LA POLIORCETICA IN EPOCA MEDIOEVALE
di Massimo Iacopi –
La poliorcetica (dal greco poliorketikon), antica arte per la conquista di città e fortificazioni, col progresso delle risorse umane, finanziarie e dei mezzi di costruzione conosce una nuova stagione durante l’epoca medievale.
Nel corso del Medioevo la necessità di preservare l’integrità delle piazze forti – castelli o città fortificate – e delle loro risorse umane ed economiche conosce una sensibile evoluzione di tipo concettuale. Nel corso di questo periodo si passerà, da una semplice difesa passiva al ricorso a mezzi più attivi: questo sviluppo risulta l’effetto del progresso nei mezzi e nelle tecniche di costruzione, delle aumentate disponibilità economiche mobilitabili (in uomini e risorse finanziarie) e dei cambiamenti politici intercorsi, che modificano il quadro generale.
L’evoluzione delle fortezze si accompagna necessariamente anche ai progressi tecnici relativi alle armi di assedio disponibili, alcune delle quali vanno incontro a sensibili progressi (specialmente i trabucchi a contrappeso e la nascita e lo sviluppo dell’artiglieria a polvere da sparo). Questi cambiamenti comportano conseguentemente alcuni adattamenti logistici e sforzi finanziari di notevole rilievo, spesso colossali. Questo fatto di tipo economico, sposta l’asse del potere verso istituzioni politiche maggiormente capaci di mobilitare queste risorse e nel caso specifico i sovrani inizieranno ad avere il sopravvento sui piccoli signori.
Gli aspetti logistici
Nel Medioevo, la strategia alla base di una operazione di assedio rimaneva sempre quella di cercare di ottenere la resa di una piazza con la forza solo come extrema ratio. In effetti conveniva evitare per quanto possibile un assalto costoso in termini di uomini e materiali, offrendo preliminarmente al nemico la possibilità di arrendersi, per mezzo della combinazione di promesse di arricchimento e di minacce oppure attraverso un negoziato nel quale si prometteva la garanzia di non essere massacrati e spesso anche di potersi ritirare senza essere disturbati.
Di fatto un certo numero di assedi si sono conclusi con una capitolazione e non hanno necessitato di una vera e propria conquista nel senso militare del termine. Questi accordi non evitano tuttavia determinate derive, che sono consustanziali alla guerra che porta nel suo solco disgrazie e desolazione. Il tradimento o la defezione di una parte dei difensori può risultare sufficiente, a seguito di un blocco, di una carestia, di un avvelenamento dei pozzi e delle sorgenti dell’acqua, di una epidemia. Se questi strumenti indiretti hanno fallito, a quel punto si mette in moto la meccanica di un assedio e conseguente viene lanciato l’assalto alle difese avversarie, dopo l’organizzazione di una logistica molto pesante.
Le differenti fonti disponibili ci ragguagliano sulla preparazione di una campagna prima di qualsiasi tentativo di assedio. Essa consiste nel raccogliere sufficienti informazioni sull’obiettivo prescelto, mobilitare le sue forze, reclutare persona lese necessario, riunire i rifornimenti necessari, completare le scorte nei depositi e confezionare le armi mancanti. Tutto questo implica necessariamente un certo periodo di tempo fra la decisione di entrare in campagna ed il momento in cui ha inizio l’assedio vero e proprio, lasciando, peraltro anche al nemico il tempo per organizzare la sua difesa. Questo lasso di tempo permette comunque di assicurarsi un rifornimento regolare, di poter scegliere gli uomini sui quali contare, di mantenere in salute i propri cavalli, sebbene in territorio ostile e comunque lontano dalla base di partenza. L’assedio vero e proprio costituisce, spesso, la conclusione per uomini già stanchi e sfiniti dal lavoro precedente.
Grande capacità tecnica e forza morale costituiscono due fattori che consentono in genere di riportare la vittoria. Affinché un assedio abbia la possibilità di riuscire, si deve poter disporre di un sufficiente numero di uomini, adeguatamente e potentemente armati, in grado di assicurare il blocco della piazzaforte, moltiplicare gli assalti alle difese avversarie, resistere alle sortite del difensore ed anche al sempre possibile intervento di una forza di soccorso. In effetti, l’abilità e la forza non costituiscono, da sole, elementi determinanti per il successo nell’operazione, poiché entrano in gioco una moltitudine di altri fattori, come il morale degli assediati (che i cronisti non mancano di sottolineare) o quello degli assedianti. Se gli assedianti pensano di attaccare una piazza, il loro sforzo dovrà essere applicato sul punto più debole della cinta muraria o di una torre. Tuttavia, gli ostacoli in muratura costituiscono spesso un elemento invalicabile se non si dispongono di mezzi sufficienti ed adeguati per superarli. La tecnica di assalto consiste, a quel punto, nell’utilizzazione di torri di approccio e nell’appoggio di scale contro le cortine, tattica da utilizzare nel caso di ridotti effettivi del difensore. L’impiego della trincea o della mina, combinato con quello delle macchine d’assedio diventa sistematico e costituisce probabilmente uno dei mezzi più efficaci per conquistare una piazza: esso si aggiunge ai colpi di ariete ed ai procedimenti classici di riempimento dei fossati, allo scopo di facilitare l’accesso alle mura delle macchine stesse.
Il campo d’assedio
In genere, l’assedio di una città o di una piazzaforte ben difesa costituisce un’impresa di lungo respiro, che impone una notevole logistica: perché esso sia efficace, presuppone il mantenimento di un forte contingente, specie per le città che hanno un grande perimetro di mura ed installazioni di rilievo. In ogni caso, i lavori di assedio necessitano di materiale da fortificazione mobile, capace di accompagnare l’azione dei pionieri e dei minatori. Una volta scavate le trincee intorno al campo, la terra serve ad edificare delle scarpate, sulle quale i carpentieri vengono a prendere il posto dei pionieri per montare delle palizzate di legno con aperture per il tiro, così come lo evidenziano numerose miniature. L’accerchiamento totale di una piazza risulta spesso impossibile per mancanza di mezzi umani o a causa della topografia ed in questo caso viene privilegiata l’ipotesi del controllo dei determinati punti chiave di bloccaggio (incroci obbligati, strettoie di accesso, ecc.).
Di norma, i campi vengono edificati il più vicino possibile alla piazza da attaccare, per danneggiare le difese nemiche, per isolare la fortezza dalle sue comunicazioni con l’esterno e per opporsi ai possibili intervento di rinforzi.
La prevedibile durata delle operazioni di assedio porta ad una organizzazione ed un allestimento difensivo di accampamenti (fossato, terrapieni, palizzate, torri di avvistamento) che si trasformano spesso in veri e propri accantonamenti stagionali, anche se determinate operazioni vengono perseguite senza tregue anche nei periodi invernali. Una volta scavate le trincee intorno al campo, la terra serve ad edificare delle scarpate, sulle quale carpentieri vengono a prendere il posto dei pionieri per montare delle palizzate di legno con delle aperture per il tiro, così come lo evidenziano numerose miniature. Spesso il dispositivo viene completato con dei pali appuntiti conficcati nel terreno. A Orleans, bastano quattro mesi agli Inglesi per costruire una serie di linee difensive e di terrapieni, linea di fortini discontinua, che presenta il vantaggio di poter essere controllata da un ridotto numero di combattenti, ma che comporta l’inconveniente di costituire una difesa discontinua ed ampia, che non impedisce agli assediati l’effettuazione di sortite e di ricevere rifornimenti e rinforzi dall’esterno.
In questo contesto, ai padiglioni ed alle tende per alloggiare, a volte migliaia di uomini e di cavalli, si devono aggiungere delle casette smontabili in legno per i principi.
Per mantenere questi uomini in buona salute ed al riparo dalle intemperie, occorreva nutrirli ed evidentemente alloggiarli. Nonostante ciò, numerosi uomini d’arme si debbono accontentare di rifugi di fortuna. I cavalli venivano ugualmente riparati sotto delle vaste tende-scuderia, che potevano raggiungere i 30 metri di lunghezza; l’esercito borgognone ne possedeva ben 600 esemplari nel 1475. Le condizioni di vita nei campi erano particolarmente rudi e la coesistenza di numerosi uomini insieme agli animali creava dei gravi problemi sanitari. Le malattie non mettevano molto tempo ad infestare i campi. Questa vulnerabilità dei campi determina, spesso, l’abbandono prematuro dell’assedio ed in particolar modo nel caso di carenza di acqua e di alimentazione. In ogni caso, le condizioni di vita ed il comportamento dei soldati all’interno del campo – che per certi aspetti si assomigliano a delle vere e proprie città – sono strettamente regolamentate: le ordinanze di Carlo il Temerario di Borgogna (1433-1477) forniscono una ampia testimonianza sulla preoccupazione del controllo della disciplina e della necessità di un regolare addestramento. Fattori esterni (clima, problemi sanitari, carenza di viveri o diserzioni) hanno a volte il sopravvento sulla funzionalità di questi campi e comportano, molto spesso, l’abbandono dello stesso assedio. Lo storico Philippe Contamine stabilisce un nesso fra la nascita di un esercito permanente ed una “civiltà del campo” con dei riti particolari, spettacoli e distrazioni di ogni tipo; questa vita viene ritmata da momenti di “relax”.
Le difficoltà di rifornimento e la loro influenza sulla strategia risultano cruciali. L’aumento, nel corso dell’operazione, di effettivi di combattenti (gonfia in particolare dai non combattenti) complica notevolmente i problemi di rifornimento, di intendenza e di logistica; a fronte di una ridotta quantità di viveri, foraggio e munizioni trasportata. Ogni contingente si trova nella necessità, nel giro di qualche giorno, di approvvigionarsi nel corso dell’assedio. Ma, di fronte alla difficoltà di mantenere una linea di rifornimento efficace ed in sicurezza, a partire da una base distate del teatro di operazioni, il più delle volte viene privilegiata la scelta di acquisti nell’area, di saccheggi o di requisizioni. Anche se il “vivere sulle risorse locali” non rappresenti una pratica comune, le popolazioni locali, oltre ad aver nascosto preventivamente le loro risorse, si rifiutano frequentemente di rifornire le truppe per timore di venirsi a trovare in carenza di beni di consumo, ma anche per affamare volontariamente gli assedianti.
Il ruolo degli ingegneri
Uno dei fattori fondamentali per il successo in un assedio dipende anche dalle competenze tecniche di specialisti retribuiti dai signori, che variano in funzioni del tipo di assedio da condurre. Le fonti scritte disponibili rappresentano il riflesso della diversificazione e della specializzazione dei mestieri connessi con la fortificazione e l’armamento portatile o collettivo, nel corso di un assedio nel Medioevo.
I conti delle cancellerie dei signori risultano particolarmente precisi quando si riferiscono agli effettivi ed agli oneri del personale permanente, registrati in tempo di guerra come in quello di pace: la loro retribuzione evidenzia l’importanza che viene attribuita alle loro competenze ed alle loro responsabilità tecniche. E’ fondamentale assicurarsi la disponibilità di personale qualificato per la confezione e la manutenzione del materiale d’armamento. La carpenteria militare, in particolare, si suddivide in diverse branche: “parchi” di macchine, coperture o macchine d’approccio alle fortificazioni (torri o castelli mobili, ecc.), campi d’assedio, palizzate, pontoni, piattaforme. A tutto questo va aggiunto il legno da lavorare e quello destinato alle impalcature ed ai ponteggi, alla carpenteria ed alla costruzione di gru o di ruote, spinte dalla forza umana, per movimentare determinati meccanismi. Allo stesso modo dei carpentieri, muratori e scalpellini vengono reclutati nel cantiere d’assedio per lavori di ingegneria. Il magister petrarius Maitre Osbert, viene arruolato nel 1210 (nella Campagna di Giovanni senza Terra in Irlanda) per organizzare il sito roccioso del castello di Corfe nel Dorset; egli viene assistito da un maestro minatore e da un maestro specializzato in fossati. Evidentemente il termine di magister sottintende una particolare competenza, una buona conoscenza della geometria teorica e pratica e la conoscenza della resistenza dei materiali (gli appunti di Villard de Honnecourt, un piccardo che viveva alla fine del XIII secolo, evidenziano dettagli tecnici derivanti da un miscuglio di erudizione e di pratico saper fare).
A partire dal XII secolo, si mette in luce una categoria particolare di personale, quello dei maestri di macchine (ingegni) o ingegneri. Oltre ai tecnici specializzati nelle macchine da getto, è proprio questa categoria che conduce i lavori destinati ad attaccare o difendere le fortezze. Il termine engineur o engineor appare nel Roman de Rou (opera di un cronista anglo normanno) a proposito della battaglia di Hastings del 1066: esso deriva dal termine engin (macchina) che, a quel tempo, significava talento, invenzione, ma anche inganno e astuzia. Letteralmente, esso designa quello che costruisce gli ingegni di assedio ed usa degli stratagemmi per assediare una fortezza. Alla fine del XIII secolo secolo, appare il termine di machineur: una ordinanza inglese del 1289 stabilisce che ogni fortezza in Guascogna dovrà essere provvista di un magister machinator e di un maestro di artiglieria (magister artillator). Il primo concepisce, ripara ed assicura la manutenzione delle macchine d’assedio, mentre il secondo cura la manutenzione delle piccole e grandi balestre, generalmente assegnate ad una specifica fortezza. Minatori e genieri – fossores et pionarii o anche talponarii (scavatori di tunnel) – vengono ricordati nelle cronache, categorie che nei conti vengono denominati con il termine minator o mineator. A priori, ogni fante può essere impiegato negli scavi, ma le operazioni di mina richiedono competenze più estese (stabilità del terreno, taglio di pietre, creazione di centine ed armature di legno).
Nel Medioevo, i capi mastri e gli ingegneri reclutati vengono dotati di una rendita confortevole e ricevono doni o privilegi. In occasione di un assedio, un maestro ingegnere è responsabile dell’artiglieria a contrappeso e coordina i serventi il cui numero varia in funzione della sua dimensione, del suo modo di impiego e del corpo di mestieri appositamente mobilitato (cordai, carpentieri, falegnami, scalpellini, fabbri ed uomini di manovra per i suoi spostamenti). I testi menzionano il reclutamento di specialisti per il lavoro del legno, per la costruzione di torri di assedio, di torri ariete, di campanili d’osservazione, di pavesi, di grandi scudi portatili, di scale e macchine da getto. Le competenza riconosciute di alcuni ingegneri in materia di costruzioni in legname e di macchine d’assedio spiegano ampiamente le loro retribuzioni. Ma poche fonti descrivono i costruttori di scale d’assedio, i carpentieri, i muratori, dai quali dipende il successo di un assedio; probabilmente si trattava di una manodopera locale, meno specializzata e reclutata sul posto.
Si può stimare, alla fine del Medioevo, che il numero dei non combattenti (personale di logistica e di servizio) risulti almeno il doppio degli effettivi in campagna, anche se mancano riferimenti precisi. In appoggio ai tecnici specializzati – o maestri ingegneri – il personale di manovra (manovalanza) diventa più numeroso per la costruzione, la manutenzione e l’impiego delle macchine d’assedio. I grandi cantieri di fortificazioni mobilitano in tal modo migliaia di lavoratori: durante l’estate del 1282, tremila uomini (carpentieri, pionieri e muratori) vengono requisiti da Edoardo I, per edificare una decina di fortezze nel Galles.
A partire dalla fine del XIV secolo, il lento progresso dell’artiglieria a polvere e il cambiamento di fisionomia del campo d’assedio necessitano di un notevole numero di truppe ausiliarie di pionieri, di minatori e di genieri per i lavori di approccio alla fortezza assediata e di sterro (pagati annualmente o per un assedio particolare). In occasione dell’assedio di Neuss, del 1475, vengono requisiti 400 pionieri ordinari, un centinaio di carpentieri e una cinquantina di minatori, oltre che tagliatori di pietra ed estensori di tende. Porre l’assedio ad una piazza implica lo spostamento di bagagli, viveri, tende, armi (specialmente i pesanti pezzi di artiglieria della fine del Medioevo) per mezzo di carriaggi ed a tal fine vengono mobilitati numerosi carrettieri e centinaia di cavalli. Nelle città, i cannonieri rimangono prima di tutto lavoratori di metalli, ben pagati e non hanno la condizione di militari nel vero senso del termine. Tuttavia, un certo numero di essi, al servizio dei grandi signori, risultano presenti nei combattimenti per far funzionare i pezzi ed assicurarne la manutenzione.
Cavalieri e fanti durante l’assedio
Durante l’assedio, ogni protagonista ricopre un ruolo specifico. Ai piedi delle muraglie, i cavalieri pesanti sono di scarsa utilità per gli assedianti: essi risultano invece necessari per cavalcare nei dintorni della piazza a fini informativi e per garantire il flusso dei rifornimenti. Essi proteggono il contingente d’assedio dall’intervento di forze di soccorso e si oppongono ai tentativi di sortita dell’assediato. Per quanto riguarda i cavalieri all’interno della piazza, essi possono operare sortite per disturbare le operazioni di approccio, per attaccare i convogli di rifornimento dell’assediante e per impedirne il rifornimento.
Per contro, i compiti dei pedites risultano fondamentali. I genieri si attivano ai piedi della piazzaforte assediata, in mezzo ad una folla di fanti. Nel campo degli assediati, tutti i lanciatori di armi da getto diventano indispensabili, specialmente gli arcieri ed i balestrieri, che concorrono a decimare i ranghi degli attaccanti, in genere poco protetti ed equipaggiati con mezzi di fortuna. Lancieri e picchieri attendono al coperto prima dell’ordine di passare all’assalto. I racconti e le rappresentazioni iconografiche li mettono in evidenza allo stesso modo dei frombolieri.
Durante l’assedio di Nizza, del 1097, il Gesta Francorum descrive una manovra di combattenti da lancio, con il compito di proteggere i genieri: “Quindi il conte di Saint Gilles ed il vescovo del Puy tennero consiglio sui mezzi per minare una torre che si trovava davanti alle loro tende. Alcuni uomini vennero designati per minarla, insieme a balestrieri ed arcieri, al fine di proteggerli”.
I mezzi tecnici
L’assalto vero e proprio viene effettuato in diverse maniere: a seguito del crollo di una parte di una muraglia o di una torre se lo scavo della mina ha funzionato oppure a seguito di una breccia provocata da un ariete o da un bombardamento ripetuto per mezzo di armi d’assedio. A tal fine, si possono individuare quattro gruppi di macchine destinate all’attacco delle piazze: le macchine di protezione, di distruzione, di scalata e le torri di tiro e di osservazione.
Le macchine destinate a scuotere, fendere o mettere fuoco alle muraglie risultano spesso insufficienti, a causa del loro ridotto numero: si tratta di pali, di barre metalliche o di arieti, protetti da solide costruzioni in legno, montate su ruote e ricoperte di materiali umidi come le pelli di animali, recentemente scuoiati e bagnate. La tecnica di assalto consiste sempre nell’impiego di torri di approccio e ad appoggiare le scale contro le cortine, tattica da prendere in considerazione in presenza di un basso numero di effettivi combattenti. L’uso combinato di mezzi d’assedio e dei lavori di mina diventa sistematico e costituisce probabilmente uno dei mezzi più efficaci per conquistare una piazzaforte, prima dei decisivi progressi dell’artiglieria da polvere da sparo. Sull’insieme del periodo, l’integralità di queste tecniche conosce miglioramenti significativi: le macchine d’assedio diventano più efficaci e risultano decisamente più diffuse. L’efficacia ispettiva di ogni macchina appare difficile da valutare, proprio perché il risultato complessivo è l’effetto combinato della somma dei materiali impiegati.
Il fuoco
La poliorcetica e l’uso del fuoco risultano strettamente connessi, sia come tecnica di assalto, sia come mezzo di vendetta, al termine di un assedio molto dispendioso per un attaccante. Fino al XII secolo i castelli rimangono totalmente o parzialmente costruiti in legno, come anche le dipendenze domestiche nella zona della bassa corte. A Brionne, secondo quanto riferisce Orderico Vitale (1075-1142), gli assedianti riescono ad incendiare il castello dal tetto, imprudentemente coperto di assi di legno ed attaccato da frecce incandescenti.
Per le città, se le cinte murarie sono comunemente costruite in pietra, le case sono in maggior parte con terra ed una ossatura (scheletro) di legno. I difensori, allo stesso modo, lanciano dei materiali infiammabili sugli assedianti: sulle macchine, sulle palizzate, sui pavesi, strumenti sensibili al fuoco perché costruiti in legno.
Gli esempi, nei testi e nell’iconografia, abbondano. In occasione dell’assedio di Parigi, dell’885, ricordato da Abbone di Fleury (945-1004), i Normanni cercano di affumicare i difensori della città, incendiando porte e camminamenti coperti a protezione dei ponti d’accesso. L’arazzo di Bayeux mostra gli uomini di Guglielmo il Conquistatore (1028-1087), che appiccano il fuoco ad una palizzata a protezione di un dongione su una motta fortificata. Richerio di Reims (X secolo), nella sua Histoire de France, riferisce l’assedio della città di Soissons del 948, da parte del duca Ugo il Grande o Ugone il Bianco (898-956), marchese di Neustria, con l’ausilio di “dardi infiammati che incendiano la cattedrale. Il capitolo dei canonici come anche la maggior parte della città vengono rase al suolo dal fuoco”. L’azione dell’ariete contro le porte ne risulterà facilitato.
A volte i proiettili sono guarniti di batuffoli di canapa di lino, arrotolati intorno ad un fusto di legno ignifugo, oppure la stessa punta di metallo della freccia viene imbevuta di una sostanza infiammabile. Alcune dimensioni di materiali più significativi lanciati possono essere dedotte a partire da macchine da getto su telaio, del tipo delle balestre giganti su ruote o fisse (espringales). Torce, bastoni di legno le cui estremità sono stata bagnate in un corpo grasso oppure altri materiali infiammabili come asfalto, resina o grasso animale. In tale contesto, sono state riportate alla luce, da scavi archeologici, bottiglie di vetro o vasi di argilla sui siti di assedio in Oriente (Il Cairo). Tali materiali si rompono al momento dell’impatto, versando il loro contenuto infiammabile. A seconda delle loro dimensioni, essi venivano lanciati o a mano o per mezzo di macchine da getto.
Esistono composti infiammabili diversi e vengono diversamente impiegati a seconda delle regioni e della capacità tecnica delle macchine. In Occidente, manoscritti che riportano le ricette di miscugli incendiari sarebbero stati tradotti a partire dal XIII secolo come il Liber ignium ad comburendos hostes di Marcus Graecus, ma questi risultano, in genere, poco utilizzati. La Chanson de la Croisade Albigeoise, di Guglielmo di Tudèla (inizi del 1200) e del trovatore Gui de Cavalhon (inizi del 1200), riguardo l’assedio del castello di Beaucaire, nel 1216, evoca l’impiego di un vaso riempito di alquitran (pece o catrame) infiammato, per distruggere le macchine d’assedio degli attaccanti. I trattati del XV secolo sono pieni di esempi di macchine destinate ad appiccare il fuoco nelle fortezze. Anche i gas tossici vengono a volte utilizzati e vengono ricordati sistemi diversi a base di zolfo o di mercurio.
L’attacco con le scale
La tecnica d’assalto basata sull’impiego delle scale nell’assedio costituisce uno dei mezzi per l’assalto delle mura ed era connesso, per la maggior parte dei casi, ad azioni di sorpresa. Tuttavia i fanti in prima linea durante l’assalto, risultavano particolarmente esposti ai dardi nemici ed a tutti i mezzi approntati per respingerli allorché questi iniziano ad appoggiare le scale contro le cortine. Anche se quest’ultime presentano un valore militare molto relativo, la loro altezza raggiunge di norma una decina di metri. Le mura possono essere provviste di aperture, anche se – fino al XIII secolo – la difesa si concentra sulla sommità con il cammino di ronda, bordato all’esterno da un parapetto fornito di merli intervallati da spazi vuoti. Per questo motivo l’azione veniva preparata da un bombardamento di artiglieria al fine di sguarnire le cortine di difensori. Il ruolo delle aperture di tiro sulla cortina si evolve con il tempo: a volte esse hanno il solo ruolo di proteggersi dagli attacchi con le scale e gli ostacoli artificiali come i fossati, impediscono, molto spesso agli attaccanti di piazzare le scale secondo le necessità.
Con la comparsa dell’artiglieria a polvere da sparo per la realizzazione di brecce nelle mura, l’impiego delle scale diventerà una modalità di assalto sempre meno utilizzata. Tuttavia, poiché la messa in opera delle scale viene effettuata con rapidità ed in una maniera discreta, l’assaltante vi ricorrerà per sorprendere l’avversario, generalmente di notte, proprio quando la vigilanza dei difensori si suppone minore. I cronisti fanno spesso riferimento all’astuzia nei loro racconti ed all’impiego delle scale per dare un tocco drammatico alla loro narrazione. Le rappresentazioni sulle miniature della fine del Medioevo ci mostrano frequentemente assaltanti per mezzo di scale che portano torce infiammate per incendiare la piazzaforte.
L’assalto con le scale rimane tuttavia un buon mezzo per effettuare diversioni al fine di disperdere le risorse dell’avversario e per deviare la sua attenzione dai punti strategici. Diversi gruppi di assaltanti con le scale possono attaccare simultaneamente diverse porzioni della cinta di difesa. Nel XV secolo, in occasione dell’assedio di Orleans, assedianti ed assediati hanno fanno ricorso a più riprese all’uso delle scale. Un tentativo francese, presentato nel Journal de Siege d’Orleans del 1428-29, di Paul Charpentier e Charles Cuissard, viene effettuato durante la conquista delle Tourelles (forte che chiude il ponte sulla Loira a sud della città ed il fossato, costruito dagli Inglesi, che proteggeva la bastiglia, detta degli Agostiniani). Il cronista pone l’accento sull’ardore e il valore dei Francesi in combattimento, che attaccano in luoghi diversi nello stesso momento per moltiplicare le possibilità di successo e per non richiamare l’attenzione e lo sforzo dei difensori in un solo punto della cinta muraria. In occasione dell’assedio di Chatellerault nel 1370, gli assedianti associano l’uso delle scale e l’astuzia per confondere l’avversario. L’attacco della piazzaforte viene effettuato con 400 uomini. Durante la notte alcune scale vengono poste contro le mura per accedere al camminamento di ronda e l’astuzia consiste nel farsi far passare come sentinelle della fortezza.
Le scale d’assalto, in legno, guarnite di ganci metallici alla sommità per poter agganciarle ai parapetti e delle punte di ferro alla base per una migliore stabilità al suolo, risultano fabbricazione poco costosa. Numerosi trattati del XV secolo mostrano dispositivi di rinforzo in cuoio (cinghie, tralicci) ma non tutto si dimostra funzionale. Pertiche con ganci vengono utilizzati per alzare le scale contro le cortine murarie: le pertiche servono anche ai difensori nel loro tentativo di respingerle e di farle cadere.
Scavi, trincee e mine
La trincea, lo scavo di gallerie e la mina costituiscono delle tecniche efficaci per far crollare parti di muraglia. Lo scavo consiste ad attaccare il piede di un muro con il piccone. La mina si basa sullo scavo di una galleria sotto le fondazioni di una cinta muraria o di una torre, puntellata da pali di legno e da tavole alla sua sommità, poste in modo da sostenere il peso della base del muro, parallelamente all’avanzamento dei lavori. Successivamente viene messa a fuoco la struttura lignea della galleria per provocare il crollo dell’opera sovrastante. Questa tecnica di attacco è così pericolosa che, a volte, non risulta utile incendiare per provocare la loro distruzione. Generalmente i genieri che attaccano la base con dei picconi vengono protetti con ripari di legno mobili o trincee ricoperte di legno. A partire dal XV secolo, verranno utilizzati barili di polvere per ottenere lo stesso risultato. Sin dall’antichità, i diversi procedimenti impiegati dagli attaccanti e dai difensori risultano perfettamente sotto controllo; sterri offensivi e difensivi, scelta della posizione ed orientamento dei lavori di scavo, sostegno all’interno delle gallerie ed impiego combinato delle artiglierie.
Nell’assedio del Palazzo dei Papi di Avignone (fortezza di rilievo di questa epoca, della quale due assedi risultano ben documentati), nel 1398, l’aristocrazia degli uomini d’arme tenta di conquistare la fortezza di notte, passando per le fogne. Una sessantina di uomini penetrano fino alle cucine, ma vengono fatti prigionieri. Il maresciallo Boucicaut, per far dimenticare questo scacco, continua nel suo lavoro di scavo contro il palazzo (quattro mine) e allora gli assediati scavano alcune contromine ed il combattimento sotto terra si rivela ancora una volta favorevole agli assediati.
Diverse metodologie sono state messe a punto dai costruttori per dissuadere gli assalitori e per prevenire le gallerie di mina: essi cercano, per quanto possibile di piazzare il loro castello su una solida base di roccia o di proteggerlo con un fossato spesso ripieno d’acqua. Allorché il terreno non si presta a queste condizioni, la base dei muri viene convenientemente allargata rispetto allo spessore della cortina. Alla fine del Medioevo, le false braghe – terrapieni e muri posti fra il fossato ed il muro principale di una piazzaforte – impediscono all’assalitore di accedere direttamente alla base delle cortine murarie. Nelle nuove fortificazioni fanno il loro ingresso le gallerie a volta di contromina, dispositivo di ascolto per prevenire e parare eventuali manovre dell’assaltante. Più raramente, il muro della cortina è provvisto di archi di discarica delle spinte per assicurare una maggiore stabilità allo stesso muro, se percorso da crepe.
Idealmente, lo scavo di una galleria di mina viene iniziato ad una certa distanza dalla cortina muraria e dissimulato agli assediati per mezzo di ripari di fortuna o siepi in modo da gestire al meglio l’effetto sorpresa. A volte lo scavo si prolunga al di là del muro di cinta, di modo che, durante la notte, una parte degli assedianti possa penetrare all’interno della fortezza ed aprire le porte. Un’altra alternativa ci viene fornita dall’assedio di Carcassonne del 1240: i difensori elevano palizzate e muri di pietre a secco davanti alle cortine per tentare di parare eventuali tentativi di mina; vengono scavate delle gallerie di contromina per rendere inoperante il lavoro di scavo del nemico. Ma la difficile localizzazione di una galleria di mina, l’indebolimento inevitabile della muraglia ed il rischio di combattimenti corpo a corpo sotto terra che lo scavo di una contromina può implicare hanno dovuto dissuadere più di un difensore dallo scavo di tale tipo di gallerie.
Le macchine d’assedio
Sin dall’Antichità, gli assedianti hanno portato al loro seguito una serie di macchine ossidionali. Gli Assiri mettono in opera l’ariete pesante per far cadere i bastioni di mattoni dei loro nemici. I Greci hanno sviluppato le scale per l’assalto, ma soprattutto le catapulte, a partire dal IV secolo a.C.. Il periodo romano vede anch’esso il suo pacchetto di innovazioni tecnologiche ed in particolare Publio Flavio Vegezio Renato (fine IV, inizi del V secolo) con la sua Epitoma rei militaris. (de Re militari), diventerà il riferimento assoluto dell’arte della guerra medievale. Gli assedianti medievali inizieranno ben presto ad utilizzare questa eredità culturale antica per condurre a buon fine le loro operazioni.
Arieti – Questo tipo di macchine aveva il compito di sfondare le pesanti porte che proteggevano l’accesso alle città o fortezze, piuttosto che sfondare le mura, anche se, in linea di principio, esse potevano comunque causare dei danni. Di fatto, utilizzati in maniera ripetitiva contro la stessa porzione di cinta muraria, essi potevano conseguire distruzione del manufatto. Queste travi di grande diametro portate a braccia d’uomo, generalmente rinforzate da una estremità metallica (testa d’ariete), possono essere sospese ad una struttura lignea per mezzo di corde e sempre per mezzo di corde sospinta con forza dal personale di servizio contro le porte o le mura avversarie. Il loro peso complessivo presuppone un numero adeguato di serventi. Essi vengono spesso costruiti con strutture protettive come la testudo o antica testuggine; numerose illustrazioni della fine del Medioevo le rappresentano sotto questa forma, come nel Trattato De ingeneis e De machinis di Mariano di Jacopo Vanni, detto il Taccola o Archimede da Siena (1381-1453).
Torri d’assalto - Sin dall’Antichità, ingegneri e matematici applicano le loro scoperte in campi diversi fra i quali quello del genio militare. L’impiego di torri d’assalto (helepoles, termine greco che significa macchina che conquista le città), di arieti su ruote, protetti da opere di carpenteria lignea e di macchine da getto offensive su telai con o senza ruote (onagri, catapulte, scorpioni) viene attestato insieme alle torri di approccio alle cortine murarie. Nel Medioevo, sebbene una parte delle macchine siano una eredità del mondo antico, esse beneficiano di specifiche innovazioni. Fra queste si può evidenziare il passaggio dall’artiglieria a tensione nevrobalistica ad una artiglieria a bilanciere a trazione umana o a contrappeso fisso o mobile: i progressi più significativi vengono realizzati nel periodo 1180-1220.
Gli ostacoli difensivi rendono obbligatorio l’impiego, da parte dell’attaccante, di macchine d’approccio, una specie di contro fortificazioni che consentono di avvicinarsi alle cortine murarie (in relativa sicurezza) e di arrecare danni ai difensori. Queste portano nomi diversi (gatto o gatta castello, troie, vigne, ecc.). Per portare una torre o qualsiasi macchinario d’assedio sufficientemente vicino alle mura – alcune erano anche munite di ruote – risultava necessario, preliminarmente, riempire il fossato, secco o riempito d’acqua, con materiale adeguatamente spianato (legname, pietre, terra), prelevato nei dintorni, oppure con fagotti di rami. Gli assaltanti si proteggono dal fuoco avversario grazie ai loro arcieri, frombolieri e balestrieri, spesso a partire da una torre mobile o campanile (per il tiro e l’osservazione). Determinati assalti riescono ad avere successo con questo metodo, specialmente quando le macchine risultano sufficientemente alte da consentire di raggiungere la sommità delle cortine murarie, con l’aiuto di ponti levatoi volanti. In tal modo, durante l’assedio del castello di Gournay, nel 1107, l’abate Sugerio di Saint Denis (108-1151) ricorda che “un’alta macchina, dominando i combattenti con i suoi tre piani, era destinata, sovrastando la cinta del castello, ad impedire agli arcieri ed ai balestrieri della difesa di circolare o dimostrarsi verso l’esterno… A questa macchina si collegava un ponte di legno che, allungandosi abbastanza in altezza, doveva poi, abbassandosi sulla palizzata, offrire una facile entrata agli attaccanti che vi discendevano”.
Durante l’assedio di Beaucaire (1216), Simone di Montfort, fa costruire una gatta (macchina d’approccio); due anni più tardi all’assedio di Tolosa, la macchina viene considerata un temibile strumento. Sembra che queste diverse macchine abbiano approfittato delle sostanziali innovazioni del periodo; le prime torri mobili risultano poco mobili (dovevano essere sospinte da un centinaio di uomini) e, soprattutto non disponevano di ponti levatoi per accedere alle mura. Esse, con il passare del tempo, diventano più alte, più mobili e di dimensioni tali da portare al suo interno altre macchine d’assedio, come i mangani.
Una torre comprende, a volte, diversi piani collegati fra di loro per mezzo di scale. Inoltre, presenta aperture di tiro, ricavate nella parete di legno, in modo da consentire il tiro agli arcieri senza essere esposti. Queste torri sono tradizionalmente montate su ruote e mosse con l’aiuto di argani e spesso tirate da animali. Uno spazio coperto, nella parte inferiore, poteva essere organizzato per proteggere i genieri durante i loro lavori alla base della cortina muraria. Abbone, nella sua descrizione dell’assedio di Parigi da parte dei Normanni fa riferimento a dei “Danesi che fabbricano allora… tre macchine montate su sedici ruote, di una grandezza smisurata, fatte con querce immense e legate insieme… al loro interno e nei loro fianchi esse potevano racchiudere e tenere nascosti – si dice – 60 uomini armati e con la testa protetta dai loro elmi”.
Le macchine a bilanciere - La maggior parte delle macchine a bilanciere consistono in una trave di legno, mobile posta sopra un’opera di carpenteria, che gira verticalmente intorno ad un asse: allorché la parte corta si abbassa, la parte lunga muove la fionda nella quale viene posto il proiettile. Tali macchine, comunemente utilizzate durante gli assedi, appaiono sotto i nomi più diversi: ingegni volanti, bricole, couillard, petriere, mangani. Il termine trabucco (dal francese trebuchet) appare verso il 1200 (nel Roman de Renart), petriera (petraria: macchina per lanciare pietre) e mangano (manganel) verso il 1155 (Robert Wace, Roman de Brut). Nel XIII secolo, diversi perfezionamenti tecnici consentono di aumentare la cadenza di tiro, la precisione e la potenza del colpo singolo di queste macchine. Tuttavia, anche per gli assedi importanti, essi sono presenti in numero relativamente importante, al massimo una ventina di macchine. Nel 1304, Edoardo I d’Inghilterra impiega 13 trabucchi per l’assedio del castello di Stirling, che lanciano complessivamente 600 palle di pietra. A questi ingegni vengono assegnate diverse funzioni: scuotere e demolire le fortificazioni avversarie, provocarvi incendi (per mezzo del lancio di proiettili incendiari), propagare epidemie e seminare il terrore (lancio di immondizie, di cadaveri in decomposizione). All’assedio di Castelnaudary queste macchine vengono persino utilizzate per distruggere le macchine avversarie in una prima azione medievale di … controbatteria. Sebbene non fossero armi anti personale, i loro proiettili potevano comunque uccidere uomini in maniera fortuita: Simone IV di Montfort (morto nel 1218) sarà vittima di una pietra lanciata da una pietriera, azionata, secondo i testimoni, da donne di Tolosa.
Le fonti su questo argomento sono rare per l’alto Medioevo. Gli Annales di Saint Bertin – a proposito dell’assedio di Angers da parte di Carlo il Calvo – fanno riferimento a “macchine nuove e raffinate” per scacciare i Normanni. Il cronista forse fa riferimento all’introduzione in combattimento delle macchine a bilanciere o forse più semplicemente non se ne intendeva di cose militari. Abbone, a proposito dell’assedio di Parigi dell’885, descrive l’impiego di una macchina “con delle assi accoppiate e di uguale lunghezza… lancianti pietre immense”. Il cronista insiste sulla dimensione di queste macchine per mettere in risalto l’azione dei difensori, ma il testo ci fornisce ben poche informazioni circa le loro caratteristiche e le loro prestazioni operative.
Il francese medievale fa principalmente uso del termine petriera e del termine mangano (dal greco manganon, che peraltro designa macchine diverse). L’armamento del mangano non viene sempre effettuato per trazione umana, ma spesso la stessa viene rimpiazzata da un contrappeso o comunque la completa; a tal proposito si parla di trabucco ibrido o misto. Di fatto, tutti i trabucchi possono essere classificati in tre categorie: impiegati per trazione umana, mista (connubio di trazione umana e di gravità) ed a contrappeso. A titolo di curiosità, il mangano persiano risulta dotato di un contrappeso il cui meccanismo consente un potente tiro parabolico.
La questione del contrappeso è un problema rilevante, in quanto il suo uso implica una potenza del colpo singolo molto più grande e necessita di modifiche strutturali alla macchina. L’impiego di questo strumento risulta precoce nel Medio Oriente e nel mondo mediterraneo da parte dei Bizantini, Mussulmani e Normanni: dal IX secolo, risulta già impiegato il mangano ibrido e costituisce il primo passo verso il trabucco a contrappeso. In tal modo, il XIV secolo marca una svolta importante nell’arte militare, perché, con l’arrivo dei Turchi nel vicino Oriente, viene superata una soglia tecnologica nelle regioni di scontro (fra Bizantini ed Armeni), I Turchi sono i “veri portatori di tecniche dell’estremo oriente”: “manovravano alla perfezione armi tecniche molto complesse per attaccare fortificazioni, anche se non sempre conseguivano un rapido successo” (Zouache).
Egidio (Gille) Romano, forse Egidio Colonna (1243-1316) autore del trattato De regimine principum, enumera differenti tipi di ingegni a bilanciere: trabuchium, biffa, tripantium ed ammette la coesistenza di diversi modelli a contrappeso fisso, mobile o misto o a semplice trazione umana. Ma questo fatto sembra anche indicare una grande adattabilità degli ingeneors medievali ad ogni tipo di assedio.
Le pietriere o petriere sono delle macchine a contrappeso fisso. Essi vengono azionati sollevando una delle estremità del bilanciere, mediante l’impiego di diversi serventi. Queste macchine risultano sulle miniature del manoscritto bizantino Synopsis historiarum di Giovanni Skylitzes (1040-1110) o ancora sul Carmen de Rebus Siculis (o Carmen de motibus Siculis) di Pietro da Eboli (1150-1220). La fragilità delle petriere è dovuta alla ripetizione durante l’impiego di forti traumi: di fatto la fionda si apre solo quando il bilanciere colpisce la traversa fissa a fine corsa. Poco potenti, il loro impiego risulta invece flessibile: l’archeologia sperimentale dimostra che la cadenza di tiro poteva essere elevata anche con pochi uomini.
Il trabucco a contrappeso funziona sullo stesso principio con un contenitore (contrappeso) ripieno di terra, di sabbia, di pietre (valutate a diverse tonnellate) che si sostituisce alla forza muscolare Questa innovazione rende possibile l’apertura della fionda, che contiene il proiettile, al momento opportuno, grazie all’azione della forza centrifuga, senza urto. Tutto questo fornisce una migliore resa dell’energia ed una maggiore durata della macchina. gli ingegneri troveranno la soluzione per una migliore equilibrio, articolando i pesi. Tuttavia, riportare la trave in posizione iniziale richiede notevoli sforzi; Le macchine più grandi vengono riarmate con un sistema di argani e di pulegge, fatto che diminuisce la cadenza di tiro. L’ingegnere architetto francese Villard de Honnecourt ci ha lasciato un commento a margine di un disegno che rappresenta un trabucco a contrappeso mobile, che lancia dardi di notevole calibro. Il contrappeso, che contiene terra per 22 tonnellate, viene riportato in posizione di lancio mediante due argani ed un sistema di quattro pulegge. Risulta molto complicato essere precisi quando si evoca la dimensione dei proiettili e la portata di tiro della macchina, ma sulla base di stime si possono evincere alcuni dati: il peso del proiettile, che proveniva dall’arsenale di Carcassonne (XIII secolo), variava fra i 47 ed i 91 kg.
In generale, per delle macchine destinate a durare, il legno da costruzione veniva scelto con cura (resistenza allo sfregamento e ad altri vincoli). I falegnami (carpentieri) militari lavoravano su alberi abbastanza giovani, di diametro medio – la quercia era il miglior legno da utilizzare per questa esigenza – semplicemente squartato. Se la maggior parte di queste macchine sono smontabili, certune presentano una base murata con una macina di pietra che consente di assicurarne la rotazione, come il trabucco realizzato per la difesa del borgo di Martel durante la guerra dei Cento Anni. La quantità di legno necessario per queste macchine era notevole: Edoardo I impiega 50 carpentieri e 5 contromastri (aiutanti) per costruire un war-wolf, che fa trasportare all’assedio di Stirling, per via d’acqua e di terra. Il re era così fiero di questa macchina che rifiuterà la resa degli Scozzesi fino a quando non avrà colpito le muraglie con la sua nuova macchina.
I proiettili vengono selezionati con cura e spesso trasportati per chilometri. All’assedio di Newcastle Emlyn (1287), per il rifornimento munizioni di una grande petriera, vengono trasportate 480 pietre per battello e con carri tirati da 120 cavalli. Una prima menzione di trebuchetarius (fabbricante di trabucchi) appare nel 1228; un testo suggerisce che nel 1244 alcune pietre sono state tagliate secondo un modello, segno che esisteva già una forma di standardizzazione dei proiettili (premessa di buon funzionamento della macchina per un lancio corretto).
La maggior parte delle macchine impiegate negli assedi del Medioevo dovevano permette di cacciare efficacemente i difensori dall’alto delle cortine e di danneggiare le opere di carpenterie leggera come le palizzate. Per le macchine più piccole, gli effetti sulle murature si dimostrano insignificanti, fatto che porta gli ingegneri a concepire macchine più robuste, meno soggetto ai cambiamenti climatici e soprattutto più potenti. Esse consentono di martellare un punto debole della muraglia allo scopo di aprire una breccia: un ingegno impiegato da Filippo Augusto di Francia (1165-1223), in occasione dell’assedio di Chateau Gaillard (il castello di Riccardo Cuor di Leone, 1157-1199) riuscirà a danneggiare seriamente il dongione.
Secondo la descrizione di cronisti, alcune di queste macchine lanciano palle e pietre da 100 a 300 libbre (fino al 124 kg) a più di 100 tese (circa 200 metri), fatto confermato dalle sperimentazioni contemporanee. Il cronista Jean Froissart (1337-1405) afferma che, durante l’assedio di Mortagne da parte del conte Gugliemo II di Hainaut (1307-1345), nel 1340, un ingegnere fabbrica una macchina per opporla a quella degli assediati, e si rompe il braccio durante le operazioni del suo terzo tiro. Gli Avignonesi, durante un periodo cardine dello sviluppo delle artiglierie a polvere, in occasione degli assedi del 1398 e del 1410 del Palazzo dei Papi di Avignone, impiegano ancora due potenti trabucchi, che lanciavano pietre da 280 kg (la cadenza di tiro era di circa di 40 pietre al giorno). Qualche anno più tardi, nel 1411, queste macchine a trabucco non passano di moda e vengono rischierate per contrastare l’artiglieria pontificia. I conti ci informano su una macchina di grande dimensioni lancia proiettili di 10 quintali dell’epoca (400 kg), che era stata costruita in appena otto giorni, ma che richiedeva una eccezionale mobilitazione di artigiani (circa 250, di cui alcuni segatori, lavoratori del cuoio e cordai). Diverse fonti evocano una “guerra batteriologica”: 250 barili di acque di scarico, immondizie ed escrementi vengono lanciate sullo stesso palazzo pontificio.
Allo stesso modo, nel XIV e XV secolo, le macchine in carpenteria militare vengono ancora considerate ancora efficaci, nonostante la diffusione del cannone e le stesse scompariranno, a poco a poco, dal campo di battaglia. I tipi di artiglieria – tradizionale e a polvere – vengono impiegati in concorso, utilizzando al meglio gli effetti di ciascuno sul campo di battaglia: questo è il caso dell’assedio di Burgos in Spagna (1475-76) o di quello di Rodi (1480), dove le macchine cristiane causano seri danni ad una artiglieria turca particolarmente efficace. In ogni caso, l’artiglieria tradizionale, a partire dal 1380, inizierà un declino che sarà inarrestabile. In seguito, le menzioni riguardo le stesse diventeranno sempre più rare, segno di un cambiamento decisivo.
Evoluzione degli strumenti
Da questo momento, ha inizio una dialettica di fatto fra l’attacco e la difesa: profonde modifiche strutturali ed architetturali rispondono ai nuovi procedimenti di attacco – specialmente le operazioni di scavo ed il bombardamento delle pareti da parte di ingegni d’assedio, richiamando così l’attenzione e la fantasia dei costruttori medievali. Davanti al progresso degli strumenti meccanici – che hanno assunto aspetti diversi, in proporzioni, diversità, precisione ed efficacia – le fortificazioni evolvono di conseguenza, a partire dalla fine del XII secolo, ma con un certo ritardo. In particolare, esse si trasformano in modo da poter utilizzare al loro interno macchine di difesa; utilizzo di terrazze per le artiglierie nella parte sommitale delle torri e modifica delle feritoie per adattarle alle nuove esigenze.
Al di là dei tipi di macchine utilizzate, è l’insieme delle tecniche della guerra d’assedio che conosce significativi perfezionamenti nel corso del periodo medievale, Oggi, gli storici sono concordi nel mettere in evidenza il ruolo centrale dell’artiglieria d’assedio negli ultimi secoli del Medioevo ed insistono sulle influenze reciproche fra questa nuova forza d’urto e la fortificazione stessa. In definitiva, i procedimenti d’attacco e di difesa si sono così evoluti in maniera parallela.
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