà di fare ogni cosa in Nostro potere per avvicinare il giorno in cui sarà ristabilita piena comunione tra la Chiesa d’Occidente e la Chiesa d’Oriente: perché cioè tutti i cristiani si ricompongano in quell’unità che permetterà alla Chiesa di testimoniare più efficacemente che il Padre ha inviato il Figlio nel mondo perché in lui tutti gli uomini divengano figli di Dio e vivano come fratelli nell’amore e nella pace.
Fermamente convinti che non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati[7] e che possa dare loro la fraternità e la pace, noi ascoltiamo attentamente il messaggio che Giovanni, il discepolo prediletto, inviava da Efeso alle Chiese dell’Asia: ‘Ciò che abbiamo visto ed inteso ve lo annunciamo, affinché anche voi siate in unione con noi; e la vostra comunione sia col Padre e con il suo figlio Gesù Cristo’[8].
Dio ci ha dato di ricevere nella fede quello che gli Apostoli hanno visto, udito e annunciato. Per mezzo del Battesimo ‘noi siamo uno in Cristo Gesù’[9]. Inoltre, ‘in forza della successione apostolica, il sacerdozio e l’Eucaristia ci uniscono ancora più intimamente tra di noi’[10] . Siamo infatti uniti da comunione così intima ed arcana che, partecipando ai doni che Dio fa alla sua Chiesa, noi siamo messi in comunione col Padre, attraverso il Figlio, nello Spirito Santo. Divenuti veramente figli nel Figlio[11], siamo divenuti, allo stesso tempo, per un motivo reale e mirabile, fratelli degli altri uomini.
Poiché in ogni Chiesa locale si opera questo mistero dell’amore divino, non è forse qui l’origine di quell’espressione tradizionale, per cui le Chiese dei vari luoghi cominciarono a chiamarsi tra di loro come sorelle?[12] Le nostre Chiese hanno vissuto per secoli come sorelle, celebrando insieme i Concili Ecumenici che hanno difeso il deposito della fede contro ogni alterazione.
Ora, dopo un lungo periodo di divisione e incomprensione reciproca, il Signore, malgrado le difficoltà che nel tempo passato sono sorte tra di noi, ci dà la possibilità di riscoprirci come Chiese sorelle. Nella luce di Cristo noi vediamo come sia urgente sormontare questi ostacoli per arrivare a condurre a pienezza e perfezione la comunione già così viva esistente tra di noi. Poiché da una parte e dall’altra noi professiamo i dogmi fondamentali della fede cristiana circa la Trinità del Verbo di Dio, incarnato da Maria Vergine, dogmi definiti in Concili Ecumenici celebrati in Oriente[13] e poiché noi abbiamo in comune veri Sacramenti e un Sacerdozio gerarchico, bisogna prima di tutto che, servendo la nostra santa fede, noi lavoriamo fraternamente per trovare insieme le forme adatte e progressive per sviluppare e attualizzare, nella vita delle nostre Chiese, la comunione che, sebbene imperfetta, già esiste.
Occorre, infine, da una parte e dall’altra, con reciproci contatti, promuovere, approfondire ed adeguare sia la formazione del clero, sia l’istruzione e la vita del popolo cristiano. Attraverso il dialogo teologico, reso possibile dal ristabilimento della carità fraterna, si tratta di conoscersi e di rispettarsi e, pur nella legittima diversità delle tradizioni liturgiche, spirituali, disciplinari e teologiche[14], lavorare fino al momento in cui riusciremo ad accordarci nella confessione profonda e sincera di ogni verità rivelata. E bisogna badare, con la massima attenzione, di ‘non imporre nulla… se non ciò che è necessario’[15] per poter ristabilire e conservare la comunione e l’unità.
Mossi dalla speranza e dalla carità, radicati in una continua preghiera, e insieme desiderosi solo dell’unico necessario[16], a cui occorre subordinare ogni cosa, dobbiamo non solo continuare ma intensificare il nostro cammino, nel nome del Signore.
25 luglio, dell’anno del Signore 1967.
Paolo PP. VI”

26 ottobre 1967 – L’incontro tra Paolo VI e Athénagoras in Vaticano

Il patriarca Athénagoras nel 1967 - Pieter Jongerhuis, Anefo

Il patriarca Athénagoras nel 1967 – Pieter Jongerhuis, Anefo

Il 26 ottobre del 1967, poco dopo le ore 9, Athénagoras giunse a Roma in aereo dalla Svizzera. Arrivato in Vaticano, fu ospitato presso la Torre di San Giovanni. Alle ore 11 si svolse, in San Pietro, una solenne celebrazione di preghiera. Paolo VI, che aveva incontrato il Patriarca nell’atrio della basilica, si recò con lui alla cappella del Sacramento e all’altare della Madonna. Ebbero poi inizio le letture, i canti e le preghiere. Il rito si concluse con due discorsi, con il bacio di pace, e con la benedizione impartita prima da Paolo VI e poi da Athénagoras. Nel suo intervento il Patriarca tra l’altro affermò:

“(…) Siamo particolarmente felici di farlo (= di rinnovare cioè il bacio della pace), non soltanto e semplicemente verso il venerabile vescovo di Roma, portatore della grazia apostolica e successore di una pleiade di uomini santi e saggi che hanno resa illustre questa Sede, che è la prima per l’onore e l’ordine nell’organismo delle Chiese cristiane sparse nel mondo, e la cui santità, saggezza e le lotte per la fede comune nella Chiesa indivisa sono una conquista permanente e un tesoro di tutto il mondo cristiano, ma siamo anche felici di farlo verso un Papa di un valore spirituale e di una ispirazione cristiana eminenti, che possiede, nell’umiltà, doni sublimi e il cui senso di responsabilità davanti al Signore, davanti alla Chiesa divisa, davanti alle molteplici tragedie di questo mondo, conduce di giorno in giorno, da azioni di carità ad azioni di edificazione, ad un servizio adatto di Dio, della Chiesa e dell’uomo (…)”[17].

Dopo il discorso di Athénagoras, intervenne Paolo VI. Con riferimento al movimento ecumenico disse tra l’altro:

“ Non è questo forse un nuovo segno dell’azione dello Spirito che sollecita le nostre Chiese a prepararsi attivamente in vista di rendere possibile il ristabilimento della loro piena comunione?
Dobbiamo coraggiosamente proseguire e sviluppare lo sforzo da una parte e dall’altra, quanto è possibile in contatto e in una cooperazione, le cui forme dovrebbero essere fissate in comune. Molto più che per mezzo di una discussione sul passato, è in una collaborazione positiva, in vista di rispondere a quello che lo Spirito domanda oggi alla Chiesa, che noi arriveremo a sormontare quello che ancora ci separa.
Se vediamo negli sforzi di rinnovamento un segno dell’azione dello Spirito che ci stimola a ristabilire tra di noi la piena comunione e vi ci prepara, il mondo di oggi invaso da una incredulità multiforme ci richiama anch’esso in maniera imperiosa il bisogno della nostra unità.
Se l’unità dei discepoli di Cristo è stata data come il grande segno che deve sollecitare la fede del mondo, l’incredulità di molti dei nostri contemporanei è anch’essa una voce con la quale lo Spirito parla alle Chiese e fa loro prendere nuova coscienza dell’urgenza di realizzare quel precetto di Cristo, il quale è morto ‘per stringere nell’unità i figli di Dio che erano dispersi’ (Io. 11,52). Questa testimonianza comune, una e varia, decisa e persuasiva, di una fede umilmente sicura di se stessa, zampillante in amore e raggiante la speranza, è ciò che lo Spirito domanda innanzi tutto oggi alle Chiese”[18].

“Vedo il Papa in agonia”

Dal 1967 al 1972 Chiara Lubich raggiunse Istanbul otto volte. Fu ricevuta da Athénagoras in 23 occasioni. Queste esperienze rimarranno molto vive nella mente della fondatrice dell’Opera di Maria. Lei stessa racconterà quanto segue:

“ (…) Sono tornata a Istanbul in seguito, ogni anno, per tenere aggiornato il Patriarca sugli sviluppi del Movimento.
1967 – La mia seconda visita è avvenuta due mesi dopo lo storico incontro di Paolo VI con Atenagora in quella città. Egli era ancora tutto sorpreso ed emozionato. Chiamava quel giorno ‘il giorno’, e fra il resto raccontava: ‘Tutta la città è rimasta travolta… Poi è venuto qui e gli ho detto: Come è grande la tua anima, come è ricco il tuo cuore! Tu sei il profeta che prevede, predice e prepara l’avvenire’. E mi spiegava che quell’incontro per lui era stato come un’estasi.
‘Non chiamo più d’ora in avanti le due Chiese: cattolica e ortodossa, ma Chiesa d’Occiden­te e Chiesa d’Oriente. Assistiamo a un movi­mento ecumenico da tutte le parti. Gli Stati escono dalle loro frontiere e cercano d’intendersi; e le Chiese escono dai loro limiti e camminano verso questo incontro nuovo, che è l’incontro naturale della Chiesa’.
‘Il Papa è il nostro leader, il nostro capo e noi gli siamo attorno. Sapete come vedo alle volte il Papa? In agonia, perché egli conosce tutto ciò che c’è di negativo nel mondo. È per questo che mi sono messo al suo servizio al cento per cento. Lo seguo, lo capisco, lo amo, lo rispetto, lo ammiro. Lui sa bene quello che deve fare, sa quello che vuole ed è forte’.
1968 – In altra occasione mi ha mostrato il suo mes­saggio indirizzato anche in particolare al Movi­mento dei Focolari. Tra l’altro si legge: ‘I tre incontri con Paolo VI a Gerusalemme il 5 gennaio 1964, qui a Istanbul il 25 giugno 1967 e a Roma il 26 ottobre 1967, che costituiscono il segno sorpren­dente e glorioso del trionfo dell’amore di Cristo e della grandezza del Papa, ci hanno definitivamen­te messo, con fermezza di fede e di speranza, nella via benedetta per la realizzazione della volontà di Cristo, cioè l’incontro di nuovo nello stesso calice del suo sangue e del suo corpo’.
‘Abbiamo lo stesso Signore, la stessa Madonna, lo stesso calice, la stessa Chiesa, la stessa vita qui e nell’eternità. Ecco l’inno degli angeli di Natale che noi cantiamo in questi giorni, in comune, Occi­dente e Oriente. Ecco la suprema teologia! Se per altro alcune differenze teologiche esistono ancora, il sole dell’amore le ha scolorite e ci conduce alla visione piena, alla credenza antica, secondo la qua­le noi apparteniamo alla stessa religione di Cristo.’
‘Cristiani d’Oriente e d’Occidente, noi siamo chiamati, adesso, a coltivare, proprio noi, gli uni con gli altri, tra i nostri amici, tra i conosciuti e gli sconosciuti, questa dolce coscienza di apparte­nere alla stessa Chiesa, e questo al più presto pos­sibile… Un mattino splendente di nuova primavera cristiana, cosi atteso da secoli! Andiamo, figli e figlie amatissimi, dell’unica Chiesa di Cristo; il suo giorno deve arrivare ed esso arriva!’.
1969 – Quando l’ho rivisto nel 1969, il Patriarca mi ap­pariva come un arcangelo che lotta e lotterà fino alla fine per il suo ideale: un uomo di Dio, provato nella carità eroica e nella pazienza eroica. E mi sembrava che ad abbellire la sua già ricca personalità si aggiungessero dei pensieri-chiave, che for­mavano il sottofondo di ogni suo discorso e atteg­giamento: l’idea chiara che tutto nel mondo, cri­stiano o meno, spinge all’unità e quindi la neces­sità impellente di ricomporre l’unità cristiana, la stima e l’amore crescente per il Papa.
‘Non è per adularlo che lo chiamo Paolo II. È veramente il nuovo apostolo, la nuova speranza, la nuova certezza delle cose che verranno. Egli è il grande capitale della Chiesa, del mondo. Egli sa ascoltare la voce del popolo. Non condanna la gio­ventù, la comprende’.
E l’idea che la Madonna è all’opera: ‘È la Madre della Chiesa e ci vuole tutti e due uniti. Non può un’unica madre avere due figli diversi’.
1970 – Dopo l’udienza dell’aprile 1970, ho la convinzio­ne di aver parlato con un santo e avverto che mi sarà difficile comunicare a qualcuno la persuasione, l’ardore, la fede che riempivano le parole di quella grande anima.
Mi ha parlato subito, anche questa volta, del Papa. ‘Lo ripeto: sono col Papa di Roma riguardo al controllo delle nascite. Egli non può fare diver­samente. Sono con lui per tutto quello che dice, per tutto quello che pubblica, per tutto quello che decide. Ha sulle spalle la tradizione e la storia di venti secoli… Come potrebbe scaricarsi di venti secoli?’.
1971 – Riguardo agli incontri del Papa con capi di stato di tutte le tendenze, nel marzo del 1971, mi diceva: ‘Ecco un altro trionfo! Tutte le strade portano a Roma. L’ho chiamato, nella mia lettera, Pontifex Maximus. Non c’è che un solo Pontifex Maxi­mus, perché è lui che getta i ponti fra le Chiese e fra le nazioni’.
E poi: ‘Lo scisma è avvenuto nel 1054 non per divergenze dottrinali, ma perché abbiamo cessato di amarci; ma adesso ci amiamo. Il Papa, quando è stato a Hong Kong, ha lasciato una sola parola: amore. Grazie a Dio, grazie a Gesù Cristo e grazie alla Santa Vergine, noi siamo in quest’epoca. Dieci anni fa noi non avremmo pensato di poter vivere queste ore!’.
1972 – Il messaggio che il Patriarca Atenagora ha invia­to in questi giorni al Papa, per la Giornata della pace, inizia così: ‘Inseparabilmente uniti dalla comunione nell’amore di Cristo con la Vostra assai amata e venerabile Santità…’[19].
‘Inseparabilmente’. Con queste parole Atena­gora dice il suo cuore e il miracolo operato dallo Spirito Santo in lui. Mi aveva confidato un giorno: ‘È una cosa incredibile come io mi senta unito con il Papa. È un mistero per me stesso”[20].

Arrivederci in Cielo

Gruppo scultoreo a ricordo dell'incontro tra Atenagoras e Paolo VI a Gerusalemme - Ori

Gruppo scultoreo a ricordo dell’incontro tra Atenagoras e Paolo VI a Gerusalemme – Ori

In tempi successivi, Chiara confidò: “C’era un profondissimo rapporto col Patriarca anche perché conoscevo molto bene Paolo VI[21]. Poiché era possibile per me avere un contatto personale col Santo Padre, mi sono trovata ad essere involontariamente un mezzo attraverso cui il Patriarca poteva comunicare ufficiosamente con il Papa”[22]. Due giorni dopo il transito di Athénagoras dalla terra al Cielo (7 luglio 1972), Chiara scrisse una lettera alle giovani generazioni del Movimento dei Focolari:

“Abbiamo in Cielo un grandissimo protettore del nostro Movimento. L’ultima relazione che mostrai a Lui, due mesi fa, fu quella sulle giornate gen[23] con le impressioni dei partecipanti. Mi disse: ‘Sai chi sono i gen?’ e continuò: ‘Amo’, alludendo alla canzone ‘Ama e capirai’[24]. Vorrei che questo fosse il testamento che Egli lascia al nostro Movimento, il continuo appello che Egli ci rivolge ora dal Cielo. Da quando ho saputo che è partito, una domanda mi risuona nell’anima: ‘Perché cercate tra i morti colui che vive?’ (Lc 24,5). Sì, vive e noi lo sentiamo. Parto per essere accanto al suo corpo mortale fino all’ultimo. Lo saluterò per tutti voi. Gli dirò la vostra gratitudine per averci amato così tanto, per aver creduto e operato – fino all’impossibile – per l’unità. Lo pregherò di starci vicino sempre e suggerirci: Ama!”[25].

Nella comunione dei santi

Athénagoras lasciò questa terra nel 1972. Chiara Lubich lo raggiunse in Cielo il 14 marzo del 2008. Paolo VI restò con la Chiesa pellegrina fino al 6 agosto 1978. Oggi, ci sono in Paradiso tre grandi Amici che intercedono per noi. Che ci sostengono soprattutto nelle salite dell’oggi. In particolare, nell’ambito di questo gruppo, una figura ha ricevuto un riconoscimento significativo. La beatificazione di Papa Montini (19 ottobre del 2014) non ha certo il significato di aggiungere qualcosa al premio eterno. Essa rimane soprattutto un messaggio di umiltà e di fedeltà per tutti i cristiani.
Di umiltà: perché Paolo VI, durante il suo pontificato (ma anche in anni precedenti), non dette mai importanza a tutto ciò che poteva essere trionfale, eclatante, meramente consolatorio, autoreferenziale… I suoi passi sono stati prudenti e costanti. Senza accelerate. Sostando solo in presenza di Cristo-Eucaristia.
Di fedeltà: perché, malgrado le tante voci del suo tempo, e pur in presenza di correnti di pensiero a lui non favorevoli, egli avanzò negli anni della sua sequela Christi con lo sguardo rivolto alle molte espressioni (anche misere) dell’umano, e con la mente e il cuore rivolti alla logica del Risorto. Egli non fu fedele nel mero significato di esecutore di leggi ecclesiastiche, ma fu autentico discepolo dell’unico Maestro perché seppe prima inginocchiarsi e poi parlare.
In tale contesto, rimane significativo un fatto. La proclamazione a beato è stata possibile perché nel 2001, negli Stati Uniti d’America, avvenne un episodio. Una madre, al quinto mese di gravidanza, si trovò in una situazione senza speranza: rottura della vescica fetale, presenza di liquido nell’addome, assenza di liquido nel sacco amniotico. Nella prospettiva di una morte del feto (o di gravissime future malformazioni), era stata proposta un’interruzione di gravidanza. La donna rifiutò. Su suggerimento di una suora italiana che l’aveva conosciuto, si rivolse nella preghiera all’intercessione di Papa Montini. Successive analisi mostrarono un mutamento in positivo della situazione. La nascita avvenne con parto cesareo all’ottavo mese. Le condizioni generali del neonato erano buone.

Ringraziamenti
A conclusione di questo lavoro desidero ringraziare per l’aiuto ricevuto:
la Signorina Joan Patricia Back, del Centro Uno per l’unità dei cristiani (Movimento dei Focolari).

Note

[1] Nato a Concesio (a nord di Brescia) nel 1897.
[2] Nato a Tsaraplana nel 1886.
[3] Il dialogo è stato pubblicato da Daniel Ange (Paul VI, un regard prophétique, 1979) e riproposto da Alfredo Pizzuto (Paolo VI in Terra Santa, 2012). L’”Osservatore Romano” lo ha riportato nell’edizione del 4 gennaio 2014, a cinquant’anni esatti dalla partenza del Pontefice da Roma per la Terra Santa.
[4] Creato cardinale nel 1969.
[5] C. Lubich, Il Profeta dell’unità, in “Avvenire”, 13 gennaio 1972, p. 5.
[6] Gv 17,22-23.
[7] Cf At 4,12.
[8] Gv 1,3.
[9] Cf Gal 3,28.
[10] Cf CONC. VAT. II, Decr. sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, n. 15.
[11] Cf Gv 3,1-2.
[12] Cf Decr. sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, n. 14.
[13] Decr. sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, n. 14.
[14] Cf Decr. sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, nn. 14-17.
[15] Cf At 15,28; Decr. sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, n. 18.
[16] Cf Lc 10,42.
[17] In “La Civiltà Cattolica”, anno 118, volume quarto, 1967, pp. 405-406.
[18] Id., p. 407.
[19] Cfr. Redazione, Roma e Costantinopoli, Cronaca contemporanea, Vita della Chiesa, in “La Civiltà Cattolica”, 1972, I, quaderno 2920, p. 383.
[20] C. Lubich, Atenagora mi ha detto: ‘Paolo VI è il nostro leader’”, in “Città Nuova, n. 3, 10 febbraio 1972, pp. 10-12. Id., Il mio ultimo incontro con Atenagora, in “Città Nuova”, n. 14, 25 luglio 1972, pp. 10-14.
[21] Su questo punto cfr: Così ho visto il Papa, intervista a Chiara Lubich, in “Città Nuova”, n. 18, 1977.
[22] Cit. C. Lubich, L’avventura dell’unità, intervista di F. Zambonini, San Paolo, Cinisello Balsamo 1991, p. 127.
[23] Gen significa: generazione nuova.
[24] http://www.youtube.com/watch?v=n1pxg1M895Q
[25] Cit. C. Lubich, Atenagora: il suo testamento, in “GEN. Generazione Nuova”, n. 8/9, 1972, p. 2.

Per saperne di più

Atenagora con Clément O., Umanesimo spirituale. Dialoghi tra Oriente e Occidente, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013.
Back J.P., Il contributo del Movimento dei Focolari alla koinonia ecumenica. Una spiritualità del nostro tempo al servizio dell’unità, Città Nuova, Roma 1988.
Paolo VI, il genio della carità, a cura di L. Sapienza, Vivere In, Roma 2014.
Paolo VI, scritti spirituali, a cura di A. Maffeis, Studium, Roma 2014.
Paolo VI, una vita trasfigurata, a cura di L. Sapienza, Vivere In, Roma 2014.
Salizzoni V., Aletta racconta… Una trentina con Chiara Lubich, Città Nuova, Roma 2013, pp. 123-142.
Vela A., Paolo VI, discepolo di Cristo, Messaggero, Padova 2014.
Zambonini F., Chiara Lubich, Città Nuova, Roma 1991, pp. 125-127.