LA NASCITA DELLO STATO PONTIFICIO

di Max Trimurti -

Nel VII secolo il papato è in difficoltà dopo il tentativo di riconquista dell’Italia da parte di Bisanzio e sotto la pressione delle invasioni longobarde. Ma sarà grazie ai regni dell’Occidente che troverà una nuova spinta.

 

La rottura con Bisanzio

Nell’Italia bizantina il Papato torna a essere fedele all’imperatore di Costantinopoli. È un vescovo dai poteri limitati: la tradizione vuole che la sua nomina debba essere confermata dal basileus. Papa Onorio (625-638) tenta persino di trovare un accordo con i partigiani del monotelismo (dottrina che costituisce una forma attenuata del monofisismo), che però non avrà seguito. Di fatto, i suoi successori Severino, Giovanni IV e Martino I non sottoscriveranno l’accordo, attirando i fulmini dell’imperatore (Martino I viene imprigionato nel 653 e muore in esilio).
La presenza a Ravenna del rappresentante dell’imperatore, l’esarca, costituisce un eccellente mezzo di pressione sul Papato. Ma i tempi sono difficili e Bisanzio, che deve lottare per la sua sopravvivenza contro la folgorante spinta mussulmana, è costretta a trovare un terreno d’intesa. Il basileus Costantino IV convoca il concilio ecumenico che condanna il monotelismo. Papa Benedetto II ottiene che la sua funzione non sia più confermata dall’imperatore ma solo dal suo rappresentante, l’esarca. I successori di Benedetto otterranno inoltre importanti esenzioni fiscali.
Ma la crisi dell’iconoclastia scompagina le carte in tavola. Nel 730 l’imperatore Leone III fa condannare ufficialmente il culto delle icone e ordina all’esarca di fare arrestare papa Gregorio III, che però si ribella alle sua determinazioni. Leone III estende quindi il suo dominio sulle proprietà della chiesa e ne confisca militarmente i territori dell’Italia del sud.

La minaccia dei Longobardi

Gregorio III si ritrova senza protezione di fronte ai Longobardi, che approfittano della situazione confusa per accentuare la loro pressione: Ravenna viene conquistata nel 737. Al papa rimangono poche possibilità per difendersi e sopravvivere: fare ricorso alla forza crescente dell’Occidente, i Franchi. In effetti, Carlo Martello, aureolato dalla vittoria di Poitiers nel 732 contro gli arabi, è l’uomo forte del momento. Tuttavia, Gregorio III riesce a trovare una soluzione temporanea con i Longobardi e a fare a meno dell’aiuto dei Franchi.
I Longobardi, però, minacciano nuovamente Roma nel 751. Una vera fortuna per Pipino il Breve (714-768), figlio di Carlo Martello, a quel tempo in ambasciata a Roma per farsi legittimare il titolo di Rex Francorum, dopo aver deposto l’ultimo merovingio. Sebbene questa richiesta sia del tutto illegale e persino ardita, papa Zaccaria si trova nella condizione di non poterla rifiutare e dichiarando decaduto il re merovingio Childerico III mette Pipino nella posizione di obbligato nei confronti del Papato. Nel momento in cui l’Impero bizantino deve accomodarsi alla perdita definitiva dell’Esarcato di Ravenna, il nuovo papa, Stefano II (715-757), cerca un protettore e si ricorda del re dei Franchi in maniera spettacolare e simbolica, attraversando le alpi in pieno inverno per incontrarlo a Ponthion. Egli porta con sé una promessa: quella del riconoscimento della sua dinastia, a patto che Pipino elimini dall’Italia la minaccia longobarda e restituisca al papa i territori riconquistati.

Formazione dello Stato pontificio

Carlo Magno conferma a papa Adriano I le donazioni del padre Pipino il Breve

Carlo Magno conferma a papa Adriano I le donazioni del padre Pipino il Breve

Le campagne di Pipino ottengono un successo e nel 754 viene creato un nuovo stato. Roma, oltre al suo ducato (vecchia provincia bizantina), recupera la provincia di Ravenna e quindi il corridoio di Perugia. I Bizantini sono presi da ben altre preoccupazioni e non possono reagire, riuscendo a conservare in Italia solo la Calabria, Venezia (nominalmente) e le isole (Corsica, Sardegna e Sicilia). In definitiva il Papato è diventato un attore politico, dotato di una solida amministrazione, ereditata dai bizantini, di una cancelleria e di uffici incaricati di assicurare le entrate. Da questa nuova aristocrazia prenderà vita un “corpo senatoriale” potente, proveniente da carriere civili o militari, che in seguito avrà un peso notevole nella nomina dei papi.
Tuttavia i Longobardi rimangono ancora minacciosi. Desiderio manovra abilmente riuscendo a far sposare sua figlia a Carlo Magno, figlio di Pipino. Nel 771 il sovrano longobardo è in condizioni di marciare su Roma. Papa Adriano, a sua volta, fa ricorso ai Carolingi nella persona di Carlo Magno, che riesce a conquistare quasi tutta l’Italia, sconfiggendo definitivamente i Longobardi. Ma Carlo Magno non mantiene le promesse relative alla restituzione dei territori del papa. Al contrario, egli si dichiara re d’Italia e impone ad Adriano la consacrazione dei suoi due figli a Roma. Il papa, pur recuperando qualche città, non ha altra scelta che cedere alle richieste del suo “protettore”. Il bilancio resta comunque favorevole: potendosi comportare come un vero sovrano temporale, il papa inizia a batter moneta con la propria effige, allo stesso modo degli imperatori bizantini.

L’impero secondo Carlo Magno

Carlo Magno inizia quindi a moltiplicare le testimonianze di buona volontà e di fedeltà nei confronti del Papato. Colma di donazioni vescovi e monasteri e li pone sotto la sua protezione, rende obbligatoria la decima in tutto il territorio dell’impero, appoggia energicamente l’evangelizzazione degli Slavi nelle frontiere orientali del regno. In materia dottrinale, i suoi sforzi procedono nello stesso senso: rifiuto dell’iconoclastia, migliore formazione del clero e diffusione dell’insegnamento cristiano. In definitiva, la “rinascita carolingia” vuole continuare la riforma iniziata due secoli prima da Gregorio I.
Roma non tarda ad attribuire a Carlo Magno il titolo di “Nuovo Costantino”. Non stupisce quindi che papa Leone III gli conferisca l’incoronazione imperiale nel natale dell’anno 800. Una fortuna per il papa, proprio nel momento in cui in oriente, una donna, Irene Sarantapechaina d’Atene, è salita al trono di Costantinopoli allontanandone il suo stesso figlio.
Ma il “buon imperatore” si mostra sempre di più intraprendente. Il suo progetto politico trova espressione nella fondazione della capitale ad Aquisgrana, che vuole trasformare in una nuova Roma. Nell’809 approva una modifica del Credo che comporta delle tensioni con Leone III. La sua visione è chiara: l’impero è cristiano e franco, prima di essere romano, mentre per il papa l’imperatore dovrebbe essere al servizio della Cristianità, il cui centro è Roma.

Gli imperatori carolingi e il papato in concorrenza

Il braccio di ferro per il riconoscimento di un potere universale prosegue sotto il regno dei successori di Carlo Magno. Le tensioni vengono accentuate dalle dispute di che dividono i figli di Luigi I il Pio: Lotario I, Ludovico il Germanico, Pipino e Carlo il Calvo.
In effetti, secondo la tradizione germanica, l’impero dovrebbe essere suddiviso in parti uguali, ma un impero dovrebbe anche essere essenzialmente indissolubile. Cercando di conciliare tali vedute, nell’817 Luigi I associa al potere imperiale Lotario, facendolo re d’Italia. Offre la Baviera a Ludovico il Germanico; l’Aquitania riviene a Pipino e Carlo il Calvo recupera l’Alsazia e la Borgogna. Queste spartizioni daranno origini a delle guerre civili con molteplici rivolgimenti di alleanze.
I papi tentano di trarre il massimo vantaggio da questo gioco politico ad alto rischio. Se papa Pasquale I era riuscito a ottenere da Luigi I la libera elezione del papa da parte dei Romani (Privilegium Lodovivi, 817), il suo successore, Eugenio, rimane sostanzialmente impotente davanti alle rivendicazioni di Lotario I, che approfitta della sua venuta a Roma nell’823 e della morte di Pasquale I per imporre la Constitutio romana, che riduce il margine di manovra del papa obbligandolo nuovamente a prestare giuramento di fedeltà all’imperatore e imponendogli un diritto di sorveglianza sulla nomina della sua amministrazione.
Lo spezzettamento dell’impero fra gli eredi di Luigi I in occasione del Trattato di Verdun (843) consente tuttavia al Papato di affrancarsi da una autorità imperiale che ne conservava ormai solo il nome. I papi orientano inizialmente le loro attenzioni sul figlio di Lotario I, quindi su Carlo il Calvo, facendo così passare il centro di gravità dell’impero a occidente. Una decisione effimera, tuttavia: la corona imperiale passa successivamente al ramo germanico, quindi italiano (con la dinastia dei marchesi d’Ivrea) e i territori si frammentano con procedere delle successive eredità.
Alla fine del IX secolo e malgrado l’autonomia politica che gli viene conferita dalla creazione dello Stato Pontificio, il Papato perde il suo dinamismo politico, preferendo concentrarsi soprattutto sulla sua autorità morale, impegnata a regolare gli affari privati dei principi e le tensioni dogmatiche con il Patriarca di Costantinopoli. Nonostante il brillante pontificato di papa Nicola I (867-872), l’aristocrazia italiana (principi di Spoleto, di Capua, di Napoli…) assume sempre maggiore importanza nell’ambito della curia romana. Ne consegue, nella prima metà del X secolo, un periodo di crisi, durante il quale l’influente dinastia di Teofilatto (860-924) e dei Conti di Tuscolo tirano le redini del potere romano, nominando e dichiarando decaduti i pontefici a loro piacimento. Occorrerà l’intervento di Ottone I (912-973) per restaurare un’autorità imperiale e papale più forte, anche se quest’ultima risulterà durevolmente affrancata dalla corona germanica, nonostante la conferma dei suoi territori. Il braccio di ferro fra i due poteri era destinato a continuare.

Per saperne di più
Girolamo Arnaldi, Le origini dello Stato della Chiesa, Torino, UTET Libreria, 1987
O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio ed ai Longobardi, Cappelli, 1941
Thomas Noble, La repubblica di S. Pietro. Nascita dello Stato pontificio (680-825), ECIG, 1998