LA PERSECUZIONE DEGLI EBREI A ROMA NEI RICORDI DEL DOTTOR SACERDOTI

di Pier Luigi Guiducci -

 

Medico ebreo, testimone e vittima delle discriminazioni razziali, svolse la sua opera in clandestinità tra le mura dell’ospedale Fatebenefratelli. In una intervista rilasciata nel 1998, raccontò i drammi e le astuzie per salvare quante più persone possibile dai rastrellamenti nazisti.    

 

La figura del medico ebreo dott. Vittorio Emanuele Sacerdoti conserva a tutt’oggi un significato non debole. Nei mesi in cui Roma venne dichiarata in modo unilaterale ‘città aperta’, fu testimone di tragedie. Sono fatti che sconvolsero la vita della Comunità ebraica dell’Urbe, specie il rastrellamento del 16 ottobre 1943 ad opera di militari tedeschi. In realtà, questo sanitario aveva già subìto sulla propria persona le dure conseguenze delle leggi razziali italiane. Non poteva più esercitare la professione di medico nell’ospedale civile di Ancona e altrove. Alla fine, accolto e protetto dai Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina, si unì ai frati e al personale del nosocomio in una resistenza all’oppressione nazi-fascista. Partecipò alla difesa degli ebrei. E li curò. In tal modo egli rappresenta un aspetto della Resistenza: quello dell’opposizione civile. La sua testimonianza venne videoregistrata il 15 maggio 1998 per iniziativa della Shoah Foundation di Los Angeles.[1]

Alcuni dati biografici

Vittorio Emanuele Sacerdoti nacque a Roma il 22 luglio 1915. I suoi genitori erano Rodolfo e Celeste Dolce Almagià.[2] La famiglia, allietata da quattro figli[3], risiedeva ad Ancona. In questa città vivevano circa mille ebrei. Il rabbino era Heimann Rosenberg.[4] Dopo il ginnasio e il liceo, il giovane Vittorio si iscrisse alla facoltà di medicina dell’università di Bologna.[5] Qui soggiornò dal 1934-1935 (I anno) al 1939-1940 (VI anno).
A motivo delle leggi razziali fu espulso dall’ospedale civile ‘Umberto I’ di Ancona. In questo nosocomio aveva iniziato a far pratica vicino al primario chirurgo prof. Giulio Bombi.[6] Nell’intervista del 1988 il dott. Sacerdoti ricorda con precisione un incontro traumatico. Fu chiamato all’improvviso dal direttore dell’ospedale. E questi gli disse: “Tu d’oggi in poi non verrai più qua. Tu sei un nemico della Patria. Vattene. E non ti far più vedere”.
La situazione divenne critica. Il dott. Sacerdoti non poteva esercitare la sua professione ad Ancona, ma solo tra gli ebrei rimasti in città (diversi erano fuggiti). Nell’intervista ricordata egli afferma: “Io non avevo futuro”. A questo punto, uno zio di Sacerdoti, il prof. Marco Almagià[7] (fisiopatologo), chiese aiuto al dott. Giovanni Borromeo[8], un antifascista. Questi, dal 1934 era primario di medicina presso l’ospedale tiberino dei Fatebenefratelli, situato a Roma sull’Isola Tiberina. Tale interazione si concretizzò rapidamente perché Borromeo era stato a suo tempo allievo di Almagià, seguendo le sue lezioni di patologia generale presso l’Università di Roma.
Il dott. Sacerdoti raggiunse l’Urbe nel 1941. Nel complesso dei Fatebenefratelli gran parte dei medici assistenti era stata richiamata alle armi. La direzione del nosocomio aveva quindi necessità di sanitari. Sacerdoti si presentò a Borromeo in sala Assunta. Il giovane medico, considerate le persecuzioni in atto, non aveva difficoltà a espletare compiti anche di basso livello. Borromeo, però, disse subito a un infermiere: “Fra Joseph, un camice per il dottore”.  Solo per motivi precauzionali Sacerdoti non venne inserito in organico. In tal modo, evitando trascrizioni su registri amministrativi, lo si tutelò da improvvisi controlli esterni.
Con riferimento a questa accoglienza, il dott. Sacerdoti ha poi affermato: “da niente ero ritornato nella mia personalità”, c’era un rapporto “con persone alla pari”, l’ambiente era antifascista.

Difficoltà e nuovi eventi

Sacerdoti nel laboratorio dell'ospedale dei fatebenefratelli 1942.

Sacerdoti nel laboratorio dell’ospedale dei Fatebenefratelli, 1942.

In fase di ingresso si verificò comunque un fatto. A raccontarlo è lo stesso Sacerdoti. Un commissario di Polizia, di origine veneta, lo fermò. Si rese conto di aver davanti un perseguitato. Per aiutarlo, gli fece capire che si doveva presentare come uno studente di medicina che faceva pratica in corsia. L’ospedale – per norma concordataria – era classificato struttura privata, e comunque non sottoposto a vincoli pubblici o statali. Da qui, una relativa tolleranza delle autorità fasciste. Comunque, Sacerdoti, tramite Elio Ottolenghi (un parente), ricevette anche dei documenti falsi. Divenne in tal modo ‘Vittorio Salviucci’, nato a Salerno in corso Vittorio Emanuele.
I medici che lavoravano al Fatebenefratelli rimanevano un piccolo gruppo. Nel reparto medicina c’era solo il dott. Sacerdoti con il collega dott. Lorenzo Lapponi.[9] In seguito si aggiunse il dott. Paolo Santambrogio [10], reduce dall’Albania. Nell’area della chirurgia operavano il prof. Bernardino Masci [11] e il dott. Giuseppe Rizzi. L’oculista era il dott. Riccardo Galeazzi Risi. [12]
Diversi erano i compiti da svolgere. Sacerdoti racconta, ad esempio, che si doveva occupare anche di esami radiologici e delle analisi di laboratorio. Unitamente alle attività interne, il giovane medico si rese pure disponibile per fare delle endovenose a domicilio. Fu il prof. Alfredo Calò[13], altro medico ebreo (chirurgo primario anche presso il carcere romano di Regina Coeli), a segnalarlo a più famiglie ebree. In tal modo, poco alla volta, il dott. Sacerdoti divenne il medico di fiducia di varie persone. Nel frattempo, seguiva le vicende del tempo leggendo alcuni giornali: La Tribuna di Losanna, Le Temps di Parigi, e l’Osservatore Romano (specie la rubrica Acta Diurna). Partecipava inoltre a incontri amichevoli con i propri correligionari. Tra questi, era presente pure la figlia del rabbino Israel Anton Zoller.[14] Di quest’ultimo ebbe modo di ascoltare delle conversazioni sull’ebraismo.

Roma ‘città aperta’ (settembre 1943)

Dopo il cosiddetto ‘armistizio breve’ (8 settembre 1943), la realtà italiana fu sconvolta. Anche Roma subì l’occupazione tedesca. In tale contesto, nei mesi che seguirono, l’ospedale tiberino dei Fatebenefratelli divenne un punto strategico per molte persone.
Si trattava di fuggiaschi, di carabinieri che avevano rifiutato l’internamento in Germania, di membri della polizia coloniale (PAI), di disertori, di combattenti della Resistenza, di politici, e alla fine, dopo la liberazione, anche di fascisti che avevano militato nella Repubblica Sociale Italiana.
Unitamente a ciò, il personale del nosocomio dovette organizzarsi per prestare assistenza non solo ai militari feriti sui fronti di guerra, ma anche ai civili che erano stati colpiti dai bombardamenti degli Alleati. Al riguardo il dott. Sacerdoti ricorda l’incursione su Frascati avvenuta l’8 settembre del 1943 (cinquecento morti e un numero elevato di feriti). Molti abitanti dei Castelli, in gravi condizioni, vennero trasportati nell’ospedale dell’Isola Tiberina.

Realtà emergenti dopo l’occupazione tedesca

Rifugiati nel chiostro del convento di San Lorenzo al Verano dopo il bombardamento del 1943.

Rifugiati nel chiostro del convento di San Lorenzo al Verano dopo il bombardamento del 1943.

In tale contesto, per il nosocomio, oltre all’espletamento dei normali compiti istituzionali, si aggiunsero ulteriori ambiti operativi: 1) la protezione dei ricercati, 2) la cura di quanti erano rimasti feriti a seguito di conflitti a fuoco con i tedeschi, 3) la pianificazione di progetti resistenziali.
1) La protezione dei ricercati fu decisa senza esitazioni pur conoscendo i rischi. È da considerare, al riguardo, che il Fatebenefratelli – offrendo un’assistenza rivolta a tutta la popolazione – rimaneva un luogo ove potevano accedere facilmente anche dei delatori. Inoltre, il nosocomio era posizionato tra due aree urbane[15] che, per motivi legati alla presenza di famiglie e di lavoratori ebrei, costituivano luoghi frequentati assiduamente da spie del regime.[16] Di questi, oggi si conoscono i nomi.[17] Unitamente a ciò, si rendeva indispensabile tentare di attivare una rete di solidarietà in ambito territoriale così da realizzare dei ‘corridoi’ di salvezza in più quartieri dell’Urbe. Su questo punto il dott. Sacerdoti, nell’intervista del 1998, ricorda l’aiuto che gli ebrei ricevettero dal clero e l’apertura dei conventi. E sottolinea che certamente una mobilitazione cattolica così articolata non poteva sussistere senza “un ordine dall’alto”.
2) Gli scontri a Porta San Paolo (settembre 1943) tra tedeschi e oppositori registrarono un significativo numero di morti e feriti. I casi gravi trovarono accoglienza anche al Fatebenefratelli. In questo nosocomio morì ad esempio, sul tavolo operatorio, l’ufficiale Enzo Fioritto.[18] Non aveva più un braccio e presentava una grave ferita a una spalla. Il dott. Sacerdoti fu presente al suo decesso. In tale contesto, un medico[19] coinvolse in segreto alcuni colleghi del Fatebenefratelli per curare quanti, colpiti dal fuoco nazista, rimanevano nascosti nelle zone più diverse. Si trattò di una scelta coraggiosa. I sanitari dovettero raggiungere i ricercati nei loro nascondigli. Lo fecero rischiando la vita. Al riguardo, nell’intervista Sacerdoti afferma che anche lui aiutava i partigiani rimasti feriti. Su questa vicenda non fornisce ulteriori dettagli.
3) I progetti resistenziali espressero una comune esigenza: concordare delle risposte militari all’occupazione tedesca, e preparare un sollevamento popolare.[20] Alcuni membri della Resistenza chiesero ai frati del nosocomio il permesso di posizionare una radio rice-trasmittente per attivare collegamenti con le forze antitedesche. La richiesta fu accolta. Con l’aiuto dell’inserviente Scarabotti l’apparecchio venne collocato nell’area del noviziato (preclusa al personale del nosocomio). Nel laboratorio analisi si organizzarono pure degli incontri. Furono discusse linee politiche e operative. Tra i partecipanti: l’economo fra’ Maurizio Bialek[21], alcuni generali che sostenevano la Resistenza (Sabato Martelli[22] e Roberto Lordi[23]), Edoardo Volterra[24] (che si presentò un giorno avvolto da un mantello che celava dei mitra[25]), il primario Borromeo (vicino alla Democrazia Cristiana), esponenti dell’area repubblicana e liberale. Ogni tanto si vedeva anche il conte Dalla Torre[26] che lavorava in Vaticano. In seguito, come ricorda il dott. Sacerdoti, ci fu l’arrivo ‘dei giovani’. Tra questi, Adriano Ossicini[27] (dei Cristiano-Comunisti). Il padre di Adriano, Cesare[28], era amico del dott. Borromeo.

Il Movimento dei Cristiano-Sociali

Si deve ricordare che nel 1941 venne fondato il Movimento Cristiano Sociale.[29] Ne furono promotori Silvestra Tea Sesini[30], Gerardo Bruni[31], Anna Maria Enriques Agnoletti[32] e il dott. Lorenzo Lapponi. Quest’ultimo era chirurgo al Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina. Tale Movimento costituiva una formazione di sinistra dei cattolici italiani.[33] Divenne poi Partito Cristiano Sociale. I suoi membri cominciarono a riunirsi in clandestinità e ad attivare azioni resistenziali specie nel Lazio e in Toscana.

Il rastrellamento del 16 ottobre 1943

Il 16 ottobre del 1943, intorno alle 5,30, ebbe inizio il rastrellamento degli ebrei in più quartieri di Roma. Anche nell’area dell’antico Ghetto si verificarono dinamiche disumane. Il dott. Sacerdoti fu subito informato da un frate della Comunità: “Dottore venga, stanno portando via gli ebrei”. Dalle finestre del nosocomio fu possibile vedere sia un soldato tedesco che trascinava un ragazzo, sia gruppi di ebrei che erano spinti a forza verso dei camion che Sacerdoti considerò ‘strani’. Erano infatti coperti da un telone grigio che non consentiva di vedere all’interno. Gli arrestati erano soprattutto bambini, donne e anziani. Giovani e adulti erano fuggiti nella convinzione che i tedeschi cercassero solo gli uomini. Non fu così. Vennero deportate intere famiglie. Anche neonati.
Quelli che si salvarono caddero in tempi successivi nella rete degli arresti a causa dei delatori. Ormai la notizia del rastrellamento in corso si era diffusa. Per tale motivo più ebrei telefonarono ad altri correligionari per avvisare del dramma in atto. Ebbe inizio in tal modo la ricerca disperata di un rifugio.
Diversi perseguitati che conoscevano il dott. Sacerdoti corsero verso il nosocomio. Chiesero aiuto. Erano circa 27. Trovarono protezione insieme ad altri ricercati che si presentarono nelle stesse ore e in momenti successivi.[34] L’intera manovra di accoglienza ricevette l’appoggio concreto dei frati del nosocomio. Occorre ricordare al riguardo che, in quel periodo, il complesso dell’ospedale tiberino dei Fatebenefratelli accoglieva, oltre all’area dei servizi sanitari, anche la curia generale dei frati, quella provinciale, la sede dei novizi e il polo per la formazione infermieristica.[35] Si attivò quindi un movimento di solidarietà che si aggiunse alle attività istituzionali e a quelle religiose, e che comportò – oltre ai rischi – anche la necessità di provvedere a un supporto per le esigenze primarie.

L’irruzione dei tedeschi

Il movimento frenetico di persone in fuga non passò comunque inosservato. Per questo motivo, soldati della Wehrmacht con un proprio medico, poco dopo la razzìa, si presentarono all’improvviso per ispezionare i diversi locali del Fatebenefratelli. In tale occasione, il prof. Borromeo fece riunire gli ebrei in una corsia che era stata ricavata utilizzando l’area della sala Assunta vicina all’altare. Venne detto che in tale ambiente, che una grande vetrata separava da altre file di letti, c’erano i pazienti colpiti da un morbo di tipo neurodegenerativo e molto contagioso. Tutto era stato inventato dal primario. Quest’ultimo descrisse i caratteri del morbo ai militari che, alla fine, non procedettero a ulteriori riscontri. Cessato il pericolo, cominciò a girare una battuta (ideata probabilmente dallo stesso dott. Sacerdoti): erano stati salvati i ‘malati’ affetti dal ‘morbo di K’. In questo caso, ‘K’ stava a indicare Kesserling.[36] Nell’intervista, Sacerdoti fornì una serie di dettagli.
1) Raccontò che il riferimento al ‘morbo di K’ non venne usato solo per gli ebrei ma per chiunque era in fuga da tedeschi e fascisti.
2) Ricordò il pericolo che gravò sull’ospedale israelitico (posizionato sull’Isola Tiberina), e la figura dell’infermiera Teodora (Dora) Focaroli. Quest’ultima affrontò con molto coraggio il dramma del 16 ottobre 1943.[37] Alcuni infermi ebrei trovarono accoglienza al Fatebenefratelli. Altri vennero accompagnati all’ospedale Littorio (attuale San Camillo). Gli anziani della casa di riposo furono nascosti in una torre inserita nel complesso che accoglieva anche l’ospedale israelitico.
Dopo il 16 ottobre 1943, Sacerdoti, che viveva in un appartamento vicino all’Isola Tiberina, si trasferì nel nosocomio. I frati gli assegnarono una stanza ove dormiva anche il medico dott. Giuseppe Rizzi. È da ricordare inoltre il fatto che il dott. Sacerdoti fu chiamato anche a curare gli ebrei rimasti nascosti nell’edificio che accoglieva l’ospedale israelitico. I medici che vi lavoravano erano stati costretti a nascondersi altrove.

Le vicende del 1944

Pure nei mesi del 1944 l’ospedale tiberino dei Fatebenefratelli continuò a rimanere un luogo di rifugio. Il dott. Sacerdoti ricorda la partigiana dei GAP Carla Capponi.[38] Quest’ultima fu ricoverata per qualche tempo nel nosocomio dopo l’attentato di via Rasella (23 marzo) e il successivo eccidio delle Cave Ardeatine (24 marzo). Alla fine del mese di maggio 1944, un’irruzione tedesca mise a rischio gli ebrei nascosti nel centro ospedaliero. In tale ora drammatica, i frati riuscirono a buttare nel Tevere i pezzi della radio ricetrasmittente usata dai partigiani per i collegamenti con le forze alleate. Conclusa l’operazione nessun ebreo venne individuato.

Dopo la liberazione di Roma

Nella giornata del 4 giugno 1944 il dott. Sacerdoti si trovava nella farmacia del dott. Giovanni Amoroso. Vi era stato assegnato dal servizio medico della Resistenza. In quel giorno le prime truppe alleate fecero ingresso a Roma. Nell’intervista ricorda un fatto: malgrado il ribaltamento della situazione militare all’interno dell’Urbe, alcuni fascisti continuarono a sparare dall’Aventino. Ci fu qualche ferito. Comunque, la situazione venne presto riequilibrata. Nel dopoguerra il dott. Sacerdoti si mise alla ricerca dei propri cari (passò per Tolentino, Macerata…). Alla fine, li ritrovò. Anche loro si erano rifugiati fuori Ancona per non essere catturati dai nazi-fascisti. In questi anni il dott. Sacerdoti ebbe modo di conoscere e di curare anche alcuni ebrei che erano sopravvissuti ai campi di sterminio. Erano rimasti in pochi. Uno morì a Roma per tifo. Un altro cadde in depressione. Una donna, pur avendo subìto degli esperimenti nazisti sul proprio corpo, riuscì a diventare madre. L’attività di medico di famiglia del dott. Sacerdoti venne svolta in un ambulatorio che si trovava in via Catalana 10. L’impegno professionale presso l’ospedale Fatebenefratelli durò fino al 1950. In seguito, con il ritorno di diversi medici al nosocomio, il dott. Sacerdoti lavorò con il dott. Giuseppe Rizzi in un ambulatorio territoriale alla Garbatella. Disponeva anche di un apparecchio radiologico e di un laboratorio analisi.
Tale scelta rispondeva a un certo suo ‘spirito indipendente’ (non si inserì nel sistema mutualistico), ma anche al desiderio di essere operativo in territori ancora non urbanizzati, ove la popolazione era numerosa. In zona si trovavano anche dei pastori. Pur trascorrendo il tempo, le persone che il dott. Sacerdoti aveva contribuito a proteggere con l’aiuto dei frati del Fatebenefratelli non lo dimenticarono. Ne è prova il fatto che Luciana e Claudio Tedesco fecero piantare in Israele dieci alberi in suo onore a memoria dell’aiuto prestato da Sacerdoti alla loro famiglia durante le persecuzioni razziali.[39]

Alcune sottolineature

Vittorio Sacerdoti è deceduto il 3 agosto del 2005, all’età di 90 anni. È stato seppellito nel cimitero ebraico di Ancona. La Comunità ebraica di Roma lo continua a ricordare con gratitudine per la generosità con la quale ha prestato la sua opera di medico, per l’attività antifascista, e per aver salvato la vita a più ebrei nel 1943-1944. Ad esempio, ha scritto di lui Mario Mari: “Vittorio Sacerdoti per noi era semplicemente Vittorio. Amico di famiglia da una vita, da buon ebreo è stato anche padrino di battesimo di mio nipote. Caro Vittorio, semplice come l’acqua, disponibile verso ogni condizione sociale, mi sei stato esempio di riferimento”.[40]
Di lui è simpatico accennare anche a quella leggera venatura umoristica che mantenne pure in ore tristi. Nell’intervista del 1998, ad esempio, ricordò un dettaglio: le analisi delle urine di Pio XII [41] erano effettuate nel laboratorio del Fatebenefratelli (se ne occupava direttamente il primario). In quel caso, sulla fialetta, l’etichetta non riportava il nome e cognome del paziente ma solo l’espressione Pastor Angelicus.
Oltre a questo aspetto esiste, ancora, un dato storico non debole. Nell’intervista il dott. Sacerdoti ha ricordato la presenza al Fatebenefratelli di due personaggi: il conte Dalla Torre e l’oculista Galeazzi Lisi.
Giuseppe Dalla Torre fu chiamato nel 1920 alla direzione dell’Osservatore Romano. Nel 1934 affidò al giovane Guido Gonella [42] una rubrica di commento della politica internazionale: nacquero così gli Acta Diurna. [43] La presenza di Dalla Torre al Fatebenefratelli, confermata due volte dal dott. Sacerdoti, aiuta a evidenziare un dato non secondario: il Vaticano poteva conoscere alcune manovre alleate e taluni dati sulle operazioni tedesche grazie anche a coloro che, dentro il Fatebenefratelli usavano la radio ricetrasmittente. Dalla Torre, in pratica, acquisiva notizie dai resistenti e le trasmetteva a Pio XII e a Guido Gonella.
Ma c’è di più. Anche Riccardo Galeazzi Risi non è una figura anonima. Era il medico personale del Papa.[44] Questo significa che ogni informazione che Galeazzi ascoltava dai resistenti presenti al Fatebenefratelli arrivava poi in tempi rapidi al Pontefice.
Tutto questo, a cui si aggiunge il fatto che il Vicario del Papa per la Diocesi di Roma era protettore dell’Ordine di San Giovanni di Dio, e carissimo amico di Pio XII (si davano del tu)[45], avvalora un ulteriore elemento: Pacelli sapeva delle attività che si svolgevano al Fatebenefratelli, le sosteneva, le seguiva attraverso propri fiduciari, e – tramite collaboratori – partecipava all’erogazione di generi di prima necessità. Tutto questo avveniva a poca distanza dai centri di comando tedeschi, dalle sedi del Fascio, dai luoghi ove operavano i collaborazionisti, e dalle zone che furono il luogo di crudeli persecuzioni.

Qualche nota di sintesi

L’attenzione rivolta alla figura del dott. Vittorio Emanuele Sacerdoti rimane a tutt’oggi significativa perché fornisce una serie di dati che fanno meglio comprendere alcune dinamiche. Da una parte questo medico fu testimone delle discriminazioni razziali e delle persecuzioni (rastrellamento del 16 ottobre 1943).
Dall’altra, nell’intervista del 1998, egli sottolinea due volte che nel periodo di Roma ‘città aperta’ non si aveva notizia degli stermini che si stavano realizzando nell’Est. Tutto questo attesta l’esistere di un clima di incertezza che si accentuava con le notizie fornite dagli uffici propaganda degli opposti eserciti. Malgrado ciò, egli conferma l’opera svolta da una rete di solidarietà che unì tra loro cattolici ed ebrei e che rimane un segno di luce in un contesto di drammi e di rovine.

Ringraziamenti
Dott.ssa Laura Brazzo, Responsabile dell’Archivio Storico della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC; Milano). Dott.ssa Giulia Mannelli, Responsabile della Biblioteca della Fondazione Basso (Roma). USC Shoah Foundation (Los Angeles).

Note
[1] Shoah Foundation Institute (Los Angeles), testimony of Vittorio Emanuele Sacerdoti. Oral History. VHA Interview Code: 41839. 15 maggio 1998. Intervistatrice: Elisabeth Levy Picard. Durata: 02:53:25.
[2] Rodolfo Sacerdoti, nato a Modena l’11 giugno 1881. Era commerciante all’ingrosso di carboni. Celeste Dolce Almagià, nata ad Ancona il 26 agosto 1884. Il loro matrimonio venne combinato a Roma da alcuni parenti residenti nell’Urbe.
[3] In ordine cronologico (dal più grande al più piccolo): Sara, Enzo, Vittorio Emanuele, Cesarina.
[4] Haim Ben Yosef Rosenberg (Rosemberg; 1876-1938). Rav di Ancona dal settembre 1909 fino alla morte. Dal 1941 al 1943 fu rabbino capo di Ancona Elio Toaff (1915-2015).
[5] Piazza Altamura 14, Ancona.
[6] Bombi divenne anche direttore del Centro Trasfusionale A.V.I.S. di Ancona.
[7] Marco Almagià (1877-1969). Diversi membri della famiglia Almagià, nel periodo delle persecuzioni anti ebraiche, furono accolti al Fatebenefratelli. Cf al riguardo la testimonianza della figlia (Luisa) di Marco Almagià: ACDEC, Intervista di Manoela Menasci a Luisa Almagià, Roma 6 dicembre 1997. Seconda cassetta in particolare.
[8] Giovanni Borromeo (1898-1961). Primario ospedaliero. Antifascista. Dichiarato ‘Giusto tra le Nazioni’. Medaglia d’argento al valor militare.
[9] Lorenzo Lapponi nacque a Roma il 16 gennaio 1912. Abilitato nel 1935 come medico chirurgo alla Regia Università di Genova. Divenne tenente nel corpo sanitario degli ufficiali generali del corpo d’armata. Nel 1954 fu tra i fondatori dell’Associazione Italiana dei Centri Trasfusionali. Morì nel 1964.
[10] Paolo Santambrogio, primario analista dell’Ospedale Fatebenefratelli di Roma.
[11] Bernardino Masci (1888-1944). Aveva come aiuti i dottori Gaspare Capparoni e Carlo Petacci. Cf anche: M. Mazzoni, Al servizio della vita umana, in: ‘Notizie dalla Delfico’, n. 5, Biblioteca Provinciale ‘Melchiorre Dèlfico’, Teramo, 3 febbraio 2007, pp. 36-38. In questo articolo è anche delineata l’organizzazione interna dell’ospedale dei Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina.
[12] Riccardo Galeazzi Risi (1891-1968).
[13] Alfredo Calò. Istituto di Patologia Speciale della Regia Università di Roma.
[14] Israel Anton Zoller (1881-1956).
[15] L’area dell’antico Ghetto e Trastevere.
[16] Alcuni delatori erano ebrei. Al riguardo si ricorda Celeste Di Porto (1925-1981), residente in via della Reginella 2, legata a Vincenzo Antonelli (banda Pollastrini e Bardi). Era solita operare tra l’area dell’antico Ghetto e i quartieri limitrofi. Altra persona pericolosa fu Enrica Di Porto, detta Erichetta l’incipriata, amante di Domenico Di Meo.
[17] Gli ebrei a Roma: occupazione, resistenza, accoglienza e delazioni (1943-1944), a cura di S. Haia Antonucci e C. Procaccia, Viella, Roma 2017.
[18] Vincenzo Fioritto (1921-1943), studente universitario, sottotenente del IV° Reggimento carristi. Medaglia d’Oro al Valor Militare.
[19] Il nominativo di questo medico non è noto, ma non è difficile fare delle ipotesi attendibili.
[20] A Napoli la popolazione si sollevò dal 27 al 30 settembre 1943.
[21] Fra Maurizio (al secolo: Stanislao) Bialek (1912-2009). Polacco. Economo dell’Ospedale dell’Ordine del Fatebenefratelli, Isola Tiberina (Roma). Medaglia d’argento al valor militare (1946).
[22] Sabato Martelli Castaldi (1896-1944). Ucciso poi alle Cave Ardeatine.
[23] Roberto Lordi (1894-1944). Ucciso poi alle Cave Ardeatine.
[24] Edoardo Volterra (1904-1984). I suoi genitori furono Vito e Virginia Almagià.
[25] Fu capo di zona militare nella regione dei Castelli romani, ove organizzò bande armate e piccoli Comitati di resistenza contro i tedeschi. Fu denunciato da una spia e ricercato dalle polizie tedesca e fascista.
[26] Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto (1885-1967).
[27] Adriano Ossicini (1920-2019).
[28] Cesare Ossicini (1884-1935): avvocato, fondatore con don Sturzo del Partito Popolare. Dirigente dell’Azione Cattolica. Cofondatore e poi presidente della Federazione delle Associazioni Sportive Cattoliche, in seno alla quale nel 1916 nacque l’ASCI, di cui fu il primo Vice Commissario Centrale. Morì assistito dal dott. Giovanni Borromeo.
[29] Fondato nel 1941. Cf anche: V. Tedesco, Il contributo di Roma e della provincia nella lotta di liberazione, Amministrazione Provinciale di Roma, Roma 1967, p. 53 e p. 262.
[30] Silvestra Tea Sesini (1887-1960).
[31] Gerardo Bruni (1896-1975). Fu l’unico rappresentante del Partito Cristiano Sociale nell’Assemblea Costituente della Repubblica Italiana.
[32] Anna Maria Enriques Agnoletti (1907-1944). Partigiana. Fucilata dai nazisti. Insignita di medaglia d’oro al valor militare alla memoria.
[33] Cf anche: R. Vommaro, La resistenza dei Cattolici a Roma (1943-1944), Odradek, Roma 2009, p. 77.
[34] Si arrivò a una cinquantina di ebrei. In realtà il numero delle persone nascoste è superiore se si considera il fatto che molti perseguitati usarono il Fatebenefratelli come tappa intermedia. Adriano Ossicini redasse, in tempi successivi, un elenco degli ebrei registrati come degenti: 62 tra uomini, donne e alcuni bambini. Sei furono registrati due volte, perché rientrarono. Cf A. Ossicini, Un’isola sul Tevere. Il fascismo al di là del ponte, Editori Riuniti, Roma 1999, pp. 219-222. Anche il dott. Sacerdoti, nell’intervista del 1988, fa riferimento a ebrei che uscivano e che poi tornavano.
[35] I Fatebenefratelli cominciarono a sostenere in Italia la formazione infermieristica dal 1853.
[36] Albert Konrad Kesselring (1885-1960). Feldmaresciallo. Dall’estate 1943 ebbe il comando di tutte le forze tedesche in Italia. Il riferimento alla lettera K poteva avere più significati. Sul piano strettamente medico: morbo di Koch (tubercolosi), morbo di Krebs (problemi di metabolismo), et al.
[37] F. Giansoldati, Dora Focaroli, l’infermiera che ha salvato decine di ebrei all’Isola Tiberina, in Il Messaggero, lunedì 27 maggio 2019.

[38] Carla Capponi (1918-2000). Esponente dei Gruppi Armati Proletari (G.A.P.). Medaglia d’oro al valor militare.
[39] Si conserva al CDEC di Milano copia della locandina del Keren Kayemeth Leisrael: ‘10 alberi in onore del dott. Vittorio Sacerdoti’.
[40] Testimonianza di Mario Mari, in: https://it-it.facebook.com/groups/romacittaaperta/. 21 novembre 2019.
[41] Pio XII: nato nel 1876 (Eugenio Pacelli). Pontefice dal 2 marzo 1939 al 9 ottobre 1958 (anno della morte).
[42] Guido Gonella (1905-1982).
[43] Acta Diurna: rubrica di informazione su fatti internazionali.
[44] Il fratello, Enrico Pietro Galeazzi (1896-1986), ebbe da Pio XII il titolo di architetto dei sacri palazzi apostolici e le cariche di direttore generale dei servizi tecnici e di quelli economici.
[45] Cardinale Francesco Marchetti Selvaggiani (1871- 1951).

 

Per saperne di più
AA.VV., Roma durante l’occupazione nazifascista. Percorsi di ricerca, Franco Angeli, Milano 2009.
P.L. Guiducci, Il III Reich contro Pio XII. Papa Pacelli nei documenti nazisti, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013.
G. Micheli, L’Isola Tiberina e i Fatebenefratelli, CENS, Milano 1995.
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